N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 settembre 2016
Ordinanza del 6 settembre 2016 del Tribunale di Perugia nel procedimento civile promosso da Volpi Mauro e altri contro Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero dell'interno. Elezioni - Disposizioni in materia di elezioni della Camera dei deputati (c.d. "Italicum") - Premio di maggioranza - Attribuzione di 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, il maggior numero di voti validi al ballottaggio - Ripartizione proporzionale ed assegnazione dei seggi tra le restanti liste. - Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati), artt. 1, comma 1, lett. f), e 2, comma 25, in relazione al novellato art. 83, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati). Elezioni - Disposizioni in materia di elezioni della Camera dei deputati (c.d. "Italicum") - Previsione per il deputato eletto in piu' collegi plurinominali dell'obbligo di dichiarare al Presidente della Camera, entro otto giorni dalla proclamazione, il collegio plurinominale prescelto e, in caso di mancata opzione, previsione del sorteggio. - Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati), art. 2, comma 27, in relazione al novellato art. 85 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati).(GU n.41 del 12-10-2016 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI PERUGIA Seconda Sezione Civile Nella causa civile iscritta al n. 6905/2015 R.G. promossa da Mauro Volpi, Michele Guaitini, Tiziana Ciprini, Adriana Eden Susanna Galgano, Filippo Gallinella, Luigino Ciotti, Andrea Maori, Nicoletta Bernardi, Massimo Panella, Maria Beatrice Ricciardi, Ovidio Fressoia, Maurizio Francesco Giacobbe, Mario Martini, Elisabetta Chiacchella, Candido Balucca, Mario Albi, Roberta Perfetti, Luigi Branchetti, Lucina Paternesi Meloni, Luigi Cesarini, Geraldina Rindinella e Anna Rita Fiorini Granieri, ricorrenti, contro la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'interno, resistenti. Il Giudice dott. Michele Moggi; Esaminati atti e documenti di causa; A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 21 giugno 2016; Ha pronunciato la seguente ordinanza. Con ricorso ex art. 702-bis del codice di procedura civile depositato il 30 novembre 2015, Mauro Volpi, Michele Guaitini, Tiziana Ciprini, Adriana Eden Susanna Galgano, Filippo Gallinella, Luigino Ciotti, Andrea Maori, Nicoletta Bernardi, Massimo Panella, Maria Beatrice Ricciardi, Ovidio Fressoia, Maurizio Francesco Giacobbe, Mario Martini, Elisabetta Chiacchella, Candido Balucca, Mario Albi, Roberta Perfetti, Luigi Branchetti, Lucina Paternesi Meloni, Luigi Cesarini, Geraldina Rindinella e Anna Rita Fiorini Granieri, premesso di essere elettori residenti nella Regione Umbria e richiamati i principi espressi da Cassazione civile, sez. I. 17 maggio 2013, n. 12060 nonche' da Corte costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1, con riferimento alla precedente legge elettorale, esponevano che il loro diritto di voto costituzionalmente garantito era stato compromesso da alcune norme della nuova legge elettorale 6 maggio 2015, n. 52, la quale aveva modificato il decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 e, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale, chiedevano l'accertamento di tale lesione. Ritualmente instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione d'udienza, i resistenti Presidenza dei Consiglio dei ministri e Ministero dell'interno si costituivano il 13 aprile 2016; eccepivano preliminarmente l'inammissibilita' del procedimento sommario, in quanto la controversia verteva in materia non ricompresa nelle ipotesi previste dagli articoli 22, 23 e 24 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, con riferimento alla materia elettorale ed in quanto in tale procedimento il Giudice non avrebbe potuto sollevare questione di legittimita' costituzionale, nonche' l'inammissibilita' della domanda per difetto di interesse ad agire in quanto la legge elettorale citata sarebbe stata applicabile solo successivamente al 1° luglio 2016; nel merito, contestavano la sussistenza delle lesioni al diritto costituzionale di voto lamentate dai ricorrenti e concludevano per il rigetto della domanda. La causa veniva istruita solo con la produzione di documenti. All'udienza del 21 giugno 2016, il Giudice, uditi i procuratori delle parti, riservava la decisione. La domanda oggetto del presente procedimento sommario e' una domanda di accertamento della lesione del diritto di voto, per come costituzionalmente garantito, in conseguenza dell'approvazione della legge 6 maggio 2015, n. 52, contenente «Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati» (il c.d. «Italicum»). A fronte di' tale domanda, le amministrazioni resistenti hanno preliminarmente eccepito l'inammissibilita' del procedimento c.d. sommario, in quanto la domanda proposta non rientra nella materia elettorale disciplinata dagli articoli 22, 23 e 24 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150. A tal proposito, e' pur vero che la domanda oggetto della presente controversia non rientra nell'ambito di applicazione degli articoli 22, 23 e 24 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, i quali disciplinano le azioni popolari e le controversie in materia di eleggibilita', decadenza e incompatibilita' nelle elezioni comunali. provinciali e regionali, le azioni in materia di eleggibilita' e incompatibilita' nelle elezioni per il Parlamento europeo e l'impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in materia di iscrizione nelle liste elettorali e di eleggibilita': la presente controversia, infatti, non attiene al c.d. elettorato passivo o attivo, cioe' ai presupposti necessari affinche' un soggetto possa essere eletto all'esito di una determinata competizione elettorale ovvero possa partecipare quale elettore a tale competizione ma, piu' in generale, riguarda la lesione del diritto di voto, per come costituzionalmente garantito, derivante dalle regole che disciplinano le modalita' attraverso le quali gli elettori scelgono i propri rappresentanti in Parlamento. Cio' detto, si deve tuttavia considerare che il procedimento sommario e' utilizzabile non solo per le controversie specificamente indicate nel d.lgs. l° settembre 2011, n, 150, ma, in generale, per tutte le controversie «in cui il tribunale giudica in composizione monocratica», secondo quanto previsto dall'art. 702-bis c.p.c. In questo senso si deve valutare se la presente controversia rientra in una delle materie in cui, ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c., «il Tribunale giudica in composizione collegiale» e, in particolare, tra le «cause nelle quali e' obbligatorio l'intervento del pubblico ministero», secondo quanto previsto dall'art. 70 c.p.c. Sotto questo profilo, pero', deve ritenersi che la domanda oggetto del presente procedimento non rientra nell'ambito delle «cause riguardanti lo stato e la capacita' delle persone» nelle quali, per l'appunto, e obbligatorio l'intervento del Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 70 c.p.c.; nel caso di specie, in effetti, non e' in discussione la sussistenza dello «status» di elettore e, anzi, la sussistenza dello «status» di elettore in capo ai ricorrenti costituisce piuttosto il presupposto sulla cui base e' stata introdotta la controversia, la quale - come accennato supra attiene all'accertamento della lesione del diritto di voto in relazione ad alcune norme che disciplinano le modalita' di elezione della Camera dei deputati. In questo scuso, la controversia in esame non rientra tra quelle per le quali e' competente il Tribunale in composizione collegiale ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c. Ed allora, poiche' la domanda proposta rientra nella competenza del Tribunale in composizione monocratica, e' pertanto ammissibile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 702-bis, comma l° e dell'art. 702-ter, comma 2° c.p.c., lo svolgimento del giudizio secondo le regole del procedimento sommario. La controversia, come si avra' modo di evidenziare infra richiede tuttavia un'istruttoria complessa - ed in questo senso non «sommaria» per come previsto dall'art. 702-ter, 3° comma del codice di procedura civile - dovendosi sollevare una questione di legittimita' costituzionale, attivita' incompatibile con il procedimento c.d. sommario (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. VI, 27 ottobre 2015, n. 21914), e dovendosi conseguentemente disporre la sospensione del processo ai sensi dell'art. 295 del codice di procedura civile e dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Per tale ragione, con la presente ordinanza, deve essere altresi' disposto il mutamento del rito da sommario ad ordinario. Sempre preliminarmente, ancora tenuto conto dell'eccezione sollevata dalle amministrazioni resistenti, si tratta di valutare se sussiste l'interesse ad agire dei ricorrenti di cui all'art. 100 c.p.c. A tal proposito, si' deve premettere che l'interesse ad agire, previsto quale condizione dell'azione dall'art. 100 c.p.c., con disposizione che consente di distinguere fra le azioni di mera iattanza e quelle oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un determinato diritto, va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in cio' che senza il processo e l'esercizio della giurisdizione l'attore soffrirebbe un danno, con la conseguenza che esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiche' solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazione future o meramente ipotetiche (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. lav., 23 novembre 2007, n. 24434; Cassazione civile, sez. II, 18 aprile 2002, n. 5635). Sotto questo profilo, considerato che l'esercizio del voto secondo modalita' conformi alle previsioni costituzionali costituisce un diritto inviolabile e permanente dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione (cfr. Cassazione civile, sez. I, 17 maggio 2013, n. 12060), appare irrilevante il fatto che non si siano ancora svolte elezioni con la legge elettorale che determinerebbe la lesione del diritto di voto. D'altro canto, per analoghe ragioni, appare irrilevante anche il fatto che non siano ancora stati convocati i comizi elettorali relativamente ad elezioni da svolgersi applicando la nuova legge elettorale; del resto, ove la questione di legittimita' costituzionale potesse porsi solo successivamente alla convocazione dei comizi elettorali, si rischierebbe di pregiudicare ogni concreta e tempestiva possibilita' di tutela. Infine, appare altresi' irrilevante il fatto che la medesima legge elettorale, secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 35, legge 52/2015, sia destinata ad essere applicata alle elezioni che si svolgeranno dopo il 1° luglio 2016, ovvero in epoca successiva alla proposizione della domanda oggetto del presente procedimento, in quanto la legge e' comunque gia' entrata in vigore e la sua applicazione e' stata solo differita nel tempo. Ne' puo' sostenersi che la domanda di accertamento della lesione del diritto di voto sia stata proposta al solo fine di ottenere l'accesso al giudizio di costituzionalita' dinanzi alla Corte costituzionale. Per come gia' evidenziato in giurisprudenza (cfr. ancora Cassazione civile, sez. I, 17 maggio 2013, n. 12060, ovvero l'ordinanza con cui e' stata sollevata una questione di legittimita' costituzionale con riferimento alla legge elettorale 21 dicembre 2005, n. 270), ai fini della proponibilita' delle azioni di mero accertamento, e' sufficiente l'esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per il tramite del richiesto accertamento giudiziale della concreta volonta' della legge, senza che sia necessaria l'attualita' della lesione di un diritto. Del resto, la Corte costituzionale, con la gia' citata sentenza 13 gennaio 2014, n. 1, ha gia' ritenuto ammissibile una questione di legittimita' costituzionale proposta in modo del tutto analogo a quella oggetto del presente procedimento (con l'unica differenza, sulla cui irrilevanza si e' gia' discusso supra, derivante dal fatto che in tale caso la legge elettorale era gia' stata precedentemente applicata). Si tratta a questo punto di valutare la sussistenza dei requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza previsti dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, perche' il Giudice possa sollevare una questione di legittimita' costituzionale in via incidentale dinanzi alla Corte costituzionale. Con riferimento al requisito della «rilevanza», da intendersi come prevedibile concreta applicabilita' della norma oggetto del dubbio di costituzionalita' nel procedimento ove la questione e' stata sollevata, si deve ribadire che l'oggetto del presente procedimento e' l'accertamento del diritto dei ricorrenti di esercitare il voto in maniera conforme a quanto previsto dalla Costituzione, diritto che sarebbe leso dal nuovo sistema elettorale approvato con legge 6 maggio 2015, n. 52. In quest'ottica, in linea di principio e salvo quanto si avra' modo di evidenziare infra con specifico riferimento ad alcuni dei motivi di ricorso, le questioni di legittimita' prospettate appaiono rilevanti, in quanto la risoluzione delle stesse e' pregiudiziale alla decisione della controversia; ove infatti dovesse essere accertata l'illegittimita' costituzionale delle norme in esame, il Giudice dovrebbe riconoscere l'esistenza della lesione e, conseguentemente, ristabilire le modalita' di esercizio del diritto conformemente a quanto previsto in Costituzione. Sotto questo profilo, si deve anche escludere che vi sia coincidenza tra l'oggetto del giudizio di merito principale e quello del giudizio di costituzionalita' e che, conseguentemente, la questione di costituzionalita' prospettata non possa essere ritenuta «incidentale» rispetto al processo di merito. Come gia' evidenziato (cfr. ancora Cassazione civile, sez. I, 17 maggio 2013, n. 12060), a Corte costituzionale ha invero ritenuto inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale che costituiscano «l'oggetto esclusivo del giudizio a quo», nei casi in cui non sia ravvisabile alcuna questione di merito, o non sia possibile individuare, venuta meno la norma censurata, un provvedimento ulteriore emanabile dal giudice a quo per realizzare la tutela della situazione giuridica fatta valere dal ricorrente nel processo principale. Ma la stessa Corte costituzionale ha puntualizzato che «nel giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale, la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo, non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione di legittimita' costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi». Cosi', nel caso di specie, la proposta questione di legittimita' costituzionale «non esaurisce la controversia di' merito» ed ha rispetto ad essa una «portata piu' ampia in quanto introdotta mediante la formulazione di una domanda di accertamento»; in effetti, la sentenza che definisce il giudizio di merito e' destinata ad accertare l'avvenuta lesione del diritto azionato e, allo stesso tempo, a ripristinarlo nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale. Del resto, questo e' quanto avvenuto con la sentenza della Cassazione civile, sez. I, 16 aprile 2014, n. 8878, la quale e' intervenuta a seguito della sentenza della Corte costituzionale 13 gennaio 2014, n. I, con cui era stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della precedente legge elettorale. Quanto poi alla «non manifesta infondatezza», da intendersi come ragionevole dubbio dell'illegittimita' costituzionale della norma non superabile mediante l'ordinaria attivita' interpretativa, si tratta di esaminare i singoli motivi di ricorso prospettati dai ricorrenti. Col primo motivo, i ricorrenti sostengono che la legge n. 52/15 sarebbe incostituzionale in quanto approvata a seguito di presentazione di «questione di fiducia» e, dunque, con un procedimento legislativo speciale in violazione dell'art. 72, comma 4° Cost, che esclude tale possibilita' per le leggi elettorali. Tale motivo appare tuttavia manifestamente infondato, in quanto l'art. 72, comma 1° Cost., nel disciplinare in via generale il procedimento legislativo «normale» prevede che il testo sia «esaminato da una commissione e poi dalla camera, che lo approva articolo per articolo e con votazione finale»; e cio' e' quanto e' pacificamente avvenuto nel caso di specie, nel quale la presentazione della «questione di fiducia» ha escluso la votazione sui singoli emendamenti ma non la votazione articolo per articolo e quella finale sull'intero provvedimento. Col secondo motivo, i ricorrenti evidenziano l'irrazionalita' della normativa (art. 1, comma 1, lettera f) legge 52/2015) nella parte in cui prevede l'attribuzione di 340 seggi alla lista che ottiene almeno il 40% dei voti validi in quanto la legge non regola l'ipotesi in cui due liste ottengano entrambe il 40% dei voti validi. Anche questo motivo appare manifestamente infondato, in quanto l'art. 1, comma 1, lettera f), legge 52/2015 trova poi migliore specificazione nelle ulteriori previsioni contenute nella legge e, in particolare nell'art. 2 che ha modificato l'art. 83, D P.R. 361/1957. Tale ultima disposizione, cosi' come modificata dall'art. 2, legge 52/2015, prevede, al comma 1°, n. 1), che l'Ufficio centrale nazionale «individua la lista che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale» e, quindi, al comma, commi 5, 6 e 7 stabilisce che se «tale lista» ha ottenuto almeno il 40 per cento del totale dei voti validi espressi e non ha conseguito almeno 340 seggi, ha diritto al premio di maggioranza, ovvero appunto all'assegnazione di 340 seggi; il combinato disposto delle norme in questione, dunque, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, regola espressamente l'ipotesi in cui piu' liste abbiano ottenuto almeno il 40% dei voti, nel senso che il premio di maggioranza dovra' essere assegnato solo a quella delle due che avra' ottenuto piu' voti, come del resto e' del tutto logico. Col terzo motivo, i ricorrenti lamentano l'irrazionalita' della legge nell'ipotesi in cui, magari a causa di un estremo frazionamento di tante liste minori, la prima lista, pur non ottenendo il 40% dei voti, abbia comunque conseguito almeno 340 seggi, giacche' in tale caso, non potrebbe restare ferma tale assegnazione di seggi e si dovrebbe comunque procedere al ballottaggio, nel quale la seconda lista potrebbe anche ottenere piu' voti della prima e, conseguentemente il premio di maggioranza. Anche in questo caso, il motivo di ricorso appare infondato. Dall'esame dell'art. 83, comma 1°, numeri 1, 2, 5, 6 e 7, D.P.R. 361/1957 risulta che l'ufficio centrale nazionale, dopo avere determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ed avere proceduto al riparto dei seggi tra le liste che hanno superato lo sbarramento, verifica se la lista con la maggiore cifra elettorale abbia raggiunto il 40% dei voti validi espressi e se tale lista abbia ottenuto almeno 340 seggi, e, qualora abbia ottenuto 340 seggi, «resta ferma l'attribuzione dei seggi» cosi' effettuata; in sostanza, la complessiva lettura del testo normativo induce a ritenere che, laddove una lista abbia gia' raggiunto 340 seggi, non vi sara' alcun ballottaggio e la lista in questione manterra' fermo il numero di' seggi raggiunto, posto che, se lo scopo della legge e' nel senso di attribuire di premio di maggioranza alla lista che ha vinto le elezioni ma che non ha anche conseguito 340 seggi, se una lista ha ottenuto comunque 340 seggi, non vi e' motivo di costringerla al ballottaggio, in quanto tale lista ha comunque gia' raggiunto, in via diretta, quel numero di seggi che il legislatore ritiene necessario per garantire la governabilita'. Ed anche tale conclusione appare del tutto razionale. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano che, con l'indicazione sulla scheda elettorale del leader della lista vincente, sia stata sostanzialmente prevista l'elezione popolare del Presidente del Consiglio e, conseguentemente, sia stato svuotato il potere del Presidente della Repubblica stabilito dall'art. 92, Cost. e realizzato una modifica della forma di governo da parlamentare a presidenzialista, in violazione dell'art. 138 Cost. Anche questo motivo appare palesemente infondato. Si deve invero premettere che, anche con la nuova legge, dall'esame 31, D.P.R. 361/1957, risulta che non e' prevista l'indicazione del capo della forza politica sulla scheda elettorale; piuttosto, per come disposto dall'art. 14-bis, primo comma D.P.R. 361/1957, per come sostituito dall'art. 2, comma 8, legge 6 maggio 2015, n. 52, e' previsto che, contestualmente al deposito del contrassegno della lista elettorale, venga depositato il programma elettorale con l'indicazione del «capo della forza politica». Cio' detto, l'art. 92 Cost., il quale dispone che «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri», non e' stato ovviamente modificato dalla legge in esame, la quale in verita', in quanto norma di legge ordinaria di rango inferiore alla Costituzione, non avrebbe in alcun modo potuto modificare la suddetta norma costituzionale; anzi, la citata legge ha prestato formale ossequio all'art. 92 nell'inciso «Restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall'art. 92, seconda comma, della Costituzione», contenuto all'art. 14-bis D.P.R. 361/1957. In quest'ottica, come gia' evidenziato da Corte costituzionale, sentenza 25 gennaio 2011, n. 23, la disciplina elettorale, in base alla quale i cittadini indicano il «capo della forza politica» o il «capo della coalizione», non modifica l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, operata dall'art. 92, comma 2° Cost., ne' la posizione costituzionale di quest'ultimo. Inoltre, nelle norme della nuova legge, non vi e' alcuna disposizione dalla quale si possa far discendere l'esistenza di un vincolo derivante dall'indicazione del «capo della forza politica» da parte della lista che poi risultera' vincitrice rispetto al potere di nomina del Presidente del Consiglio da parte del Presidente della Repubblica. In questa prospettiva, fermo restando che in ogni caso la scelta del Presidente della Repubblica non potra' che ricadere su un soggetto che sia in grado di ottenere la fiducia della Camera e dovra' comunque tener conto del risultato elettorale e fermo restando altresi' che la lista vincitrice avra' gia' indicato colui che, quale capo della corrispondente forza politica, verra' poi indicato al Presidente della Repubblica come futuro Presidente del Consiglio nei corso delle consultazioni, non vi e' alcun automatismo che imponga al Presidente della Repubblica di nominare proprio tale persona, dovendosi ritenere che, viceversa, il Presidente della Repubblica potra' e dovra' tenere conto di ogni altra variabile, quali, ad esempio, le eventuali cause di ineleggibilita' sopravvenute o l'esistenza di gravi ragioni di opportunita' che consiglino la scelta di una persona diversa. Con il quinto motivo, i' ricorrenti lamentano poi che il premio di maggioranza e' troppo alto, pari fino al 14% dei voti, e non tiene conto dei seggi assegnati alla circoscrizione estera. A tal proposito, occorre partire dai principi gia' affermati in precedenza dalla Corte costituzionale (cfr, Corte costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1 e le ulteriori pronunce ivi richiamate); quest'ultima, dopo avere evidenziato che l'Assemblea costituente, pur manifestando con l'approvazione di un ordine del giorno il favore per il sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese costituzionalizzare questa scelta e preferi' lasciare al legislatore la scelta sul sistema elettorale, ha tuttavia chiarito che il sistema elettorale, pur costituendo espressione dell'ampia discrezionalita' legislativa, non e' esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalita' quando risulti manifestamente irragionevole, ed ha ulteriormente specificato che, in tale ambito, spetta alla Corte verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale e, a tal fine, valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di' applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi. Applicando questi principi, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della precedente legge elettorale n. 270/2005, legittimamente finalizzala ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilita' del governo del Paese e di rendere piu' rapido il processo decisionale, non per la semplice previsione di un premio di maggioranza ma perche' il meccanismo premiale previsto garantiva l'attribuzione di seggi aggiuntivi (fino alla soglia dei 340 seggi) a quella lista o coalizione di liste che avesse ottenuto anche un solo voto in piu' delle altre, e cio' pure nel caso che il numero di voti fosse in assoluto molto esiguo, in difetto della previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi. Ora, la legge n. 52/2015, proprio al fine di andare incontro alle censure della Corte costituzionale, ha invece previsto che il premio di maggioranza operi quando una lista ha ottenuto almeno il 40% dei voti validi ed espressi al primo turno, ovvero ha espressamente previsto una soglia minima di voti che non puo' essere aprioristicamente definita come irrazionale, in quanto non troppo esigua ne' molto distante dalla maggioranza assoluta. Anche sotto questo profilo, dunque, salvo quanto si avra' modo di evidenziare infra con riferimento al ballottaggio, motivo appare infondato. Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano che anche in caso di ballottaggio, e' previsto un premio di maggioranza troppo alto ed inversamente proporzionale all'entita' del consenso ricevuto, attribuito a prescindere da un quorun minimo di voti validi, tale da determinare la trasformazione della legge da proporzionale a maggioritaria. L'art. l, comma 1, lettera f) dispone che «sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione»; tale norma e' stata poi concretamente attuata nell'art. 83, comma 5, D.P.R. n. 361/1957, come novellato dall'art. 2, comma 25, legge n. 52/2015. Richiamato quanto appena evidenziato con riferimento ai criteri di valutazione del bilanciamento tra gli interessi in gioco e, in particolare, tra l'esigenza di garantire la governabilita' e la rapidita' del processo decisionale da un lato e l'esigenza di salvaguardare l'uguaglianza del diritto di voto dall'altra e, in particolare, i principi gia' espressi di Corte costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1 sul punto, contrariamente a quanto evidenziato al punto precedente, si deve qui rilevare che il meccanismo previsto dalla nuova legge, per l'ipotesi in cui nessuna delle liste abbia raggiunto al primo turno il 40% dei voti validi, garantisce il premio di maggioranza a quella lista che risulti vincitrice nel ballottaggio tra le due liste piu' votate, senza prevedere alcuna soglia di voti minima ed escludendo ogni forma di collegamento o apparentamento tra lista; e' pur vero che, per la vittoria al secondo turno, e' necessario ottenere il 50%+1 dei voti validi, ma e' anche vero che, notoriamente, al secondo turno, dinanzi alla scelta secca tra due proposte, si assiste sovente ad un'elevata astensione e, comunque, nel caso di specie, non e' previsto alcun correttivo, quale ad esempio il raggiungimento di un quorum minimo di votanti in tale turno o di un ulteriore quorum minimo al primo turno; ed allora, a fronte di un meccanismo, il quale garantisce il 55% dei seggi ad una lista che potrebbe avere ottenuto al primo turno una percentuale attorno al 25-30% dei voti, per la quale non e' possibile alcun collegamento con altre liste, puo' ritenersi sussistente il dubbio sulla costituzionalita' di una normativa, quella dettata dall'art. l, comma 1, lettera f) e dall' art. 2, comma 25, legge n. 52/2015 e 83, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957, che pare sacrificare eccessivamente il principio della rappresentativita' e, quindi, dell'uguaglianza del voto rispetto al principio di governabilita', in relazione agli articoli 1, comma 2°, 3 e 48, comma 2° Cost. Con il settimo motivo, i' ricorrenti denunciano l'illegittimita' del meccanismo previsto dalla legno con riferimento ai capilista bloccati ed al sistema delle preferenze, sostenendo che tale sistema potrebbe portare, soprattutto in un sistema politico «tripolare» quale quello attuale, all'elezione di almeno trecento deputati a seguito di designazione in via esclusiva dai partiti, con lesione del diritto al voto. Si deve anche in questo caso partire dalle osservazioni a suo tempo svolte nella piu' volte richiamata sentenza della Corte costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1: in tale occasione, la Corte, dopo avere evidenziato che le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee - quali la «presentazione di alternative elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche» - devono essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta piu' chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati, ha affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la liberta' di voto del cittadino, a condizione che quest'ultimo sia pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volonta', sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza. E per questa ragione, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il sistema delineato dalla precedente legge elettorale nel quale vi erano delle lunghe liste bloccate, costituite da candidati che difficilmente il cittadino avrebbe potuto conoscere e che erano predisposte dai partiti secondo l'ordine da essi deciso, e il cittadino non poteva esprimere alcuna preferenza, con la conseguenza che tutti i candidati che poi sarebbero stati eletti venivano ad essere sostanzialmente indicati dai partiti e non dagli elettori. Cio' premesso, si deve anzitutto rilevare che il sistema delineato dalla legge n. 52/2015, proprio per evitare di incorrere nelle censure della Corte costituzionale, e' diverso, cosicche' le conclusioni contenute nella precedente sentenza non possono essere automaticamente estese al nuovo sistema. In effetti, secondo la nuova legge, non tutti i seggi sono attribuiti sulla base di liste bloccate ma solo una parte, quella relativa ai capilista; per il resto, l'elettore puo' esprimere delle preferenze, scegliendo i candidati non in un lungo elenco ma in una lista ben piu' breve, formata da un numero di candidati pari almeno alla meta' dei numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale e non superiore al numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale, tra l'altro con un meccanismo idoneo a garantire la parita' di genere, il che favorisce la conoscenza e la conseguente scelta dei singoli candidati. Ed allora questo sistema non puo' essere definito irrazionale perche' consente agli elettori di scegliere, almeno in parte, i propri rappresentanti. Anche questo motivo di ricorso appare pertanto manifestamente infondato. Con l'ottavo motivo, i ricorrenti lamentano l'illegittimita' delle candidature multiple, in forza delle quali il capolista, presentatosi in piu' circoscrizioni, potrebbe, optando per l'elezione in una piuttosto che in un'altra, determinare l'esclusione o l'elezione degli altri candidati maggiormente votati nella altre circoscrizioni e quindi finirebbe col privare gli elettori della possibilita' di scegliere il proprio candidato. L'art. 85, D.P.R. n. 361/1957, per come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52/2015 dispone che «Il deputato eletto in piu' collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga. Mancando l'opzione, si procede al sorteggio». Richiamato quanto evidenziato supra con riferimento alla legittimita' del meccanismo delle candidature multiple in se' considerato, si deve viceversa valutare la razionalita' del meccanismo in forza del quale il capolista, presentatosi in piu' circoscrizioni, puo' optare senza alcun vincolo per il collegio a cui ricollegare l'elezione. Il meccanismo previsto dalla legge, infatti, comporta, da un lato, che il capolista decade automaticamente nei collegi diversi da quello per il quale ha optato, con la conseguenza che in tali collegi si procede all'attribuzione dei seggi in modo «normale» secondo i voti di preferenza che i candidati non capolista si sono aggiudicati ed in ragione dei seggi disponibili, e che, dall'altro lato, nel collegio prescelto i candidati che abbiano riportato piu' preferenze possono aspirare all'elezione solo qualora vi siano ulteriori seggi disponibili. In questo modo, pero', la scelta degli «ulteriori» eletti viene ad essere determinata dall'opzione del capolista per l'una o l'altra circoscrizione, opzione che non e' sottoposta ad alcun vincolo o predeterminazione oggettiva ed e' quindi assolutamente libera e potra' fondarsi sulle piu' varie ragioni di opportunita'; la conseguenza ulteriore di questo sistema, dal punto di vista dell'elettore, e' che l'elettore medesimo viene privato del proprio diritto di scegliere i propri rappresentanti con le preferenze, in quanto la propria scelta potrebbe ben essere vanificata dall'opzione del capolista, e della possibilita' di effettuare valutazioni prognostiche sull'utilita' del suo voto di preferenza. In questa prospettiva, appare lecito dubitare della ragionevolezza del sistema, in quanto il principio della governabilita', gia' garantito dal sistema delle candidature multiple, finisce in questa ipotesi per sacrificare eccessivamente il diritto di scelta del candidato da parte degli elettori e, quindi, il suo diritto di voto. Non e' quindi manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 48, comma 2° Cost., dell'art. 85, decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957, come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52/2015, nella parte in cui attribuisce al capolista eletto in piu' collegi la facolta' di optare in modo illimitato e non vincolato a criteri oggettivi e predeterminati, rispettosi - nel massimo grado possibile - della volonta' espressa dagli elettori. Col nono motivo, i ricorrenti censurano il procedimento di ripartizione dei seggi disciplinato dalla nuova legge, che potrebbe determinare, in concreto, l'attribuzione di un numero di seggi superiore al numero totale fissato dalla Costituzione (630), e cio' in particolare laddove uno o piu' seggi dei nove collegi uninominali della Val d'Aosta e Trentino Alto Adige dovessero essere assegnati a candidati espressione di liste risultate minoritarie su base nazionale, in quanto in tal caso ai 340 seggi assegnati alla prima lista, ai 278 assegnati alle liste di minoranza ed ai 12 della circoscrizione estera, si dovrebbero aggiungere gli ulteriori seggi in questione. Tale motivo e' manifestamente infondato, in quanto la normativa deve necessariamente essere interpretata alla luce del disposto costituzionale per cui i deputati possono essere al massimo 630; in quest'ottica, la normativa elettorale deve essere comunque interpretata nel senso che i seggi attribuiti a candidati eventualmente eletti nelle due regioni sopra citate, ove appartenenti alle liste di minoranza, dovrebbero essere sottratti dal numero dci seggi attribuiti alle medesime liste su base nazionale. Col decimo motivo, i ricorrenti lamentano, in estrema sintesi, che la legge n. 52/2015, introducendo delle soglie di' sbarramento, rende difficile l'accesso in Parlamento di alcune minoranze linguistiche, in particolare a quelle diverse da quelle di lingua tedesca e ladina del Trentino Alto Adige e da quella di lingua francese della Valle d'Aosta. A tal proposito, richiamando quanto accennato supra con riferimento al requisito della «rilevanza», si deve preliminarmente evidenziare che la questione, cosi' come prospettata da parte di soggetti che pacificamente non appartengono ad alcuna minoranza linguistico, risulta in concreto priva di rilevanza, posto che l'eventuale accertamento della violazione della Costituzione da parte delle norme di legge richiamate non determinerebbe comunque l'accertamento di una lesione del diritto di voto degli odierni ricorrenti. Peraltro, la questione appare anche manifestamente infondata, in quanto il ragionamento dei ricorrenti parte dall'errato presupposto che tutte le minoranze linguistiche debbano trovare tutela, intesa quale rappresentanza in Parlamento, laddove in realta', proprio tenuto conto della diversa consistenza numerica delle suddette minoranze, sarebbe semmai illegittimo proprio un meccanismo che garantisse rappresentativita' anche a minoranze linguistiche numericamente esigue anche in relazione ai proprio territorio di riferimento. Con l'undicesimo motivo, i ricorrenti lamentano l'illegittimita' costituzionale delle norme che regolano la raccolta delle firme necessarie per poter partecipare alle elezioni, evidenziando una disparita' di trattamento dei nuovi soggetti politici, rispetto a quelli gia' presenti in Parlamento, in quanto i nuovi soggetti politici devono munirsi di un numero di firme di elettori iscritti nelle liste elettorali (di comuni compresi nei Collegi nei quali si intende partecipare) ricompreso tra 1.500 e 2.000 mila firme (ovvero, in caso di scioglimento della Camera di deputati prima di 120 giorni, da un numero pari alla meta' delle firme richieste in via ordinaria), mentre nessuna sottoscrizione e' richiesta per i partiti e gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso ovvero per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento di cui all'art. 14-bis. Anche in questo caso, tuttavia, richiamando quanto accennato supra con riferimento al difetto del requisito di rilevanza, si deve considerare che la lesione lamentata dai ricorrenti non attiene al loro diritto di voto ma, semmai, alla lesione del diritto di elettorato passivo di quei soggetti per i quali sarebbe piu' difficile presentare liste alle elezioni. Peraltro, il motivo appare anche manifestamente infondato, in quanto fondato sull'erroneo presupposto che sia irrazionale prevedere delle diverse limitazioni al momento della presentazione delle liste, laddove in realta' la possibilita' di introdurre tali limiti e' comunque funzionale a garantire la migliore governabilita' del paese. Col dodicesimo motivo, i ricorrenti lamentano ancora l'illegittimita' dell'indicazione del capo della forza politica, in quanto tale da svuotare il potere del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio previsto dall'art. 92 Cost. Tale motivo di ricorso appare tuttavia sostanzialmente ripetitivo del quarto motivo e, pertanto, si devono richiamare tutte le considerazioni gia' svolte supra in tema di manifesta infondatezza del motivo in questione. Col tredicesimo motivo, i ricorrenti lamentano l'illegittimita' della tabella A che contiene l'individuazione geografica dei collegi plurinominali, evidenziando anche in questo caso, come nel decimo motivo, che tale individuazione non garantirebbe le minoranze linguistiche diverse da quelle del Trentino Alto Adige e della Valle d'Aosta. Anche in questo caso, pero', valgono sia in punto di «rilevanza» che di «manifesta infondatezza» le osservazioni gia' svolte con riferimento al decimo motivo. Col quattordicesimo motivo, infine, i' ricorrenti lamentano l'irrazionalita' della normativa che prevede che le soglie di' accesso al Senato siano piu' elevate di' quelle della Camera (8% per le liste singole e 20% per le coalizioni), in quanto potrebbe favorire la formazione di maggioranze diverse. Anche tale motivo di ricorso appare tuttavia manifestamente infondato, in quanto la diversita' di sistemi elettorali tra le due camere e' prevista gia' dalla Costituzione, cosicche' risulta insita nella Costituzione anche la possibilita' che le due camere presentino maggioranze difformi. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, devono essere dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' sollevate nel giudizio aventi ad oggetto: l'art. 1, comma 1, lettera f), legge n. 52/2015 («sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione») e l'art. 2, comma 25, legge n. 52/2015 in relazione al novellato art. 83, comma 5, D.P.R. n. 361/1957: «Qualora la verifica di' cui al comma 1, numero 5), abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio fra le liste che abbiano ottenuto al primo turno le due maggiori cifre elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di cui al comma 1, numero 3). Alla lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi al turno di ballottaggio l'Ufficio assegna 340 seggi. L'Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti seggi tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi dei comma 3. L'Ufficio procede quindi all'assegnazione dei seggi ai sensi del comma 4.»; l'art. 2, comma 27, legge n. 52/2015, in relazione al novellato art. 85, D.P.R. n. 361/1957.
P. Q. M. Il Tribunale di Perugia, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica dispone il mutamento di rito; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione agli articoli 1, comma 2, 3 e 48 comma 2 Cost, le questioni di legittimita' sollevate in relazione alle seguenti norme: art. 1, comma 1, lettera f), legge n. 52/2015; art. 2, comma 25, legge n. 52/2015 e art. 83, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957; art. 2, comma 27, legge n. 52/2015 e art. 85, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il presente procedimento; Manda alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. Perugia, 3 settembre 2016 Il Giudice: Moggi