N. 136 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2016
Ordinanza del 21 aprile 2016 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Ragusa nel procedimento penale a carico di Jammeh Jobis e Jawne Mohammed Lamin. Reati e pene - Delitti di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - Pena detentiva congiunta a pena pecuniaria - Previsione di misure della pena pecuniaria in forma fissa. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), art. 12, commi 3 e 3-ter.(GU n.33 del 17-8-2016 )
TRIBUNALE DI RAGUSA UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI ORDINANZA EX ART. 23 LEGGE 11 MARZO 1963, N. 87 Il Giudice per le indagini preliminari, esaminati gli atti del procedimento penale n. 2430/2015 r.g.n.r. nei confronti di Jammeh Jobis e di Jawne Mohammed Lamin, imputati del seguente: a) delitto di cui agli articoli 81 cpv e 110 c.p. e 12 commi 1, 3 lett. a,), b), c), d), e) 3-bis e 3-ter lett. b), decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modifiche, perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, operanti in territorio libico ed aventi la disponibilita' di armi, mezzi di trasporto, gommoni, imbarcazioni e diversi immobili utilizzati per l'alloggio dei soggetti extracomunitari in attesa della partenza in direzione delle coste italiane, in qualita' di scafista con il ruolo di guida e di pilotaggio di un gommone, compivano atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio italiano di 108 cittadini stranieri di varie nazionalita' in violazione delle norme contenute nel suddetto T.U. di riferimento, al fine di trarne indebito profitto, avendo i migranti corrisposto delle somme di denaro per pagare il prezzo del viaggio, trasportandoli, a bordo del predetto gommone, non idoneo per il suo stato e per le sue dimensioni a tenere il mare in condizioni di sicurezza ne' a contenere un numero cosi' ingente di persone, dalle acque libiche - ove gli stessi migranti erano stati condotti a bordo di autoveicoli dagli uomini libici - fino alla posizione lat. 33°14'N e long. 012°01'E, ove il gommone veniva intercettato dalla motonave «Dignity» di Medici senza frontiere ed i migranti ivi fatti salire e in seguito fino al Porto di Pozzallo. Con le aggravanti del numero degli immigrati superiore a cinque; di avere esposto a pericolo la vita e l'incolumita' dei medesimi e di averli sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, distribuendo solo qualche porzione di cibo di scarsa qualita'; di avere commesso il fatto in concorso con piu' di due persone; di avere commesso i fatti ricorrendo due o piu' delle ipotesi di cui alle lett. a), b,), c), d), e) del comma 3 del medesimo art. 12. Con l'ulteriore circostanza aggravante di avere commesso i fatti al fine di trarne profitto, anche indiretto. Accertato in posizione lat. 33°14'N e long. 012°01'E ed in Pozzallo, il 23 giugno 2015. Ritenuta ammissibile e rilevante nel predetto giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 3-ter decreto legislativo n. 286/1998, nella parte in cui esso prevede pene pecuniarie in misura fissa per i soggetti autori delle condotte ivi previste (€ 15.000,00 per ogni persona nella ipotesi base ed € 25.000,00 nella ipotesi aggravata); Osserva 1. Sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo. In data 24 giugno 2015, alle ore 1,55 circa, Jammeh Jobis e Jawneh Mohammed Lamin venivano tratti in stato di fermo dalle Forze dell'Ordine in una operazione congiunta di salvataggio di un gommone in acque internazionali per il delitto di favoreggiamento della immigrazione clandestina di ben 108 cittadini extracomunitari, meglio descritto sopra. Tratti davanti al giudice per la convalida della misura, il 26 giugno 2015 il fermo veniva convalidato e, su richiesta del P.M., veniva applicata nei confronti degli odierni imputati la misura della custodia cautelare in carcere. Disposto il giudizio immediato, nei termini di legge, per il tramite dei rispettivi difensori, gli stessi avanzavano richiesta di definizione del procedimento mediante il rito di cui all'art. 444 c.p.p. con l'applicazione della pena per entrambi, nella misura finale di anni 2 di reclusione ed euro 1.000.000,00 di multa (per l'imputato Jammeh) e di due anni di reclusione ed € 700.000,00 di multa (per l'imputato Jawneh), espressamente subordinando tale richiesta alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva, ed in subordine mediante giudizio abbreviato. La superiore pena, richiesta ex art. 444 c.p.p., alla quale il P.M. ha prestato il proprio consenso, e' stata cosi determinata: 1) per Jammeh Jobis: pena base per il delitto di cui all'art. 12, comma 3, decreto legislativo n. 286/1998, anni 5 di reclusione ed euro 1.620.000,00 di multa (euro 15.000,00 per ciascuno dei 108 soggetti trasportati), aumentata, ex art. 12, comma 3-ter, lett. b), decreto legislativo n. 286/1998, a complessivi anni 6 e mesi 8 di reclusione ed euro 2.700.000,00 di multa (euro 25.000,00 per ciascuno dei 108 soggetti trasportati), ulteriormente aumentata, ex art. 12, comma 3-bis, decreto legislativo n. 286/1998, a complessivi anni 6 e mesi 9 di reclusione ed euro 3.000.000,00 di multa, ridotta per le circostanze attenuanti generiche ad anni 4, mesi 6, di reclusione ed euro 2.100.000,00 di multa, ulteriormente ridotta per la concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 12, comma 3-quinquies, decreto legislativo n. 286/1998, ad anni 3 di reclusione ed euro 1.500.000,00 di multa, definitivamente ridotta per il rito prescelto nella misura finale di anni 2 di reclusione ed euro 1.000.000,00 di multa; 2) per Jawneh Mohammed Lamin: pena base per il delitto di cui all'art. 12, comma 3, decreto legislativo n. 286/1998, ritenuta la circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p. prevalente sulle contestate aggravanti, anni 4, mesi 6, di reclusione ed euro 1.500.000,00 di multa, ridotta per le attenuanti generiche ad anni 3 di reclusione ed euro 1.000.000,00 di multa, definitivamente ridotta per il rito prescelto nella misura finale di anni 2 di reclusione ed euro 700.000,00 di multa. In entrambi i casi la richiesta era subordinata alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. In seguito, con ordinanza del 21 novembre 2015, il G.i.p. presso il Tribunale di Ragusa ha disposto la revoca della misura cautelare applicata agli imputati e la loro liberazione. Con decreto del 27 novembre 2015 e' stata fissata l'udienza, ex art. 458 c.p.p., a seguito della presentazione delle suindicate richieste di definizione del procedimento mediante i riti di cui all'art. 444 c.p.p. ovvero, in subordine, all'art. 438 c.p.p. Nel corso di quest'ultima fase del procedimento i difensori invitavano il giudicante a valutare la opportunita' della promozione di un giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12, decreto legislativo n. 286/1998. Il giudice, ritenuta la ammissibilita' e rilevanza della questione, rinviava al 21 aprile 2006. Le circostanze desumibili dal verbale di fermo, gli atti ad esso allegati e la parziale ammissione dei fatti resa dall'imputato Jammeh Jobis in sede di udienza di convalida ed al momento dello sbarco, consentono di ritenere corretta la qualificazione giuridica del fatti, l'insussistenza di motivi per pronunciare una sentenza di proscioglimento, l'applicazione e comparazione delle circostanze in relazione all'episodio di guida del gommone e di assistenza durante la navigazione nei confronti dei nominativi indicati in epigrafe. Sussistono, pertanto, gli estremi per la irrogazione della pena, anche nella forma concordata. La pena pecuniaria, tuttavia, non risulta congrua, perche' essa appare del tutto irragionevole e sproporzionata alla entita' dei fatti ed alle azioni poste in essere dagli imputati. L'effetto derivante dalla applicazione della norma sembra, invero, in contrasto con alcuni principi fondamentali sanciti dalla Carta costituzionale. 2. Sulla non manifesta infondatezza della questione e sul contrasto con le norme della Carta costituzionale. Questo giudice ritiene non manifestamente infondata la questione sotto entrambi i profili indicati nella memoria difensiva. Art. 3 Costituzione. Ad avviso del decidente risulta chiaramente leso il principio di ragionevolezza, inteso come declinazione naturale del principio di uguaglianza. Nella sentenza n. 50 del 1980 la Corte costituzionale, richiamando in premessa i principi espressi nella decisione n. 104/1968, ha rivisitato le precedenti conclusioni, ritenendo che "l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento contribuisce da un lato, a rendere quanto piu' possibile «personale» la responsabilita' penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; e nello stesso tempo e' strumento per una determinazione della pena quanto piu' possibile «finalizzata», nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost. Il principio d'uguaglianza trova in tal modo dei concreti punti di riferimento, in materia penale, nei presupposti e nei fini (e nel collegamento fra gli uni e gli altri) espressamente assegnati alla pena nello stesso sistema costituzionale. L'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, «proporzione» della pena rispetto alle «personali» responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguano, svolgendo una funzione che e' essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statuale". Da tali premesse, la decisione afferma pertanto che "in linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia con il «volto costituzionale» del sistema penale ed il dubbio d'illegittimita' costituzionale potra' essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente «proporzionata» rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato". Va evidenziata l'ordinanza n. 547/2002, laddove la Corte costituzionale ha richiamato la necessita' di individuare la natura fissa o variabile della sanzione penale nel complessivo trattamento sanzionatorio dettato dalla fattispecie incriminatrice e non nelle singole pene (detentive e pecuniarie) ivi previste (osserva in motivazione la Corte che "la graduabilita' della pena detentiva comminata congiuntamente a quella pecuniaria - offrendo al giudice un consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle particolarita' del caso concreto, anche in rapporto a parametri oggettivi e soggettivi diversi dalla semplice "dimensione quantitativa" dell'illecito - esclude, difatti, che la pena edittale del reato in questione possa, nel suo complesso, considerarsi fissa"). Dal suindicato excursus giurisprudenziale e', dunque, possibile trarre i seguenti principi: - la pena fissa, per la sua intrinseca e connaturata insuscettibilita' ad essere adeguata a tutte le possibili fattispecie concrete, non appare compatibile con il sistema della pena delineato dalla Costituzione; - per determinare la natura della pena, fissa o variabile, occorre avere riguardo al complessivo trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore per ciascuna fattispecie incriminatrice. Nel caso di specie la particolare entita' delle pene previste non sembra assicurare al Giudice il potere di adeguare, sino in fondo e con completezza, la punizione al fatto concretamente commesso e di 'modellarlo' sulla reale personalita' del singolo imputato. Al riguardo, invero, non puo' certamente non ricordarsi come proprio la Corte costituzionale, chiamata recentemente a pronunciarsi circa la legittimita' costituzionale della presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, sancita dell'art. 12, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 286/1998, abbia espressamente ritenuto che tale disposizione e' chiamata ad incriminare fattispecie concrete affatto eterogenee tra di esse: "si tratta, in specie, delle ipotesi previste dal comma 3 del medesimo articolo (oggetto, a sua volta, di profonda modifica ad opera della legge n. 94 del 2009), nelle quali il fatto di favoreggiamento - identificato in quello di chi, in violazione del testo unico sull'immigrazione, «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente» - viene configurato come fattispecie distinta e piu' severamente punita di quella di cui al comma 1, per il concorso di elementi che accrescono, nella valutazione legislativa, il disvalore dell'illecito. [...] Anche in ragione dell'alternativita' delle ipotesi ora indicate, la figura delittuosa viene, peraltro, a ricomprendere fattispecie concrete marcatamente differenziate tra loro, sotto il profilo che qui rileva. Il delitto in discorso costituisce, infatti, un reato a consumazione anticipata, che si perfeziona con il solo compimento di «atti diretti a procurare» l'ingresso illegale di stranieri «nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente». Il verbo «procurare» conferisce, altresi', alla fattispecie un'ampia latitudine applicativa, abbracciando qualunque apporto efficiente e causalmente orientato a produrre il risultato finale, ivi comprese - secondo una corrente lettura giurisprudenziale - talune attivita' immediatamente successive all'arrivo in Italia degli stranieri, che agevolino l'esito dell'operazione. Dal paradigma legale tipico esula, in ogni caso, il necessario collegamento dell'agente con una struttura associativa permanente. Il reato puo' bene costituire frutto di iniziativa meramente individuale: la presenza di un numero di concorrenti pari o superiore a tre e', infatti - come accennato - solo una delle ipotesi alternativamente considerata dalla citata norma. D'altra parte, quando pure risulti ascrivibile a una pluralita' di persone, il fatto puo' comunque mantenere un carattere puramente episodico od occasionale e basarsi su una organizzazione rudimentale di mezzi: [...]. In sostanza, dunque, le fattispecie criminose cui la presunzione in esame e' riferita possono assumere le piu' disparate connotazioni: dal fatto ascrivibile ad un sodalizio internazionale, rigidamente strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a pericolo di vita; all'illecito commesso una tantum da singoli individui o gruppi di individui, che agiscono per le piu' varie motivazioni, anche semplicemente solidaristiche in rapporto ai loro particolari legami con i migranti agevolati, essendo il fine di profitto previsto dalla legge come mera circostanza aggravante (comma 3-bis, lettera b), dell'art. 12 del decreto legislativo n. 286 del 1998)" (cosi' Corte cost. sent. n. 331/2011) Proprio tali osservazioni, nel rimarcare l'assoluta diversita' delle singole fattispecie che vengono a ricadere nella sfera di applicazione dell'art. 12, comma 3, decreto legislativo n. 286/1998, non consentono di ritenere che l'automatismo della elevata pena pecuniaria, comunque irrogabile, consenta al Giudice ampie possibilita' di adeguare la sanzione alle particolarita' del caso concreto. Non puo' sfuggire, invero, la enorme diversita' dei ruoli ed il conseguente differente disvalore delle condotte tra chi organizza i fiorenti traffici di esseri umani dalle coste nordafricane (magari partecipando a ben organizzate associazioni criminali, provviste di ingenti risorse finanziarie e logistiche) e chi, per opportunismo, disperazione o per semplice ignoranza, se non per sfuggire a minacce, guerre e ricatti dal Paese di origine, in condizioni di estrema poverta' e solitudine, accetta di guidare una imbarcazione improvvisata, in assenza di cognizioni tecniche adeguate ed in condizioni di estremo rischio per la propria e per l'altrui incolumita', per affrontare il viaggio che condurra' i clandestini in territorio italiano (attraverso la ficto iuris del c.d. soccorso di necessita' in acque internazionali), come nel caso in esame . Trattare allo stesso modo dette condotte appare del tutto irragionevole e ingiusto sotto il profilo del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Va, altresi', considerato, come la misura fissa della pena pecuniaria nelle ipotesi aggravate, pur mitigata dalla concessione di circostanze attenuanti, ovvero di diminuenti capaci di incidere fortemente sulla dosimetria della pena (si pensi a quella prevista dal comma 3-quinquies dell'art. 12 decreto legislativo n. 286/1998), non consente di giungere a dosi ragionevoli di pena, adeguate alle condotte ed alla personalita' dei soggetti agenti. Nel caso in esame la pena pecuniaria concordata oscilla dai 700.000,00 euro ad 1.000.000,00 di euro per ogni imputato, assumendo una dimensione del tutto sproporzionata rispetto al disvalore della condotta. Giova rimarcare, altresi', due ulteriori profili di irragionevolezza. Il primo con riferimento agli articoli 24 e 133-bis c.p. La norma generale in materia di pena principale, con riferimento alla multa, prevede un minimo di € 50,00 ed un massimo di pena pecuniaria pari ad € 50.000,00 (cio' in virtu' della riforma operata dal d.l. n. 94/2009, che ha innalzato la soglia massima, dapprima ferma ad € 5.164,00). La statuizione della pena pecuniaria in forma fissa prevista dall'art. 12, comma 3-ter, decreto legislativo n. 286/1998, per ciascuna persona trasportata, comporta una irrazionale ed ingiustificata sperequazione rispetto ai parametri elastici di una qualsivoglia pena pecuniaria, inspiegabile davanti a certo genere di condotte come quella nella fattispecie concreta considerata. Analogo profilo di irragionevolezza del draconiano sistema di pene pecuniarie previste dall'art. 12 cit. si desume dal raffronto con il disposto dell'art. 133-bis c.p., che ancora alle condizioni economiche del reo la discrezionalita' del giudice al momento della irrogazione della pena pecuniaria, prevedendo aumenti fino al triplo o diminuzioni fino ad un terzo quando si ritenga che, per le condizioni economiche del reo, la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa. Nel caso in esame persino l'applicazione di detto ulteriore strumento di riduzione della pena, in presenza della determinazione in forma fissa della multa (e con il divieto di bilanciamento previsto dall'art. 12, comma 3-quater, decreto legislativo n. 286/1998, per l'imputato Jammeh), non permette di graduare in modo individualizzante e, comunque, ragionevole, la misura finale della stessa. Ulteriore profilo di irragionevolezza della norma sottoposta al vaglio di legittimita' costituzionale, infine, puo' desumersi dal confronto con le pene previste per condotte in qualche modo assimilabili a quelle previste dall'art. 12, decreto legislativo n. 286/1998. Si pensi, ad esempio, a quella dettata dall'art. 3, n. 6, legge n. 58/1975, nella parte in cui sanziona con la pena da due a sei anni di reclusione e della multa da 258 ad € 10.329 le condotte di chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o, comunque, in luogo diverso da quello di sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione, ovvero si intrometta per agevolarne la partenza . La circostanza aggravante introdotta dalla lettera a) del comma 3-ter dell'art. 12 citato sanziona i fatti descritti nei commi 1 e 3 della menzionata norma (dunque anche le condotte di promozione, direzione, organizzazione, finanziamento o effettuazione del viaggio, ivi inclusa la 'induzione' a recarsi in altri Paesi) quando essi sono commessi ai fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o, comunque, allo sfruttamento sessuale o lavorativo. La differenza tra l'entita' delle pene pecuniarie previste per condotte analoghe, pur in presenza di beni giuridici protetti diversi, appare lampante e costituisce un ulteriore indizio di irragionevolezza e disuguaglianza di trattamento. Art. 27 Costituzione. Innumerevoli dubbi di legittimita' costituzionale si ravvisano anche con riferimento al principio di rieducazione della pena. La funzione risocializzante della sanzione verrebbe totalmente annullata dalla pena pecuniaria in forma fissa prevista dall'art. 12, commi 3 e 3-ter, decreto legislativo n. 286/1998 (e dal divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 c.p., con le aggravanti). Mutuando le pregevoli osservazioni espresse nella sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 1990, "in uno Stato evoluto, la finalita' rieducativa non puo' essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stesse della pena. L'esperienza successiva ha, infatti, dimostrato che la necessita' costituzionale che la pena debba «tendere» a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue. Cio' che il verbo «tendere» vuole significare e' soltanto la presa d'atto della divaricazione che nella prassi puo' verificarsi tra quella finalita' e l'adesione di fatto del destinatario al processo di rieducazione: com'e' dimostrato dall'istituto che fa corrispondere benefici di decurtazione della pena ogniqualvolta, e nei limiti temporali, in cui quell'adesione concretamente si manifesti (liberazione anticipata). Se la finalita' rieducativa venisse limitata alla fase esecutiva, rischierebbe grave compromissione ogniqualvolta specie e durata della sanzione non fossero state calibrate (ne' in sede normativa ne' in quella applicativa) alle necessita' rieducative del soggetto. La Corte ha gia' avvertito tutto questo quando non ha esitato a valorizzare il principio addirittura sul piano della struttura del fatto di reato (cfr. sentenza n. 364 del 1888). Dev'essere, dunque, esplicitamente ribadito che il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli dell'esecuzione e della sorveglianza, nonche' per le stesse autorita' penitenziarie. Del resto, si tratta di un principio che, seppure variamente profilato, e' ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea, particolarmente per il suo collegamento con il «principio di proporzione» fra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, ed offesa, dall'altra". Nella sentenza n. 364/1988 la Corte costituzionale ha chiaramente evidenziato che "collegando il primo al terzo comma dell'art. 27 Cost., agevolmente si scorge che, comunque si intenda la funzione rieducativa ..., essa postula almeno la colpa dell'agente in relazione agli elementi piu' significativi della fattispecie tipica», dal momento che «non avrebbe senso la "rieducazione" di chi, non essendo almeno "in colpa" (rispetto al fatto), non ha certo "bisogno" di essere "rieducato". Soltanto quando alla pena venisse assegnata esclusivamente una funzione deterrente (ma cio' e' sicuramente da escludersi, nel nostro sistema costituzionale, data la grave strumentalizzazione che subirebbe la persona umana) potrebbe configurarsi come legittima una responsabilita' penale per fatti non riconducibili ... alla predetta colpa dell'agente, nella prevedibilita' ed evitabilita' dell'evento". Nella sentenza dell'11 luglio 2007, n. 322, infine, la Corte ha sottolineato che «la colpevolezza svolge un ruolo "fondante" rispetto alla funzione rieducativa della pena ... [poiche'] non avrebbe senso "rieducare" chi non ha bisogno di essere rieducato, non versando almeno in colpa rispetto al fatto commesso». Peraltro, aggiunge che la funzione rieducativa «non potrebbe essere obliterata a vantaggio di altre e diverse funzioni della pena, che siano astrattamente perseguibili, almeno in parte, a prescindere dalla rimproverabilita' dell'autore»: punire in difetto di colpevolezza, per perseguire le finalita' c.d. di "prevenzione generale" negativa e di prevenzione speciale negativa, implicherebbe «una strumentalizzazione dell'essere umano per contingenti obbiettivi di politica criminale, contrastante con il principio personalistico affermato dall'art. 2 Cost.». Il legislatore puo', pertanto, graduare il coefficiente psicologico di partecipazione dell'autore al fatto, in relazione alla natura della fattispecie e agli interessi coinvolti, «ma in nessun caso gli e' consentito di prescindere in toto dal predetto coefficiente". Nel caso in esame (per quanto concerne l'imputato Jammeh) il legislatore ha anche impedito il giudizio di prevalenza tra circostanze attenuanti ed aggravanti, in modo da ulteriormente ignorare la concreta lesivita' della condotta posta in essere ed infliggere al prevenuto una pena soltanto (rectius: prevalentemente) per la sua sussunzione nella fattispecie incriminatrice de qua e non per la effettiva gravita' del fatto, ovvero per la intensita' del dolo manifestato con la condotta o per le concrete modalita' di realizzazione. Non viene cosi' salvaguardata nessuna delle istanze sottese alla irrogazione della pena al colpevole. Non quella retribuzionistica, in quanto, al contrario, verrebbe totalmente trascurata la componente oggettiva del fatto e le condizioni di miseria e di disagio economico che affliggono le condotte dei soggetti agenti in condizioni analoghe a quelle degli odierni imputati. Non quella della prevenzione generale in quanto, anche per essa, la dottrina ritiene parametro indefettibile la adeguatezza della sanzione, atteso che anche pene troppo severe, seppure suscitino timore, non rafforzano la coscienza giuridica dei consociati e possono, viceversa, rivelarsi criminogena Per non dire dell'effetto 'boomerang' di comminare pene pecuniarie del tutto eccessive e sproporzionate, che inducono piuttosto nella generalita' dei consociati la convinzione del loro certo inadempimento da parte dei colpevoli condannati. Non, infine, quella della prevenzione speciale, in quanto il c.d. migrante per motivi economici ed umanitari non comprenderebbe giammai il significato di una pena (pecuniaria) totalmente sproporzionata in relazione al fatto commesso (e consumato nella maggior parte dei casi proprio per evitare il pagamento del prezzo corrisposto da tutti gli altri stranieri clandestinamente trasportati in Europa). L'aumento "notarile" della pena previsto dalla disposizione citata, infine, annullando ogni discrezionalita' nell'esercizio della funzione giurisdizionale, dimostra, paradossalmente, un insostenibile disinteresse dello Stato nella finalita' di rieducazione e risocializzazione del reo. Va, infine, evidenziato che l'eventuale accoglimento della questione dovrebbe di ufficio riverberarsi anche sul dettato normativo di cui ai commi 1 e 3-quater dell'art. 12, decreto legislativo n. 286/1998, caratterizzato dalla previsione di misure o aumenti della pena pecuniaria in forma fissa e del tutto inidonea a graduarla e commisurarla alle diverse condotte criminose, nonche' alla personalita' ed alla gravita' dei fatti ipotizzati.
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 3-ter, decreto legislativo n. 286/1998, nella parte in cui prevede misure della pena pecuniaria in forma fissa per gli autori dei fatti criminosi ivi previsti e sanzionati. Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della Cancelleria copia della presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone, altresi', che venga data comunicazione, a cura della Cancelleria, al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato. Sospende il giudizio in corso. Ragusa, 21 aprile 2016 Il Giudice: Reale