N. 52 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 agosto 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 30 agosto  2016  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Norme della Regione Veneto - Norme  per  la  tutela  delle
  risorse idrobiologiche e della fauna ittica  e  per  la  disciplina
  dell'esercizio della pesca nelle acque interne e marittime  interne
  della  Regione  -  Istituzione,  nelle   acque   non   oggetto   di
  concessione, di eventuali oneri ulteriori per i non residenti nella
  Regione mediante provvedimento della Giunta regionale. 
Caccia - Norme della Regione Veneto - Esercizio cumulativo di diverse
  forme di esercizio venatorio - Esercizio  dell'attivita'  venatoria
  alla fauna migratoria, per  trenta  giorni,  in  tutti  gli  Ambiti
  Territoriali  di   Caccia   -   Previsione   che   l'attivita'   di
  addestramento e svolgimento delle gare dei cani da  caccia  possono
  effettuarsi, anche su fauna selvatica naturale e con l'abbattimento
  di fauna d'allevamento, durante tutto l'anno -  Comprensori  alpini
  di caccia - Composizione degli organi direttivi  -  Recupero  della
  selvaggina ferita  -  Misure  per  il  contenimento  del  cormorano
  (Phalacrocorax carbo). 
- Legge della Regione Veneto 27 giugno 2016, n. 18  (Disposizioni  di
  riordino  e  semplificazione  normativa  in  materia  di  politiche
  economiche,   del   turismo,    della    cultura,    del    lavoro,
  dell'agricoltura, della pesca, della caccia e dello  sport),  artt.
  55, aggiuntivo dell'art. 9, comma 1-ter, della legge  regionale  29
  aprile  1998,  n.  19  (Norme   per   la   tutela   delle   risorse
  idrobiologiche  e  della  fauna  ittica   e   per   la   disciplina
  dell'esercizio della pesca nelle acque interne e marittime  interne
  della Regione Veneto); 65, nella parte  in  cui  aggiunge  i  commi
  1-bis, 1-ter,  1-quater  e  1-quinquies  all'art.  14  della  legge
  regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme  per  la  protezione  della
  fauna selvatica ed il prelievo venatorio); 66, commi  1  e  2,  68,
  comma 1, e 69, comma 2, modificativi, rispettivamente, degli  artt.
  18, 24, comma 5, e 20 della legge regionale 9 dicembre 1993, n.  50
  (Norme per la protezione  della  fauna  selvatica  ed  il  prelievo
  venatorio); e 71. 
(GU n.43 del 26-10-2016 )
    Ricorso  (art.  127,  comma  1,  Cost.)  per  il  Presidente  del
Consiglio  dei   ministri   in   carica,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato  (C.F.  80224030587  -  n.  fax
0696514000  ed  indirizzo  P.E.C.  per  il  ricevimento  degli   atti
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) e presso la stessa domiciliato in
Roma alla Via dei Portoghesi 12, giusta delibera  del  Consiglio  dei
ministri adottata nella riunione del 10 agosto 2016. 
    Contro la Regione Veneto, in persona del Presidente della  Giunta
Regionale in carica, con sede in Venezia, Palazzo Balbi -  Dorsoduro,
3901 - Venezia. 
    Per  la  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale   degli
articoli 55; 65; 66, commi 1 e 2; 68, comma 1;  69,  comma  2,  e  71
della  legge  della  Regione  Veneto  del  27  giugno  2016,  n.  18,
pubblicata sul BUR n. 63 del l° luglio 2016, recante «disposizioni di
riordino  e  semplificazione  normativa  in  materia   di   politiche
economiche, del turismo, della cultura, del lavoro, dell'agricoltura,
della pesca, della caccia e dello sport». 
    Per violazione degli articoli 3; 23; 117, comma 1, e  117,  comma
2, lett. s), Cost. 
    Con legge regionale n. 18 del 27 giugno 2016, pubblicata nel  BUR
n. 63 del 1° luglio 2016  la  Regione  Veneto  ha  emanato  norme  di
riordino  e  semplificazione  normativa  in  materia   di   politiche
economiche, del turismo, della cultura, del lavoro, dell'agricoltura,
della pesca, della caccia e dello sport. 
    In particolare, l'art. 55 ha aggiunto il comma 1-ter all'art.  19
della l.r. n. 19  del  1998,  concernente  la  tutela  delle  risorse
idrobiologiche e della fauna ittica e  per  l'esercizio  della  pesca
nelle acque interne e marittime interne della Regione; l'art.  65  ha
modificato l'art. 14 della legge regionale  n.  50/1993,  concernente
«Norme per  la  protezione  della  fauna  selvatica  ed  il  prelievo
venatorio», inserendo i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater  e  1-quinquies;
l'art. 66, commi 1 e  2,  ha  modificato  l'art.  18  della  l.r.  n.
50/1993, sostituendo il comma  1  ed  introducendo  il  comma  1-bis;
l'art. 68, comma 1, ha modificato il quinto comma dell'art. 24  della
predetta l.r. n. 50/1993, sostituendo le parole «di cui ai camini  8,
9, 11 e 12 dell'art. 21» con le parole «di cui  ai  commi  5,  5-bis,
5-ter, 8, 9, 11 e 12 dell'art. 21»; l'art. 69, comma 2,  ha  inserito
il comma 3-bis nell'art. 20 della  l.r.  n.  50/1993;  l'art.  71  ha
introdotto misure per il contenimento del cormorano. 
    Tali disposizioni si espongono a censure  di  incostituzionalita'
per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 55 della l.r. Veneto n. 18
del 2016 per violazione degli articoli 3 e 23 Cost. 
    L'art. 55 aggiunge il comma 1-ter all'art. 9 della l.r. n. 19 del
1998, recante «Norme per la tutela  delle  risorse  idrobiologiche  e
della fauna ittica e per la  disciplina  dell'esercizio  della  pesca
nelle acque interne e marittime interne della Regione  Veneto».  Tale
norma consente alla Regione di istituire, nelle acque non oggetto  di
concessione, «eventuali oneri  ulteriori,  per  i  non  residenti  in
Veneto, mediante provvedimento della Giunta regionale». 
    La norma e' formulata in modo generico, in quanto  non  specifica
quali «eventuali oneri ulteriori per i non residenti  in  Veneto»  il
legislatore regionale ha inteso introdurre. 
    Da cio' consegue che la determinazione della  tipologia  e  della
misura  dell'onere  e'  interamente  rimessa  ad   un   provvedimento
amministrativo della Giunta regionale,  in  violazione  dell'art.  23
della Costituzione, in base al quale nessuna prestazione personale  o
patrimoniale puo' essere imposta se non in base ad una norma di legge
statale o regionale, che contenga principi direttivi sufficientemente
specifici e dettagliati. 
    Qualora  poi  detti  oneri  dovessero  riguardare  una  tassa  di
concessione, avente natura tributaria, si  determinerebbe  anche  una
manifesta violazione del principio di uguaglianza di cui  all'art.  3
cost.. In tal caso, infatti, la norma  censurata  attribuirebbe  alla
Giunta regionale il  potere  di  imporre  con  proprio  provvedimento
amministrativo un tributo a carico dei soli cittadini «non  residenti
in  Veneto»,  in  contrasto   con   il   carattere   di   generalita'
dell'imposizione fiscale,  generando  ingiustificate  discriminazioni
nell'applicazione del tributo stesso. 
2. Illegittimita' dell'art. 65 della l.r. Veneto n. 18 del 2016,  per
violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s), Cost., in  riferimento
all'art. 12, comma 5; all'art. 31, comma 1, lettera a),  ed  all'art.
32, comma 4, nonche' all'art.  14,  commi  1  e  5,  della  legge  n.
157/1992. 
    Occorre premettere che nell'ordinamento  nazionale  la  normativa
vigente in materia di protezione della fauna selvatica e di  prelievo
venatorio e' contenuta nella legge quadro 11 febbraio 1992,  n.  157,
concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma
e per il prelievo venatorio». Secondo la pacifica  giurisprudenza  di
codesta  Corte  costituzionale  tale  legge  stabilisce  i   principi
fondamentali  sulla  salvaguardia  della  fauna  selvatica,  che   e'
riconducibile   alla   materia   della   tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),
Cost.; principi fondamentali  che,  in  quanto  tali,  devono  essere
rispettati  sull'intero  territorio   nazionale   (Corte   cost.   n.
233/2010). 
    Secondo  la  giurisprudenza  di  codesta  Corte   costituzionale,
«spetta  allo  Stato,  nell'esercizio  della   potesta'   legislativa
esclusiva in  materia  di  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,
prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  stabilire
standard minimi e uniformi di tutela della fauna, ponendo regole  che
possono essere modificate dalle Regioni,  nell'esercizio  della  loro
potesta' legislativa  in  materia  di  caccia,  esclusivamente  nella
direzione dell'innalzamento del  livello  di  tutela»  (ex  plurimis,
sentenze n. 303 del 2103, n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012). 
    L'art. 65 della legge regionale impugnata si  pone  in  contrasto
con le vincolanti disposizioni contenute nella predetta legge quadro. 
    Esso introduce modifiche all'art. 14  della  legge  regionale  n.
50/1993 concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica ed
il prelievo venatorio», inserendo i commi 1-bis,  1-ter,  1-quater  e
1-quinquies. 
    In particolare, i commi 1-bis e 1-ter, in combinato disposto  con
il comma l-quinquies, consentono a chi abbia optato per la  forma  di
caccia da appostamento fisso, di disporre  di  quindici  giornate  di
caccia in forma vagante; mentre per chi  ha  optato,  nella  stagione
venatoria in corso, per la caccia in forma vagante  in  Zona  Alpi  o
comunque in altre forme, di usufruire di quindici giornate di  caccia
da appostamento fisso. La fruizione di dette giornate non  necessita,
da parte del cacciatore, di alcuna  richiesta  o  adempimento,  salvo
l'obbligo di segnalare  sul  tesserino  venatorio,  ad  inizio  della
giornata venatoria, la giornata di caccia utilizzata. 
    Tale disciplina contrasta con l'art. 12, comma 5, della legge  n.
157/1992 che cosi' dispone: «Fatto salvo  l'esercizio  venatorio  con
l'arco o con il  falco,  l'esercizio  venatorio  stesso  puo'  essere
praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in
zona Alpi; b) da appostamento  fisso;  c)  nell'insieme  delle  altre
forme di  attivita'  venatoria  consentite  dalla  presente  legge  e
praticate nel rimanente territorio destinato all'attivita'  venatoria
programmata». 
    La norma nazionale non  consente,  pertanto,  il  «cumulo»  delle
diverse forme di esercizio venatorio  come,  invece,  previsto  dalla
disposizione regionale. 
    A tal riguardo, codesta Corte  costituzionale  ha  affermato  che
«l'art. 12, comma 5, della legge n. 157 del  1992  ha  introdotto  il
principio cosiddetto della caccia di  specializzazione,  in  base  al
quale, fatta eccezione per l'esercizio venatorio con l'arco o con  il
falco, ciascun cacciatore puo' praticare la caccia in una sola  delle
tre forme ivi indicate («vagante  in  zona  Alpi»;  «da  appostamento
fisso»;  «nelle  altre  forme»  consentite  dalla  citata  legge   «e
praticate sul restante territorio destinato  all'attivita'  venatoria
programmata»).  Il  cacciatore  e'  tenuto,  dunque,   a   scegliere,
nell'ambito  di  tale  ventaglio  di  alternative,  la  modalita'  di
esercizio dell'attivita' venatoria che gli  e'  piu'  consona,  fermo
restando  che  l'una  forma  esclude  l'altra.   Tale   criterio   di
esclusivita' che vale a favorire il radicamento del cacciatore in  un
territorio e,  al  tempo  stesso,  a  sollecitarne  l'attenzione  per
l'equilibrio faunistico, trova  la  sua  ratio  giustificativa  nella
constatazione  che   un   esercizio   indiscriminato   dell'attivita'
venatoria, da parte dei soggetti abilitati, su  tutto  il  territorio
agro-silvo-pastorale e in tutte le forme consentite  rischierebbe  di
mettere  in  crisi  la  consistenza  delle  popolazioni  della  fauna
selvatica» (punto 2.1. della  parte  in  diritto  della  sentenza  n.
116/2012; cfr. anche la sentenza n. 278/2012). 
    Pertanto,  la  normativa  regionale   che   prevede   l'esercizio
cumulativo di diverse forme di caccia deroga in peius alla  normativa
nazionale sopra citata, introducendo soglie di tutela minore rispetto
alla normativa nazionale, la quale, concorrendo alla definizione  del
nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, «stabilisce  una
soglia uniforme di protezione da osservare  su  tutto  il  territorio
nazionale (con riguardo a previsioni di analoga ispirazione, sentenze
n. 441 del 2006, n. 536 del 2002, n. 168 del 1999 e n. 323 del 1998):
ponendo, con cio', una regola che per consolidata  giurisprudenza  di
questa Corte - puo' essere modificata dalle  Regioni,  nell'esercizio
della loro potesta'  legislativa  residuale  in  materia  di  caccia,
esclusivamente  nella  direzione  dell'innalzamento  del  livello  di
tutela (soluzione che comporta logicamente il rispetto dello standard
minimo fissato dalla legge statale: ex plurimis, sentenze n. 106  del
2011, n. 315 e n. 193 del 2010, n. 61  del  2009)»  (Corte  Cost.  n.
116/2012 e n.  278/2012).  Detta  normativa  nazionale  si  inquadra,
dunque, nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che
e' riservata alla potesta' legislativa  esclusiva  statale  dall'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Si deve, peraltro, evidenziare che ai sensi dell'art.  31,  comma
1, lettera a) della legge n. 157/1992, chiunque eserciti la caccia in
una forma diversa da quella prescelta ai sensi dell'art. 12, comma 5,
e' punito con una sanzione amministrativa da euro 206 ad euro  1.239.
Il  successivo  art.  32,  comma  4,  prevede,  oltre  alla  sanzione
amministrativa, la sospensione per un anno della licenza di porto  di
fucile per uso di caccia. 
    La  difformita'  della  legge  regionale  da  quella  statale  si
riflette  quindi  anche  sui  presupposti  per  l'applicazione  della
disciplina sanzionatoria, che e' anch'essa  sottratta  alla  potesta'
legislativa della regione. 
    Alla  luce  di  quanto  sopra  esposto,  l'art.  65  della  legge
regionale Veneto n. 18 del 2016, che introduce i commi  1-bis,  1-ter
ed 1-quinquies all'art. 14 della legge regionale  n.  50/1993,  nella
parte in cui consente la pratica dell'esercizio venatorio in via  non
esclusiva, viola l'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  in
riferimento all'art. 12, comma 5, 31, comma 1, lettera a) e 32, comma
4 della legge n. 157/1992. 
    Il comma 1-quater dell'art. 14 della legge regionale n.  50/1993,
come introdotto dalla norma regionale in esame, consente altresi'  ai
cacciatori che abbiano optato per  l'insieme  delle  altre  forme  di
attivita'  venatoria,  la  possibilita'  di  esercitare   l'attivita'
venatoria alla fauna migratoria, per  trenta  giorni,  in  tutti  gli
Ambiti territoriali di caccia. Tale comma si pone  in  contrasto  con
quanto previsto dal combinato disposto dei commi 1 e 5  dell'art.  14
della legge n. 157/1992 secondo cui: «1.  Le  regioni,  con  apposite
norme, sentite le organizzazioni professionali agricole  maggiormente
rappresentative  a  livello  nazionale  e  le  province  interessate,
ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia
programmata ai sensi dell'art. 10, comma 6, in ambiti territoriali di
caccia,  di  dimensioni  subprovinciali,  possibilmente  omogenei   e
delimitati da confini naturali [....]. 
    5. Sulla base di norme regionali, ogni cacciatore, previa domanda
all'amministrazione competente, ha diritto all'accesso in  un  ambito
territoriale di caccia o in un  comprensorio  alpino  compreso  nella
regione in cui risiede e puo' avere accesso  ad  altri  ambiti  o  ad
altri comprensori anche  compresi  in  una  diversa  regione,  previo
consenso dei relativi organi di gestione». 
    Codesta Corte costituzionale ha chiarito che con la legge n.  157
del 1992 il legislatore statale «ha inteso  perseguire  un  punto  di
equilibrio tra il primario obiettivo dell'adeguata  salvaguardia  del
patrimonio faunistico nazionale  e  l'interesse  -  pure  considerato
lecito  e  meritevole  di  tutela  -   all'esercizio   dell'attivita'
venatoria,  attraverso  la  previsione   di   penetranti   forme   di
programmazione dell'attivita' di caccia» (sentenza n. 4 del 2000),  e
che «  il  legislatore  statale  ha  voluto,  attraverso  la  ridotta
dimensione degli ambiti stessi, pervenire  ad  una  piu'  equilibrata
distribuzione  dei  cacciatori  sul  territorio,  e,  attraverso   il
richiamo ai confini naturali, conferire specifico rilievo - in chiave
di gestione, responsabilita' e  controllo  del  corretto  svolgimento
dell'attivita' venatoria - alla dimensione  della  comunita'  locale,
piu' ristretta e piu' legata sotto il profilo  storico  e  ambientale
alle particolarita' del territorio  [...]»  (sentenza  n.  142/2013).
Alla stregua di tali principi e'  stata  dichiarata  incostituzionale
una norma  della  regione  Abruzzo  che  consentiva  l'indiscriminato
esercizio della caccia alla selvaggina migratoria in tutti gli ambiti
territoriali. 
    Sulla base di tali principi, appare evidente che il  nuovo  comma
1-quater dell'art. 14 incorre in fondate censure di costituzionalita'
perche' non consente di garantire affatto l'equilibrata distribuzione
dei cacciatori nell'esercizio dell'attivita' venatoria, alla  stregua
di quanto, invece, segnatamente previsto dall'art. 14 della legge  n.
157 del 1992 che sancisce  il  principio  della  caccia  programmata,
costituente uno  degli  obiettivi  fondamentali  della  normativa  in
materia. 
    In sostanza, l'art. 65, comma 1, della legge regionale impugnata,
che introduce il  comma  1-quater  all'art.  14  della  regionale  n.
50/1993, si pone in contrasto con l'art. 117, comma  2,  lettera  s),
Cost., per violazione della normativa interposta di cui all'art.  14,
commi 1 e 5, della legge n. 157/1992. 
3. Illegittimita' dell'art. 66, commi 1 e 2, della l.r. Veneto n.  18
del 2016,  per  violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost  per
contrasto con l'art. 7 della direttiva 79/409/CEE, e  dell'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  in  riferimento  all'art.  10;
all'art. 18, commi 1, 1-bis e  2,  ed  agli  articoli  30,  comma  1,
lettera a) e 31, comma 1, lettera a) della legge n. 157 del 1992. 
    L'art. 66, commi l e 2, modifica l'art. 18 della legge  regionale
n. 50/1993, sostituendo il comma l ed introducendo  il  comma  1-bis.
Piu' precisamente, i nuovi  commi  dispongono  che  «1.  Le  Province
istituiscono le zone di cui alla lettera e) del comma 2 dell'art.  9,
destinate all'allenamento, all'addestramento e allo svolgimento delle
gare dei cani da caccia anche  su  fauna  selvatica  naturale  o  con
l'abbattimento  di  fauna  d'allevamento  appartenente  alle   specie
cacciabili. 
    1-bis. Le attivita' di cui al comma 1 possono  svolgersi  durante
tutto l'anno». 
    La  norma  in  esame   consente   quindi   che   l'attivita'   di
addestramento e svolgimento delle gare dei  cani  da  caccia  possano
effettuarsi, anche su fauna selvatica naturale e  con  l'abbattimento
di fauna d'allevamento, durante tutto l'anno. 
    Interessa  preliminarmente  osservare  che  con  le  sentenze  n.
578/1990, n. 350/1991, n. 339/2003, codesta Corte  costituzionale  ha
ritenuto  che  l'addestramento  dei   cani,   in   quanto   attivita'
strumentale all'esercizio dell'attivita' venatoria, e'  riconducibile
alla disciplina  della  «caccia»,  ed  e'  pertanto  assoggettato  ai
divieti previsti dalla normativa  quadro  statale,  costituita  dalla
legge 11 febbraio 1992 n. 157. Infatti, la disciplina della caccia e'
riconducibile   alla   materia   della   tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema, ed e' pertanto riservata alla competenza legislativa
dello Stato, ai sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost.. Ne consegue che  i  suoi  principi  devono  essere  rispettati
sull'intero territorio nazionale e sono vincolanti per il legislatore
regionale. 
    In particolare, con sentenza n. 350 del 1991 codesta Ecc.ma Corte
ha ritenuto che «nessun dubbio puo' sussistere in ordine al fatto che
«addestramento   dei   cani»,   in   quanto   attivita'   strumentale
all'esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia  della  caccia
(...)»).  Sebbene  enunciato  sotto  la  vigenza   della   precedente
disciplina nazionale prevista dalla legge 27 dicembre 1977,  n.  968,
tale principio puo' essere rapportato anche alla  legge  n.  157  del
1992, posto che le due normative disciplinano in maniera  analoga  la
materia.  Ed  invero,   «se   e'   pur   vero   che   l'assimilazione
dell'attivita' in questione non puo' essere spinta fino  alla  totale
identificazione (cosi' questa Corte, nella citata sentenza del  1991,
e il Consiglio di Stato, nella decisione 17 aprile 2009, n. 4706),  e
che pertanto si puo' giustificare per essa una disciplina diversa  da
quella generale della caccia, cio' non esclude  che  tale  disciplina
debba essere dettata con le stesse modalita' fin qui delineate.  Solo
cosi, infatti, l'acquisizione dei pareri  tecnici  -  su  cui  si  e'
concentrato il contraddittorio -  diviene  un  passaggio  naturale  e
formale di quella pianificazione che il legislatore ha  voluto,  come
garanzia di un giusto equilibrio tra i molteplici interessi in gioco»
(Corte cost. punto 7.4 del "considerato in diritto" della sentenza n.
193/2013). 
    Pertanto, l'attivita' di addestramento  dei  cani  da  caccia  e'
assimilabile a  quella  venatoria  e,  dunque,  deve  rispettare  gli
standard minimi  e  uniformi  di  tutela  della  fauna  in  tutto  il
territorio nazionale e le relative garanzie procedimentali. 
    La censurata disciplina regionale contrasta in  primo  luogo  con
l'art. 10 della legge n. 157/1992, recante «Norme per  la  protezione
della fauna omeoterma e  per  il  prelievo  venatorio»,  che  prevede
l'obbligo delle regioni di predisporre i  piani  faunistico-venatori,
finalizzati a garantire la conservazione  delle  specie  mediante  la
riqualificazione delle risorse ambientali e la  regolamentazione  del
prelievo venatorio. In base al  comma  1  di  tale  norma  «tutto  il
territorio agro-silvopastorale nazionale e' soggetto a pianificazione
faunistico-venatoria». Viene cosi' affermato il principio  di  caccia
programmata, con cui, come gia' osservato, il legislatore  ha  inteso
perseguire  un  punto  di  equilibrio  tra  il   primario   obiettivo
dell'adeguata salvaguardia  del  patrimonio  faunistico  nazionale  e
l'interesse all'esercizio  dell'attivita'  venatoria  (cfr.  sentenze
Corte costituzionale  n.  4  del  2000  e  n.  142  del  2013).  Tale
programmazione si articola in piu' livelli: i  principi  fondamentali
sono stabiliti dal legislatore statale, giusta legge n. 157 del 1992,
la funzione di indirizzo e' esercitata su base  nazionale  dall'ISPRA
mediante il  documento  orientativo  sui  criteri  di  omogeneita'  e
congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria di cui all'art.
10, comma 11, della citata legge; la funzione attuativa e' attribuita
dal comma 2 dello stesso art. 10 alle regioni  e  alle  province,  le
quali, «con le modalita' previste nei commi 7  e  10,  realizzano  la
pianificazione  di  cui  al  comma   1   mediante   la   destinazione
differenziata del territorio». 
    La normativa statale, dunque, delinea  una  complessa  disciplina
procedimentale,  che   garantisce   un'istruttoria   approfondita   e
trasparente e che tende ad assicurare che la pianificazione si svolga
sull'intero   territorio   nazionale   con   le   medesime   garanzie
sostanziali. 
    Cio'  implica,  in  particolare,  l'obbligo  delle   Regioni   di
attenersi  all'attivita'  di   indirizzo   dell'ISPRA,   specie   con
riferimento alla disciplina dei periodi di  esercizio  dell'attivita'
venatoria. Infatti, «la disciplina statale che  delimita  il  periodo
entro il quale e' consentito l'esercizio venatorio e' ascrivibile  al
novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza  e
la riproduzione delle specie  cacciabili,  rientrando  nella  materia
della tutela dell'ambiente vincolante per il  legislatore  regionale»
(Corte cost., sentenza n. 191 del 2011 che richiama  le  sentenze  n.
233 e n. 193 del 2010, n. 272 del 2009 e n. 313 del 2006). 
    Con riguardo all'attivita' pianificatoria, il  comma  8,  lettera
e), del citato  art.  10  dispone  che  i  piani  faunistico-venatori
indichino «le zone e i periodi per l'addestramento,  l'allenamento  e
le gare di cani anche su fauna selvatica naturale...», anche al  fine
di compenetrare le esigenze della cinofilia venatoria. 
    In  base  all'art.  7  della  legge  n.  157/1992,   l'ISPRA   e'
l'organismo che ha il compito di  censire  il  patrimonio  ambientale
costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione
ed  i  rapporti  con  le  altre  componenti  ambientali,  nonche'  di
controllare  e  valutare  gli  interventi  faunistici  operati  dalle
regioni   e   dalle   province   autonome,   formulando   i    pareri
tecnico-scientifici richiesti dallo  Stato,  dalle  regioni  e  dalle
province autonome. 
    Orbene, nei pareri rilasciati alle Regioni ai fini della  stesura
dei calendari venatori, l'ISPRA indica  il  mese  di  settembre  come
periodo iniziale dell'addestramento dei cani da caccia, in quanto  lo
svolgimento di tale addestramento in periodo precedente  (o  comunque
durante tutto l'anno) «determina un evidente e indesiderabile fattore
di disturbo, in grado di determinare in maniera diretta  o  indiretta
una mortalita' aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate.
Questa attivita' andrebbe consentita solo  nel  periodo  che  precede
l'apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima  dei
primi di settembre ed escludendo quindi i mesi che vanno da  febbraio
a agosto» (parere ISPRA 22 agosto 2012). 
    Inoltre,  le  disposizioni  regionali  impugnate  si  pongono  in
contrasto con l'art. 18, commi 1, 1-bis e 2, della legge n. 157/1992,
che - in attuazione dell'art. 7 della direttiva n. 79/409/CEE - detta
disposizioni  sulle  specie  cacciabili  e  sui  periodi  in  cui  e'
consentito il prelievo  venatorio.  Invero,  la  citata  norma  della
direttiva CEE stabilisce  che:  «In  funzione  del  loro  livello  di
popolazione,  della  distribuzione  geografica   e   del   tasso   di
riproduzione in tutta la Comunita' le specie  elencate  nell'allegato
II possono  essere  oggetto  di  atti  di  caccia  nel  quadro  della
legislazione nazionale». 
    In base ad essa, il comma 1 dell'art. 18 della legge n.  157  del
1992 contempla appositi elenchi nei quali sono individuate le  specie
cacciabili, i relativi periodi in, cui ne e' autorizzato il  prelievo
venatorio, nonche' i  procedimenti  diretti  a  consentire  eventuali
modifiche  a  tali  previsioni.  Come  affermato  da  codesta   Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n.  233  del  2010,   «l'art.   18
garantisce, nel rispetto degli obblighi  comunitari  contenuti  nella
direttiva n. 79/409/CEE, standard minimi e uniformi di  tutela  della
fauna sull'intero territorio nazionale  [...]  in  quanto  indica  il
nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica il  cui  rispetto
deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale». 
    Inoltre, il comma 1-bis dispone che:  «L'esercizio  venatorio  e'
vietato, per ogni singola specie: 
        a) durante il ritorno al luogo di nidificazione; 
        b) durante il periodo della nidificazione  e  le  fasi  della
riproduzione e della dipendenza degli uccelli». 
    Il successivo  comma  2  stabilisce  che  i  termini  in  cui  e'
consentito  l'esercizio  dell'attivita'  venatoria  «possono   essere
modificati  per  determinate  specie  in  relazione  alle  situazioni
ambientali delle diverse realta' territoriali. Le regioni autorizzano
le modifiche previo  parere  dell'Istituto  nazionale  per  la  fauna
selvatica.  I  termini  devono  essere  comunque  contenuti  tra   il
1°(gradi) settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco
temporale massimo indicato al comma 1. L'autorizzazione regionale  e'
condizionata  alla  preventiva  predisposizione  di  adeguati   piani
faunistico-venatori». 
    Tali disposizioni sono violate dalle  disposizioni  regionali  in
esame, che  invece  consentono  l'attivita'  di  addestramento  e  lo
svolgimento delle gare dei cani da caccia durante tutto l'anno, cosi'
incidendo in un  ambito  attribuito  alla  competenza  esclusiva  del
legislatore statale. 
    Infine,  occorre  evidenziare  che  anche  in  questo   caso   la
disciplina regionale, nel modificare le  condizioni  per  l'esercizio
dell'attivita' di addestramento e di allenamento dei cani da  caccia,
incide sulla normativa sanzionatoria contenuta nell'art. 30, comma 1,
lettera a), della legge n. 157/1992 (che  dispone  l'arresto  da  tre
mesi ad un anno o l'ammenda da euro 929 a euro 2.582 per chi esercita
la caccia in periodo di divieto generale, intercorrente tra  la  data
di chiusura e la data di apertura fissata dall'art. 18)  e  nell'art.
31, comma 1, lettera a (che prevede la sospensione della  licenza  di
porto di fucile per uso di caccia, per un periodo da uno a tre anni).
Anche  sotto   questo   profilo   la   normativa   regionale   invade
indebitamente competenze riservate al legislatore statale. 
    Conclusivamente, l'art. 66 della legge regionale n.  18/2016  nel
consentire l'attivita' di addestramento e lo svolgimento  delle  gare
dei cani da caccia durante tutto  l'anno,  viola  l'art.  117,  primo
comma, Cost. per contrasto con l'art. 7 della direttiva 79/409/CEE, e
l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. per  contrasto  con  gli
articoli 10, comma 8, lettera e), 18, comma 1, 1-bis e 2,  30,  comma
1, lettera a) e 31, comma 1, lettera a) della legge n. 157/1992. 
4. Illegittimita' dell'art. 68, commi 1, della l.r. Veneto n. 18  del
2016, per violazione dell'art. 117, comma  2,  lettera  s)  Cost.  in
riferimento all'art. 14, comma 10, della legge  n.  157/1992.  L'art.
68, comma 1, della legge regionale in  oggetto,  modifica  il  quinto
comma dell'art. 24 della legge regionale n. 50/1993 prevedendo che le
parole «di cui ai commi 8, 9, 11 e 12 dell'art. 21» siano  sostituite
con le parole «di' cui ai commi 5, 5-bis, 5-ter, ,  8,  9,  11  e  12
dell'art. 21». 
    L'art. 24 disciplina i Comprensori  alpini  stabilendo  che  allo
stesso si applicano i commi 5, 5-bis, 5-ter, 8, 9, 11 e 12  dell'art.
21 riguardante gli organi degli ambiti territoriali di caccia. 
    Ai sensi dell'art. 24, comma 2, legge regionale n. 50  del  1993,
il Comprensorio Alpino di caccia e' una struttura  associativa  senza
fini di lucro, che persegue scopi  di  programmazione  dell'esercizio
venatorio e di  gestione  della  fauna  selvatica  su  un  territorio
delimitato dal  piano  provinciale.  Il  suo  comitato  direttivo,  a
seguito della modifica introdotta dalla legge regionale in esame,  e'
composto - tra gli altri - anche  da  «tre  rappresentanti  designati
dalle strutture locali delle associazioni  venatorie  riconosciute  a
livello nazionale o regionale». 
    L'art. 14, comma 10,  della  legge  n.  157  del  1992  sancisce,
invece, che «Negli organi  direttivi  degli  ambiti  territoriali  di
caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in  misura  pari
complessivamente al 60 per cento dei componenti,  dei  rappresentanti
di  strutture  locali  delle  organizzazioni  professionali  agricole
maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni
venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in  forma  organizzata
sul territorio. Il 20 per  cento  dei  componenti  e'  costituito  da
rappresentanti di' associazioni di protezione ambientale presenti nel
Consiglio  nazionale  per  l'ambiente  e   il   20   per   cento   da
rappresentanti degli enti locali». 
    Detta disposizione prevede, dunque, che  negli  organi  direttivi
degli ambiti  territoriali  di  caccia  debba  essere  assicurata  la
presenza paritaria delle associazioni venatorie,  esclusivamente  con
riferimento a quelle nazionali riconosciute. 
    Codesta Corte costituzionale ha affermato che  «il  principio  di
rappresentativita', di cui al citato art. 14, comma 10,  della  legge
n. 157 del 1992, ha carattere inderogabile (sentenza n. 299 del 2001)
e, in particolare, che detta disposizione, nello stabilire «i criteri
di composizione degli organi preposti  alla  gestione  dell'attivita'
venatoria negli ambiti territoriali individuati secondo le  modalita'
indicate, fissa uno standard minimo ed uniforme di composizione degli
organi stessi che  deve  essere  garantito  in  tutto  il  territorio
nazionale» (sentenza n. 165 del  2009)»  (Corte  Cost.  n.  268/2010.
Nello stesso senso, piu' di recente, cfr. sentenza n. 124/2016). 
    Con la recente ordinanza n. 133/2015 codesta Corte  ha  esaminato
l'art. 21, comma  5,  della  legge  regionale  Veneto  50/1993,  come
modificato dall'art. 22 della  legge  regionale  Veneto  n.  37/1997,
disciplinante gli  ambiti  territoriali  di  caccia,  affermando  che
«l'art. 21, comma 5, della  legge  impugnata,  relativo  agli  Ambiti
territoriali di caccia, non si applica alla nomina dei componenti del
Comitato direttivo dei Comprensori alpini, come si desume chiaramente
anche dall'art. 24, comma 5, ove sono indicati i commi  dell'art.  21
applicabili ai Comprensori alpini, senza menzionare il comma 5. [...] 
    A seguito della modifica introdotta con la disposizione in esame,
viene esteso anche alle associazioni venatorie riconosciute a livello
regionale la disciplina concernente la  rappresentanza  negli  organi
direttivi degli Ambiti  territoriali  di  caccia  e  dei  Comprensori
alpini. In tal  modo,  il  sistema  di  rappresentanza  negli  organi
direttivi dei suddetti Comprensori non rispetta «lo standard  minimo»
imposto dall'art. 14, comma 10, della legge  n.  157  del  1992,  che
costituisce una disposizione a tutela dell'ambiente e che, come tale,
ha carattere  vincolante  per  il  legislatore  regionale,  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Alla  luce  delle  precedenti  considerazioni,  ad   avviso   del
Presidente del Consiglio ricorrente l'art. 68, comma 1,  della  legge
regionale in oggetto, nell'estendere la disciplina prevista dai commi
5, 5-bis, e 5-ter dell'art. 21 della legge regionale  n.  50/1993  ai
consigli direttivi dei Comprensori Alpini, si, pone in contrasto  con
l'art. 117, comma 2, lettera s) Cost., in  riferimento  all'art.  14,
comma 10, della legge n. 157/1992. 
5. Illegittimita' dell'art. 69, comma 2, della l.r. Vento n.  18  del
2016, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in riferimento all'art. 12, commi 2 e 3; all'art. 21, comma 1,  della
legge n. 157/1992, ed all'art. 30, comma 1, lettera i),  della  legge
n. 157 del 1992. 
    L'art. 69, comma 2, della legge in esame inserisce il comma 3-bis
nell'art. 20 della legge regionale n. 50/1993  prevedendo  che  «dove
non in contrasto con la disciplina sull'uso dei mezzi  a  motore,  in
territorio lagunare e vallivo e piu'  in  genere  nelle  zone  umide,
quali laghi,  fiumi,  paludi,  stagni,  specchi  d'acqua  naturali  o
artificiali, e' ammesso l'uso della barca a  motore  quale  mezzo  di
trasporto per raggiungere e ritornare dagli appostamenti  di  caccia.
E' altresi' ammesso l'uso della barca per  il  recupero  della  fauna
selvatica ferita o abbattuta. Il recupero  e'  consentito  anche  con
l'ausilio del cane e del fucile, entro un  raggio  non  superiore  ai
duecento metri dall'appostamento». 
    Tale norma si pone in contrasto con la  disciplina  statale  che,
contenendo i principi generali dell'attivita' venatoria ed  afferendo
alla  materia  della  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,   ha
carattere vincolante per il legislatore regionale. 
    Secondo l'art. 12, commi 2 e 3,  della  legge  n.  157/1992,  «2.
costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento  o
alla cattura di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi  di  cui
all'art. 13. 
    3. E' considerato altresi' esercizio venatorio  il  vagare  o  il
soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo  o  in  attitudine  di
ricerca  della  fauna  selvatica  o  di  attesa  della  medesima  per
abbatterla». 
    Pertanto, in base alla disciplina statale il  recupero  dei  capi
feriti, anche con l'ausilio dei cani o con l'uso della  armi  di  cui
all'art. 13 della legge statale, e' considerato esercizio  venatorio,
e sono ad esso applicabili i divieti e le garanzie  proprie  di  tale
attivita'. 
    In particolare, trova applicazione  l'art.  21,  comma  1,  della
legge n. 157/1992 secondo cui:  «E'  vietato  a  chiunque:  [...]  i)
cacciare sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili». 
    Ancora  una  volta,  la  modifica  introdotta   dal   legislatore
regionale  finisce  per  incidere  indebitamente   sulla   disciplina
sanzionatoria prevista dalla normativa statale, in quanto modifica  i
presupposti del  fatto  illecito.  Specificamente,  viene  modificato
l'ambito di applicazione dell'art. 30, comma  1,  lettera  i),  della
legge n. 157 del 1992, che dispone  «l'arresto  fino  a  tre  mesi  o
l'ammenda fino a lire 4.000.000 (euro  2.065)  per  chi  esercita  la
caccia sparando da autoveicoli, da natanti o da aeromobili». 
    Pertanto, l'art. 69,  comma  2,  che  inserisce  il  comma  3-bis
nell'art. 20 della legge n. 50/1993, prevedendo la  possibilita'  per
il cacciatore, anche con l'ausilio del fucile, di recuperare la fauna
selvatica abbattuta tramite l'utilizzo di barca a motore, si pone  in
contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s)  Cost.  per  violazione
della normativa interposta di cui agli articoli 12, commi 2 e 3,  21,
comma 1, lettera i)  e  30,  comma  1,  lettera  i)  della  legge  n.
157/1992. 
6. Illegittimita' dell'art. 71 della l.r. Veneto n. 18 del 2016,  per
violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., per contrasto con l'art.  9
della direttiva 2009/147/CE, e dell'art. 117, comma  2,  lettera  s),
Cost., in riferimento agli articoli 19, comma 2 e 19-bis della  legge
n. 157 del 1992. 
    L'art. 71 della legge regionale impugnata introduce misure per il
contenimento del cormorano (Phalacrocorax carbo). 
    Al riguardo si deve  evidenziare  che  la  specie  Cormorano  non
rientra nell'elenco delle specie cacciabili  ai  sensi  dell'art.  18
della legge n. 157/1992. 
    L'art. 19-bis di tale legge dispone, tuttavia,  che  «le  regioni
disciplinano  l'esercizio  delle  deroghe  previste  dalla  direttiva
2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del  30  novembre
2009, conformandosi alle prescrizioni dell'art. 9, ai principi e alle
finalita' degli articoli  1  e  2  della  stessa  direttiva  ed  alle
disposizioni della presente legge. 
    2. Le deroghe possono essere disposte dalle  regioni  e  province
autonome, con atto amministrativo, solo in assenza di altre soluzioni
soddisfacenti, in via eccezionale e per periodi limitati. Le  deroghe
devono essere giustificate da un'analisi puntuale dei  presupposti  e
delle condizioni e devono menzionare la valutazione  sull'assenza  di
altre soluzioni soddisfacenti, le specie che  ne  formane-oggetto,  i
mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni
di rischio, le circostanze di tempo  e  di  luogo  del  prelievo,  il
numero dei  capi  giornalmente  e  complessivamente  prelevabili  nel
periodo, i controlli e le  particolari  forme  di  vigilanza  cui  il
prelievo e' soggetto e gli organi incaricati della stessa [...]». 
    L'art. 71 qui censurato contrasta con quanto previsto dall'art. 9
della  direttiva  2009/147/CE  e  dall'art.  19-bis  della  legge  n.
157/1992, perche' non indica le condizioni necessarie per accedere al
regime di deroga, ne' tantomeno le modalita' e i requisiti  necessari
per l'applicazione della stessa. 
    Nel  parere  motivato  relativo  alla  procedura  di   infrazione
2006/2131, la  Commissione  europea  ha  affermato  che  «[...]  sono
contrarie alla direttiva  le  legge  regionali  che  contengono  gia'
l'indicazione esplicita della specie che potranno essere  oggetto  di
deroga ex art. 9 in quanto identificano gia' in maniera  generale  ed
astratta e senza limiti di  tempo  le  specie  oggetto  della  deroga
mentre, nel sistema della direttiva, la deroga  e'  un  provvedimento
eccezionale di carattere provvedimentale, che viene adottato in  base
ad una precisa e puntuale analisi dei presupposti e delle  condizioni
di fatto  stabilite  dall'art.  9.  La  normativa  che  recepisce  le
condizioni di adozione delle deroghe deve disciplinare le  modalita',
le procedure e le attribuzioni delle autorita' competenti ma non puo'
identificare a priori l'oggetto della stessa deroga,  poiche'  questo
e' il risultato dell'analisi di una situazione di fatto che varia  di
volta in volta. La previsione delle specie oggetto della deroga  gia'
nelle disposizioni della legge si colloca fuori dell'obbiettivo della
deroga,  in  quanto   costituisce   un'autorizzazione   all'esercizio
regolare della caccia a specie di uccelli protette  (non  cacciabili)
ai sensi della direttiva» (Punto 32 del parere motivato). 
    Codesta Ecc.ma Corte ha inoltre chiarito che «il potere di deroga
di cui all'art. 9 della direttiva  79/409/CEE e'  esercitabile  dalla
Regione in via eccezionale, «per  consentire  non  tanto  la  caccia,
quanto, piuttosto, piu' in generale, l'abbattirnento o la cattura  di
uccelli selvatici appartenenti alle specie protette  dalla  direttiva
medesima» (sentenza n. 168 del 1999). [...] il legislatore regionale,
nello stabilire che l'esercizio delle deroghe avvenga attraverso  una
legge-provvedimento, ha introdotto una disciplina  in  contrasto  con
quanto previsto dal legislatore statale al cennato  art.  19-bis.  In
particolare,  l'autorizzazione  del  prelievo  in  deroga  con  legge
preclude  l'esercizio  del  potere  di  annullamento  da  parte   del
Presidente del Consiglio dei ministri  dei  provvedimenti  derogatori
adottati dalle Regioni che risultino in contrasto  con  la  direttiva
comunitaria 79/409/CEE e con la legge n.  157  del  1992;  potere  di
annullamento  finalizzato  a  garantire  una  uniforme  ed   adeguata
protezione della fauna selvatica su tutto il  territorio  nazionale».
(Corte cost. n. 250/2008). 
    Il successivo comma 4 dell'art. 71, inoltre, disciplina  l'elenco
dei soggetti autorizzati al prelievo degli animali, indicando: «a) la
polizia provinciale e locale; b) gli agenti venatori volontari; c) le
guardie giurate; d) gli operatori della  vigilanza  idraulica;  e)  i
proprietari o conduttori di aziende vallive dedite all'acquacoltura e
fondi agricoli; f) i  soggetti  muniti  di  licenza  per  l'esercizio
dell'attivita' venatoria;  g)  altri  soggetti  all'uopo  autorizzati
dalle province e Citta' metropolitana di Venezia». 
    Tale disposizione si pone in contrasto con l'art.  19,  comma  2,
della legge n. 157/1992, che prevede  che  i  piani  di  abbattimento
«devono essere  attuati  dalle  guardie  venatorie  dipendenti  dalle
amministrazioni  provinciali.   Queste   ultime   potranno   altresi'
avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
i  piani  medesimi,  purche'  muniti  di  licenza   per   l'esercizio
venatoria, nonche' delle guardie forestali e delle  guardie  comunali
munite di licenza per l'esercizio venatorio». 
    Il citato articolo dispone quindi che  i  piani  di  abbattimento
devono  essere  attuati  esclusivamente   dalle   guardie   venatorie
provinciali, dai proprietari e conduttori dei fondi e  dalle  guardie
forestali e  comunali.  A  tal  riguardo,  codesta  Ecc.ma  Corte  ha
riconosciuto   che   «l'identificazione   delle   persone   abilitate
all'attivita' in questione compete esclusivamente  alla  legge  dello
Stato e che, al riguardo, l'art. 19  della  legge  n.  157  del  1992
contiene un elenco tassativo (sentenza n. 392 del 2005; ordinanza  n.
44 del 2012)» (sentenza n. 107 del 2014). 
    La normativa regionale ampliando il novero dei soggetti  preposti
ad attuare gli interventi di controllo  contravviene  alle  finalita'
dell'art. 19 sopra citato che contiene un elenco tassativo anche allo
scopo di assicurare una attenta ponderazione al fine di  evitare  che
la tutela degli interessi sanitari, di  protezione  delle  produzioni
zootecniche, di selezione biologica ecc..., perseguiti con i piani di
abbattimento,   possa   determinare    una    compromissione    della
sopravvivenza di altre specie faunistiche. 
    I piani di abbattimento, infatti, sono  presi  in  considerazione
solo come  extrema  ratio  ed  esclusivamente  per  scopi  di  tutela
dell'ecosistema, non trattandosi, chiaramente, di attivita' svolta  a
fini venatori (sul punto sentenza Corte costituzionale n.  392/2005).
A tal riguardo, l'art. 19, comma 2, contiene un elenco  tassativo  di
soggetti autorizzati all'esecuzione di tali piani (guardie  venatorie
dipendenti   dalle   amministrazioni   provinciali,   proprietari   o
conduttori dei fondi sui quali si attuano i  piani  di  abbattimento,
guardie  forestali  e  guardie  comunali  munite   di   licenza   per
l'esercizio venatorio), nel quale non  sono  compresi  i  cacciatori,
come, invece, prevede la norma censurata alla lettera f). 
    L'art. 19 della legge  n.  157  del  1992  «nella  parte  in  cui
disciplina i poteri regionali di controllo faunistico, costituisce un
principio fondamentale della materia  a  norma  dell'art.  117  della
Costituzione,  tale  da  condizionare   e   vincolare   la   potesta'
legislativa regionale [...]. La  rigorosa  disciplina  del  controllo
faunistico recata dall'art. 19 della legge n. 157 del 1992 e' infatti
strettamente connessa  all'ambito  di  operativita'  della  direttiva
79/409/CEE,  concernente  la  conservazione  di  uccelli   selvatici»
(sentenza n. 392/2005 e n. 135/2011). 
    Da cio' consegue che le norme  statali  rappresentano  un  limite
invalicabile per l'attivita' legislativa  della  Regione,  in  quanto
prevedono norme imperative che devono  essere  applicate  sull'intero
territorio  nazionale  per  soddisfare  ed  essere  coerenti  con  le
primarie esigenze di tutela ambientale. 
    Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 71 della  legge
regionale in esame viola l'art. 117, primo e secondo comma, Cost. per
contrasto con l'art. 9 della direttiva 2009/147/CE e con gli articoli
19, comma 2 e 19-bis della legge n. 157/1992. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Per questi  motivi  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
propone  il  presente  ricorso  e  confida  nell'accoglimento   delle
seguenti   conclusioni:   «Voglia   l'Ecc.ma   Corte   costituzionale
dichiarare costituzionalmente illegittimi gli articoli  55;  65;  66,
commi 1 e 2; 68, comma 1; 69, comma 2, e 71 della legge della Regione
Veneto del 27 giugno 2016, n. 18, pubblicata sul BUR  n.  63  del  1°
luglio  2016,  recante  «Disposizioni  di  riordino  e   semplcazione
normativa in materia di  politiche  economiche,  del  turismo,  della
cultura, del lavoro, dell'agricoltura, della pesca,  della  caccia  e
dello sport». 
    Per violazione degli articoli 3; 23; 117, comma 1, e  117,  comma
2, lettera s), Cost. 
    Si producono: 
        1) copia della legge regionale impugnata; 
        2) copia conforme della delibera del Consiglio  dei  ministri
adottata nella riunione del 10 agosto 2016, recante la determinazione
di  proposizione  del  presente  ricorso,  con   allegata   relazione
illustrativa. 
          Roma, 23 agosto 2016 
 
                    L'Avvocato dello Stato: Guida