N. 220 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 2016

Ordinanza del 21 giugno 2016 del Tribunale di Roma  nel  procedimento
penale a carico di B. V.. 
 
Reati e  pene  -  Prescrizione  -  Determinazione  -  Normativa  piu'
  favorevole al reo (disciplina antecedente alle modifiche introdotte
  dalla legge n. 172 del 2012)  -  Mancata  esclusione  per  i  reati
  sessuali commessi in danno di minori. 
- Legge 5 dicembre  2005,  n.  251  (Modifiche  al  codice  penale  e
  alla legge 26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di   comparazione   delle
  circostanze di reato per i recidivi, di usura e  di  prescrizione),
  art. 6, commi  1,  4  e  5,  nel  testo  anteriore  alle  modifiche
  apportate  dalla  legge  1°  ottobre  2012,  n.  172  (Ratifica  ed
  esecuzione  della  Convenzione  del  Consiglio  d'Europa   per   la
  protezione dei minori contro lo sfruttamento  e  l'abuso  sessuale,
  fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme di  adeguamento
  dell'ordinamento interno). 
(GU n.44 del 2-11-2016 )
 
                          TRIBUNALE DI ROMA 
                         VIII Sezione Penale 
 
    Il Tribunale composto dai giudici del quarto collegio: 
        Marcello Liotta, Presidente; 
        Marco Marocchi, Giudice; 
        Fabio Mostarda, Giudice, 
decidendo in ordine al procedimento penale  sopra  indicato  iscritto
nei confronti B. V., nato a ... (AV) il ... imputato «del delitto  p.
e p. dagli articoli 61, numeri 5, 9  e  11,  81  cpv  codice  penale,
609-bis, comma 1° e 609-ter, comma 1°, n. 1, codice penale,  perche',
con piu' azioni  esecutive  di  un  medesimo  disegno  criminoso,  in
molteplici   circostanze,   quale   religioso    appartenente    alla
Congregazione dei ..., con abuso di  autorita'  derivante  dalla  sua
posizione di precettore  e  padre  spirituale,  avendo  ricevuto  dai
genitori in affidamento il minore D'O. N. (nato il ... ) per  ragioni
di'  educazione  e  di  istruzione,  ed  anche  con  violenza  spesso
consistita  nel  prendere  con  forza  la  mano  del  predetto   D'O.
portandola sui suoi organi genitali,  nell'afferrare  il  capo  dello
stesso cosi' da spingerlo a praticare rapporti orali e  comunque  nel
sovrastarlo fisicamente  e  psicologicamente  tanto  da  vincerne  le
resistenze, costringeva la citata persona offesa a compiere e  subire
atti  sessuali  reciproci  di  masturbazione,  congiunzioni  orali  e
penetrazioni anali. 
    Con le aggravanti di aver commesso il fatto: 
        nei confronti di minore degli anni 14; 
        approfittando di circostanze di tempo di luogo e  di  persona
tali da ostacolare la privata  difesa  (in  ragione  non  solo  della
minore eta' della persona offesa, ma anche della  sua  condizione  di
soggetto  comunque  a  lui  affidato  per  la  cura,  la  crescita  e
l'evoluzione esistenziale ed  altresi'  del  fatto  che  le  condotte
venivano portate a compimento presso  la  sua  dimora  ovvero  presso
luoghi posti nella sua disponibilita' anche all'interno di  strutture
ecclesiastiche); 
        con violazione dei doveri inerenti alla qualita' di  ministro
del culto cattolico; 
        con abuso di relazioni di coabitazione e di ospitalita'. 
    Commesso in Roma sino al  2002  e  successivamente  in  Genova  e
all'estero fino al 17 ottobre 2004.»  (imputazione  cosi'  modificata
dal pubblico ministero all'udienza del 10 ottobre 2014). 
    Rilevato che si e' proceduto con giudizio ordinario e  che,  dopo
ampia istruttoria, alle udienze  dell'8  e  del  28  aprile  2016  il
Tribunale -  dichiarata  chiusa  l'istruttoria  dibattimentale  -  ha
invitato le parti ad illustrare le rispettive conclusioni,  rinviando
su richiesta del pubblico ministero al 27 maggio  2016  per  repliche
scritte e controrepliche delle altre parti; che tutte le parti  hanno
depositato memorie scritte e che il collegio ha rinviato  all'udienza
del 21 giugno per la lettura della decisione. 
    Rilevato  che  il  pubblico  ministero  ha  chiesto  la  condanna
dell'imputato per il delitto  ascrittogli;  che  il  difensore  della
parte civile ha chiesto l'affermazione della  penale  responsabilita'
dell'imputato e, per l'effetto, la condanna dello  stesso  alla  pena
ritenuta di giustizia, al risarcimento dei danni patrimoniali  e  non
patrimoniali cagionati dai reati e  alla  refusione  delle  spese  di
costituzione e di giudizio; che il difensore del responsabile  civile
ha chiesto la pronuncia nei confronti dell'imputato di  una  sentenza
di non doversi procedere per tutti i fatti di reato antecedenti  alla
data  dell'8  ottobre  2003  in  quanto  estinti  per   prescrizione,
l'assoluzione dell'imputato dai fatti di reato successivi a tale data
con la formula perche' il fatto non sussiste e il conseguente rigetto
della domanda  risarcitoria  avanzata  dalla  parte  civile;  che  il
difensore dell'imputato ha rassegnato conclusioni analoghe  a  quelle
del difensore del responsabile civile. 
    Rilevato che l'imputato e' chiamato a rispondere di una serie  di
condotte di violenza sessuale che si assumono consumate in danno  del
minore N. D'O. (nato il ... ) con abuso di autorita', della  qualita'
di ministro di culto e di relazioni di ospitalita' in un  ampio  arco
temporale sotteso fra l'anno 1995 ed il 17 ottobre 2004. 
    Ritenuto che tali condotte siano sussumibili quoad  poenam  nella
fattispecie incriminatrice di cui all'art. 519, comma 2, n. 1 e 2 del
codice penale fino alla data dell'entrata in vigore  della  legge  15
febbraio 1996,  n.  66  e  successivamente  in  quelle  di  cui  agli
articoli, 609-bis, comma 1 del codice penale e 609-ter, comma 1, n. 1
del codice penale sopra richiamate. 
    Rilevato  che  dall'anno  1995  ad  oggi  la   disciplina   della
prescrizione, con riferimento ai delitti  di  violenza  sessuale,  e'
stata novellata dapprima dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005,  n.
251 (con la previsione di un termine corrispondente al massimo  della
pena edittale stabilita dalla legge - da determinarsi  tenendo  conto
delle sole circostanze aggravanti per le quali  la  legge  stabilisca
una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto
speciale - e, in caso di  interruzione,  l'aumento  dello  stesso  in
misura non eccedente un quarto del termine ordinario,  la  meta'  nei
casi di cui all'art. 99, comma 2 del codice penale e  due  terzi  nel
caso di cui all'art. 99,  quarto  comma  del  codice  penale)  e  poi
dall'art. 4, comma 1, lettera a) della legge 1° ottobre 2012, n, 172,
di ratifica della Convenzione di Lanzarote cui  l'Italia  ha  aderito
come Stato membro del Consiglio d'Europa (con l'introduzione al comma
6 dell'art. 157 del codice penale della previsione del raddoppio  dei
termini di prescrizione di cui ai commi precedenti per  un  serie  di
gravi  delitti  fra  cui  quelli  di  cui  agli   articoli   609-bis,
609-quater, 609-quinquies e octies del codice penale salvi i casi  di
minore gravita' integranti le circostanze attenuanti di cui al  terzo
comma di cui all'art. 609-bis del codice penale  e  al  quarto  comma
dell'art. 609- quater del codice penale). 
    Rilevato che sia la Corte costituzionale (si vedano tra le  altre
le sentenze n. 324  del  2008  e  236  del  2011)  sia  la  Corte  di
Cassazione (si vedano ex multis Cassazione sezione III penale 16.1996
e Cassazione sezione I 8 maggio  1998)  definiscono  la  prescrizione
come istituto di diritto sostanziale e non processuale  e  ritengono,
pertanto, applicabile in caso di  successione  di  leggi  penali  nel
tempo l'eventuale nuova normativa  piu'  favorevole  all'imputato  ai
sensi dell'art. 2, comma 4° del codice penale. 
    Ritenuto  pertanto  che,  nel  caso   in   esame,   l'evidenziata
successione di leggi penali in materia di prescrizione dei delitti di
violenza sessuale prospetti l'astratta  applicabilita'  ai  fatti  di
reato contestati all'imputato di tre diversi regimi di  prescrizione,
segnatamente: 
        a) per quelli che si assumono commessi fino  al  15  febbraio
1996 (punibili ai sensi del vecchio art. 519 del codice penale con la
pena della reclusione da tre a dieci anni) il termine di anni  15  ai
sensi del coevo art. 157, comma  1,  n.  2  del  codice  penale  (con
aumento della meta' e cosi' ad anni 22 e mesi 6 ai  sensi  del  coevo
art. 160,  ultimo  comma  del  codice  penale  in  presenza  di  atti
interruttivi); il termine di anni 10 ai sensi dell'art. 157, comma  1
del codice penale cosi' come novellato dalla legge n.  251/2005  (con
aumento di un quarto e cosi' ad anni 12 e mesi 6 ai  sensi  dell'art.
161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi) e il
termine di anni 20 ai sensi dell'art. 157, comma 6 del codice  penale
come novellato dalla legge n. 172/2012 (con aumento di  un  quarto  e
cosi' ad anni 25 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in
presenza di atti interruttivi); 
        b) per quelli che si assumono commessi dal 16  febbraio  1996
al 17 ottobre 2000 (punibili ai sensi del  combinato  disposto  degli
articoli 609-bis, comma 1 e 609-ter, comma 1, n. 1 del codice  penale
con la pena della reclusione da sei a dodici anni) il termine di anni
15 ai sensi del coevo art. 157, comma 1 n. 2 del codice  penale  (con
aumento della meta' e cosi' ad anni 22 e mesi 6 ai  sensi  del  coevo
art. 160,  ultimo  comma  del  codice  penale  in  presenza  di  atti
interruttivi); il termine di anni 12 ai sensi dell'art. 157, comma  1
del codice penale cosi' come novellato dalla legge n.  251/2005  (con
aumento di un quarto e cosi' ad anni 15 ai sensi dell'art. 161, comma
2 del codice penale in presenza di atti interruttivi) e il termine di
anni 24 ai sensi dell'art.  157,  comma  6  del  codice  penale  come
novellato dalla legge n. 172/2012 (con aumento di un quarto  e  cosi'
ad anni 30 ai sensi dell'art. 161,  comma  2  del  codice  penale  in
presenza di atti interruttivi); 
        c) per quelli che si assumono commessi dal 18 ottobre 2000 al
17 ottobre 2004 (punibili ai sensi dell'art.  609-bis,  comma  1  del
codice penale con la pena della reclusione da cinque a dieci anni) il
termine di anni 15 ai sensi del coevo art. 157, comma  1,  n.  2  del
codice penale (con aumento della meta' e casi ad anni 22 e mesi 6  ai
sensi del coevo art. 160, ultimo comma del codice penale in  presenza
di atti interruttivi); il termine di anni 10 ai sensi dell'art.  157,
comma 1 del  codice  penale  cosi'  come  novellato  dalla  legge  n.
251/2005 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 12  e  mesi  6  ai
sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in  presenza  di  atti
interruttivi) e il termine di anni 20 ai sensi dell'art. 157, comma 6
del codice penale come novellato dalla legge n. 172/2012 (con aumento
di un quarto e cosi' ad anni 25 ai sensi dell'art. 161, comma  2  del
codice penale in presenza di atti interruttivi). 
    Rilevato che la disposizione  dell'art  2,  comma  4  del  codice
penale, nell'attuale formulazione e secondo la comune interpretazione
giurisprudenziale costituente il c.d. diritto vivente, imporrebbe  di
applicare ai fatti di reato ascritti all'imputato la piu'  favorevole
disciplina della prescrizione introdotta dall'art. 6  della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 e, per l'effetto, di ritenere gia'  coperti  da
prescrizione quelli che si assumono consumati  fino  al  21  dicembre
2003 (salvo un breve periodo di sospensione della prescrizione pari a
21 giorni). 
    Rilevato,  conseguentemente,  che  sarebbe  cosi'   preclusa   al
Tribunale, con riferimento ai predetti fatti, la possibilita' di  una
piena pronuncia nel merito (potendo prevalere sulla  declaratoria  di
una causa  di  estinzione  dei  reati  soltanto  un  eventuale  esito
assolutorio ai sensi del comma 1 o del  comma  2  dell'art.  530  del
codice di procedura penale). 
    Considerato che, anteriormente alla citata legge n. 251/2005,  il
Consiglio dell'Unione europea in data 22 dicembre 2003 ha adottato la
«Decisione  quadro  2004/68/GAI  relativa  alla   lotta   contro   lo
sfruttamento  sessuale  dei  bambini  e  la  pornografia   infantile»
(pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. L 013 del 20  gennaio  2004),
il cui art. 8, punto 6, recita:  «Ciascuno  Stato  membro  adotta  le
misure necessarie affinche'  sia  reso  possibile  il  perseguimento,
conformemente al diritto nazionale, almeno dei piu' gravi  dei  reati
di cui all'art. 2 dopo che la vittima  abbia  raggiunto  la  maggiore
eta'» mentre tra le condotte penalmente illecite l'art.  2  individua
quella di colui che «lettera c) partecipa ad attivita'  sessuali  con
un bambino, laddove: i) faccia uso di coercizione, forza o  minaccia;
ii)  dia  in  pagamento  denaro,  o  ricorra  ad   altre   forme   di
remunerazione o compenso in cambio del coinvolgimento del bambino  in
attivita' sessuali; oppure iii) abusi di una  posizione  riconosciuta
di fiducia, autorita' o influenza nel bambino». 
    Ritenuto  che  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  ha
chiarito gli effetti della decisione quadro; in particolare la  corte
ha affermato, in primo luogo, l'obbligo di  interpretazione  conforme
del diritto interno  alla  lettera  ed  allo  scopo  della  decisione
quadro,  muovendo  dal  riconoscimento   del   carattere   vincolante
dell'atto quanto al risultato,  analogo  a  quello  della  direttiva,
cosi' realizzandone una parziale parificazione  (sentenza  16  giugno
2005, C-105/03, Pupino). 
    Rilevato altresi' che la Corte  costituzionale  con  sentenza  n.
227/2010  ha  ritenuto  fondata  una  eccezione   di   illegittimita'
costituzionale di una norma interna per contrasto con  una  decisione
quadro della UE. 
    Rilevato inoltre, con riferimento alla  normativa  extranazionale
emanata dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge  n.  251/2005,  che
l'Italia ha stipulato la Convenzione del Consiglio  di  Europa  sulla
protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi  sessuali  del
25 ottobre 2007 (Trattato di Lanzarote) che  all'art.  27,  comma  1,
prevede che «ciascuna delle Parti adotta le misure legislative  o  di
altra  natura  necessarie  per  garantire   che   i   reati   fissati
conformemente alla presente Convenzione  siano  puniti  con  sanzioni
effettive, proporzionate e dissuasive che tengano  conto  della  loro
gravita'» ed ancor piu' all'art. 33 prevede che «ciascuna delle parti
adotta le misure  legislative  necessarie  affinche'  il  termine  di
prescrizione si protragga per  un  periodo  di  tempo  sufficiente  a
consentire l'avvio effettivo delle azioni penali dopo che la  vittima
abbia raggiunto  la  maggiore  eta'  e  che  sia  proporzionato  alla
gravita' del reato in questione». 
    Rilevato che l'Italia ha dato attuazione alla  detta  convenzione
del Consiglio di Europa con la legge di ratifica 1° ottobre 2012,  n.
172, che, come sopra rilevato, ha previsto il raddoppio  del  termine
di prescrizione per alcune fattispecie incriminatrici comprese quelle
di cui all'art. 609-bis del codice penale. 
    Rilevato che nel caso in esame l'attuale  assetto  interpretativo
dell'istituto della prescrizione imporrebbe l'applicazione  ai  fatti
di reato contestati all'imputato della disciplina della  prescrizione
a questi piu'  favorevole  introdotta  dall'art.  6  della  legge  n.
251/2005, legge  che  tuttavia  appare  in  contrasto  per  cio'  che
riguarda i  reati  sessuali  commessi  in  danno  di  minori  con  la
decisione quadro del 2004 (confermata e rafforzata  dal  trattato  di
Lanzarote e dalla direttiva UE n. 2011/92); ed infatti, la  riduzione
del termine di prescrizione massima a 12 anni e  sei  mesi  (prevista
dalla  citata  legge  251/2005)   e   la   decorrenza   del   termine
prescrizionale dalla  data  di  consumazione  del  reato  (giusto  il
disposto dell'art.  158  del  codice  penale  rimasto  invariato  sul
punto), fa si' che molti delitti in danno di minori (ad es. quelli in
danno di persone offese di eta' inferiore ai 5  anni  e  6  mesi)  si
prescrivano  prima  del  raggiungimento  della  maggiore  eta'  delle
vittime, mentre per molti altri delitti (ad es. quelli  in  danno  di
persone offese di eta' inferiore ai 14 anni) il tempo necessario alla
celebrazione del processo penale disponibile dopo  il  raggiungimento
della  maggiore  eta'  risulta  oggettivamente  esiguo  e   via   via
decrescente sino  ad  annullarsi  del  tutto;  di  fatto,  dunque  la
normativa introdotta dalla legge n. 251/2005 si porrebbe in contrasto
con le disposizioni della  citata  decisione  quadro  in  quanto  non
consente di raggiungere l'obiettivo indicato dalla norma  comunitaria
(vale a dire rendere possibile il perseguimento dei reati sessuali in
danno di minori dopo che  la  vittima  abbia  raggiunto  la  maggiore
eta');  obiettivo  che  invece  -  stanti  i  piu'  ampi  termini  di
prescrizione previsti superiori ai 20  anni  -  e'  conseguibile  sia
applicando la disciplina della prescrizione antecedente alla legge n.
251/2005 sia quella introdotta dalla legge n. 172/2012; 
    Ritenuto che la disciplina in materia di prescrizione  introdotta
dalla legge n. 251/2005 in tema di reati sessuali in danno di  minori
si risolve in una violazione dei vincoli  alla  potesta'  legislativa
derivanti dall'obbligo  internazionale  assunto  dall'Italia  con  la
decisione quadro 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003. 
    Considerato pertanto che l'art. 6,  commi  1-4-5  della  legge  5
dicembre  2005,  n.  251,  nel  testo  antecedente   alle   modifiche
introdotte dalla legge n. 172/2012 (la quale ha inserito il  comma  6
dell'art.  157  del  codice  penale   raddoppiando   i   termini   di
prescrizione), appare in contrasto con l'art. 11 e  con  l'art.  117,
comma 1 della Costituzione nella parte in cui non esclude  dalla  sua
disciplina i reati sessuali nei confronti di minori. 
    Ritenuto che, secondo la sentenza della Corte  costituzionale  n.
227/2010 del 24 giugno 2010, il contrasto  tra  normativa  interna  e
decisioni  quadro  UE  pur  se  non  possa  comportare   la   diretta
disapplicazione in quanto le decisioni quadro non  sono  direttamente
applicabili,  da'  tuttavia  luogo,  ricorrendone  i  presupposti,  a
dichiarazione di incostituzionalita' a norma dell'art. 117 Cost. 
    Ritenuto che non sia possibile fare  diretta  applicazione  della
decisione quadro 2004/68 (disapplicando la norma censurata) in quanto
tale decisione non ha carattere «autoapplicativo» non derivando dalla
stessa un diritto riconosciuto al cittadino azionabile nei  confronti
dello Stato inadempiente. 
    Considerato che, secondo quanto stabilito  nella  sentenza  Corte
costituzionale n. 28/2010, l'impossibilita' di disapplicare la  legge
interna in contrasto con una  direttiva  comunitaria  non  munita  di
efficacia diretta non significa tuttavia che la prima sia immune  dal
controllo di conformita' al  diritto  comunitario,  che  spetta  alla
Corte costituzionale davanti alla quale  il  giudice  puo'  sollevare
questione di legittimita'  costituzionale,  per  asserita  violazione
dell'art. 11 ed oggi anche  dell'art.  117,  primo  comma  Cost.  (ex
plurimis, sentenze n. 170 del 1984, n.  317  del  1996,  n.  284  del
2007). 
    Ritenuto che sia da escludere altresi'  il  rinvio  pregiudiziale
alla Corte di giustizia dell'Unione europea, poiche' detto rinvio non
e' necessario quando  il  significato  della  norma  comunitaria  sia
evidente, come nel caso  di  specie,  e  si  impone  soltanto  quando
occorra risolvere un dubbio interpretativo  (ex  plurimis,  Corte  di
giustizia, sentenza 27 marzo 1963, in  causa  C-28-30/62,  Da  Costa;
Corte costituzionale, ordinanza n. 103 del 2008). 
    Ritenuto    che    non    sia    possibile     un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 6 della legge  n.  251/2005  e
della normativa interna. 
    Ritenuta la rilevanza della  dedotta  questione  di  legittimita'
costituzionale ai fini della decisione da assumere in ordine ai fatti
di reato contestati all'imputato in quanto  l'eventuale  accoglimento
della questione comporterebbe il venir  meno,  nella  fattispecie  in
esame, della disciplina della legge  n.  251/2005  e  la  conseguente
applicazione della disciplina previgente e coeva ai fatti per cui  si
procede (con  conseguente  esclusione  del  rischio  di  applicazione
retroattiva di norme sfavorevoli al reo)  che  consentirebbe  di  non
ritenere prescritto alcuno dei fatti reato contestati e  di  emettere
una piena pronuncia  di  merito  (anche  in  relazione  alle  domande
avanzate dalla parte  civile),  non  ristretta  negli  angusti  spazi
indicati dall'art. 129, comma 2 del codice di procedura penale. 
    Ritenuto infine che il procedimento penale deve essere sospeso ad
ogni effetto di legge e che gli  atti  vadano  trasmessi  alla  Corte
costituzionale. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 1 della legge n. 1/1948 e 23  della  legge  n.
87/1953, dichiara non manifestamente infondata e  rilevante  ai  fini
del giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6,
commi  1-4-5  della  legge  5  dicembre  2005,  n.  251,  nel   testo
antecedente alle modifiche introdotte dalla legge  n.  172/2012,  per
contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione nella
parte in cui non esclude dalla sua disciplina i  reati  sessuali  nei
confronti di minori. 
    Sospende il presente giudizio ad ogni effetto di legge  (compresa
la sospensione ai sensi dell'art. 159 del  codice  penale  del  corso
della prescrizione) ed ordina la immediata  trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale. 
    Dispone che copia della presente ordinanza sia notificata a  cura
della  Cancelleria  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   e
comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera. 
 
        Roma, 21 giugno 2016 
 
                        Il Presidente: Liotta