N. 154 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2016
Ordinanza del 13 maggio 2016 della Corte d'appello di Milano - Sezione minori nel procedimento penale a carico di S. V.. Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi - Esclusione per i condannati per determinati reati - Operativita' del divieto anche per titolo esecutivo di reati commessi da minorenne. - Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lett. a).(GU n.36 del 7-9-2016 )
LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione delle Persone, dei Minori, della Famiglia (penale) Composta dai magistrati: Dott. Maria Cristina Canziani, Presidente. Dott. Pietro Caccialanza, Consigliere rel. Dott. Serena Baccolini, Consigliere. Dott. Susanna Raimondi, Consigliere on. Dott. Fabian Oscar Ottaviano, Consigliere on. ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di S... V..., nato a..., in atto detenuto per questa causa presso l'I.P.M. «Beccaria» di Milano, difeso dall'avv. Margherita Calvi Parisetti, con studio in Milano, via S. Maria Valle 2/A. All'esito dell'udienza del 12 maggio 2016, svoltasi in presenza di S... V... e del difensore, sentito il P.G. (che si e' rimesso alla decisione della Corte) osserva con istanza depositata in data 9 maggio 2016 la difesa di S... V... ha proposto incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666 c.p.p. avverso l'ordine di esecuzione per la carcerazione n. 500/2016 SIEP, emesso in data 26 aprile 2016 dalla Procura Generale presso la Corte d'Appello di Milano. Con tale ordine di esecuzione il Procuratore Generale ha disposto la carcerazione di S... V... in relazione alla pena detentiva di mesi sei di reclusione (oltre alla pena pecuniaria di euro 150,00 di multa), a lui inflitta: con sentenza della Corte d'Appello di Milano (sez. Minori) n. 199/2015 del 17 settembre 2015, divenuta irrevocabile il 23 febbraio 2016; per i reati di cui all'art. 628 I e III comma n. 1 c.p. e di cui all'art. 4 legge 110/75, commessi in Cormano l'11 gennaio 2010; in aumento sulla pena inflitta con sentenza della Corte d'Appello di Milano (sez. Minori) n 1/2011 del 13 gennaio 2011, divenuta irrevocabile il 1° marzo 2011. In data 5 maggio 2016 il Procuratore Generale ha respinto l'istanza del condannato, volta ad ottenere la revoca dell'ordine di esecuzione e la sua sostituzione mediante ordine con sospensione della pena, ex art. 656 comma 5 c.p.p., rilevando che S... e' stato condannato per un reato, rapina aggravata, ostativo all'applicazione di tale norma. Con l'incidente di esecuzione di cui qui si discute, la difesa di S... V... ha sollevato «questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656 comma 9, lett. a) c.p.p., in quanto in conflitto con gli articoli 27 terzo comma e 31 della Costituzione, nella parte in cui si riferisce a titolo esecutivo per reati commessi da minorenne», rilevando come la preclusione dell'operativita' della sospensione della pena ex art., 656 comma 9 lett. a) c.p.p. in presenza di un reato ostativo alla sospensione stessa «e' contraria alla ratio che guida l'intera disciplina della giustizia minorile, che intende come prioritario l'interesse a promuovere o a rimuovere gli ostacoli ai processi evolutivi dell'adolescente anziche' sancirne gli esiti negativi, in vista del preminente obiettivo di inserimento nella societa'». Va dato atto che gia' in un recente procedimento, rubricato al n. 25/15 R. Es., la Corte d'Appello di Milano ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale per una questione di legittimita' della medesima norma, relativamente ad altro ordine di esecuzione n. SIEP 1189/2015, emesso in data 25 novembre 2015 a carico dello stesso V... S... si trattava anche li' dell'esecuzione di una pena detentiva inflitta (anche) per il reato di cui all'art. 628 III comma n. 1 c.p., ostativo alla sospensione dell'ordine di esecuzione ex art. 656 n. 9 lettera a) c.p.p. La questione cola' sollevata con ordinanza del 2 febbraio 2016, depositata il 19 febbraio 2016, viene anche in questa sede riportata in quanto da questa Corte del tutto condivisa, con una sola aggiunta di cui si dira' al termine. Questa Corte ritiene la proposta questione di costituzionalita' non manifestamente infondata per le ragioni che seguono. Il quadro normativo e giurisprudenziale che interessa il caso di specie puo' essere cosi' sintetizzato: l'art. 656 c.p.p, nel testo attualmente in vigore, prevede al comma 5 che il Pubblico Ministero, con decreto notificato al condannato e al difensore, sospenda l'esecuzione della pena detentiva non superiore a tre anni, avvisando il condannato che ha facolta' di presentare entro 30 giorni domanda per ottenere dal Tribunale di sorveglianza alcune misure alternative previste dalla legge 354/1975. Con tale norma il legislatore ha inteso evitare a chi fosse stato condannato a pena inferiore a tre anni l'ingresso in carcere per il tempo necessario ad avanzare l'istanza di misura alternativa alla detenzione e a consentire lo svolgimento del relativo procedimento; il comma 9, lett, a), dello stesso articolo, prevede che la sospensione non possa essere disposta a favore dei condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge 354/1975 e successive modificazioni; l'art. 4-bis della legge 354/1975 e' articolato su piu' «gruppi» o «fasce» di delitti per i quali il legislatore ha, a monte, presunto una specifica pericolosita' sociale dei condannati, tale da porre divieto di concessione dei «benefici» elencati al comma 1 dello stesso articolo; in particolare, per quanto qui interessa, l'art. 4-bis, comma 1-ter, prevede che «... i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purche' non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli... 628, terzo comma c.p...»; secondo la giurisprudenza della Corte di legittimita', il rinvio operato dall'art. 656 comma 9, lett. a) c.p.p., all'art. 4-bis della legge 354/75, come negli anni modificata, ha natura di «rinvio formale (dinamico) e non recettizio (statico), perche' non recepisce materialmente la norma richiamata e i suoi presupposti soggettivi di applicabilita', ma si limita ad affidare alla norma richiamata l'individuazione delle categorie di delitti per i quali non si applica la sospensione delle pene detentive brevi» (Cass., Sezioni Unite Penali 24561/2006), risultando cosi' evidente l'intento del legislatore di assegnare esclusivo rilievo, ai fini della sospensione, al profilo oggettivo del mero titolo del reato giudicato. Alla stregua del delineato quadro, il divieto di sospensione opera, quindi, semplicemente in presenza dei titoli di reato ostativi elencati nell'art. 4-bis legge n. 354/1975, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni - quali l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata - che nel contesto della disposizione penitenziaria consentirebbero la concessione delle misure alternative. Sicche', anche nei casi in cui sia possibile ottenere i benefici penitenziari, il condannato per taluno dei reati di cui all'art. 4-bis legge n. 354/1975 non usufruisce della sospensione dell'esecuzione. Ritiene questa Corte che nei confronti di imputato condannato per reati commessi da minorenne, il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena in caso di reato ostativo presenti profili che fanno dubitare della costituzionalita' dell'art. 656, comma 9, lett. a), nella parte in cui si riferisce anche a titolo esecutivo per reati commessi da minorenne, con riferimento all'art. 27 comma 3 della Costituzione, in relazione all'art. 31 comma 2 della Costituzione secondo cui la Repubblica «protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo», rafforzandosi, con tale considerata esigenza di protezione, il principio contenuto al terzo comma dell'art. 27, per cui la sanzione penale deve costituire occasione per il reinserimento sociale e la risocializzazione del condannato minorenne. Nel processo penale minorile disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, si realizza una connessione forte tra le richiamate norme costituzionali, in quanto l'intera normativa del decreto e' attraversata da una tensione ideale verso l'obiettivo che quel processo sia il piu' possibile confacente alle esigenze educative del minore imputato, sicche' espressamente nel decreto si prevede che il processo penale non interrompa processi educativi in atto (art. 19, comma 2), si regolano plurimi interventi finalizzati a non intralciare lo svolgersi di un percorso educativo-evolutivo-relazionale, nel presupposto che l'interruzione potrebbe cagionare pregiudizio a personalita' in via di strutturazione, e si prevedono istituti inquadrabili in un ampio principio di residualita' della detenzione quale paradigma sanzionatorio. Peraltro, anche prima che venisse emanato il decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, la Corte costituzionale gia' aveva sottolineato, in numerose decisioni, che il processo penale a carico di imputati minorenni si caratterizza per la specifica funzione di recupero del minore, assunta a «peculiare interesse-dovere dello Stato», anche a scapito della realizzazione della pretesa punitiva, che resta subordinata rispetto al recupero del minore (sent. 49/1973), essendo l'imputato del processo penale minorile un soggetto protetto dalla Costituzione nel suo diritto allo sviluppo. La compiuta realizzazione dei principi sopra richiamati richiede che di essi si tenga conto non solo nella fase di cognizione del processo penale, ma anche in quella esecutiva, attualmente regolata dall'Ordinamento penitenziario degli adulti, non risultando emanata la «apposita legge» prevista dall'art. 79 della legge 354/1975. Proprio con riferimento alla materia dell'esecuzione della pena, la Corte costituzionale, sul rilievo della particolare finalizzazione del processo penale per i minorenni, ha gia' piu' volte sottolineato come l'assoluta parificazione tra adulti e minori possa configgere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilita' del trattamento del detenuto minorenne, ribadendo che l'essenziale finalizzazione al recupero deve caratterizzare tutte le fasi del trattamento penale del minore, ivi compresa quella di esecuzione della pena, e che la pura e semplice estensione ai detenuti minorenni della disciplina generale dell'Ordinamento penitenziario disposta in via provvisoria dall'art. 79 della legge contrasti con le esigenze - discendenti dalla considerazione unitaria degli articoli 3, 27 terzo comma, 30 e 31 della Costituzione - del recupero e della risocializzazione dei minori devianti, esigenze che comportano la necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto ai detenuti adulti e di eliminare automatismi applicativi nell'esecuzione della pena (Corte Cost. sentenze 125/1992; 109/1997). In questa direzione, possono in particolare richiamarsi le sentenze con le quali la Corte costituzionale ha statuito che non debbano esservi preclusioni soggettive all'applicazione delle sanzioni sostitutive per i minorenni (sent. 1 6/1998); che per i minorenni i benefici dell'ordinamento penitenziario possono essere concessi sulla pena derivante da conversione di pena sostitutiva (sent. 109/1997); che per i minorenni i permessi premio ex art. 30-ter Ordinamento penitenziario possono essere concessi senza limiti temporali in caso di reato commesso successivamente al titolo da espiare (sent. 403/1997); che non vale per i minorenni il divieto di benefici penitenziari per tre anni dopo la revoca di altri precedenti (sent. 436/1999). Ulteriore conferma della esigenza di un allineamento delle regole dell'esecuzione da applicarsi nei confronti dei minori ai principi espressi nelle richiamate pronunce della Corte costituzionale si rinviene nel recente DDL 2798/15, approvato dalla Camera dei deputati il 23 settembre 2015. Il predetto decreto, infatti, che si iscrive in una prospettiva di generale consolidamento delle opportunita' di accesso alle misure extracarcerarie e indica, tra i principi e i criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario, l'eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono o rendono meno gravoso, per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo (art. 31, lett. e), prevede espressamente, con riferimento al processo penale minorile, «l'adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative» dei minori (art. 31 lett. o). Tale indicazione e' poi declinata in numerosi specifici criteri direttivi che hanno riferimento anche alle misure alternative alla detenzione, prevedendo la loro conformita' alle istanze educative del condannato, l'ampliamento dei criteri di accesso e l'eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefici penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell'individualizzazione del trattamento. Considera la Corte che la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena previsto dall'art. 656 comma 5 c.p.p. rappresenta il complemento necessario alla previsione delle misure alternative alla detenzione carceraria, perche' evita gli effetti desocializzanti correlati a un passaggio diretto in cercere del condannato che provenga dalla liberta' e che potrebbe avere diritto, previa valutazione nel merito rimessa al Tribunale di sorveglianza, a misura alternativa. Nel caso di condannato per reato commesso da minorenne, per il quale il sistema di giustizia penale prevede il carcere come risorsa estrema, il meccanismo della sospensione della pena, volto ad evitare un impatto con la struttura carceraria, si presenta, quindi, inestricabilmente connesso con la finalita' (ri)-educativa della pena. Pertanto, il rigido automatismo che preclude la sospensione - peraltro di per se' privo di apprezzabile significato di «difesa sociale», fondandosi la preclusione solo su presunzione legale generale e astratta di aver riportato una condanna per taluni reati - assume, per il condannato da minorenne, un significato configgente con la richiamata funzione (ri)-educatrice della pena perche' lo conduce comunque in carcere, demandandogli l'attivazione del procedimento per l'applicazione di misure alternative, con protrazione nel tempo di quello stato detentivo che, nel processo penale minorile, rappresenta l'ultima opzione praticabile. Alla luce di quanto considerato, appare quindi non manifestamente infondato il prospettato dubbio di costituzionalita', sotto il profilo che il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena possa irrimediabilmente compromettere le specifiche esigenze costituzionali che debbono informare il diritto penale minorile. Il dubbio di costituzionalita' non e' superabile alla stregua dei rilievi svolti dal PG in ordine all'esistenza di istituti, propri del processo penale minorile (quali il perdono giudiziale, l'irrilevanza del fatto, la messa alla prova...), che consentono risoluzioni alternative alla pena detentiva, per l'evidente ragione che l'esistenza di istituti peculiari nell'ambito della fase di cognizione del processo penale minorile non esclude la necessita' che anche la fase esecutiva sia disciplinata da regole ispirate all'esigenza costituzionalizzata all'art. 31 della Costituzione, nel suo collegamento con l'art. 27 terzo comma, di preservare eventuali processi educativi in atto, valorizzando, e non compromettendo, ogni sintomo di evoluzione in positivo. Va senz'altro ricordato, in aggiunta, che in tema di esecuzione della pena, con la recente sentenza n. 32/2016 del 27 gennaio 2016 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalita' relativa alla norma di cui all'art. 4 decreto-legge del 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 2014 n. 10, nella parte in cui, nel caso di reati di cui all'art. 4-bis O.P., stabilisce anche per i minorenni la durata della liberazione anticipata nella misura di 45 giorni, anziche' nella misura speciale di 75 giorni. In tale sentenza la Corte costituzionale rileva: che mentre il decreto-legge n. 146/2013 stabiliva che ai condannati per taluno dei delitti previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, la liberazione anticipata potesse essere concessa nella misura di settantacinque giorni nel caso in cui avessero dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalita', la legge di conversione ha eliminato tale disposizione, stabilendo automaticamente che la c.d, «liberazione anticipata speciale», nella misura di settantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata, vada esclusa nei confronti della tipologia di condannati appena detta; che i richiami effettuati dal giudice remittente all'esigenza di flessibilita' e di protezione dell'infanzia e della gioventu' che caratterizza il trattamento del detenuto da minorenne, nonche' alle sentenze n. 436/1999, n. 450/1998 e n. 403/1997 della Corte costituzionale, sembrano «perseguire un recupero di discrezionalita' valutativa in ordine alla concessione, in favore del detenuto minorenne al momento del fatto, della piu' estesa riduzione della pena», laddove «la disposizione censurata non si presta ad un simile obiettivo»; che ove anche la questione di legittimita' costituzionale dedotta rispetto all'art. 4 decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 146 (convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 2014 n. 10) venisse accolta, «non ne conseguirebbe un'applicazione flessibile e individualizzata della liberazione anticipata speciale. Ne conseguirebbe, invece, una sua applicazione indiscriminata ed automatica a tutti i detenuti minorenni (al momento del fatto) condannati per reati ostativi»; che un effettivo recupero di discrezionalita' implicherebbe l'introduzione di specifici criteri valutativi la cui individuazione spetterebbe, semmai, alla discrezionalita' del legislatore. Ritiene questa Corte d'Appello di sottolineare la differenza tra l'esame svolto dalla Corte costituzionale e la questione in questa sede sollevata. Non si tratta, qui, di un istituto premiale equiparato dal legislatore alle misure alternative alla detenzione, quale e' la liberazione anticipata, ne' dei differenti limiti temporali della sua operativita', dipendenti dalla tipologia dei reati per i quali e' intervenuta condanna (fermo restando che l'operativita' dell'art. 4 decreto-legge n. 146/2013 e' comunque cessata, stante la sua efficacia soltanto biennale). Si tratta, invece, del ben diverso istituto della sospensione dell'ordine di esecuzione della pena, il cui fondamento sta nell'attribuzione al P.M. del potere-dovere di sospendere d'ufficio l'esecuzione prima che la stessa abbia inizio. Plurime sono, secondo dottrina e giurisprudenza, le finalita' di tale istituto: rendere piu' agevole il ricorso ai meccanismi idonei ad ottenere la concessione della misura alternativa prima dell'esecuzione della pena detentiva, al fine di evitare che il condannato transiti necessariamente per il carcere; eliminare le disparita' di trattamento tra detenuti, causate da circostanze fortuite come una inadeguata informazione incidente sulla tempestivita' della presentazione dell'istanza; realizzare un decremento del numero dei detenuti, atteso che l'introduzione di meccanismi di deflazione detentiva e' strumentale alla concessione di misure alternative; superare inconvenienti determinati dalla prassi, come il notevole lasso di tempo intercorrente tra la presentazione dell'istanza e la decisione del Tribunale di sorveglianza in materia di misure alternative. Se cosi' e', in presenza di una pena come quella in esame, di soli sei mesi di reclusione (tale che ben difficilmente, in costanza di detenzione, la richiesta di misure alternative potrebbe essere utilmente esaminata), le esigenze individuate dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 125/1992 e 109/1997, consistenti nel differenziare il trattamento dei minorenni rispetto ai detenuti adulti e di eliminare automatismi applicativi nell'esecuzione della pena emergono in tutta la loro rilevanza, non trattandosi di «un recupero di discrezionalita' valutativa» nei confronti dei minorenni, ma di una applicazione della sospensione dell'ordine di esecuzione «flessibile e individualizzata» rispetto alla giovane eta' del condannato, che a piu' riprese e' stata considerata dallo stesso Giudice delle leggi come elemento oggettivo discretivo nella applicazione di svariati istituti processualpenalistici. In definitiva, ritiene questa Corte che la disposizione in esame debba essere censurata perche' preclude, automaticamente e solo in forza del titolo del commesso reato, qualsivoglia discrezionalita' del Tribunale di Sorveglianza circa la possibilita' che un autore di reato minorenne in stato di liberta', ove i processi educativi e rieducativi in atto lo consentano, inizi l'esecuzione penale in misura alternativa anziche' fare ingresso in carcere. La rilevanza della questione discende, in concreto, dal fatto che sotto vari profili la difesa di S... F... ha prospettato, nell'istanza di affidamento in prova al servizio sociale rivolta al Tribunale per i minorenni in funzione di Tribunale di sorveglianza rispetto all'ordine di esecuzione n. 1189/2015 SIEP, diversi elementi di valutazione in ordine ai processi educativi e rieducativi in atto: la permanenza per un significativo periodo (un anno e mezzo) presso la comunita' educativa Cascina S. Alberto di don Gino Rigoldi; l'avvio di un percorso psicoterapeutico privato a cadenza settimanale con la psicologa psicoterapeuta dott. Virginia Suigo (percorso sospeso, come si legge nella nota della dott. Suigo del 10 dicembre 2015, proprio a causa dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione); l'avvio di un progetto educativo di inserimento in attivita' riparative di utilita' sociale, concordato con il Servizio educativo adolescenti in difficolta' del Comune di Milano in data 30 novembre 2015; la frequentazione del corso di orientamento e bilancio attitudinale «Life Skills» organizzato dall'associazione «Comunita' nuova onlus», in vista di un eventuale inserimento dello stesso S. nel progetto «Centro Reinserimento Sociale» promosso dalla stessa associazione. Anche l'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, in una nota del 7 maggio 2016 in atti, sottolinea: che nel breve periodo di liberta' intercorso tra il 19 febbraio 2016 e l'attuale carcerazione, « V... e' andato a vivere a ... con la fidanzata; ha proseguito i colloqui presso quest'Ufficio, gli operatori del SEAD, ha partecipato ai quattro incontri organizzati da Comunita' Nuova nei giorni 2, 4, 7, 10 marzo e finalizzati ad avviare un percorso lavorativo nell'ambito di Garanzia Giovani», percorso pur difficoltoso per le ripetute sospensioni dei finanziamenti e per il fatto che Smaku non dispone di permesso di soggiorno; che rispetto alla situazione precedente all'arresto «si ritiene importante il mantenimento dei colloqui psicologici con la dott.ssa Nunzia D'Aloja dell'ASST Santi Paolo e Carlo. I colloqui iniziati al Beccaria sano proseguiti anche dopo la remissione in liberta', quindi per libera scelta del giovane che in passato aveva sempre rifiutato anche solo il pensiero di potersi confrontare con una psicologa». Ne consegue che gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale, con sospensione del procedimento esecutivo in corso, esitato nell'emissione di ordine di esecuzione della pena in forma carceraria, e con conseguente scarcerazione del condannato, se non detenuto per altra causa.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656 comma 9, lett. a) c.p.p., in relazione agli articoli 27 III comma e 31 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione anche per titolo esecutivo concernente reati commessi da minorenne; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; sospende il procedimento esecutivo in corso; dispone l'immediata scarcerazione di S... V..., se non detenuto per altra causa; dispone che la presente ordinanza sia notificata al condannato, al difensore, al Procuratore Generale, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, 12 maggio 2016 Il Presidente: Canziani Il Consigliere estensore: Caccialanza