N. 136 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2016

Ordinanza del 21 aprile 2016  emessa  dal  G.I.P.  del  Tribunale  di
Ragusa nel procedimento penale  a  carico  di  Jammeh  Jobis  e Jawne
Mohammed Lamin. 
 
Reati  e  pene  -  Delitti   di   favoreggiamento   dell'immigrazione
  clandestina  -  Pena  detentiva  congiunta  a  pena  pecuniaria   -
  Previsione di misure della pena pecuniaria in forma fissa. 
- Decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
  disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione  e  norme
  sulla condizione dello straniero), art. 12, commi 3 e 3-ter. 
(GU n.33 del 17-8-2016 )
 
                         TRIBUNALE DI RAGUSA 
           UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI 
           ORDINANZA EX ART. 23 LEGGE 11 MARZO 1963, N. 87 
 
    Il Giudice per le indagini preliminari, 
    esaminati gli atti del procedimento penale n. 2430/2015  r.g.n.r.
nei confronti di Jammeh Jobis e di Jawne Mohammed Lamin, imputati del
seguente: 
        a) delitto di cui agli articoli 81 cpv e 110 c.p. e 12  commi
1, 3 lett. a,), b), c), d),  e)  3-bis  e  3-ter  lett.  b),  decreto
legislativo n. 286 del 1998 e successive modifiche, perche', con piu'
azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,  in  concorso  tra
loro e con altri soggetti allo stato non  identificati,  operanti  in
territorio libico ed aventi  la  disponibilita'  di  armi,  mezzi  di
trasporto, gommoni, imbarcazioni e diversi  immobili  utilizzati  per
l'alloggio dei soggetti extracomunitari in attesa della  partenza  in
direzione delle coste italiane, in qualita' di scafista con il  ruolo
di guida e di pilotaggio di un  gommone,  compivano  atti  diretti  a
procurare  l'ingresso  nel  territorio  italiano  di  108   cittadini
stranieri di varie nazionalita' in violazione delle  norme  contenute
nel  suddetto  T.U.  di  riferimento,  al  fine  di  trarne  indebito
profitto, avendo i migranti corrisposto delle  somme  di  denaro  per
pagare il prezzo del viaggio, trasportandoli, a  bordo  del  predetto
gommone, non idoneo per il suo stato e per le sue dimensioni a tenere
il mare in condizioni di sicurezza ne' a contenere  un  numero  cosi'
ingente di persone, dalle acque libiche -  ove  gli  stessi  migranti
erano stati condotti a bordo di autoveicoli  dagli  uomini  libici  -
fino alla posizione lat. 33°14'N e long.  012°01'E,  ove  il  gommone
veniva  intercettato  dalla  motonave  «Dignity»  di   Medici   senza
frontiere ed i migranti ivi fatti salire e in seguito fino  al  Porto
di Pozzallo. 
    Con le aggravanti del numero degli immigrati superiore a  cinque;
di avere esposto a pericolo la vita e l'incolumita' dei medesimi e di
averli sottoposti a trattamenti inumani  e  degradanti,  distribuendo
solo qualche porzione di cibo di scarsa qualita'; di  avere  commesso
il fatto in concorso con piu' di due persone;  di  avere  commesso  i
fatti ricorrendo due o piu' delle ipotesi di cui alle lett. a),  b,),
c), d), e) del comma 3 del medesimo art. 12. 
    Con l'ulteriore circostanza aggravante di avere commesso i  fatti
al fine di trarne profitto, anche indiretto. 
    Accertato in posizione  lat.  33°14'N  e  long.  012°01'E  ed  in
Pozzallo, il 23 giugno 2015. 
    Ritenuta  ammissibile  e  rilevante  nel  predetto  giudizio   la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  12,  commi  3  e
3-ter decreto legislativo  n.  286/1998,  nella  parte  in  cui  esso
prevede pene pecuniarie in misura fissa per i soggetti  autori  delle
condotte ivi previste (€ 15.000,00 per  ogni  persona  nella  ipotesi
base ed € 25.000,00 nella ipotesi aggravata); 
 
                               Osserva 
 
    1. Sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo. 
    In data 24 giugno 2015, alle  ore  1,55  circa,  Jammeh  Jobis  e
Jawneh Mohammed Lamin venivano tratti in stato di fermo  dalle  Forze
dell'Ordine in una operazione congiunta di salvataggio di un  gommone
in acque internazionali  per  il  delitto  di  favoreggiamento  della
immigrazione clandestina di ben 108 cittadini extracomunitari, meglio
descritto sopra. 
    Tratti davanti al giudice per la convalida della  misura,  il  26
giugno 2015 il fermo veniva convalidato e,  su  richiesta  del  P.M.,
veniva applicata nei confronti degli odierni imputati la misura della
custodia cautelare in carcere. 
    Disposto il giudizio immediato, nei  termini  di  legge,  per  il
tramite dei rispettivi difensori, gli stessi avanzavano richiesta  di
definizione del procedimento mediante il rito  di  cui  all'art.  444
c.p.p. con l'applicazione  della  pena  per  entrambi,  nella  misura
finale di anni 2 di reclusione ed euro  1.000.000,00  di  multa  (per
l'imputato Jammeh) e di due anni di reclusione  ed  €  700.000,00  di
multa  (per  l'imputato  Jawneh),  espressamente  subordinando   tale
richiesta  alla   concessione   del   beneficio   della   sospensione
condizionale della pena detentiva, ed in subordine mediante  giudizio
abbreviato. 
    La superiore pena, richiesta ex art. 444 c.p.p.,  alla  quale  il
P.M. ha prestato il proprio consenso, e' stata cosi determinata: 
        1) per Jammeh Jobis: pena base per il delitto di cui all'art.
12, comma 3, decreto legislativo n. 286/1998, anni 5 di reclusione ed
euro 1.620.000,00 di multa  (euro  15.000,00  per  ciascuno  dei  108
soggetti trasportati), aumentata, ex art. 12, comma 3-ter, lett.  b),
decreto legislativo n. 286/1998, a complessivi anni 6  e  mesi  8  di
reclusione ed euro 2.700.000,00 di multa (euro 25.000,00 per ciascuno
dei 108 soggetti trasportati), ulteriormente aumentata, ex  art.  12,
comma 3-bis, decreto legislativo n. 286/1998, a complessivi anni 6  e
mesi 9 di reclusione ed euro 3.000.000,00 di multa,  ridotta  per  le
circostanze attenuanti generiche ad anni 4, mesi 6, di reclusione  ed
euro 2.100.000,00 di multa, ulteriormente ridotta per la  concessione
della circostanza attenuante di cui all'art. 12,  comma  3-quinquies,
decreto legislativo n. 286/1998, ad anni  3  di  reclusione  ed  euro
1.500.000,00 di multa, definitivamente ridotta per il rito  prescelto
nella misura finale di anni 2 di reclusione ed euro  1.000.000,00  di
multa; 
        2) per Jawneh Mohammed Lamin: pena base per il delitto di cui
all'art. 12, comma 3, decreto legislativo n.  286/1998,  ritenuta  la
circostanza attenuante di cui  all'art.  114  c.p.  prevalente  sulle
contestate  aggravanti,  anni  4,  mesi  6,  di  reclusione  ed  euro
1.500.000,00 di multa, ridotta per le attenuanti generiche ad anni  3
di reclusione ed euro 1.000.000,00 di multa, definitivamente  ridotta
per il rito prescelto nella misura finale di anni 2 di reclusione  ed
euro 700.000,00 di multa. 
    In entrambi i casi la richiesta era subordinata alla  concessione
del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    In seguito, con ordinanza del 21 novembre 2015, il G.i.p.  presso
il Tribunale di Ragusa ha disposto la revoca della  misura  cautelare
applicata agli imputati e la loro liberazione. 
    Con decreto del 27 novembre 2015 e' stata fissata  l'udienza,  ex
art. 458 c.p.p.,  a  seguito  della  presentazione  delle  suindicate
richieste di definizione del procedimento  mediante  i  riti  di  cui
all'art. 444 c.p.p. ovvero, in subordine, all'art. 438 c.p.p. 
    Nel corso di  quest'ultima  fase  del  procedimento  i  difensori
invitavano il giudicante a valutare la opportunita' della  promozione
di un giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  decreto
legislativo n. 286/1998. 
    Il  giudice,  ritenuta  la  ammissibilita'  e   rilevanza   della
questione, rinviava al 21 aprile 2006. 
    Le circostanze desumibili dal verbale di fermo, gli atti ad  esso
allegati e la parziale ammissione dei fatti resa dall'imputato Jammeh
Jobis in sede di udienza di convalida ed  al  momento  dello  sbarco,
consentono di  ritenere  corretta  la  qualificazione  giuridica  del
fatti, l'insussistenza di motivi  per  pronunciare  una  sentenza  di
proscioglimento, l'applicazione e comparazione delle  circostanze  in
relazione all'episodio di guida del gommone e di  assistenza  durante
la navigazione nei confronti dei nominativi indicati in epigrafe. 
    Sussistono, pertanto, gli estremi per la irrogazione della  pena,
anche nella forma concordata. 
    La pena pecuniaria, tuttavia, non risulta congrua,  perche'  essa
appare del tutto irragionevole  e  sproporzionata  alla  entita'  dei
fatti ed alle azioni poste in essere dagli imputati. 
    L'effetto  derivante  dalla  applicazione  della  norma   sembra,
invero, in contrasto con alcuni principi fondamentali  sanciti  dalla
Carta costituzionale. 
    2.  Sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione  e  sul
contrasto con le norme della Carta costituzionale. 
    Questo giudice ritiene non manifestamente infondata la  questione
sotto entrambi i profili indicati nella memoria difensiva. 
    Art. 3 Costituzione. 
    Ad avviso del decidente risulta chiaramente leso il principio  di
ragionevolezza, inteso come declinazione naturale  del  principio  di
uguaglianza. 
    Nella  sentenza  n.  50  del  1980   la   Corte   costituzionale,
richiamando in  premessa  i  principi  espressi  nella  decisione  n.
104/1968, ha rivisitato  le  precedenti  conclusioni,  ritenendo  che
"l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti in termini di
uguaglianza e/o differenziazione di trattamento  contribuisce  da  un
lato, a rendere quanto piu' possibile «personale» la  responsabilita'
penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; e  nello
stesso tempo e' strumento per una determinazione  della  pena  quanto
piu' possibile «finalizzata», nella prospettiva dell'art.  27,  terzo
comma, Cost.  Il  principio  d'uguaglianza  trova  in  tal  modo  dei
concreti punti di riferimento, in materia penale, nei  presupposti  e
nei fini (e nel collegamento fra gli uni e gli  altri)  espressamente
assegnati   alla   pena   nello   stesso   sistema    costituzionale.
L'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva,
«proporzione» della pena rispetto alle «personali» responsabilita' ed
alle esigenze di risposta che ne conseguano, svolgendo  una  funzione
che e' essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle  posizioni
individuali e di limite della potesta' punitiva  statuale".  Da  tali
premesse, la decisione afferma pertanto che "in linea  di  principio,
previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia  con
il  «volto  costituzionale»  del  sistema   penale   ed   il   dubbio
d'illegittimita'  costituzionale  potra'  essere,  caso   per   caso,
superato a condizione che, per la natura dell'illecito  sanzionato  e
per  la  misura  della  sanzione  prevista,  questa   ultima   appaia
ragionevolmente  «proporzionata»   rispetto   all'intera   gamma   di
comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato". 
    Va  evidenziata  l'ordinanza  n.  547/2002,  laddove   la   Corte
costituzionale ha richiamato la necessita' di individuare  la  natura
fissa o variabile della sanzione penale nel  complessivo  trattamento
sanzionatorio dettato dalla fattispecie incriminatrice  e  non  nelle
singole pene  (detentive  e  pecuniarie)  ivi  previste  (osserva  in
motivazione la Corte  che  "la  graduabilita'  della  pena  detentiva
comminata congiuntamente a quella pecuniaria - offrendo al giudice un
consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle
particolarita' del caso  concreto,  anche  in  rapporto  a  parametri
oggettivi   e   soggettivi   diversi   dalla   semplice   "dimensione
quantitativa" dell'illecito - esclude, difatti, che la pena  edittale
del  reato  in  questione  possa,  nel  suo  complesso,  considerarsi
fissa"). 
    Dal suindicato excursus giurisprudenziale e',  dunque,  possibile
trarre i seguenti principi: 
        -  la  pena  fissa,  per  la  sua  intrinseca  e  connaturata
insuscettibilita' ad essere adeguata a tutte le possibili fattispecie
concrete, non appare compatibile con il sistema della pena  delineato
dalla Costituzione; 
        - per determinare la natura della pena,  fissa  o  variabile,
occorre  avere  riguardo  al  complessivo  trattamento  sanzionatorio
previsto dal legislatore per ciascuna fattispecie incriminatrice. 
    Nel caso di specie la particolare entita' delle pene previste non
sembra assicurare al Giudice il potere di adeguare, sino in  fondo  e
con completezza, la punizione al fatto concretamente  commesso  e  di
'modellarlo' sulla reale personalita' del singolo imputato. 
    Al riguardo, invero, non  puo'  certamente  non  ricordarsi  come
proprio la Corte costituzionale, chiamata recentemente a pronunciarsi
circa la legittimita' costituzionale della  presunzione  assoluta  di
adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, sancita
dell'art. 12, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 286/1998, abbia
espressamente  ritenuto  che  tale  disposizione   e'   chiamata   ad
incriminare fattispecie concrete affatto eterogenee tra di esse:  "si
tratta, in specie, delle ipotesi previste dal comma  3  del  medesimo
articolo (oggetto, a sua volta, di profonda modifica ad  opera  della
legge n. 94 del 2009), nelle quali  il  fatto  di  favoreggiamento  -
identificato  in  quello  di  chi,  in  violazione  del  testo  unico
sull'immigrazione, «promuove, dirige, organizza, finanzia o  effettua
il trasporto di stranieri nel territorio dello  Stato  ovvero  compie
altri  atti  diretti  a  procurarne   illegalmente   l'ingresso   nel
territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del  quale  la  persona
non e' cittadina o non ha titolo di  residenza  permanente»  -  viene
configurato come fattispecie distinta e piu'  severamente  punita  di
quella di cui al comma 1, per il concorso di elementi che accrescono,
nella valutazione  legislativa,  il  disvalore  dell'illecito.  [...]
Anche in ragione dell'alternativita' delle ipotesi ora  indicate,  la
figura  delittuosa  viene,  peraltro,  a  ricomprendere   fattispecie
concrete marcatamente differenziate tra loro, sotto  il  profilo  che
qui rileva. Il delitto in discorso costituisce, infatti, un  reato  a
consumazione anticipata, che si perfeziona con il solo compimento  di
«atti diretti a procurare»  l'ingresso  illegale  di  stranieri  «nel
territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del  quale  la  persona
non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente».  Il  verbo
«procurare»   conferisce,   altresi',   alla   fattispecie   un'ampia
latitudine applicativa, abbracciando qualunque apporto  efficiente  e
causalmente orientato a produrre il risultato finale, ivi comprese  -
secondo una corrente lettura  giurisprudenziale  -  talune  attivita'
immediatamente successive all'arrivo in Italia degli  stranieri,  che
agevolino l'esito dell'operazione. Dal paradigma legale tipico esula,
in  ogni  caso,  il  necessario  collegamento  dell'agente  con   una
struttura associativa  permanente.  Il  reato  puo'  bene  costituire
frutto di iniziativa meramente individuale: la presenza di un  numero
di concorrenti pari o superiore a tre e', infatti - come accennato  -
solo una delle  ipotesi  alternativamente  considerata  dalla  citata
norma.  D'altra  parte,  quando  pure  risulti  ascrivibile   a   una
pluralita' di persone, il fatto puo' comunque mantenere un  carattere
puramente episodico od occasionale e basarsi  su  una  organizzazione
rudimentale di mezzi: [...].  In  sostanza,  dunque,  le  fattispecie
criminose cui la presunzione in esame e' riferita possono assumere le
piu' disparate connotazioni: dal fatto ascrivibile  ad  un  sodalizio
internazionale, rigidamente strutturato e dotato  di  ingenti  mezzi,
che specula abitualmente sulle condizioni di  bisogno  dei  migranti,
senza farsi scrupolo di esporli  a  pericolo  di  vita;  all'illecito
commesso una tantum da singoli individui o gruppi di  individui,  che
agiscono  per  le  piu'  varie   motivazioni,   anche   semplicemente
solidaristiche in rapporto ai loro particolari legami con i  migranti
agevolati, essendo il fine di profitto previsto dalla legge come mera
circostanza aggravante (comma 3-bis, lettera  b),  dell'art.  12  del
decreto legislativo n. 286 del 1998)" (cosi'  Corte  cost.  sent.  n.
331/2011) 
    Proprio tali osservazioni, nel  rimarcare  l'assoluta  diversita'
delle singole fattispecie che  vengono  a  ricadere  nella  sfera  di
applicazione dell'art. 12, comma 3, decreto legislativo n.  286/1998,
non consentono di  ritenere  che  l'automatismo  della  elevata  pena
pecuniaria,  comunque   irrogabile,   consenta   al   Giudice   ampie
possibilita' di adeguare la sanzione  alle  particolarita'  del  caso
concreto. 
    Non puo' sfuggire, invero, la enorme diversita' dei ruoli  ed  il
conseguente differente disvalore delle condotte tra chi  organizza  i
fiorenti traffici di esseri umani dalle  coste  nordafricane  (magari
partecipando a ben organizzate associazioni criminali,  provviste  di
ingenti risorse finanziarie e logistiche) e  chi,  per  opportunismo,
disperazione o per semplice ignoranza, se non per sfuggire a minacce,
guerre e ricatti dal Paese  di  origine,  in  condizioni  di  estrema
poverta'  e  solitudine,  accetta   di   guidare   una   imbarcazione
improvvisata, in  assenza  di  cognizioni  tecniche  adeguate  ed  in
condizioni  di  estremo  rischio  per  la  propria  e  per   l'altrui
incolumita', per affrontare il viaggio che condurra' i clandestini in
territorio italiano (attraverso la ficto iuris del c.d.  soccorso  di
necessita' in acque internazionali), come nel caso in esame . 
    Trattare  allo  stesso  modo  dette  condotte  appare  del  tutto
irragionevole  e  ingiusto  sotto  il  profilo   del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. 
    Va, altresi',  considerato,  come  la  misura  fissa  della  pena
pecuniaria nelle ipotesi aggravate, pur mitigata dalla concessione di
circostanze attenuanti,  ovvero  di  diminuenti  capaci  di  incidere
fortemente sulla dosimetria della pena (si pensi  a  quella  prevista
dal comma 3-quinquies dell'art. 12 decreto legislativo n.  286/1998),
non consente di giungere a dosi ragionevoli di  pena,  adeguate  alle
condotte ed alla personalita' dei soggetti agenti. 
    Nel caso in esame  la  pena  pecuniaria  concordata  oscilla  dai
700.000,00 euro ad 1.000.000,00 di euro per ogni imputato,  assumendo
una dimensione del tutto sproporzionata rispetto al  disvalore  della
condotta. 
    Giova   rimarcare,   altresi',   due   ulteriori    profili    di
irragionevolezza. 
    Il primo con riferimento agli articoli 24 e 133-bis c.p. La norma
generale in materia di pena principale, con riferimento  alla  multa,
prevede un minimo di € 50,00 ed un massimo di pena pecuniaria pari ad
€ 50.000,00 (cio'  in  virtu'  della  riforma  operata  dal  d.l.  n.
94/2009, che ha innalzato la soglia  massima,  dapprima  ferma  ad  €
5.164,00). 
    La statuizione della pena  pecuniaria  in  forma  fissa  prevista
dall'art. 12, comma  3-ter,  decreto  legislativo  n.  286/1998,  per
ciascuna   persona   trasportata,   comporta   una   irrazionale   ed
ingiustificata sperequazione rispetto ai parametri  elastici  di  una
qualsivoglia pena pecuniaria, inspiegabile davanti a certo genere  di
condotte come quella nella fattispecie concreta considerata. 
    Analogo profilo di irragionevolezza  del  draconiano  sistema  di
pene pecuniarie previste dall'art. 12 cit. si  desume  dal  raffronto
con il disposto dell'art. 133-bis c.p., che  ancora  alle  condizioni
economiche del reo la discrezionalita' del giudice al  momento  della
irrogazione della pena pecuniaria, prevedendo aumenti fino al  triplo
o diminuzioni fino  ad  un  terzo  quando  si  ritenga  che,  per  le
condizioni economiche del  reo,  la  misura  massima  sia  inefficace
ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa. 
    Nel caso in  esame  persino  l'applicazione  di  detto  ulteriore
strumento di riduzione della pena, in presenza  della  determinazione
in forma fissa  della  multa  (e  con  il  divieto  di  bilanciamento
previsto  dall'art.  12,  comma  3-quater,  decreto  legislativo   n.
286/1998, per l'imputato Jammeh), non permette di  graduare  in  modo
individualizzante e, comunque, ragionevole, la  misura  finale  della
stessa. 
    Ulteriore profilo di irragionevolezza della norma  sottoposta  al
vaglio di legittimita' costituzionale,  infine,  puo'  desumersi  dal
confronto  con  le  pene  previste  per  condotte  in  qualche   modo
assimilabili a quelle previste dall'art. 12, decreto  legislativo  n.
286/1998. 
    Si pensi, ad esempio, a quella dettata dall'art. 3, n.  6,  legge
n. 58/1975, nella parte in cui sanziona con la pena da due a sei anni
di reclusione e della multa  da  258  ad  €  10.329  le  condotte  di
chiunque induca una persona a recarsi  nel  territorio  di  un  altro
Stato o, comunque,  in  luogo  diverso  da  quello  di  sua  abituale
residenza,  al  fine  di  esercitarvi  la  prostituzione,  ovvero  si
intrometta per agevolarne la partenza . 
    La circostanza aggravante introdotta dalla lettera a)  del  comma
3-ter dell'art. 12 citato sanziona i fatti descritti nei commi 1 e  3
della menzionata norma  (dunque  anche  le  condotte  di  promozione,
direzione, organizzazione, finanziamento o effettuazione del viaggio,
ivi inclusa la 'induzione' a recarsi in altri Paesi) quando essi sono
commessi ai fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione
o, comunque, allo sfruttamento sessuale o lavorativo. 
    La differenza tra l'entita' delle pene  pecuniarie  previste  per
condotte  analoghe,  pur  in  presenza  di  beni  giuridici  protetti
diversi, appare  lampante  e  costituisce  un  ulteriore  indizio  di
irragionevolezza e disuguaglianza di trattamento. 
    Art. 27 Costituzione. 
    Innumerevoli dubbi di legittimita'  costituzionale  si  ravvisano
anche con riferimento al principio di rieducazione della pena. 
    La funzione risocializzante della  sanzione  verrebbe  totalmente
annullata dalla pena pecuniaria in forma fissa prevista dall'art. 12,
commi 3 e 3-ter, decreto legislativo n. 286/1998 (e  dal  divieto  di
prevalenza delle circostanze attenuanti, diverse da  quelle  previste
dagli articoli 98 e 114 c.p., con le aggravanti). 
    Mutuando le pregevoli osservazioni espresse nella sentenza  della
Corte costituzionale n. 313 del  1990,  "in  uno  Stato  evoluto,  la
finalita'  rieducativa  non  puo'  essere  ritenuta   estranea   alla
legittimazione  e  alla  funzione  stesse  della  pena.  L'esperienza
successiva ha, infatti, dimostrato che la  necessita'  costituzionale
che la pena debba «tendere» a rieducare, lungi dal rappresentare  una
mera generica tendenza riferita al solo  trattamento,  indica  invece
proprio una delle qualita' essenziali e generali  che  caratterizzano
la pena nel suo contenuto  ontologico,  e  l'accompagnano  da  quando
nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in  concreto
si estingue.  Cio'  che  il  verbo  «tendere»  vuole  significare  e'
soltanto la presa d'atto della divaricazione che  nella  prassi  puo'
verificarsi  tra  quella  finalita'  e  l'adesione   di   fatto   del
destinatario  al  processo   di   rieducazione:   com'e'   dimostrato
dall'istituto che fa corrispondere  benefici  di  decurtazione  della
pena ogniqualvolta, e nei limiti  temporali,  in  cui  quell'adesione
concretamente si manifesti (liberazione anticipata). Se la  finalita'
rieducativa venisse limitata alla fase esecutiva, rischierebbe  grave
compromissione ogniqualvolta  specie  e  durata  della  sanzione  non
fossero  state  calibrate  (ne'  in  sede  normativa  ne'  in  quella
applicativa) alle necessita' rieducative del soggetto. 
    La Corte ha gia' avvertito tutto questo quando non ha  esitato  a
valorizzare il principio addirittura sul piano  della  struttura  del
fatto di reato (cfr. sentenza n. 364 del 1888). 
    Dev'essere, dunque, esplicitamente ribadito che  il  precetto  di
cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione vale tanto per  il
legislatore quanto per i giudici  della  cognizione,  oltre  che  per
quelli dell'esecuzione e della sorveglianza, nonche'  per  le  stesse
autorita' penitenziarie. 
    Del resto, si tratta di  un  principio  che,  seppure  variamente
profilato, e' ormai  da  tempo  diventato  patrimonio  della  cultura
giuridica europea, particolarmente per il  suo  collegamento  con  il
«principio di proporzione» fra qualita' e quantita'  della  sanzione,
da una parte, ed offesa, dall'altra". 
    Nella sentenza n. 364/1988 la Corte costituzionale ha chiaramente
evidenziato che "collegando il primo  al  terzo  comma  dell'art.  27
Cost., agevolmente si scorge che, comunque  si  intenda  la  funzione
rieducativa  ...,  essa  postula  almeno  la  colpa  dell'agente   in
relazione agli elementi piu' significativi della fattispecie tipica»,
dal momento che «non avrebbe senso  la  "rieducazione"  di  chi,  non
essendo almeno "in colpa" (rispetto al fatto), non ha certo "bisogno"
di essere "rieducato". Soltanto quando alla  pena  venisse  assegnata
esclusivamente una funzione deterrente (ma  cio'  e'  sicuramente  da
escludersi,  nel  nostro  sistema  costituzionale,  data   la   grave
strumentalizzazione  che  subirebbe  la   persona   umana)   potrebbe
configurarsi come legittima una responsabilita' penale per fatti  non
riconducibili   ...   alla   predetta   colpa   dell'agente,    nella
prevedibilita' ed evitabilita' dell'evento". 
    Nella sentenza dell'11 luglio 2007, n. 322, infine, la  Corte  ha
sottolineato che «la colpevolezza svolge un ruolo "fondante" rispetto
alla funzione rieducativa della pena ... [poiche'] non avrebbe  senso
"rieducare" chi non ha bisogno  di  essere  rieducato,  non  versando
almeno in colpa rispetto al fatto commesso». Peraltro,  aggiunge  che
la funzione rieducativa «non potrebbe essere obliterata  a  vantaggio
di altre e diverse  funzioni  della  pena,  che  siano  astrattamente
perseguibili, almeno in parte, a prescindere dalla  rimproverabilita'
dell'autore»: punire in difetto di colpevolezza,  per  perseguire  le
finalita' c.d. di "prevenzione generale" negativa  e  di  prevenzione
speciale negativa, implicherebbe «una strumentalizzazione dell'essere
umano per contingenti obbiettivi di politica criminale,  contrastante
con il principio personalistico affermato dall'art. 2 Cost.». 
    Il  legislatore  puo',   pertanto,   graduare   il   coefficiente
psicologico di partecipazione dell'autore al fatto, in relazione alla
natura della fattispecie e agli interessi coinvolti,  «ma  in  nessun
caso  gli  e'  consentito  di  prescindere  in  toto   dal   predetto
coefficiente". 
    Nel caso in esame (per  quanto  concerne  l'imputato  Jammeh)  il
legislatore  ha  anche  impedito  il  giudizio  di   prevalenza   tra
circostanze  attenuanti  ed  aggravanti,  in  modo  da  ulteriormente
ignorare la concreta lesivita' della  condotta  posta  in  essere  ed
infliggere al prevenuto una pena soltanto (rectius:  prevalentemente)
per la sua sussunzione nella fattispecie incriminatrice de qua e  non
per la effettiva gravita' del fatto, ovvero  per  la  intensita'  del
dolo manifestato con la condotta  o  per  le  concrete  modalita'  di
realizzazione. 
    Non viene cosi' salvaguardata nessuna delle istanze sottese  alla
irrogazione della pena al colpevole. 
    Non quella retribuzionistica, in quanto, al  contrario,  verrebbe
totalmente  trascurata  la  componente  oggettiva  del  fatto  e   le
condizioni di miseria  e  di  disagio  economico  che  affliggono  le
condotte dei soggetti agenti in condizioni analoghe  a  quelle  degli
odierni imputati. 
    Non quella della prevenzione generale in quanto, anche per  essa,
la dottrina ritiene  parametro  indefettibile  la  adeguatezza  della
sanzione, atteso che anche  pene  troppo  severe,  seppure  suscitino
timore, non  rafforzano  la  coscienza  giuridica  dei  consociati  e
possono, viceversa, rivelarsi criminogena 
    Per  non  dire  dell'effetto  'boomerang'   di   comminare   pene
pecuniarie  del  tutto  eccessive  e  sproporzionate,  che   inducono
piuttosto nella generalita' dei consociati la  convinzione  del  loro
certo inadempimento da parte dei colpevoli condannati. 
    Non, infine, quella della prevenzione speciale, in quanto il c.d.
migrante per motivi economici ed umanitari non comprenderebbe giammai
il significato di una pena (pecuniaria) totalmente sproporzionata  in
relazione al fatto commesso (e consumato nella maggior parte dei casi
proprio per evitare il pagamento del prezzo corrisposto da tutti  gli
altri stranieri clandestinamente trasportati in Europa). 
    L'aumento  "notarile"  della  pena  previsto  dalla  disposizione
citata, infine, annullando ogni discrezionalita' nell'esercizio della
funzione giurisdizionale, dimostra, paradossalmente, un insostenibile
disinteresse  dello  Stato  nella   finalita'   di   rieducazione   e
risocializzazione del reo. 
    Va,  infine,  evidenziato  che  l'eventuale  accoglimento   della
questione  dovrebbe  di  ufficio  riverberarsi  anche   sul   dettato
normativo di  cui  ai  commi  1  e  3-quater  dell'art.  12,  decreto
legislativo n. 286/1998, caratterizzato dalla previsione di misure  o
aumenti della pena pecuniaria in forma fissa e del tutto  inidonea  a
graduarla e commisurarla alle  diverse  condotte  criminose,  nonche'
alla personalita' ed alla gravita' dei fatti ipotizzati. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 3-ter, decreto legislativo  n.
286/1998, nella parte in cui prevede misure della pena pecuniaria  in
forma fissa per  gli  autori  dei  fatti  criminosi  ivi  previsti  e
sanzionati. 
    Dispone  la  immediata  trasmissione  degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina  che  a  cura  della  Cancelleria  copia  della   presente
ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Dispone, altresi', che venga data  comunicazione,  a  cura  della
Cancelleria, al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente
del Senato. 
    Sospende il giudizio in corso. 
        Ragusa, 21 aprile 2016 
 
                          Il Giudice: Reale