N. 173 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 2016

Ordinanza del 7 aprile 2016 del  Tribunale  amministrativo  regionale
per  il  Lazio  sul  ricorso  proposto  da   Zampini   Mauro   contro
Segretariato generale della Giustizia amministrativa e altri. 
 
Impiego pubblico - Disposizioni in materia di trattamenti economici -
  Divieto di erogazione di trattamenti economici  eccedenti  il  c.d.
  "tetto retributivo". 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  di  stabilita'
  2014)") , art. 1, comma 489. 
(GU n.39 del 28-9-2016 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 10969  del  2014,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: 
        Mauro  Zampini,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Massimo
Luciani,  con  domicilio  eletto  presso  il  suo  studio  in   Roma,
Lungotevere Raffaello Sanzio, 9; 
    Contro  Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  Ministero  dell'economia  e
delle  finanze,  Consiglio  di   Stato,   in   persona   dei   legali
rappresentanti  pro  tempore,  rappresentati  e  difesi   per   legge
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in  Roma,  Via  dei
Portoghesi, 12; 
    Per l'annullamento: 
    della  nota  prot.  n.  38  in  data  20  maggio  2014,  con  cui
l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente che  «a  decorrere  dal
prossimo mese di giugno 2014, questa Amministrazione ... provvedera',
allo  stato,  alla  sospensione  della  erogazione  del   trattamento
retributivo», 
    nonche' per l'accertamento del diritto a percepire il trattamento
stipendiale in una con il trattamento pensionistico in  essere  senza
le decurtazioni previste dall'art.  1,  comma  489,  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147, 
    e per la  condanna  dell'Amministrazione  al  versamento  e  alla
restituzione delle somme nelle  more  illegittimamente  trattenute  e
recuperate, 
        nonche', quanto ai primi motivi aggiunti, per  l'annullamento
della nota del Segretariato generale della  Giustizia  amministrativa
in data 5 agosto 2014 avente ad oggetto «Comunicazione di  versamento
delle addizionali comunali IRPEF e dell'addizionale regionale IRPEF»,
con cui  l'amministrazione  ha  comunicato  che,  per  effetto  della
sospensione del trattamento retributivo ex art. 1, comma  489,  legge
n. 147 del  2013,  disposta  a  decorrere  dal  mese  di  giugno,  il
ricorrente «dovra' procedere a versare personalmente  le  addizionali
comunali IRPEF e l'addizionale regionale IRPEF» secondo  gli  importi
determinati nel prospetto allegato all'atto; 
        nonche',   quanto   ai   secondi   motivi    aggiunti,    per
l'annullamento della nota del Segretariato generale  della  Giustizia
amministrativa in data 7 ottobre  2014,  con  cui  l'amministrazione,
all'esito dell'istruttoria avviata per l'applicazione della normativa
in oggetto,  ha  comunicato  che  il  trattamento  pensionistico  del
ricorrente, al netto del contributo di solidarieta', «e' superiore al
tetto massimo retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno
2014», 
        nonche', quanto ai terzi motivi aggiunti, per  l'annullamento
della nota del Segretariato generale della  Giustizia  amministrativa
del 22 dicembre 2014, con cui l'amministrazione ha comunicato che per
il 2015 al ricorrente non potra'  essere  erogato  alcun  trattamento
economico; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura generale
dello Stato; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  24  febbraio  2016  il
dott. Roberto Caponigro  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
      Ritenuto in fatto e considerato in diritto, quanto segue 
 
    1. Il ricorrente, Consigliere di Stato  a  far  tempo  dal  2006,
espone di essere al contempo titolare di un trattamento pensionistico
erogato dalla Camera dei deputati. 
    Soggiunge   che   il   Segretario   generale   della    giustizia
amministrativa, con nota del 20 maggio 2014, tenuto conto  del  tetto
indicato dall'art. 13 decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66,  pari  ad
euro 240.000,00, ha comunicato al ricorrente  che  «a  decorrere  dal
prossimo mese di giugno 2014,  questa  Amministrazione  -  fermi  gli
ulteriori approfondimenti sull'applicazione della norma citata, anche
con  riferimento  alle  garanzie  di  continuita'   della   copertura
assicurativa obbligatoria - provvedera', allo stato, alla sospensione
della erogazione del trattamento retributivo», disponendo che  «resta
fermo,  all'esito  delle  definitive  determinazioni,  l'obbligo   di
restituzione delle somme percepite  per  il  periodo  dell'anno  2014
antecedente alla disposta sospensione, laddove in eccesso rispetto al
tetto normativamente previsto». 
    L'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre  2013,  n.  147,  e'
intervenuto nuovamente in  materia  di  trattamento  economico  annuo
onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle  finanze  pubbliche
emolumenti  o  retribuzioni  nell'ambito  di   rapporti   di   lavoro
dipendente  o  autonomo  con   pubbliche   amministrazioni   statali,
disponendo che, ai fini del raggiungimento del «tetto», devono essere
computati anche i trattamenti pensionistici  pregressi  eventualmente
percepiti  a  carico  di   gestioni   previdenziali   pubbliche.   In
particolare, la norma prevede  che  «ai  soggetti  gia'  titolari  di
trattamenti   pensionistici   erogati   da   gestioni   previdenziali
pubbliche,  le  amministrazioni  e   gli   enti   pubblici   compresi
nell'elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre
2009,  n.  196,  e  successive  modificazioni,  non  possono  erogare
trattamenti economici onnicomprensivi  che,  sommati  al  trattamento
pensionistico, eccedano il limite fissato ai sensi dell'art.  23-ter,
comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nei  trattamenti
pensionistici di cui al presente  comma  sono  compresi  i  vitalizi,
anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive».  Il  terzo  periodo
della medesima disposizione, peraltro, aggiunge che «sono fatti salvi
i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza
prevista negli stessi». 
    L'art. 13 del decreto-legge  n.  66  del  2014  ha  provveduto  a
ridurre il tetto massimo prevedendo che, «a decorrere dal  1°  maggio
2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della
Corte di cassazione .... e' fissato in euro 240.000  annui  al  lordo
dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a
carico del dipendente». 
    Il ricorrente - premesso di appartenere ad una  esigua  categoria
di pubblici funzionari di altissimo  livello  che,  giunti  all'apice
della propria carriera, sono stati nominati Consiglieri di  Stato  ai
sensi dell'art. 19, comma 1, n. 2),  della  legge  n.  186  del  1982
essendo collocati in quiescenza  dall'amministrazione  di  originaria
appartenenza  nonche'  di  avere  gia'   subito   una   significativa
decurtazione del trattamento economico prevista  dall'art.  1,  comma
486, della legge n. 147 del 2013 e, prima ancora  dagli  articoli  9,
comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 e 2  del  decreto-legge  n.
138  del  2011  -  ha  proposto   il   presente   ricorso   chiedendo
l'accertamento del diritto a percepire il trattamento stipendiale  in
una con il trattamento pensionistico in essere senza le  decurtazioni
previste dall'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013. 
    In particolare, ha sostenuto che: 
    l'amministrazione, senza adeguatamente  motivare  sul  punto,  ha
ritenuto non applicabile al ricorrente la  deroga  di  cui  al  terzo
periodo dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013,  vale  a
dire «sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla
loro naturale scadenza  prevista  negli  stessi»,  laddove  il  lemma
«incarico» dovrebbe rimandare, in via generale, anche ai rapporti  di
lavoro a regime  pubblicistico  intesi  nella  loro  globalita',  non
potendosi  legittimamente   differenziare   tra   rapporti   la   cui
prestazione specifica consista nell'assolvimento di un  «incarico»  e
rapporti estrinsecantisi nello svolgimento di una «funzione»; 
    in subordine, la norma primaria applicata  (art.  1,  comma  489,
della legge n. 147 del 2013) sarebbe  costituzionalmente  illegittima
per  disparita'  di  trattamento  e  violazione  del   principio   di
ragionevolezza,   per   violazione   del   principio   della   tutela
dell'affidamento di cui agli articoli 3 e 117, comma  1,  Cost.  e  6
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per violazione degli
articoli 3, 4, 23, 36, 38, 53, 100, 101, 104 e 108 Cost. 
    Il Segretariato generale della Giustizia amministrativa, con nota
del 5 agosto 2014, ha precisato che, per  effetto  della  sospensione
del trattamento retributivo ex art. 1, comma 489, della legge n.  147
del 2013, disposta a decorrere dal  mese  di  giugno,  il  ricorrente
«dovra' procedere a versare  personalmente  le  addizionali  comunali
IRPEF  e  l'addizionale  regionale  IRPEF»,   secondo   gli   importi
determinati nel prospetto allegato alla nota medesima. 
    Con motivi aggiunti, il ricorrente ha  sostenuto  che  tale  atto
sarebbe  affetto  dai  medesimi  vizi  illustrati  con   il   ricorso
originario in quanto, senza  alcuna  motivazione,  non  avrebbe  dato
applicazione alla deroga di cui all'ultimo periodo dell'art. 1, comma
498, della legge n. 147 del 2013, cosi' esponendo la disposizione  di
legge  ai  vizi   di   legittimita'   costituzionale   gia'   dedotti
nell'originario gravame. 
    Con un secondo atto di motivi aggiunti, il ricorrente ha  dedotto
in  via  derivata,  costituendo  atto  applicativo  delle  precedenti
determinazioni, l'illegittimita' della nota del Segretariato generale
della Giustizia amministrativa  in  data  7  ottobre  2014,  con  cui
l'amministrazione ha comunicato che il trattamento pensionistico  del
ricorrente, al netto del contributo di solidarieta', e' superiore  al
tetto massimo retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno
2014 ed ha ordinato la restituzione, in unica soluzione ed  entro  la
data del 15 dicembre, degli emolumenti erogati nel periodo 1° gennaio
- 31 maggio 2014, al netto degli oneri sociali. 
    Con un terzo atto di motivi aggiunti, il ricorrente ha dedotto in
via  derivata,  costituendo   atto   applicativo   delle   precedenti
determinazioni, anche l'illegittimita' della  nota  del  Segretariato
generale della Giustizia amministrativa in data 22 dicembre 2014, con
cui  l'amministrazione  ha  comunicato  che,  per  l'anno  2015,   il
trattamento economico,  ad  oggi,  spettante  al  ricorrente  risulta
superiore al limite massimo retributivo fissato in euro  240.000  per
effetto del cumulo con il  trattamento  pensionistico  in  godimento,
dando contestualmente atto che le competenze retributive, a decorrere
dalla mensilita' di gennaio, verranno erogate fino a concorrenza  del
predetto limite. 
    L'Avvocatura generale dello Stato  ha  contestato  la  fondatezza
delle argomentazioni sviluppate dal  ricorrente  concludendo  per  il
rigetto del ricorso. 
    All'udienza pubblica del 24 febbraio  2016,  la  causa  e'  stata
trattenuta per la decisione. 
    2. La posizione giuridica dedotta in giudizio dal  ricorrente  ha
natura di diritto soggettivo avente carattere  patrimoniale,  sicche'
l'azione proposta, sebbene prospettata in primo luogo come azione  di
annullamento di atti, e' qualificabile come azione di accertamento  e
non involge la legittimita' dell'esercizio del potere pubblico. 
    In altri termini, nel caso di specie, il  ricorrente  agisce  per
ottenere il riconoscimento del  diritto  soggettivo  a  percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al trattamento pensionistico senza
le decurtazioni previste dall'art.  1,  comma  489,  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147, per cui gli atti adottati dall'amministrazione
sono  sostanzialmente  irrilevanti  ai  fini  della  definizione  del
rapporto  in  quanto  la  soddisfazione  della  situazione  giuridica
soggettiva, vale a dire l'accertamento del diritto,  e'  realizzabile
indipendentemente dal riconoscimento derivante dalla  intermediazione
di  un  provvedimento  amministrativo  (in   tal   senso   tutta   la
giurisprudenza  sulla  distinzione  tra  atti  paritetici   ed   atti
autoritativi, sviluppatasi a seguito della c.d.  sentenza  Fagiolari,
dal nome del presidente ed  estensore,  Consiglio  di  Stato,  V,  1°
dicembre 1939 n. 795; cfr. anche Tribunale  amministrativo  regionale
Lazio, I, 13 febbraio 2012, n. 1404). 
    Ne consegue che il thema  decidendum  del  presente  giudizio  e'
costituito solo ed esclusivamente dalla valutazione della  fondatezza
della pretesa dedotta dal  ricorrente  circa  la  non  applicabilita'
della norma  sul  «tetto»  nei  suoi  confronti,  a  nulla  rilevando
eventuali vizi prospettati in  relazione  agli  atti  fatti  comunque
oggetto di impugnazione. 
    3. Con una  prima  serie  di  argomentazioni,  il  ricorrente  ha
sostenuto che avrebbe dovuta essere applicata al caso  di  specie  la
deroga di cui al terzo periodo dell'art. 1, comma 489, della legge n.
147 del 2013, secondo  cui  «sono  fatti  salvi  i  contratti  e  gli
incarichi in corso fino alla loro naturale  scadenza  prevista  negli
stessi» atteso che il lemma «incarico»  dovrebbe  rimandare,  in  via
generale, anche ai rapporti di lavoro a regime  pubblicistico  intesi
nella loro globalita', non potendosi legittimamente differenziare tra
rapporti la cui prestazione specifica consista  nell'assolvimento  di
un «incarico» e rapporti estrinsecantisi  nello  svolgimento  di  una
«funzione». 
    Sul punto, la Prima Sezione di questo Tribunale, con ordinanza di
rimessione  alla  Corte  costituzionale  n.   5715   del   2015,   ha
condivisibilmente  affermato  che  la  disposizione  derogatoria   si
riferisce a «tutti i rapporti - indifferentemente di diritto  privato
o pubblico ... - che a quel momento, peraltro, non solo erano gia' in
corso, bensi' erano anche  individuati  da  un  naturale  termine  di
«scadenza», e non gia',  quindi,  per  l'esercizio  in  atto  di  una
funzione giurisdizionale «togata» e non onoraria, ovverosia svolta  a
seguito dell'inserimento a pieno titolo in un plesso giurisdizionale,
con la conseguente creazione di un rapporto d'ufficio  caratterizzato
non gia' da una prefissata temporaneita'  bensi'  -  al  contrario  -
dalla stabilita' ed anzi dalla garanzia di inamovibilita'». 
    La deroga relativa  ai  contratti  e  agli  incarichi  in  corso,
limitata  alla  loro  naturale  scadenza,   quindi,   determina   una
ragionevole distinzione tra rapporti di lavoro a tempo  indeterminato
e rapporti di  lavoro  a  tempo  determinato  e  non  si  applica  al
ricorrente  in  quanto  titolare  di  rapporto  di  lavoro  a   tempo
indeterminato regolato da norme di legge. 
    4. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
489, della legge  27  dicembre  2013,  n.  147,  prospettata  in  via
subordinata dal ricorrente e' di conseguenza  rilevante  al  fine  di
accertare la fondatezza della pretesa del ricorrente a  percepire  il
trattamento stipendiale in uno con il trattamento pensionistico senza
subire le decurtazioni previste da detta norma. 
    4.1 Sotto un primo profilo, in ragione di  quanto  in  precedenza
esposto, non puo' ritenersi che  la  norma  di  legge  determini  una
disparita' di trattamento. 
    La disposizione derogatoria che  fa  «salvi  i  contratti  e  gli
incarichi in corso fino alla loro naturale  scadenza  prevista  negli
stessi», infatti,  non  si  riferisce  a  tutti  i  dipendenti  della
pubblica amministrazione titolari di rapporti di lavoro  privatizzati
e contrattualizzati, atteso che la deroga non si applica ai  rapporti
a tempo indeterminato regolati da  norme  di  legge  o  da  contratti
collettivi,  ma  solo  ai  rapporti  a  tempo  determinato  su   base
convenzionale tra amministrazioni pubbliche e soggetti  privati.  Ne'
vi e' motivo di ritenere che la salvaguardia dei rapporti di lavoro a
tempo  determinato  determini  una   ingiustificata   disparita'   di
trattamento, perche' e' possibile ipotizzare una violazione dell'art.
3  della  Costituzione  solo  in  presenza  di  situazioni  tra  loro
comparabili, mentre i rapporti di lavoro a tempo determinato non sono
evidentemente comparabili con quelli a tempo indeterminato. 
    4.2 Parimenti infondata risulta  la  questione  incentrata  sulla
violazione del principio della tutela dell'affidamento, di  cui  agli
articoli 3 e 117, comma 1, della  Costituzione  e  all'art.  6  della
Convenzione  europea  dei  diritti   dell'uomo.   In   proposito   e'
sufficiente ribadire le considerazioni svolte al riguardo dalla prima
Sezione questo Tribunale. Difatti nella suddetta  ordinanza  n.  5715
del 2015 e' stato posto in rilevo quanto  segue:  «la  previsione  di
compensi e trattamenti pensionistici massimi a carico  della  finanza
pubblica per i singoli  soggetti  titolari  di  pubblici  uffici  non
appare  intrinsecamente  illogica  o  negativa   ai   fini   di   una
razionalizzazione della c.d. «giungla retributiva»  che  storicamente
ha caratterizzato - secondo numerose  indagini  del  Parlamento,  del
Governo e di Organi  indipendenti  -  un'Amministrazione  non  sempre
caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre -  dal  punto
di vista dei singoli trattamenti  retributivi  oggetto  del  presente
giudizio  -  all'atto  dell'accettazione   della   nomina   ...   gli
interessati - anche in virtu' delle stesse competenze  ed  esperienze
professionali che ne  avevano  motivato  la  scelta  -  erano  o  ben
potevano essere a conoscenza delle recenti misure di legge  volte  al
contenimento della spesa pubblica ed adottate proprio  su  iniziativa
dello  stesso  Potere  Esecutivo  che  li  aveva  proposti  al  nuovo
incarico, di modo che - da un lato - l'accettazione  non  poteva  non
implicare la piena  consapevolezza  circa  i  prevedibili  limiti  al
proprio compenso e - dall'altro - la proposta di nomina assolutamente
fiduciaria da parte del Governo non poteva ragionevolmente  suscitare
l'aspettativa di un trattamento differenziato quanto alla  sorte  del
proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto  cio'  si
sarebbe tradotto in una ampissima facolta' di deroga  del  Governo  -
rispetto alle norme da esso proposte - in favore di singoli  soggetti
dallo  stesso  individuati,  suscitando   profili   di   problematica
coesistenza con i principi di legalita' ed uguaglianza  davanti  alla
legge sanciti dal  nostro  ordinamento»;  «il  nuovo  generale  tetto
economico in  esame  risponde  agli  obiettivi  d'interesse  pubblico
lasciati  alla  discrezionalita'  dei   singoli   Stati   quanto   al
contenimento,  alla  trasparenza  ed  alla  congruita'  della   spesa
pubblica, nel quadro  dei  doveri  di  solidarieta'  sociale  di  cui
all'art. 2 della  Costituzione  e  dei  principi  di  buon  andamento
dell'amministrazione  di   cui   all'art.   97,   mentre   la   Corte
costituzionale ha piu' volte chiarito che, salvi i limiti in  materia
penale derivanti dall'art. 25, comma 2, Cost., non  e'  in  linea  di
principio  precluso  al  legislatore  intervenire   per   mutare   la
disciplina dei rapporti di durata in corso,  anche  con  disposizioni
che modificano in senso sfavorevole situazioni  soggettive  perfette,
purche' nel limite del rispetto del principio di eguaglianza ex  art.
3 Cost. e del principio di affidamento dei cittadini nella  sicurezza
giuridica, che - come sopra chiarito -  non  appaiono  violati  nella
fattispecie in esame (in senso conforme, Corte costituzionale, sentt.
n. 92 del 2013, n. 166 del 2012, n. 525 del 2000, n. 211 del 1997, n.
409 del 1995) ». 
    4.3 Anche  con  riferimento  alla  prospettata  violazione  degli
articoli  3  e  53  della  Costituzione,  il  Collegio  condivide  le
considerazioni svolte dalla Prima Sezione di questo  Tribunale  nella
richiamata ordinanza n. 5715 del 2015, ove e' stato evidenziato  che:
«le   descritte   finalita'   di    contenimento,    trasparenza    e
razionalizzazione   della    spesa    pubblica    determinano,    non
irragionevolmente,  una  progressiva  decurtazione,  disciplinata  ex
lege, dei possibili ulteriori redditi  al  raggiungimento  del  tetto
prefissato,  indifferenziatamente  applicata  a  tutti   i   compensi
comunque posti a carico della finanza pubblica, senza che cio'  possa
generare, proprio per la sua trasversalita', indebite  disparita'  di
trattamento, divenendo quindi non rilevante, ai fini del  giudizio  a
quo, la sua invocata qualificazione quale  imposizione  fiscale,  che
sembra comunque doversi escludere, in quanto  la  legge,  in  estrema
sintesi, pone un «tetto» a regime all'erogazione a chiunque di  somme
a titolo retributivo e pensionistico poste  a  carico  della  finanza
pubblica, anziche' imporre un prelievo forzoso sulle somme  percepite
dal singolo interessato oltre il tetto prefissato». 
    4.4 Diverse considerazioni, invece, valgono per le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  incentrate   sulla   violazione   degli
articoli 3, 4, 36 e 38 Cost.,  degli  articoli  3,  95  e  97  Cost.,
nonche' degli  articoli  100,  101,  104  e  108  Cost.,  perche'  il
meccanismo  del  tetto  massimo  degli  emolumenti  comporta  che  la
remunerazione della  funzione  di  Consigliere  di  Stato  di  nomina
governativa risulta fortemente ridotta o del tutto azzerata,  si'  da
determinare: 
        A) una violazione del diritto al lavoro e ad una retribuzione
«proporzionata alla quantita' e qualita'» del lavoro prestato; B) una
disparita' di trattamento  fra  soggetti  che  svolgono  la  medesima
attivita'  ed  una   irrazionale   organizzazione   della   Giustizia
amministrativa; C) un indebolimento delle  garanzie  di  indipendenza
nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. 
    In particolare, con riferimento alla prospettata violazione degli
articoli 3, 4, 36 e 38 Cost., nella suddetta ordinanza  n.  5715  del
2015, relativa alla nomina di Consigliere della Corte dei  conti,  e'
gia' stato posto in rilievo quanto segue: 
        A)  «il  Collegio  ritiene  che   debba   essere   preso   in
considerazione  non  il   pur   elevatissimo   standard   qualitativo
dell'attivita' svolta da funzionari pubblici in possesso di un  grado
di preparazione di assoluta eccellenza per aver ricoperto in anni  di
servizio alle dipendenze  dello  Stato  cariche  apicali  (avendo  di
conseguenza maturato l'elevato trattamento pensionistico "causa"  del
taglio del compenso), in quanto cio' potrebbe giustificare  anche  un
incarico "onorario", in ipotesi anche gratuito, bensi' la circostanza
dello  svolgimento  continuativo,  con   lo   stabile   ed   organico
inserimento nel relativo  organico  e  con  particolari  garanzie  di
stabilita', della funzione di Consigliere della Corte dei conti,  con
l'assunzione  da  parte  degli  interessati  di  tutte  le   connesse
prerogative e delicate e - non da oggi -  rilevanti  responsabilita',
di natura professionale e civile, per il proprio  operato.  I  tratti
fondamentali  dell'attivita'  professionale  stabilmente  svolta  dai
ricorrenti, a seguito della nomina alla Corte  dei  conti,  sotto  la
propria responsabilita' e con pieno inserimento organico, nell'ambito
di una "magistratura togata" vale dunque a configurare l'esercizio di
una vera e propria  e  stabile  attivita'  lavorativa  professionale,
differenziando  la  fattispecie  in  esame  dai  numerosi   casi   di
svolgimento (talvolta essenzialmente  gratuito)  di  pubblici  uffici
"onorari", di volta in volta motivati da alte e peculiari  competenze
(come accade per i  Tribunali  per  i  minori)  o  da  meccanismi  di
sorteggio nell'ambito di platee in possesso di particolari  requisiti
(come accade per le giurie popolari), anche  ai  fini  dell'esercizio
della sovranita' popolare (come accade per i seggi elettorali)»; 
        B) «la scelta dello Stato, mediante la disposizione di  legge
in esame, di continuare ad avvalersi del pieno apporto  professionale
dei ricorrenti (nulla la norma dicendo al  riguardo,  salve  le  loro
eventuali dimissioni per evitare, in applicazione dell'art. 1,  comma
489, della legge n. 147 del 2013, di  prestare  attivita'  lavorativa
non retribuita o retribuita in maniera estremamente esigua), anziche'
disciplinare  normativamente  l'ipotesi   in   esame   (ad   esempio,
prevedendo la incompatibilita' o decadenza  ovvero  una  opzione  per
funzioni differenziate con minore compenso o  del  tutto  onorarie  e
gratuite) e al tempo stesso di "di auto-esonerarsi"  in  tutto  o  in
parte dalla loro retribuzione (non ponendo la norma alcuna deroga  al
tetto  a  tale  riguardo),  pur  avendo  esso  Stato   chiesto   agli
interessati di svolgere tale funzione mediante la proposta di  nomina
alla funzione (retribuita) di Consigliere della  Corte  dei  conti  -
dichiaratamente  motivata  dalla  loro  eccellenza  professionale  in
ragione della delicatezza e quindi  dell'impegno  delle  funzioni  da
svolgere  -   appare   costituzionalmente   irragionevole,   con   la
conseguente possibile violazione dell'art.  36,  primo  comma,  della
Costituzione, quanto al diritto  ad  una  retribuzione  proporzionata
alla  quantita'  (oltreche'  alla  qualita')  del  lavoro,   nonche',
indirettamente,  dell'art.  38  della  Costituzione,  in  quanto   la
drastica riduzione o addirittura l'azzeramento della retribuzione - e
quindi della  relativa  contribuzione  -  precludono  la  conseguente
implementazione della tutela assistenziale e previdenziale  garantita
dall'ordinamento». 
    Quanto poi alla prospettata violazione degli articoli 3, 95 e  97
Cost., il Collegio osserva innanzi tutto che anche per i  Consiglieri
Stato di nomina governativa,  del  tutto  equiparati  ai  Consiglieri
Stato vincitori di concorso e a  quelli  provenienti  dati  Tribunali
amministrativi   regionali,   valgono   evidentemente   le   seguenti
considerazioni, svolte nell'ordinanza n. 5715 del 2015: «premessa  la
determinazione   delle   sfere   di   competenza,   attribuzioni    e
responsabilita' in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso
ovvero di nomina governativa, la disposizione di legge  che  pone  il
tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia  nell'ambito
di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi di  retribuzione
a seguito del raggiungimento del tetto, senza  disciplinare  la  loro
sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile di  determinare,  da  un
lato,  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  quanto  alla
retribuzione ovvero mancata  retribuzione  della  medesima  attivita'
professionale,  e,  dall'altro,  una   irragionevole   organizzazione
contraria al buon andamento amministrativo mediante l'indifferenziato
affidamento, a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito,  di  funzioni
di dichiarata rilevanza, impegno e delicatezza, atteso che  anche  la
retribuzione dei funzionari pubblici deve rispondere -  alla  stregua
del Trattato, della Convenzione europea e  degli  articoli  36  e  97
della Costituzione, ad un rapporto  sinallagmatico  ("proporzionato")
riguardo alla quantita' e qualita' del  lavoro  svolto,  non  potendo
quindi essere considerati fungibili il trattamento pensionistico  per
un'attivita' precedente e il compenso per un'attivita' in  atto,  ove
consentita  nell'ambito  dei  diritti  di  liberta'  garantiti  dalla
Costituzione». Inoltre - posto che il  sistema  di  reclutamento  dei
Consiglieri di Stato per nomina governativa  mira  a  valorizzare  le
migliori competenze professionali  disponibili  nell'Amministrazione,
che  generalmente  si  rinvengono  in  coloro  che  hanno  accumulato
maggiore anzianita' e accantonato un montante  contributivo  tale  da
dar luogo ad un trattamento di quiescenza  destinato  a  sommarsi  al
trattamento retributivo  -  il  Collegio  ritiene  che  la  censurata
disciplina finisca per penalizzare  proprio  le  figure  di  maggiore
spicco, con l'effetto di  disincentivare  la  nomina  di  coloro  che
possono vantare i migliori titoli e le migliori  esperienze,  perche'
costoro dovrebbero esercitare le funzioni  di  Consigliere  di  Stato
senza  una  retribuzione  adeguata;  pertanto  il   Governo   sarebbe
costretto ad indirizzare altrove  le  proprie  scelte,  con  evidente
violazione del principio di ragionevolezza e del  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione (articoli  3  e  97  Cost.),
perche' le  scelte  non  sarebbero  indirizzate  alla  selezione  dei
migliori,  e  della  norma  che   affida   al   Governo   l'indirizzo
politico-amministrativo (art. 95 Cost.), che viene distolto  dal  suo
approdo  piu'  coerente  e  mortificato  nella  liberta'  della   sua
esplicazione. 
    Inoltre  non  manifestamente  infondata   appare   la   questione
incentrata sulla violazione degli articoli 100, 101, 104 e 108 Cost.,
in ragione del  possibile  vulnus  allo  status  di  indipendenza  ed
autonomia  dei  magistrati,  protetto  dalle  predette   disposizioni
costituzionali.  Difatti,  la  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte
ribadito (sentenze n. 223 del 2012, n. 99 del 1995, n. 42 del 1993  e
n. 238 del 1990) che una disposizione di legge che  incide  in  peius
nel trattamento retributivo dei magistrati e' legittima purche' abbia
natura eccezionale  e  portata  temporale  limitata  e  sia  comunque
inserita in un ragionevole e non  arbitrario  intervento  perequativo
fra categorie di cittadini. Tanto, pero',  non  accade  nel  caso  in
esame, perche' il tetto massimo agli emolumenti,  oltre  ad  incidere
retroattivamente su un trattamento retributivo e  su  un  trattamento
previdenziale gia' maturati, non persegue un intervento  perequativo,
non essendo diretta a tutte le categorie dei percettori  di  reddito.
Ne   consegue   la   violazione   delle    menzionate    disposizioni
costituzionali poste a presidio dell'indipendenza  ed  autonomia  dei
magistrati. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio,  Sezione
Seconda, non definitivamente pronunciando sul  ricorso  in  epigrafe,
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 489,  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147, in relazione agli articoli 3, 4, 36,  38,  95,
97, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai presidenti della  Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  24
febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati: 
 
    Antonino Savo Amodio, Presidente; 
    Silvia Martino, consigliere; 
    Roberto Caponigro, consigliere, estensore. 
 
                     Il Presidente: Savo Amodio 
 
 
                                               L'estensore: Caponigro