N. 180 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2016

Ordinanza del 6 aprile 2016 del  Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Boccia Claudio  e  altri
contro Segretariato generale della Giustizia amministrativa e altri. 
 
Impiego pubblico - Disposizioni in materia di trattamenti economici -
  Divieto di erogazione di trattamenti economici  eccedenti  il  c.d.
  "tetto retributivo". 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  di  stabilita'
  2014)") , art. 1, comma 489. 
(GU n.39 del 28-9-2016 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 10904 del  2014,  integrato  con  motivi  aggiunti,
proposto da Claudio  Boccia,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Massimo Luciani ed elettivamente  domiciliato  in  Roma,  Lungotevere
Raffaello Sanzio n. 1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10905 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Antonino  Anastasi,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Massimo
Luciani ed elettivamente domiciliato in Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio n. 1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10906 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Rocco Antonio Cangelosi, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo
Luciani ed elettivamente domiciliato in Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio n. 1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10910 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Carlo Mosca, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Luciani  ed
elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n. 1,
presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10912 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Carlo Schilardi, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Luciani
ed elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n.
1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10965 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Paolo De Ioanna, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Luciani
ed elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n.
1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10966 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Giuseppe Castiglia,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Massimo
Luciani ed elettivamente domiciliato in Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio n. 1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul  ricorso  numero  di  registro
generale 10968 del 2014, integrato con motivi aggiunti,  proposto  da
Damiano Nocilla, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Luciani
ed elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n.
1, presso lo studio del predetto avvocato; 
    Contro: il Segretariato generale della Giustizia  amministrativa,
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero  dell'economia
e delle finanze ed il Consiglio di Stato, in persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, per legge rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Per l'annullamento: 
        quanto al ricorso n. 10904 del 2014, della nota prot.  n.  39
del 20 maggio 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta che al Consigliere  Claudio  Boccia  «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che «provvedera',  allo
stato, alla  sospensione  del  trattamento  retributivo»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
        quanto al primo ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10904  del  2014,  della  nota
prot. n. 123 del 7 ottobre 2014,  a  firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente  che,  «all'esito
dell'istruttoria  avviata  per  l'applicazione  della  normativa   in
oggetto risulta che il Suo trattamento pensionistico,  al  netto  del
contributo di solidarieta', e' superiore al tetto massimo retributivo
previsto  dalla  vigente  normativa   per   l'anno   2014»,   ed   ha
contestualmente ordinato la restituzione, in unica soluzione ed entro
la data  del  15  dicembre  2014,  degli  emolumenti,  pari  ad  euro
29.438,86 al netto  degli  oneri  sociali,  erogati  nel  periodo  1°
gennaio - 31 maggio 2014»; 
        quanto al secondo ricorso per motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10904  del  2014,  della  nota
prot. n. 174 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale  l'Amministrazione  ha  comunicato  al   ricorrente   che,   in
conformita' con la disposizione in oggetto,  non  gli  potra'  essere
erogato, per l'anno 2015, alcun trattamento economico; 
        quanto al ricorso n. 10905 del 2014, della nota prot.  n.  45
del 21 maggio 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta che al Consigliere Antonino Anastasi «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che  «provvedera'  alla
verifica del dato trasmesso dall'Ente erogatore con  quanto  relativo
al trattamento retributivo corrisposto,  applicando  a  quest'ultimo,
ove necessario, le  dovute  variazioni  in  diminuzione»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
        quanto al primo ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10905  del  2014,  della  nota
prot. n. 86 del 28 luglio 2014, a firma del Segretario generale della
Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto «art.  1,  comma
489, legge 27 dicembre 2013, n. 147. Determinazioni»,  con  la  quale
l'Amministrazione convenuta, facendo seguito alla precedente nota del
21 maggio 2014, prot. n. 46,  ha  comunicato  al  ricorrente  che,  a
decorrere  dal  mese  di  settembre  2014,   «fermi   gli   ulteriori
approfondimenti sull'applicazione della norma citata  (i.e.  art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n.  147),  anche  con  riferimento
alle   garanzie   di   continuita'   della   copertura   assicurativa
obbligatoria,  provvedera',  allo  stato,  alla   sospensione   della
erogazione del trattamento retributivo»,  contestualmente  disponendo
che «resta confermato,  all'esito  delle  definitive  determinazioni,
l'obbligo di restituzione delle somme percepite per il  periodo  2014
antecedente alla disposta sospensione, laddove in eccesso rispetto al
tetto normativamente previsto per il  corrente  anno»,  nonche',  ove
occorrer possa, dei cedolini mensili  riepilogativi  del  trattamento
economico erogato, anche allo stato  non  conosciuti,  nonche'  degli
atti gia' gravati con il ricorso principale; e per l'accertamento del
diritto  a  percepire  il  trattamento  stipendiale  in  una  con  il
trattamento     pensionistico,     con      conseguente      condanna
dell'Amministrazione   a   restituire    le    somme    nelle    more
illegittimamente trattenute e recuperate; 
        quanto al secondo ricorso per motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10905  del  2014,  della  nota
prot. n. 120 del 7 ottobre 2014,  a  firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente  che,  «all'esito
dell'istruttoria  avviata  per  l'applicazione  della  normativa   in
oggetto risulta che il Suo trattamento pensionistico,  al  netto  del
contributo di solidarieta', e' superiore al tetto massimo retributivo
previsto  dalla  vigente  normativa   per   l'anno   2014»,   ed   ha
contestualmente ordinato la restituzione della maggior somma erogata,
al netto; 
        quanto al terzo ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10905  del  2014,  della  nota
prot. n. 183 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente che  «per  l'anno
2015 il trattamento economico spettante risulta superiore  al  limite
massimo retributivo fissato in euro 240.000»  ed  ha  contestualmente
comunicato che le competenze retributive «a decorrere dalla  prossima
mensilita'  di  gennaio  verranno  erogate  fino  a  concorrenza  del
predetto limite»; 
        quanto al ricorso n. 10906 del 2014, della nota prot.  n.  46
del 21 maggio 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S.  da  cui  risulta  che  al  Consigliere  Cangelosi  «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che  «provvedera'  alla
verifica del dato trasmesso dall'Ente erogatore con  quanto  relativo
al trattamento retributivo corrisposto,  applicando  a  quest'ultimo,
ove necessario, le  dovute  variazioni  in  diminuzione»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
        quanto al primo ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10906  del  2014,  della  nota
prot. n. 91 del 29 luglio 2014, a firma del Segretario generale della
Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto «art.  1,  comma
489, legge 27 dicembre 2013, n. 147. Determinazioni»,  con  la  quale
l'Amministrazione convenuta, facendo seguito alla precedente nota del
21 maggio 2014, prot. n. 46,  ha  comunicato  al  ricorrente  che,  a
decorrere  dal  mese  di  settembre  2014,   «fermi   gli   ulteriori
approfondimenti sull'applicazione della norma citata  (i.e.  art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n.  147),  anche  con  riferimento
alle   garanzie   di   continuita'   della   copertura   assicurativa
obbligatoria,  provvedera',  allo  stato,  alla   sospensione   della
erogazione del trattamento retributivo»,  contestualmente  disponendo
che «resta confermato,  all'esito  delle  definitive  determinazioni,
l'obbligo di restituzione delle somme percepite per il  periodo  2014
antecedente alla disposta sospensione, laddove in eccesso rispetto al
tetto normativamente previsto per il  corrente  anno»,  nonche',  ove
occorrer possa, dei cedolini mensili  riepilogativi  del  trattamento
economico erogato, anche allo stato  non  conosciuti,  nonche'  degli
atti gia' gravati con il ricorso principale; e per l'accertamento del
diritto  a  percepire  il  trattamento  stipendiale  in  una  con  il
trattamento     pensionistico,     con      conseguente      condanna
dell'Amministrazione   a   restituire    le    somme    nelle    more
illegittimamente trattenute e recuperate; 
        quanto al secondo ricorso per motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10906  del  2014,  della  nota
prot. n. 130 del 7 ottobre 2014,  a  firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente  che,  «all'esito
dell'istruttoria  avviata  per  l'applicazione  della  normativa   in
oggetto» risulta che «il suo trattamento pensionistico, al netto  del
contributo di solidarieta', e' superiore al tetto massimo retributivo
previsto  dalla  vigente  normativa   per   l'anno   2014»,   ed   ha
contestualmente dato atto della procedura di recupero in corso per la
maggior somma erogata; 
        quanto al terzo ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10906  del  2014,  della  nota
prot. n. 166 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente che  «per  l'anno
2015 il trattamento economico, ad oggi, spettante  risulta  superiore
al  limite  massimo  retributivo  fissato  in  euro  240.000»  ed  ha
contestualmente comunicato che le competenze retributive «a decorrere
dalla  prossima  mensilita'  di  gennaio  verranno  erogate  fino   a
concorrenza del predetto limite»; 
        quanto al ricorso n. 10910 del 2014, della nota prot.  n.  48
del 21 maggio 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta  che  al  Consigliere  Carlo  Mosca  «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che «provvedera',  allo
stato, alla  sospensione  del  trattamento  retributivo»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
        quanto al primo ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n. 10910 del 2014: A)  della  nota
prot. n. 87 del 28 luglio 2014, a firma del Segretario generale della
Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto «art.  1,  comma
489, legge 27 dicembre 2013, n. 147. Determinazioni»,  con  la  quale
l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente  che,  «fermi  restando
gli ulteriori  approfondimenti  ...  provvedera',  allo  stato,  alla
sospensione   della   erogazione   del   trattamento    retributivo»,
contestualmente disponendo che  «resta  confermato,  all'esito  delle
definitive determinazioni,  l'obbligo  di  restituzione  delle  somme
percepite per il periodo 2014 antecedente alla disposta  sospensione,
laddove in eccesso rispetto al tetto normativamente previsto  per  il
corrente  anno»;  B)  della  nota  del  Segretariato  generale  della
Giustizia amministrativa prot. n. 17472 del 5  agosto  2014,  con  la
quale  e'  stato  comunicato  al  ricorrente  che  «per  effetto  del
trattamento retributivo ex art. 1, comma 489, legge 27 dicembre 2013,
n. 147, ... dovra' procedere a versare personalmente  le  addizionali
comunali IRPEF e l'addizionale comunale IRPEF»  secondo  gli  importi
determinati nel prospetto allegato al provvedimento;  C)  della  nota
prot. n. 131 del 7 ottobre 2014,  a  firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale   e'   stato   comunicato   al   ricorrente   che    «all'esito
dell'istruttoria  avviata  per  l'applicazione  della  normativa   in
oggetto risulta che il Suo trattamento pensionistico,  al  netto  del
contributo di solidarieta', e' superiore al tetto massimo retributivo
previsto  dalla  vigente  normativa   per   l'anno   2014»,   ed   ha
contestualmente comunicato che «la maggior somma  liquidata,  pari  a
euro 73.867,84 al lordo degli oneri sociali e' in corso di recupero»; 
        quanto al secondo ricorso per motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10910  del  2014,  della  nota
prot. n. 181 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente che  «per  l'anno
2015 il trattamento economico, ad oggi, spettante  risulta  superiore
al  limite  massimo  retributivo  fissato  in  euro  240.000»  ed  ha
contestualmente comunicato che le competenze retributive «a decorrere
dalla  prossima  mensilita'  di  gennaio  verranno  erogate  fino   a
concorrenza del predetto limite»; 
        quanto al ricorso n. 10912 del 2014, della nota prot.  n.  49
del 20 maggio 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta che al Consigliere Carlo  Schilardi  «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che «provvedera',  allo
stato, alla  sospensione  del  trattamento  retributivo»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge  24  aprile  2014  n  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
    quanto al primo ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio
introdotto con il ricorso n. 10912 del 2014, della nota prot. n.  132
del 7 ottobre 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre  2013,   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione convenuta, facendo seguito alla precedente nota del
7 ottobre 2014, prot.  n.  123,  ha  comunicato  al  ricorrente  che,
«all'esito  dell'istruttoria   avviata   per   l'applicazione   della
normativa in oggetto emerge che il Suo trattamento pensionistico,  al
netto del contributo di solidarieta', e' superiore al  tetto  massimo
retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno 2014», ed  ha
contestualmente comunicato che la maggior somma erogata, pari ad euro
14.567,64  al  netto  degli  oneri  sociali,  e'  gia'  in  corso  di
recupero»; 
    quanto al  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10912  del  2014,  della  nota
prot. n. 185 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente che  «per  l'anno
2015 il trattamento economico, ad oggi, spettante  risulta  superiore
al  limite  massimo  retributivo  fissato  in  euro  240.000»  ed  ha
contestualmente comunicato che le competenze retributive «a decorrere
dalla  prossima  mensilita'  di  gennaio  verranno  erogate  fino   a
concorrenza del predetto limite»; 
    quanto al ricorso n. 10965 del 2014, della nota prot. n.  33  del
20 maggio 2014, a  firma  del  Segretario  generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta che al Consigliere Paolo De  Ioanna  «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che «provvedera',  allo
stato, alla  sospensione  del  trattamento  retributivo»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
    quanto al primo ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio
introdotto con il ricorso n. 10965 del 2014, della nota prot. n.  125
del 7 ottobre 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre  2013,   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione  convenuta  ha  comunicato   al   ricorrente   che,
«all'esito  dell'istruttoria   avviata   per   l'applicazione   della
normativa in oggetto risulta che il Suo trattamento pensionistico, al
netto del contributo di solidarieta', e' superiore al  tetto  massimo
retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno 2014», ed  ha
contestualmente ordinato la restituzione, in unica soluzione ed entro
la data  del  15  dicembre  2014,  degli  emolumenti,  pari  ad  euro
41.152,89, al netto degli  oneri  sociali,  erogati  nel  periodo  1°
gennaio - 31 maggio 2014; 
    quanto al  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10965  del  2014,  della  nota
prot. n. 176 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale  l'Amministrazione  ha  comunicato  al   ricorrente   che,   in
conformita' con la disposizione in oggetto,  non  gli  potra'  essere
erogato, per l'anno 2015, alcun trattamento economico; 
    quanto al ricorso n. 10966 del 2014, della nota prot. n.  34  del
20 maggio 2014, a  firma  del  Segretario  generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta che al  Consigliere  Giuseppe  Castiglia
«e' corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto  anche
del tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n.  66,
pari ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che  «provvedera',
allo stato, alla sospensione del trattamento retributivo», disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
    quanto al primo ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio
introdotto con il ricorso n. 10966 del 2014, della nota prot. n.  124
del 7 ottobre 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre  2013,   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione convenuta, facendo seguito alla precedente nota del
7 ottobre 2014, prot.  n.  123,  ha  comunicato  al  ricorrente  che,
«all'esito  dell'istruttoria   avviata   per   l'applicazione   della
normativa in oggetto risulta che il Suo trattamento pensionistico, al
netto del contributo di solidarieta', e' superiore al  tetto  massimo
retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno 2014», ed  ha
contestualmente ordinato la restituzione, in unica soluzione ed entro
la data  del  15  dicembre  2014,  degli  emolumenti,  pari  ad  euro
29.438,86, al netto degli  oneri  sociali,  erogati  nel  periodo  1°
gennaio - 31 maggio 2014; 
    quanto al  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10966  del  2014,  della  nota
prot. n. 175 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale  l'Amministrazione  ha  comunicato  al   ricorrente   che,   in
conformita' con la disposizione in oggetto,  non  gli  potra'  essere
erogato, per l'anno 2015, alcun trattamento economico; 
    quanto al ricorso n. 10968 del 2014, della nota prot. n.  32  del
20 maggio 2014, a  firma  del  Segretario  generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre   2013   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione   convenuta,   preso   atto   della   comunicazione
dell'I.N.P.S. da cui risulta che al Consigliere Damiano  Nocilla  «e'
corrisposto un trattamento pensionistico», e «tenuto conto anche  del
tetto indicato dall'art. 13, decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, pari
ad € 240.000,00», ha comunicato al ricorrente che «provvedera',  allo
stato, alla  sospensione  del  trattamento  retributivo»,  disponendo
altresi' che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni,
l'obbligo di  restituzione  delle  somme  percepite  per  il  periodo
dell'anno   2014   antecedente   alla   eventuale   riduzione   della
retribuzione, laddove in eccesso  rispetto  al  tetto  normativamente
previsto»,  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi   e
consequenziali, anche allo  stato  non  conosciuti,  con  particolare
riferimento, ove occorra, alla nota prot. n. 1074 del 14 maggio 2014,
a firma del Segretariato  generale  della  Giustizia  amministrativa,
avente il seguente oggetto «Disposizioni in  materia  di  trattamenti
economici art. 13 decreto-legge 24  aprile  2014  n.  66  (limite  al
trattamento  economico  del  personale  pubblico  e  delle   societa'
partecipate). Articoli 23-bis, 23-ter decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214;  art.  3,  comma  2,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012»; 
nonche' per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire  il
trattamento stipendiale unitamente al  trattamento  pensionistico  in
essere, senza subire le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489,
della legge n. 147/2013; 
    quanto al primo ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio
introdotto con il ricorso n. 10968 del 2014, della nota prot. n.  126
del 7 ottobre 2014, a firma del Segretario generale  della  Giustizia
amministrativa, avente il seguente oggetto «art. 1, comma 489,  legge
27  dicembre  2013,   n.   147.   Determinazioni»,   con   la   quale
l'Amministrazione convenuta, facendo seguito alla precedente nota del
7 ottobre 2014, prot.  n.  123,  ha  comunicato  al  ricorrente  che,
«all'esito  dell'istruttoria   avviata   per   l'applicazione   della
normativa in oggetto risulta che il Suo trattamento pensionistico, al
netto del contributo di solidarieta', e' superiore al  tetto  massimo
retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno 2014», ed  ha
contestualmente ordinato la restituzione, in unica soluzione ed entro
la data  del  15  dicembre  2014,  degli  emolumenti,  pari  ad  euro
37.555,32, al netto degli  oneri  sociali,  erogati  nel  periodo  1°
gennaio - 31 maggio 2014; 
    quanto al  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti  proposto  nel
giudizio introdotto con il ricorso n.  10968  del  2014,  della  nota
prot. n. 177 del 22 dicembre 2014, a firma  del  Segretario  generale
della Giustizia amministrativa, avente il seguente oggetto  «art.  1,
comma 489, legge 27 dicembre 2013, n. 147.  Determinazioni»,  con  la
quale  l'Amministrazione  ha  comunicato  al   ricorrente   che,   in
conformita' con la disposizione in oggetto,  non  gli  potra'  essere
erogato, per l'anno 2015, alcun trattamento economico; 
    Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visti gli atti  di  costituzione  in  giudizio  del  Segretariato
generale  della  Giustizia  amministrativa,  della   Presidenza   del
Consiglio dei ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze e
del Consiglio di Stato; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  24  febbraio  2016  il
dott.  Carlo  Polidori  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
    1. I Consiglieri di  Stato  Claudio  Boccia,  Antonino  Anastasi,
Rocco Antonio Cangelosi,  Carlo  Mosca,  Carlo  Schilardi,  Paolo  De
Ioanna,  Giuseppe  Castiglia,  Damiano   Nocilla,   con   i   ricorsi
introduttivi in epigrafe indicati - pressoche' identici  tra  loro  -
rappresentano innanzi tutto di appartenere ad un'esigua categoria  di
pubblici funzionari di altissimo livello, che:  A)  giunti  all'apice
della propria carriera, sono stati nominati Consiglieri di  Stato  ai
sensi dell'art. 19, comma 1, n. 2), della  legge  n.  186  del  1982,
essendo collocati in quiescenza  dall'Amministrazione  di  originaria
appartenenza; B) nel loro caso «la  nomina  a  Consigliere  di  Stato
giunge, dunque, a coronamento di una carriera  pubblica  di  assoluto
spicco e concerne un numero molto ridotto di servitori  dello  Stato,
che  in  tale  nomina  (accettata,  sovente,  anche   rinunciando   a
significative  opportunita'   nel   settore   privato)   trovano   il
riconoscimento dei meriti acquisiti nell'esercizio  delle  precedenti
funzioni, ma anche della  specifica  attitudine  all'esercizio  delle
nuove attribuzioni». In particolare  il  Consigliere  Claudio  Boccia
rappresenta che: A) nel corso  della  sua  attivita'  lavorativa,  e'
stato,  fra  l'altro,  Consigliere  parlamentare  e  Vice  Segretario
generale della Camera  dei  deputati;  B)  esercita  le  funzioni  di
Consigliere di Stato a far data  dal  2011,  risultando  al  contempo
titolare di un  trattamento  pensionistico  erogato  da  un  soggetto
pubblico (nella specie la Camera dei  deputati);  C)  attualmente  e'
assegnato alla  Seconda  Sezione  Consultiva  ed  alla  Sezione  Atti
Normativi del Consiglio di Stato. Il  Consigliere  Antonino  Anastasi
rappresenta che: A) nel corso  della  sua  attivita'  lavorativa,  e'
stato,  fra  l'altro,  Consigliere  parlamentare  del  Senato   della
Repubblica e Segretario generale della Giustizia  amministrativa;  B)
esercita le funzioni di Consigliere di Stato a  far  data  dal  1996,
risultando al  contempo  titolare  di  un  trattamento  pensionistico
erogato da  un  soggetto  pubblico  (nella  specie  il  Senato  della
Repubblica); C) attualmente e' assegnato in posizione di fuori  ruolo
al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Il
Consigliere Rocco Antonio Cangelosi rappresenta  che:  A)  nel  corso
della sua attivita' lavorativa, e' stato, fra l'altro, Rappresentante
permanente   dell'Italia   presso    l'Unione    europea,    Ministro
plenipotenziario degli esteri di I  classe,  Consigliere  diplomatico
del   Presidente   della   Repubblica   e   Giudice   del   Tribunale
amministrativo del Consiglio d'Europa; B)  esercita  le  funzioni  di
Consigliere di Stato a far data  dal  2010,  risultando  al  contempo
titolare di un trattamento  pensionistico  erogato  da  una  gestione
previdenziale pubblica (nella specie l'I.N.P.S.); C)  attualmente  e'
assegnato alla Prima Sezione Consultiva del Consiglio  di  Stato.  Il
Consigliere Carlo Mosca rappresenta  che:  A)  nel  corso  della  sua
attivita' lavorativa, e' stato, fra l'altro, Prefetto di  Roma,  Capo
di Gabinetto del Ministro dell'interno e Vice Direttore del SISDE; B)
esercita le funzioni di Consigliere di Stato a  far  data  dal  2009,
risultando al  contempo  titolare  di  un  trattamento  pensionistico
erogato  da  una  gestione  previdenziale  pubblica   (nella   specie
l'I.N.P.S.);  C)  attualmente  e'  assegnato   alla   Sesta   Sezione
Giurisdizionale  del  Consiglio  di  Stato.  Il   Consigliere   Carlo
Schilardi  rappresenta  che:  A)  nel  corso  della   sua   attivita'
lavorativa, e' stato,  fra  l'altro,  Commissario  straordinario  del
Governo e Prefetto di Caserta e di Bari; B) esercita le  funzioni  di
Consigliere di Stato a far data  dal  2011,  risultando  al  contempo
titolare di un trattamento  pensionistico  erogato  da  una  gestione
previdenziale pubblica (nella specie l'I.N.P.S.); C)  attualmente  e'
assegnato alla Quinta Sezione Giurisdizionale del Consiglio di Stato.
Il Consigliere Paolo De Ioanna rappresenta che: A)  nel  corso  della
sua attivita' lavorativa, e' stato, fra l'altro, Segretario  generale
della Presidenza del Consiglio dei ministri e Capo di  Gabinetto  del
Ministro del tesoro e del Ministro dell'economia e delle finanze;  B)
esercita le funzioni di Consigliere di Stato a  far  data  dal  2001,
risultando al  contempo  titolare  di  un  trattamento  pensionistico
erogato da  un  soggetto  pubblico  (nella  specie  il  Senato  della
Repubblica);  C)  attualmente  e'  assegnato  alla  Seconda   Sezione
Consultiva ed alla Sezione atti normativi del Consiglio di Stato.  Il
Consigliere Giuseppe Castiglia rappresenta che: A)  nel  corso  della
sua  attivita'  lavorativa,  e'  stato,  fra   l'altro,   Consigliere
parlamentare e Vice Segretario generale del Senato della  Repubblica;
B) esercita le funzioni di Consigliere di Stato a far data dal  2011,
risultando al  contempo  titolare  di  un  trattamento  pensionistico
erogato da  un  soggetto  pubblico  (nella  specie  il  Senato  della
Repubblica);  C)  attualmente  e'  assegnato  alla   Quarta   Sezione
Giurisdizionale  del  Consiglio  di  Stato.  Il  Consigliere  Damiano
Nocilla rappresenta che: A) nel corso della sua attivita' lavorativa,
e' stato, fra l'altro, Capo dell'Ufficio legislativo della Presidenza
del Consiglio dei ministri e Segretario  generale  del  Senato  della
Repubblica; B) esercita le funzioni di Consigliere  di  Stato  a  far
data dal 2002, risultando al  contempo  titolare  di  un  trattamento
pensionistico erogato da un soggetto pubblico (nella specie il Senato
della Repubblica); C) attualmente e' assegnato alla  Seconda  Sezione
Consultiva ed alla Sezione atti normativi del Consiglio di Stato. 
    2.  Quindi  i  ricorrenti  procedono  ad  illustrare  il   quadro
normativo nel quale si inseriscono i provvedimenti  impugnati  con  i
ricorsi introduttivi evidenziando quanto segue: A)  di  recente  sono
state introdotte importanti misure di contenimento  della  spesa  nel
settore  pubblico,  anche  mediante  la  previsione  di   limiti   ai
trattamenti economici ed agli emolumenti  corrisposti  ai  dipendenti
pubblici, ai titolari di cariche elettive e ai titolari di  incarichi
con emolumenti a carico della finanza pubblica; B) in  tale  contesto
si inserisce l'art. 23-ter del  decreto-legge  6  n.  201  del  2011,
convertito dalla legge n. 214 del 2011, il quale, al comma  1,  primo
periodo, stabilisce che «con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, previo parere delle  competenti  Commissioni  parlamentari,
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della  legge  di
conversione  del  presente  decreto,  e'  definito   il   trattamento
economico annuo onnicomprensivo di chiunque  riceva  a  carico  delle
finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito  di  rapporti
di  lavoro  dipendente  o  autonomo  con  pubbliche   amministrazioni
statali, di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in
regime di diritto pubblico di cui all'art.  3  del  medesimo  decreto
legislativo, e successive modificazioni,  stabilendo  come  parametro
massimo di riferimento il trattamento economico del primo  presidente
della Corte di cassazione»; C) in attuazione di tale disposizione, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato il decreto 23 marzo
2012,  recante  «Limite  massimo   retributivo   per   emolumenti   o
retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o  autonomo
con le pubbliche amministrazioni statali», il quale dispone, all'art.
3, che «a decorrere dall'entrata in vigore del presente  decreto,  il
trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennita'
e le voci accessorie nonche' le eventuali remunerazioni per incarichi
ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse
da quella di appartenenza, dei soggetti di cui all'art.  2  [trattasi
dei  «soggetti  destinatari»  del  decreto]  non  puo'  superare   il
trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica  al
Primo Presidente della Corte di cassazione,  pari  nell'anno  2011  a
euro 293.658,95. Qualora superiore, si riduce al predetto limite»; D)
in seguito il legislatore e' nuovamente intervenuto sulla materia con
l'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, disponendo
che, ai fini del raggiungimento  del  predetto  tetto,  devono  esser
computati anche i trattamenti pensionistici  pregressi  eventualmente
percepiti  a  carico  di  gestioni  previdenziali  pubbliche;  E)  in
particolare quest'ultima disposizione prevede che «ai  soggetti  gia'
titolari   di   trattamenti   pensionistici   erogati   da   gestioni
previdenziali pubbliche,  le  amministrazioni  e  gli  enti  pubblici
compresi nell'elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, della legge 31
dicembre 2009,  n.  196,  e  successive  modificazioni,  non  possono
erogare  trattamenti  economici  onnicomprensivi  che,   sommati   al
trattamento  pensionistico,  eccedano  il  limite  fissato  ai  sensi
dell'art. 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
Nei trattamenti pensionistici di cui al presente comma sono  compresi
i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive»;  F)  il
terzo periodo della medesima disposizione, al fine di armonizzare  il
nuovo regime con le  posizioni  retributivo-previdenziali  in  essere
alla sua  entrata  in  vigore,  aggiunge  che  «sono  fatti  salvi  i
contratti e gli incarichi in corso fino alla loro  naturale  scadenza
prevista negli stessi», mentre  l'ultimo  periodo  prevede  che  «gli
organi costituzionali applicano i principi di cui al  presente  comma
nel rispetto dei propri ordinamenti»; G)  da  ultimo  l'art.  13  del
decreto-legge n. 66 del 2014, ha ridotto il tetto massimo fissato dal
decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  23  marzo  2012,
prevedendo che «a decorrere dal 1°  maggio  2014  il  limite  massimo
retributivo riferito al primo presidente della  Corte  di  cassazione
previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6  dicembre
2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22  dicembre
2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni,  e'  fissato
in euro 240.000  annui  al  lordo  dei  contributi  previdenziali  ed
assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente». 
    3. Cio' premesso i ricorrenti - nel rimarcare che i provvedimenti
impugnati,  adottati  dall'Amministrazione  per  dare  attuazione  al
suesposto quadro normativo, determinano un rilevantissimo  sacrificio
delle  loro  aspettative  economiche  -  avverso  tali  provvedimenti
deducono le seguenti censure. 
I) Violazione e falsa applicazione  dell'art.  1,  comma  489,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, anche in riferimento all'art.  23-ter
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito  in  legge
22 dicembre 2011, n. 214. 
    I ricorrenti - nel rammentare il fondamentale canone  ermeneutico
secondo il  quale  le  leggi  non  si  dichiarano  costituzionalmente
illegittime    perche'    e'    possibile    darne    interpretazioni
incostituzionali, ma perche'  e'  impossibile  darne  interpretazioni
conformi alla costituzione - si dolgono innanzi tutto del  fatto  che
l'Amministrazione non abbia ritenuto ad essi  applicabile  la  deroga
contenuta al terzo periodo dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147
del 2013, secondo il quale  «sono  fatti  salvi  i  contratti  e  gli
incarichi in corso fino alla loro naturale  scadenza  prevista  negli
stessi». In particolare i provvedimenti impugnati poggerebbero su una
lettura parziale ed errata della disposizione in commento perche'  la
stessa non puo' non riferirsi anche ai rapporti di  lavoro  a  regime
pubblicistico   intesi   nella   loro   globalita',   non   potendosi
legittimamente  differenziare  tra  rapporti   la   cui   prestazione
specifica consista nell'assolvimento di un «incarico», e rapporti  la
cui  prestazione  specifica  consista  nello   svolgimento   di   una
«funzione». In altri termini, secondo i  ricorrenti,  il  legislatore
avrebbe inteso far salvi i trattamenti in essere, sia che  ineriscano
al pubblico impiego privatizzato,  sia  che  ineriscano  al  pubblico
impiego non privatizzato, nel quale vengono  costituiti  rapporti  di
lavoro per i quali non avrebbe senso distinguere  tra  «incarichi»  e
«funzioni».  Del  resto,   a   conferma   dell'applicabilita'   della
disposizione derogatoria anche al pubblico impiego non  privatizzato,
rileverebbe il fatto che la stessa si pone in  evidente  parallelismo
con la stessa norma istitutiva del tetto massimo  di  cumulo  (l'art.
23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011),  la  quale,  al  comma  1,
indica come suo destinatario «chiunque riceva a carico delle  finanze
pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro
dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali,  di  cui
all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni [ossia il  pubblico  impiego  privatizzato],
ivi incluso il  personale  in  regime  di  diritto  pubblico  di  cui
all'art.  3  del   medesimo   decreto   legislativo,   e   successive
modificazioni [ossia  il  pubblico  impiego  non  privatizzato]».  Il
termine «incarico» comprenderebbe, quindi, qualunque conferimento  di
compiti da parte dell'Amministrazione, ivi compreso  il  conferimento
di funzioni nell'ambito di un rapporto di impiego  non  privatizzato,
come dimostra il fatto che, proprio  nell'ambito  della  disposizione
istitutiva del tetto (art. 23-ter cit.), il legislatore ha utilizzato
indifferentemente i due  termini,  prevedendo  al  comma  2  che  «il
personale  di  cui  al  comma  1  che  e'  chiamato,  conservando  il
trattamento   economico    riconosciuto    dall'amministrazione    di
appartenenza, all'esercizio di  funzioni  direttive,  dirigenziali  o
equiparate, anche in posizione  di  fuori  ruolo  o  di  aspettativa,
presso Ministeri o enti pubblici  nazionali,  comprese  le  autorita'
amministrative  indipendenti,  non  puo'  ricevere,   a   titolo   di
retribuzione o  di  indennita'  per  l'incarico  ricoperto,  o  anche
soltanto  per  il  rimborso  delle  spese,  piu'  del  25  per  cento
dell'ammontare  complessivo  del  trattamento  economico  percepito».
L'intenzione del legislatore di riferire la nuova disciplina a  tutte
le forme di pubblico impiego si desumerebbe  poi  dal  fatto  che  il
primo periodo del richiamato comma 489, nel disporre il  computo  nel
tetto   dei   «trattamenti   pensionistici   erogati   da    gestioni
previdenziali pubbliche», si  riferisce  a  tutti  i  trattamenti  in
questione, a prescindere dalla  fonte  generatrice  del  rapporto  di
lavoro  o  di  impiego,  e  quindi  sarebbe   internamente   illogico
uniformare il trattamento del lavoro privatizzato e  del  lavoro  non
privatizzato  dal  punto  di  vista   del   computo   del   tetto   e
differenziarlo dal punto di vista della salvaguardia delle situazioni
in essere. Infine i ricorrenti, a supporto delle  considerazioni  sin
qui svolte, invocano la circolare della Presidenza del Consiglio  dei
ministri, Dipartimento della  funzione  pubblica,  Servizio  studi  e
consulenza trattamento personale, n. 3 del 18 marzo 2014, che  -  nel
fornire  alcune  note  esplicative  per  l'applicazione  della  nuova
disciplina - non prevede alcuna diversita' di trattamento basata  sul
tipo rapporto di lavoro con l'Amministrazione. 
II) Eccesso di potere per difetto a di motivazione. 
    I ricorrenti si  dolgono  del  fatto  che  l'Amministrazione  nei
provvedimenti impugnati nulla dica in ordine alle ragioni che l'hanno
indotta a ritenere inapplicabile la deroga di cui all'art.  1,  comma
489, terzo periodo, della legge n. 147 del 2013 a coloro che svolgono
la funzione di Consigliere di Stato. 
III)  Illegittimita'  derivata  dei   provvedimenti   impugnati   per
illegittimita' costituzionale della disposizione dell'art.  1,  comma
489, della legge n. 147 del 2013. 
    I ricorrenti,  per  il  caso  in  cui  la  suddetta  disposizione
derogatoria fosse ritenuta ad essi non applicabile, sostengono che la
disciplina introdotta dall'art. 1, comma 489, della legge n. 147  del
2013  sarebbe  incostituzionale   sotto   molteplici   profili,   con
conseguente illegittimita' (derivata) degli  atti  applicativi  della
stessa. 
III.1) Disparita'  di  trattamento  e  violazione  del  principio  di
ragionevolezza. 
    Innanzi  tutto  i  ricorrenti  sostengono   che   la   disciplina
introdotta dall'art. 1, comma 489, della legge n.  147  del  2013  e'
incostituzionale nella parte in cui prevede la suddetta  disposizione
derogatoria,    perche'     regola     antiteticamente     situazioni
sostanzialmente identiche, senza alcuna giustificazione meritevole di
apprezzamento, e quindi determina gravi disparita' di  trattamento  e
contrasta con il principio  di  ragionevolezza.  Difatti,  secondo  i
ricorrenti, non sussisterebbero comprensibili ragioni per far salvi i
dipendenti contrattualizzati o  quelli  titolari  di  «incarichi»  in
quanto: A) ogni prestazione puo'  essere  indifferentemente  resa  in
regime  pubblicistico  o  privatistico,  ovvero  sulla  base  di   un
contratto individuale o  della  generale  disciplina  delle  mansioni
affidate al personale appartenente ad un  determinato  ruolo;  B)  la
scelta fra l'uno e l'altro regime spetta  alla  discrezionalita'  del
legislatore e non le e' sottesa una diversita' ontologica tra  questa
o quella prestazione o fra questa o quella categoria  di  lavoratori;
C)  un  criterio  distintivo  non  potrebbe  essere  rinvenuto  nella
differente durata del rapporto, perche' il contratto puo' ben  essere
(ed e' normalmente, nel caso di rapporto di  lavoro  privatizzato)  a
tempo  indeterminato  tanto  quanto  il  rapporto  di   impiego   dei
dipendenti non contrattualizzati; D) anche  quando  l'incarico  o  il
contratto e' a termine, non mancano esempi di incarichi (si  pensi  a
quelli dei componenti delle autorita' indipendenti)  e  di  contratti
dirigenziali che si estendono per un  arco  temporale  considerevole,
sovente  eccedente  il  residuo  arco  di  servizio  espletabile  dal
ricorrente  a  far  data  dall'introduzione  del  cumulo  e  fino  al
collocamento in quiescenza come Consigliere di  Stato.  Ne'  varrebbe
obiettare che nel caso in esame si pretende l'estensione di una norma
derogatoria, perche' la norma stessa  fa  salva  la  generalita'  dei
rapporti con l'Amministrazione. 
III.2) Violazione del principio  di  ragionevolezza  sotto  un  altro
profilo. 
    I ricorrenti - premesso che per la nomina a Consigliere di  Stato
l'art. 19, comma 2, della legge n. 186  del  1982  presuppone  l'aver
gia'  svolto  attivita'  di  professore  universitario  ordinario  di
materie giuridiche o di  avvocato  da  almeno  quindici  anni  ovvero
l'appartenenza alla dirigenza generale dei  Ministeri,  degli  organi
costituzionali e delle altre Amministrazioni pubbliche ovvero  ancora
l'avere la  qualifica  di  magistrato  di  Corte  d'appello  o  altra
equiparata - evidenziano che il legislatore stesso ha prefigurato uno
schema che generalmente comporta la coesistenza di un trattamento  di
quiescenza e di una nuova retribuzione. Difatti la  disciplina  della
nomina governativa dei Consiglieri di  Stato  mira  ad  acquisire  le
competenze piu'  solide  e  prestigiose  disponibili  nel  mondo  del
diritto, che sono naturaliter possedute proprio da coloro  che  hanno
gia' una rilevante attivita' professionale alle  spalle,  sicche'  la
coesistenza tra pensione e stipendio e' implicita nella ratio  stessa
della  legge  n.  186  del  1982.  Quindi  la  censurata   disciplina
determinerebbe una contraddizione interna al sistema delle fonti  che
regolano l'esercizio delle funzioni  di  Consigliere  di  Stato,  con
conseguente violazione del principio  di  ragionevolezza,  desumibile
dall'art. 3 Cost.. 
III.3) Violazione del principio della tutela dell'affidamento, di cui
agli articoli 3 e 117, comma 1, della Costituzione e all'art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    I ricorrenti - premesso che la Corte costituzionale ha piu' volte
precisato  come  la   facolta'   del   legislatore   di   intervenire
retroattivamente sui rapporti di durata trovi  limiti  insormontabili
nel rispetto del principio di ragionevolezza,  che  si  riflette  nel
divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento e  del
principio di tutela dell'affidamento, desumibili dall'art. 3 Cost.  -
sostengono che la censurata  disciplina,  nell'interpretazione  fatta
propria dall'Amministrazione resistente, determina il superamento dei
predetti  limiti.  In   particolare,   secondo   i   ricorrenti,   le
ingiustificate disparita' di trattamento  sarebbero  rese  palesi  da
quanto gia'  dedotto  sul  trattamento  differenziato  delle  diverse
categorie di dipendenti pubblici, mentre la lesione  dell'affidamento
discenderebbe dal fatto che essi, avendo meritato e maturato  sia  il
trattamento pensionistico sia il trattamento retributivo percepito in
qualita' di Consiglieri di Stato, avevano legittimamente  diritto  di
giovarsene a tempo  indeterminato.  Inoltre  nel  caso  in  esame  la
lesione del legittimo affidamento determinerebbe anche la  violazione
del combinato disposto dell'art. 117, comma 1,  Cost.  con  l'art.  6
della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo,  perche'  la  Corte
europea dei diritti dell'uomo ha piu'  volte  affermato  che,  tra  i
motivi imperativi di interesse generale che  giustificano  interventi
normativi retroattivi, non rientra l'ottenimento di un mero beneficio
economico per la finanza pubblica. Infine i ricorrenti rammentano che
anche la  Corte  di  giustizia  ha  precisato  come  nell'ordinamento
dell'Unione europea il principio dell'affidamento si sostanzia  nella
legittima aspettativa, riconosciuta a ciascun  soggetto  operante  in
quell'ordinamento,  a  che  non  si   realizzi   una   irragionevole,
retroattiva, modificazione del quadro giuridico di riferimento. 
III.4) Violazione degli articoli 3, 4, 36 e 38 della Costituzione. 
    I ricorrenti sostengono che  la  censurata  disciplina  contrasta
(per un ulteriore profilo) con il principio di ragionevolezza di  cui
all'art. 3 Cost., con il diritto ad  un'equa  retribuzione  (art.  36
Cost.), anche differita (art. 38 Cost.), con il diritto  alla  tutela
assistenziale e previdenziale (ancora art. 38 Cost.) e con il diritto
al lavoro (art. 4 Cost.) perche', per effetto di tale disciplina,  la
retribuzione  di  attivita'  lavorative  connotate  da   elevatissimi
standard qualitativi, svolte da funzionari pubblici in possesso di un
grado di preparazione di  assoluta  eccellenza,  viene  sottoposta  a
ingenti decurtazioni e in non  poche  ipotesi  addirittura  azzerata.
Difatti i ricorrenti, avendo ricoperto/svolto, in  anni  di  servizio
alle dipendenze dello Stato, delle  cariche/funzioni  apicali,  hanno
maturato  un  trattamento  pensionistico  di  ammontare  prossimo   o
superiore al tetto di 240.000,00 euro e, quindi,  si  troverebbero  a
svolgere  una  funzione  di   cruciale   importanza   e   di   grande
responsabilita' - qual e' quella di Consigliere di Stato - percependo
una retribuzione esigua o addirittura (in taluni  casi)  inesistente.
Ne' potrebbe opporsi che essi hanno volontariamente assunto lo status
che comporta le menzionate  decurtazioni  della  retribuzione  e  del
precedente  trattamento  retributivo;  difatti  l'orientamento  della
Corte  costituzionale  che  esclude  la   lesione   di   un   diritto
costituzionalmente garantito laddove il titolare dello stesso si  sia
posto,  attraverso  la  propria  condotta,   nelle   condizioni   che
determinano  la  compressione  del   diritto   stesso   non   sarebbe
applicabile nel caso in  esame  perche'  la  sovrapposizione  tra  la
pensione e la retribuzione e' la logica conseguenza dell'applicazione
della  legge  n.  186  del  1982,  sicche'  i  ricorrenti   medesimi,
accettando la nomina a Consigliere  di  Stato,  hanno  legittimamente
fatto  affidamento  nell'osservanza  di  tale  logica  da  parte  del
legislatore. Inoltre i ricorrenti deducono che per poter percepire il
proprio  precedente  trattamento  pensionistico   (corrispondente   a
cospicui   versamenti   contributivi   eseguiti   per   un    periodo
particolarmente lungo) dovrebbero rinunciare  a  svolgere  l'incarico
che gli e' stato attribuito; pertanto delle  due  l'una:  o  essi  si
rassegnano a percepire un trattamento pensionistico  non  commisurato
al  montante  contributivo  accumulato   e   una   retribuzione   non
commisurata  all'attivita'  professionale  prestata,  oppure   devono
rinunciare a svolgere l'attuale incarico, con conseguente  violazione
della  liberta'  di  esercitare  qualsivoglia  attivita'  lavorativa.
Infine i  ricorrenti  lamentano  la  violazione  dell'art.  38  della
Costituzione evidenziando che la  drastica  riduzione  o  addirittura
l'azzeramento della retribuzione precludono la  tutela  assistenziale
prevista  dall'ordinamento  soltanto  per  chi  versa   la   relativa
contribuzione. 
III.5) Violazione degli articoli 3, 95 e 97 della Costituzione. 
    I ricorrenti - premesso che la nomina governativa  di  una  parte
dei Consiglieri di Stato, da  scegliere  nella  platea  degli  aventi
titolo di cui all'art. 19, comma 2, della legge n. 186 del  1982,  e'
uno strumento di sicura rilevanza per lo svolgimento  delle  funzioni
confidate al  Consiglio  stesso,  dato  che  introduce  nell'Istituto
esperienze particolari di  amministrazione  attiva,  ne  accentua  la
specializzazione e aumenta il grado di conoscenza  del  funzionamento
della macchina amministrativa - deducono che la normativa  censurata,
penalizzando fortemente proprio le figure di maggiore spicco, finisce
per costringere il Governo ad indirizzare altrove le proprie scelte e
quindi contrasta, oltre che con il principio di ragionevolezza, anche
con il principio di buon  andamento  della  pubblica  amministrazione
(art. 97 Cost.), perche' la scelta non e' indirizzata ai migliori,  e
con l'affidamento al Governo  dell'indirizzo  politico-amministrativo
(art. 95 Cost.), perche' esso viene qui distolto dal suo approdo piu'
coerente e mortificato nella liberta' della sua esplicazione. 
III.6) Violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. 
    I ricorrenti - invocando  un  precedente  specifico  della  Corte
costituzionale (la sentenza n. 223 del 2012) e l'ordinanza di  questo
Tribunale n. 5693 del 2014  (con  la  quale  e'  stata  sollevata  la
questione  di  costituzionalita'   dell'art.   9,   comma   21,   del
decreto-legge n. 78 del 2010) - sostengono che la normativa censurata
istituisce un prelievo  di  natura  sostanzialmente  tributaria,  che
risulta pero' discriminatorio perche' grava soltanto  sui  pensionati
titolari di  incarichi  o  rapporti  di  lavoro  pubblici,  lasciando
indenne la  posizione  dei  pensionati  che  prestino  servizio  alle
dipendenze di un datore di  lavoro  privato  o  esercitino  attivita'
libero-professionale. 
III.7) Violazione degli  articoli  3,  100,  101,  104  e  108  della
Costituzione. 
    I  ricorrenti   -   premesso   che,   secondo   una   consolidata
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 223 del  2012,
n. 99 del 1995, n. 42 del 1993 e n. 238 del 1990),  una  disposizione
di  legge  che  incide  in  peius  sul  trattamento  retributivo  dei
magistrati e' legittima purche' abbia natura  eccezionale  e  portata
temporale limitata e sia comunque inserita in un  ragionevole  e  non
arbitrario  intervento  perequativo  fra  categorie  di  cittadini  -
sostengono che cio' non accade nel caso in esame,  perche'  il  tetto
massimo agli emolumenti, oltre ad  incidere  retroattivamente  su  un
trattamento  retributivo  e  su  un  trattamento  previdenziale  gia'
maturati,  non  persegue  un  intervento  perequativo,  non   essendo
applicabile a tutte le categorie dei percettori di reddito, ma solo a
quella  di  chi  si  trova  alle  dipendenze  della   Amministrazioni
pubbliche. Ne consegue  la  violazione  delle  invocate  disposizioni
costituzionali poste a garanzia dell'indipendenza di tutti coloro che
sono chiamati ad esercitare funzioni giurisdizionali, ivi compresi  i
magistrati amministrativi. 
III.8) Violazione dell'art. 23 della Costituzione. 
    Da ultimo i ricorrenti lamentano la violazione dalla  riserva  di
legge sancita dell'art. 23  Cost.  per  le  prestazioni  patrimoniali
imposte, evidenziando che la  normativa  censurata  non  definisce  i
criteri per la propria applicazione, lasciando del tutto  indefinita,
ad esempio, la questione delle  modalita'  di  recupero  delle  somme
eccedenti  il  tetto  gia'  percepite  o  quella  della  sorte  della
copertura assicurativa. 
    4. I Consiglieri di  Stato  Claudio  Boccia,  Antonino  Anastasi,
Rocco Antonio Cangelosi,  Carlo  Mosca,  Carlo  Schilardi,  Paolo  De
Ioanna, Giuseppe Castiglia, Damiano Nocilla, con i ricorsi per motivi
aggiunti  in  epigrafe  indicati  hanno   impugnato   gli   ulteriori
provvedimenti adottati dall'Amministrazione  nei  loro  confronti  in
attuazione della disciplina introdotta dall'art. 1, comma 489,  della
legge n. 147 del 2013. 
    5. I ricorrenti con memorie depositate in data 22 gennaio 2016  -
nel  rappresentare  che  la  prima  Sezione  questo   Tribunale   con
l'ordinanza 17 aprile 2015, n. 5715  ha  sollevato  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 489,  della  legge  n.
147  del  2013  -  hanno  evidenziato  innanzi  tutto  che  i   dubbi
prospettati con tale ordinanza sono in parte  analoghi  a  quelli  da
essi prospettati con  i  ricorsi  in  epigrafe  indicati,  avendo  ad
oggetto: A) la violazione dell'art. 36 della Costituzione, in ragione
del  fatto  che  essi  per  effetto  della  censurata  disciplina  si
troverebbero a  svolgere  la  funzione  di  Consigliere  di  Stato  -
percependo una retribuzione esigua  se  non  addirittura  inesistente
(cfr. il motivo III.4); B) la violazione degli articoli 3 e 97  della
Costituzione, in  ragione  del  fatto  che  la  normativa  censurata,
penalizzando le figure di maggiore spicco, finisce per costringere il
Governo ad indirizzare altrove le  proprie  scelte  (cfr.  il  motivo
III.5); C) la violazione dell'art. 38 della Costituzione, in  ragione
del fatto che chi non percepisce uno stipendio non  ha  diritto  alla
tutela assistenziale prevista dall'ordinamento, riconosciuta  solo  a
chi versa la relativa contribuzione (cfr. il  motivo  III.4);  D)  la
violazione delle disposizioni degli articoli  100,  101,  104  e  108
della Costituzione,  poste  a  presidio  dell'indipendenza  di  tutti
coloro che esercitano o possono esercitare  funzioni  giurisdizionali
(ivi compresi i magistrati amministrativi). Inoltre  hanno  insistito
affinche'  vengano  sollevate  anche  le   ulteriori   questioni   di
legittimita'  prospettate  con  in  ricorsi  in  epigrafe   indicati,
incentrate: A) sulla violazione del  principio  di  ragionevolezza  e
sulla disparita' di trattamento tra  dipendenti  contrattualizzati  o
titolari di incarichi e dipendenti  non  contrattualizzati  (cfr.  il
motivo  III.1);  B)  sull'ulteriore  violazione  del   principio   di
ragionevolezza  connessa  al  contrasto  con  la   disciplina   posta
dall'art. 19, comma 2,  della  legge  n.  186/1982  (cfr.  il  motivo
III.2); C) sulla violazione dell'art. 23 della Costituzione (cfr.  il
motivo III.8); D) sulla violazione degli articoli 3, 95  e  97  della
Costituzione  (cfr.  il  motivo  III.5);  E)  sulla  violazione   del
principio della tutela dell'affidamento, di cui  agli  articoli  3  e
117, comma 1, della  Costituzione  e  all'art.  6  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (cfr. il motivo  III.3).  Infine  hanno
precisato che nel caso in esame  non  sussistono  i  presupposti  per
disporre la c.d. sospensione impropria del giudizio per  pendenza  di
un'analoga questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  in
altro giudizio (ossia in quello nel quale  e'  stata  pronunciata  la
suddetta ordinanza n. 5715/2015), perche'  essi  hanno  interesse  ad
interloquire innanzi alla Corte costituzionale. 
    6. La Difesa erariale dapprima con separate memorie depositate in
data 18 ottobre  2014  ha  eccepito  l'infondatezza  delle  suesposte
censure osservando, in particolare, che: A) la  disciplina  dell'art.
1, comma 489, della legge n. 147 del  2013  e'  stata  introdotta  in
attuazione del  principio  di  pareggio  del  bilancio,  sancito  dal
novellato art. 81 della Costituzione e  mira  al  contenimento  della
spesa  nel  settore  pubblico;  B)  la  clausola  che  salvaguarda  i
contratti e gli incarichi in corso fino alla loro  naturale  scadenza
non si applica ai rapporti a tempo indeterminato regolati da norme di
legge o  da  contratti  collettivi,  essendo  volta  a  garantire  la
certezza di situazioni  giuridiche  derivanti  da  rapporti  a  tempo
determinato, aventi fonte convenzionale e regolati da  una  specifica
disciplina in base alla quale le parti hanno  raggiunto  l'accordo  e
assunto le rispettive obbligazioni. Quindi con memoria depositata  in
data 3 febbraio 2016 - oltre a rilevare che la prima  Sezione  questo
Tribunale con l'ordinanza n. 5715 del 2015 ha gia' ritenuto infondate
talune delle questioni legittimita'  costituzionale  prospettate  dai
ricorrenti - ha eccepito  l'infondatezza  delle  ulteriori  questioni
sollevate con la  predetta  ordinanza.  In  particolare,  secondo  la
Difesa erariale, la disciplina posta dall'art. 1,  comma  489,  della
legge n. 147 del 2013 non viola:  A)  gli  articoli  3  e  97  Cost.,
perche' concorre ad  assicurare,  mediante  il  rispetto  del  limite
retributivo, una piu' equa redistribuzione di risorse  pubbliche;  B)
gli articoli 36 e  38  Cost.,  perche'  non  limita  direttamente  il
trattamento economico o previdenziale connesso  allo  svolgimento  di
una  qualsivoglia  attivita'  lavorativa,   bensi'   il   cumulo   di
trattamenti economici posti a carico della finanza pubblica,  sicche'
le  decurtazioni  sul  trattamento  economico  corrisposto   per   le
attivita' svolte successivamente al collocamento in  quiescenza  sono
meramente eventuali, perche' operano  solo  nei  casi  in  cui  venga
superato il tetto posto dall'art. 13, comma 1, del  decreto-legge  n.
66/2014; C) gli articoli 97, 100, 101, 104 e 108  Cost.,  perche'  ai
fini del rispetto del tetto non e' in discussione  la  corresponsione
della retribuzione, ma il solo trattamento complessivo, derivante dal
cumulo  tra  il  trattamento  previdenziale   in   godimento   e   la
retribuzione corrisposta in virtu' in un nuovo rapporto - liberamente
accettato dall'interessato - che determina il superamento  del  tetto
retributivo. 
    7. Alla pubblica udienza del 24  febbraio  2016  i  ricorsi  sono
stati chiamati e trattenuti per la decisione. 
    8. In via  preliminare  il  Collegio  ritiene  che  sussistano  i
presupposti per disporre, ai sensi dell'art. 70 cod. proc.  amm.,  la
riunione dei  ricorsi  in  epigrafe  indicati,  sussistendo  evidenti
ragioni di connessione oggettiva. 
    9. Passando al merito, il Collegio ritiene - anche  sulla  scorta
di  quanto   affermato   dalla   prima   Sezione   questo   Tribunale
nell'ordinanza n.  5715  del  2015,  pronunciata  nell'ambito  di  un
giudizio analogo a quello di  esame,  promosso  da  magistrati  della
Corte dei conti - che siano rilevanti e non manifestamente  infondate
talune delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate dai
ricorrenti, alla luce delle seguenti considerazioni. 
    10. Innanzi tutto, in punto di rilevanza il Collegio osserva:  A)
da  un  lato,  che  i  provvedimenti  impugnati   trovano   la   loro
indefettibile base normativa nell'art. 1, comma 489, della  legge  n.
147 del 2013, sicche' il suo eventuale annullamento  da  parte  della
Corte  costituzionale  comporterebbe  l'illegittimita'  derivata  dei
provvedimenti  impugnati,  e  sono  evidenti  i  notevoli  pregiudizi
economici che  derivano  ai  ricorrenti  da  tali  provvedimenti;  B)
dall'altro, che non colgono nel segno le censure dedotte con i  primi
due motivi dei ricorsi introduttivi e ribadite con i motivi aggiunti.
Difatti, come gia' rilevato  dalla  prima  Sezione  questo  Tribunale
nella  suddetta  ordinanza  n.  5715  del   2015,   la   disposizione
derogatoria che fa «salvi i contratti e gli incarichi in  corso  fino
alla loro naturale scadenza prevista negli  stessi»  si  riferisce  a
«tutti i rapporti - indifferentemente di diritto privato  o  pubblico
... - che a quel momento, peraltro, non solo  erano  gia'  in  corso,
bensi' erano anche individuati da un naturale termine di  «scadenza»,
e  non  gia',  quindi,  per  l'esercizio  in  atto  di  una  funzione
giurisdizionale «togata» e non onoraria, ovverosia svolta  a  seguito
dell'inserimento a pieno titolo in un plesso giurisdizionale, con  la
conseguente creazione di un  rapporto  d'ufficio  caratterizzato  non
gia' da una prefissata temporaneita' bensi' - al  contrario  -  dalla
stabilita' ed anzi dalla garanzia di inamovibilita'».  Coglie  quindi
nel segno la Difesa erariale quando afferma che la deroga relativa ai
contratti e agli incarichi in  corso,  limitata  alla  loro  naturale
scadenza, non si applica ai ricorrenti in quanto titolari di rapporti
di lavoro a tempo  indeterminato  regolati  da  norme  di  legge.  In
ragione di quanto precede il Collegio ritiene che: A) il primo motivo
di ricorso  non  possa  essere  accolto  perche'  muove  dall'erroneo
presupposto  che  la  suddetta  disposizione  derogatoria  crei   una
ingiustificata disparita' di trattamento tra  rapporti  di  lavoro  a
regime pubblicistico e rapporti a  regime  pubblicistico,  mentre  in
realta' la disposizione determina una ragionevolmente distinzione tra
rapporti  di  lavoro  a  tempo  indeterminato  e  rapporti  a   tempo
determinato; B) di conseguenza neppure il secondo motivo possa essere
accolto, perche' l'Amministrazione non era tenuta  a  dare  conto  in
motivazione  delle  ragioni  per  cui  ha  ritenuto  applicabile   ai
ricorrenti,  soggetti  titolari  di  rapporti  di  lavoro  a   regime
pubblicistico a tempo indeterminato,  la  disciplina  del  tetto  dei
trattamenti economici sancita dall'art. 1, comma 489, della legge  n.
147 del 2013. 
    11.  Le  considerazioni  sin  qui  svolte  valgono   altresi'   a
dimostrare  l'infondatezza  della  prima  questione  di  legittimita'
costituzionale prospettata dai ricorrenti. Difatti, a  differenza  di
quanto affermato da  costoro,  la  disposizione  derogatoria  che  fa
«salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla  loro  naturale
scadenza prevista negli stessi» non si riferisce a tutti i dipendenti
della  pubblica  amministrazione  titolari  di  rapporti  di   lavoro
privatizzati  e  contrattualizzati,  perche'  -  come   correttamente
evidenziato dalla Difesa erariale -  la  deroga  non  si  applica  ai
rapporti a tempo indeterminato  regolati  da  norme  di  legge  o  da
contratti collettivi, ma solo ai rapporti a tempo determinato su base
convenzionale tra amministrazioni pubbliche e soggetti  privati.  Ne'
vi e' motivo di ritenere che la salvaguardia dei rapporti di lavoro a
tempo  determinato  determini  una   ingiustificata   disparita'   di
trattamento, perche' e' possibile ipotizzare una violazione dell'art.
3  della  Costituzione  solo  in  presenza  di  situazioni  tra  loro
comparabili, mentre i rapporti di lavoro a tempo determinato non sono
evidentemente comparabili con quelli a tempo indeterminato. 
    12. Parimenti infondata risulta  la  questione  incentrata  sulla
violazione del principio della tutela dell'affidamento, di  cui  agli
articoli 3 e 117, comma 1, della  Costituzione  e  all'art.  6  della
Convenzione  europea  dei  diritti   dell'uomo.   In   proposito   e'
sufficiente ribadire le considerazioni svolte al riguardo dalla prima
Sezione questo Tribunale. Difatti nella suddetta  ordinanza  n.  5715
del 2015 e' stato posto in rilevo quanto segue: A) «la previsione  di
compensi e trattamenti pensionistici massimi a carico  della  finanza
pubblica per i singoli  soggetti  titolari  di  pubblici  uffici  non
appare  intrinsecamente  illogica  o  negativa   ai   fini   di   una
razionalizzazione della c.d. «giungla retributiva»  che  storicamente
ha caratterizzato - secondo numerose  indagini  del  Parlamento,  del
Governo e di Organi  indipendenti  -  un'Amministrazione  non  sempre
caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre -  dal  punto
di vista dei singoli trattamenti  retributivi  oggetto  del  presente
giudizio - all'atto dell'accettazione della  nomina  alla  Corte  dei
conti gli interessati -anche in virtu'  delle  stesse  competenze  ed
esperienze professionali che ne avevano motivato la scelta - erano  o
ben potevano essere a conoscenza delle recenti misure di legge  volte
al  contenimento  della  spesa  pubblica  ed  adottate   proprio   su
iniziativa dello stesso Potere Esecutivo che  li  aveva  proposti  al
nuovo incarico, di modo che - da un lato - l'accettazione non  poteva
non implicare la piena consapevolezza circa i prevedibili  limiti  al
proprio compenso e - dall'altro - la proposta di nomina assolutamente
fiduciaria da parte del Governo non poteva ragionevolmente  suscitare
l'aspettativa di un trattamento differenziato quanto alla  sorte  del
proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto  cio'  si
sarebbe tradotto in una ampissima facolta' di deroga  del  Governo  -
rispetto alle norme da esso proposte - in favore di singoli  soggetti
dallo  stesso  individuati,  suscitando   profili   di   problematica
coesistenza con i principi di legalita' ed uguaglianza  davanti  alla
legge sanciti dal nostro ordinamento»; B) «il  nuovo  generale  tetto
economico in  esame  risponde  agli  obiettivi  d'interesse  pubblico
lasciati  alla  discrezionalita'  dei   singoli   Stati   quanto   al
contenimento,  alla  trasparenza  ed  alla  congruita'  della   spesa
pubblica, nel quadro  dei  doveri  di  solidarieta'  sociale  di  cui
all'art. 2 della  Costituzione  e  dei  principi  di  buon  andamento
dell'amministrazione  di   cui   all'art.   97,   mentre   la   Corte
costituzionale ha piu' volte chiarito che, salvi i limiti in  materia
penale derivanti dall'art. 25, comma 2, Cost., non  e'  in  linea  di
principio  precluso  al  legislatore  intervenire   per   mutare   la
disciplina dei rapporti di durata in corso,  anche  con  disposizioni
che modificano in senso sfavorevole situazioni  soggettive  perfette,
purche' nel limite del rispetto del principio di eguaglianza ex  art.
3 Cost. e del principio di affidamento dei cittadini nella  sicurezza
giuridica, che - come sopra chiarito -  non  appaiono  violati  nella
fattispecie in esame (in senso conforme, Corte costituzionale, sentt.
n. 92 del 2013, n. 166 del 2012, n. 525 del 2000, n. 211 del 1997, n.
409 del 1995) ». 
    13.  Anche  con  riferimento  alla  questione  incentrata   sulla
violazione degli articoli 3  e  53  della  Costituzione,  valgono  le
considerazioni svolte dalla prima Sezione questo  Tribunale.  Difatti
nella suddetta ordinanza n. 5715 del 2015 e' stato evidenziato quanto
segue:  «le  descritte  finalita'  di  contenimento,  trasparenza   e
razionalizzazione   della    spesa    pubblica    determinano,    non
irragionevolmente,  una  progressiva  decurtazione,  disciplinata  ex
lege, dei possibili ulteriori redditi  al  raggiungimento  del  tetto
prefissato,  indifferenziatamente  applicata  a  tutti   i   compensi
comunque posti a carico della finanza pubblica, senza che cio'  possa
generare, proprio per la sua trasversalita', indebite  disparita'  di
trattamento, divenendo quindi non rilevante, ai fini del  giudizio  a
quo, la sua invocata qualificazione quale  imposizione  fiscale,  che
sembra comunque doversi escludere, in quanto  la  legge,  in  estrema
sintesi, pone un «tetto» a regime all'erogazione a chiunque di  somme
a titolo retributivo e pensionistico poste  a  carico  della  finanza
pubblica, anziche' imporre un prelievo forzoso sulle somme  percepite
dal singolo interessato oltre il tetto prefissato». 
    14.  Diverse  considerazioni  valgono   per   le   questioni   di
legittimita'  costituzionale  incentrate   sulla   violazione   degli
articoli 3, 4, 36 e 38 Cost.,  degli  articoli  3,  95  e  97  Cost.,
nonche' degli  articoli  100,  101,  104  e  108  Cost.,  perche'  il
meccanismo  del  tetto  massimo  degli  emolumenti  comporta  che  la
remunerazione  della  funzione  di  Consigliere  di   Stato   risulti
fortemente ridotta o  del  tutto  azzerata,  con  una  corrispondente
decurtazione dei contributi  previdenziali  e,  di  conseguenza,  del
trattamento pensionistico derivante dall'accumulo  di  tale  montante
contributivo, si' da determinare: A) una violazione  del  diritto  al
lavoro  e  ad  una  retribuzione  «proporzionata  alla  quantita'   e
qualita'» del lavoro prestato; B) una disparita' di  trattamento  fra
soggetti che  svolgono  la  medesima  attivita'  ed  una  irrazionale
organizzazione della Giustizia amministrativa;  C)  un  indebolimento
delle  garanzie  di  indipendenza   nell'esercizio   delle   funzioni
giurisdizionali. 
    15. In particolare, con riferimento alla  prospettata  violazione
degli articoli 3, 4, 36 e 38 Cost., nella suddetta ordinanza n.  5715
del 2015 e' gia' stato posto in rilievo quanto segue: A) «il Collegio
ritiene  che  debba  essere  preso  in  considerazione  non  il   pur
elevatissimo standard qualitativo dell'attivita' svolta da funzionari
pubblici  in  possesso  di  un  grado  di  preparazione  di  assoluta
eccellenza per aver ricoperto in anni  di  servizio  alle  dipendenze
dello Stato cariche apicali (avendo di conseguenza maturato l'elevato
trattamento pensionistico «causa» del taglio del compenso), in quanto
cio' potrebbe giustificare anche un incarico «onorario»,  in  ipotesi
anche gratuito, bensi' la circostanza dello svolgimento continuativo,
con lo stabile ed organico inserimento nel relativo  organico  e  con
particolari garanzie di stabilita',  della  funzione  di  Consigliere
della Corte dei conti, con l'assunzione da parte degli interessati di
tutte le connesse prerogative e delicate e - non da oggi -  rilevanti
responsabilita', di natura professionale e  civile,  per  il  proprio
operato.   I   tratti   fondamentali   dell'attivita'   professionale
stabilmente svolta dai ricorrenti, a seguito della nomina alla  Corte
dei conti, sotto la propria responsabilita' e con  pieno  inserimento
organico, nell'ambito di una  «magistratura  togata»  vale  dunque  a
configurare l'esercizio di una vera e  propria  e  stabile  attivita'
lavorativa professionale, differenziando la fattispecie in esame  dai
numerosi casi di svolgimento (talvolta  essenzialmente  gratuito)  di
pubblici uffici «onorari», di volta  in  volta  motivati  da  alte  e
peculiari competenze (come accade per i Tribunali per i minori) o  da
meccanismi  di  sorteggio  nell'ambito  di  platee  in  possesso   di
particolari requisiti (come accade per le giurie popolari), anche  ai
fini dell'esercizio della sovranita'  popolare  (come  accade  per  i
seggi  elettorali)  »;  B)  «la  scelta  dello  Stato,  mediante   la
disposizione di legge in esame, di continuare ad avvalersi del  pieno
apporto professionale dei  ricorrenti  (nulla  la  norma  dicendo  al
riguardo,  salve  le  loro  eventuali  dimissioni  per  evitare,   in
applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013,  di
prestare attivita' lavorativa non retribuita o retribuita in  maniera
estremamente esigua), anziche' disciplinare normativamente  l'ipotesi
in esame (ad esempio,  prevedendo  la  incompatibilita'  o  decadenza
ovvero una opzione per funzioni differenziate con minore  compenso  o
del  tutto  onorarie  e  gratuite)  e  al   tempo   stesso   di   «di
auto-esonerarsi» in tutto o in parte  dalla  loro  retribuzione  (non
ponendo la norma alcuna deroga al tetto a tale riguardo), pur  avendo
esso  Stato  chiesto  agli  interessati  di  svolgere  tale  funzione
mediante  la  proposta  di  nomina  alla  funzione  (retribuita)   di
Consigliere della Corte dei conti -  dichiaratamente  motivata  dalla
loro eccellenza professionale in ragione della delicatezza  e  quindi
dell'impegno delle funzioni da svolgere -  appare  costituzionalmente
irragionevole, con la conseguente possibile violazione dell'art.  36,
primo  comma,  della  Costituzione,  quanto   al   diritto   ad   una
retribuzione proporzionata alla quantita' (oltreche'  alla  qualita')
del lavoro, nonche', indirettamente, dell'art. 38 della Costituzione,
in quanto la drastica riduzione  o  addirittura  l'azzeramento  della
retribuzione - e quindi della relativa contribuzione - precludono  la
conseguente   implementazione   della    tutela    assistenziale    e
previdenziale  garantita  dall'ordinamento».  Alla   luce   di   tali
condivisibili considerazioni, al Collegio resta solo  da  evidenziare
che le stesse valgono evidentemente anche per i  ricorrenti.  Difatti
costoro,  attraverso  le  rispettive  pregresse   esperienze,   hanno
maturato  un  trattamento  pensionistico  di  ammontare  prossimo   o
superiore al tetto di 240.000,00 euro e, quindi,  si  troverebbero  a
dover svolgere una  funzione  di  cruciale  importanza  e  di  grande
responsabilita' - qual e' quella di Consigliere di Stato - percependo
una retribuzione esigua o addirittura azzerata. 
    16. Quanto poi alla prospettata violazione degli articoli 3, 95 e
97  Cost.,  il  Collegio  osserva  innanzi  tutto  che  anche  per  i
Consiglieri Stato di nomina  governativa,  del  tutto  equiparati  ai
Consiglieri Stato vincitori di concorso e a quelli  provenienti  dati
Tribunali amministrativi regionali, valgono evidentemente le seguenti
considerazioni, svolte nell'ordinanza n. 5715 del 2015: «premessa  la
determinazione   delle   sfere   di   competenza,   attribuzioni    e
responsabilita' in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso
ovvero di nomina governativa, la disposizione di legge  che  pone  il
tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia  nell'ambito
di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi di  retribuzione
a seguito del raggiungimento del tetto, senza  disciplinare  la  loro
sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile di  determinare,  da  un
lato,  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  quanto  alla
retribuzione ovvero mancata  retribuzione  della  medesima  attivita'
professionale,  e,  dall'altro,  una   irragionevole   organizzazione
contraria al buon andamento amministrativo mediante l'indifferenziato
affidamento, a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito,  di  funzioni
di dichiarata rilevanza, impegno e delicatezza, atteso che  anche  la
retribuzione dei funzionari pubblici deve rispondere -  alla  stregua
del Trattato, della Convenzione europea e  degli  articoli  36  e  97
della Costituzione, ad un rapporto  sinallagmatico  («proporzionato»)
riguardo alla quantita' e qualita' del  lavoro  svolto,  non  potendo
quindi essere considerati fungibili il trattamento pensionistico  per
un'attivita' precedente e il compenso per un'attivita' in  atto,  ove
consentita  nell'ambito  dei  diritti  di  liberta'  garantiti  dalla
Costituzione». Inoltre - posto che il  sistema  di  reclutamento  dei
Consiglieri di Stato per nomina governativa (e' questo  il  caso  dei
ricorrenti) mira a valorizzare le migliori  competenze  professionali
disponibili nell'Amministrazione, che generalmente si  rinvengono  in
coloro che hanno accumulato  maggiore  anzianita'  e  accantonato  un
montante  contributivo  tale  da  dar  luogo  ad  un  trattamento  di
quiescenza destinato a  sommarsi  al  trattamento  retributivo  -  il
Collegio ritiene che, come correttamente osservato dai ricorrenti, la
censurata disciplina finisca per penalizzare  proprio  le  figure  di
maggiore spicco, con l'effetto di disincentivare la nomina di  coloro
che possono vantare i  migliori  titoli  e  le  migliori  esperienze,
perche' costoro dovrebbero esercitare le funzioni di  Consigliere  di
Stato senza una retribuzione adeguata; pertanto  il  Governo  sarebbe
costretto ad indirizzare altrove  le  proprie  scelte,  con  evidente
violazione del principio di ragionevolezza e del  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione (articoli  3  e  97  Cost.),
perche' le  scelte  non  sarebbero  indirizzate  alla  selezione  dei
migliori,  e  della  norma  che   affida   al   Governo   l'indirizzo
politico-amministrativo (art. 95 Cost.), che viene distolto  dal  suo
approdo  piu'  coerente  e  mortificato  nella  liberta'  della   sua
esplicazione. 
    17. Inoltre non  manifestamente  infondata  appare  la  questione
incentrata sulla violazione degli articoli 100, 101, 104 e 108 Cost.,
in ragione del  possibile  vulnus  allo  status  di  indipendenza  ed
autonomia  dei  magistrati,  protetto  dalle  predette   disposizioni
costituzionali. Difatti - come osservato dai ricorrenti  -  la  Corte
costituzionale ha piu' volte ribadito (sentenze n. 223 del  2012,  n.
99 del 1995, n. 42 del 1993 e n. 238 del 1990) che  una  disposizione
di  legge  che  incide  in  peius  nel  trattamento  retributivo  dei
magistrati e' legittima purche' abbia natura  eccezionale  e  portata
temporale limitata e sia comunque inserita in un  ragionevole  e  non
arbitrario intervento perequativo fra categorie di cittadini.  Tanto,
pero', non accade nel caso in esame, perche' il  tetto  massimo  agli
emolumenti, oltre ad  incidere  retroattivamente  su  un  trattamento
retributivo e su un  trattamento  previdenziale  gia'  maturati,  non
persegue un intervento perequativo, non essendo diretta  a  tutte  le
categorie dei percettori di reddito. Ne consegue la violazione  delle
menzionate   disposizioni    costituzionali    poste    a    presidio
dell'indipendenza ed autonomia dei magistrati. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Seconda), non definitivamente pronunciando  sui  ricorsi  riuniti  n.
10904/2014,  n.  10905/2014,  n.  10906/2014,   n.   10910/2014,   n.
10912/2014, n. 10965/2014, n. 10966/2014 e n. 10968/2014,  visti  gli
articoli 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1, e  23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87, riservata ogni altra pronuncia nel merito e  sulle
spese, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge 27
dicembre 2013, n. 147, in relazione agli articoli 3, 4, 36,  38,  95,
97, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti costituite e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva al definitivo ogni statuizione  in  rito,  nel  merito  e
sulle spese. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  24
febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati: 
 
    Antonino Savo Amodio, Presidente; 
    Elena Stanizzi, consigliere; 
    Carlo Polidori, consigliere, estensore. 
 
                     Il Presidente: Savo Amodio 
 
 
                                                L'estensore: Stanizzi