N. 226 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 dicembre 2015

Ordinanza del 28 dicembre 2015 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Serragiumenta  agricola  Snc  di
Salvatore   Carlo   Bilotti   e   C   Societa'   agricola   e   altri
contro Presidenza  del  Consiglio   dei   ministri, Ministero   dello
sviluppo economico e GSE - Gestore dei servizi energetici. 
 
Energia - Interventi  sulle  tariffe  incentivanti  dell'elettricita'
  prodotta da impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200  KW  -
  Rimodulazione a decorrere  dal  1°  gennaio  2015  -  Modalita'  di
  erogazione. 
- Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni  urgenti  per  il
  settore  agricolo,  la  tutela   ambientale   e   l'efficientamento
  energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio  e
  lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle
  tariffe  elettriche,  nonche'  per  la  definizione  immediata   di
  adempimenti derivanti dalla  normativa  europea),  convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, art. 26, commi 2
  e 3. 
(GU n.45 del 9-11-2016 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                         (Sezione Terza Ter) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  16409  del   2014,   proposto   dalle   societa':
Serragiumenta Agricola  Snc  di  Salvatore  Carlo  Bilotti  e  C  Soc
Agricola, Sun Plant 4 Srl, Semplice Agricola Ricci Stefano e  Andrea,
Fedi Impianti Green Energy Srl, Nuovo Scatolificio Valtenna Srl,  Per
Energia ed Immobili Srl, So.Ve  Energia  Srl,  Dres  Plant  Srl,  Soc
Exergia Srl, rappresentate e difese dagli  avvocati  Paolo  Canonaco,
Francesco Luigi Pingitore, con  domicilio  eletto  presso  lo  studio
dell'avv. Paolo Canonaco in Roma, Via Tarvisio, 2; 
    contro: 
        Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  Ministero   dello
sviluppo economico, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura,
domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 
        Gestore servizi energetici; 
    per l'annullamento, previa sospensione degli effetti, del decreto
Ministero  dello  sviluppo  economico  16   ottobre   2014,   recante
«Approvazione delle modalita' operative per l'erogazione da parte del
Gestore Servizi Energetici  s.p.a.  delle  tariffe  incentivanti  per
l'energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, in  attuazione
dell'art. 26, comma 2, del  decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  91,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116  »,
del decreto del Ministero dello sviluppo  economico  del  17  ottobre
2014,  recante  «Modalita'  per  la   rimodulazione   delle   tariffe
incentivanti   per   l'energia   elettrica   prodotta   da   impianti
fotovoltaici, in attuazione dell'art. 26, comma  3,  lettera  b)  del
decreto-legge 24 giugno 2014, n.  91,  convertito  con  modificazioni
nella legge 116/2014, mediante il  quale  sono  stati  individuati  i
criteri e le percentuali di rimodulazione degli  incentivi;  di  ogni
altro atto connesso, preordinato e consequenziale, previa  rimessione
alla   Corte   costituzionale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 26 del decreto-legge n. 91  del  2014,  come
convertito  dalla  legge  116/2014,   o,   in   alternativa,   previa
disapplicazione dell'art. 26 del decreto-legge n. 91 del  2014,  come
convertito  dalla  legge  116/2014,  previo,  ove   occorra,   rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione  in  giudizio  di  Presidenza  del
Consiglio dei ministri e di Ministero dello sviluppo economico; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  25  giugno  2015  la
dott.ssa Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    Con ricorso, spedito per  la  notifica  il  22  dicembre  2014  e
depositato  il  successivo  23  dicembre,  le  societa'  in  epigrafe
indicate hanno impugnato i decreti del 16  e  del  17  ottobre  2014,
adottati ai sensi dell'art. 26 della legge n.  116/2014,  chiedendone
l'annullamento, previo rinvio incidentale alla  Corte  costituzionale
per  l'accertamento  e  la   dichiarazione   di   incostituzionalita'
dell'art. 26, comma  3,  decreto-legge  91/2014  o,  in  alternativa,
previa disapplicazione dell'art. 26 del decreto-legge n. 91 del 2014,
come convertito dalla legge 116/2014,  previo,  ove  occorra,  rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea. 
    Fondano la richiesta remissione della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 26, comma 3, della suddetta legge 11  agosto
2014, n. 116, di conversione con modificazioni, del decreto-legge  24
giugno 2014, n. 91, sulla violazione degli artt.  3,  41,  77  e  117
Cost. 
    Il Ministero dello sviluppo economico si e' costituito  con  atto
formale il 20 febbraio 2015, successivamente si e'  costituita  anche
la Presidenza del Consiglio dei ministri con memoria,  depositata  il
15  maggio  2015,  con  la  quale  la  difesa  erariale  ha  eccepito
l'inammissibilita' della domanda  di  mero  accertamento,  insistendo
sulla  legittimita'  della   disposizione   di   cui   all'art.   26,
decreto-legge  91/2014,  illustrandone  le   ragioni   economiche   e
valorizzando   le   misure   compensative   adottate   nel   medesimo
provvedimento normativo. 
    Con memoria del 24  aprile  2015,  depositata  il  successivo  27
aprile, le ricorrenti  contestano  l'inconferenza  dell'eccezione  di
inammissibilita' della domanda di accertamento atteso che  le  stesse
non hanno formulato una tale domanda nel ricorso. 
    All'udienza pubblica del 25  giugno  2015  il  ricorso  e'  stato
trattenuto in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Con separata sentenza parziale, ai sensi dell'art.  33,  comma
1, del codice del processo amministrativo, il Tribunale  ha  definito
la questione pregiudiziale relativa alla  giurisdizione  del  giudice
amministrativo. 
    Con la presente ordinanza il Tribunale solleva  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 26, del decreto-legge  91/2014,
convertito nella legge 116/2014, il quale ha  previsto,  per  i  soli
impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a  200  kW,  come
quelli di cui e' titolare la ricorrente,  la  rideterminazione  degli
incentivi in misura ridotta rispetto a quelli  attualmente  praticati
in base alle convenzioni stipulate dalla ricorrente  con  il  GSE  ed
ancora in corso, per violazione degli articoli 3 e 41 e del principio
del legittimo affidamento; 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione alle
norme e ai principi  comunitari  ed  internazionali;  dell'art.  117,
comma 1, Cost. in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  n.
1 della CEDU; dell'art. 77 Cost. 
    Oggetto della domanda proposta con il ricorso  e'  l'annullamento
dei provvedimenti emanati in attuazione dell'art. 26, commi  2  e  3,
decreto-legge 91/2014, previa rimessione  alla  Corte  costituzionale
della questione di legittimita' della disposizione citata. 
    L'art.   26   citato,   rubricato   «Interventi   sulle   tariffe
incentivanti dell'elettricita' prodotta da impianti  fotovoltaici  »,
ha, infatti, previsto, che: 
    «2. A decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi
energetici S.p.A. eroga le tariffe incentivanti di cui  al  comma  1,
con rate mensili costanti, in misura  pari  al  90  per  cento  della
producibilita' media annua stimata  di  ciascun  impianto,  nell'anno
solare di produzione ed effettua il  conguaglio,  in  relazione  alla
produzione effettiva, entro il 30  giugno  dell'anno  successivo.  Le
modalita' operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla
pubblicazione del  presente  decreto  e  approvate  con  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico. 
    3. A decorrere dal 1° gennaio 2015, la tariffa  incentivante  per
l'energia prodotta dagli impianti di potenza nominale superiore a 200
kW e' rimodulata, a scelta dell'operatore, sulla base  di  una  delle
seguenti opzioni da comunicare al GSE entro il 30 novembre 2014: 
        a)  la  tariffa  e'  erogata  per  un  periodo  di  24  anni,
decorrente  dall'entrata  in  esercizio   degli   impianti,   ed   e'
conseguentemente ricalcolata  secondo  la  percentuale  di  riduzione
indicata nella tabella di cui all'allegato 2 al presente decreto; 
        b) fermo restando il periodo  di  erogazione  ventennale,  la
tariffa e' rimodulata prevedendo un primo periodo di fruizione di  un
incentivo ridotto  rispetto  all'attuale  e  un  secondo  periodo  di
fruizione  di  un  incentivo  incrementato  in   ugual   misura.   Le
percentuali di rimodulazione sono stabilite con decreto del  Ministro
dello  sviluppo  economico,   sentita   l'Autorita'   per   l'energia
elettrica, il gas e il sistema idrico, da emanare entro il 1° ottobre
2014 in modo da consentire, nel caso di adesione di tutti gli  aventi
titolo all'opzione, un  risparmio  di  almeno  600  milioni  di  euro
all'anno per il periodo 2015-2019, rispetto  all'erogazione  prevista
con le tariffe vigenti; (100) 
        c) fermo restando il periodo  di  erogazione  ventennale,  la
tariffa  e'  ridotta  di   una   quota   percentuale   dell'incentivo
riconosciuto alla data di entrata in vigore del presente decreto, per
la durata residua del periodo di incentivazione, secondo le  seguenti
quantita': 
1) 6 per cento per gli impianti aventi potenza nominale  superiore  a
200 kW e fino alla potenza nominale di 500 kW; 
2) 7 per cento per gli impianti aventi potenza nominale  superiore  a
500 kW e fino alla potenza nominale di 900 kW; 
3) 8 per cento per gli impianti aventi potenza nominale  superiore  a
900 kW. 
    In assenza  di  comunicazione  da  parte  dell'operatore  il  GSE
applica l'opzione di cui alla lettera c)». 
    2. In punto di rilevanza, il Tribunale ritiene che  la  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26   del   decreto-legge
91/2014, convertito nella  legge  116/2014,  sia  pregiudiziale  alla
risoluzione della controversia. 
    La  domanda  proposta  in  giudizio  ha,  infatti,   ad   oggetto
l'annullamento dei decreti del  Ministero  dello  sviluppo  economico
adottati in attuazione dell'art. 26, commi 2 e 3,  del  decreto-legge
24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge  11
agosto 2014, n. 116, della nota pubblicata dal GSE sul  proprio  sito
istituzionale in data 27  ottobre  2014,  con  cui  sono  state  rese
disponibili le tabelle dei fattori moltiplicativi, da  applicare  per
il calcolo dell'incentivo rimodulato,  spettante  a  partire  dal  1°
gennaio 2015 e delle istruzioni operative adottate dal GSE, ai  sensi
dell'art. 26, commi 2 e 3, decreto-legge 91/2014,  e  pubblicate  sul
sito istituzionale in data 3 novembre 2014. 
    Sempre  in  relazione   alla   rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale  va  evidenziato  che  la  ricorrente  ha
proposto una domanda caducatoria avente ad oggetto  atti  emanati  in
attuazione dell'art. 26 decretio-legge n. 91/2014 (la cui conformita'
alla Costituzione e' oggetto di contestazione) che nella  fattispecie
riveste ruolo e funzione di norma legittimante l'esercizio del potere
amministrativo estrinsecatosi con l'adozione degli atti impugnati. 
    In  quest'ottica  deve  essere  precisato  che   il   legislatore
dell'emergenza,  con  l'art.  26  del  decreto-legge   91/2014,   non
attribuisce  all'amministrazione  nessun  margine  di  apprezzamento,
fissando, con norma di legge primaria,  anche  le  modalita'  con  le
quali operare le riduzioni tariffarie  spettanti  a  destinatari  ben
individuati (i titolari di impianti fotovoltaici di potenza  nominale
superiore  a  200  KW),  cosi'  rendendo  meramente   applicativi   i
provvedimenti con i  quali  l'Amministrazione  redigera'  le  tabelle
contenenti i coefficienti di rimodulazione e le istruzioni operative. 
    Qualunque sia l'opzione prescelta ed il contenuto  dell'attivita'
amministrativa affidata dal legislatore al  Ministro  dello  sviluppo
economico, non verranno meno  le  riduzioni  tariffarie  peggiorative
rispetto alle agevolazioni previste nelle convenzioni in essere. 
    L'opzione sub a) prevede che l'incentivo  venga  erogato  per  un
periodo di 24, contro  gli  attuali  20,  ma  in  misura  ridotta  in
percentuale variabile in ragione del  periodo  residuo  (25%  il  12°
anno, il 23% il 13°, fino al 17% il 19°). 
    Il prolungamento per quattro anni non compensa della decurtazione
dell'incentivo per il residuo periodo tutti quegli impianti che hanno
un lungo periodo residuo (15-12), senza considerare  che  l'incentivo
e' commisurato alla  vita  media  degli  impianti  e  che  nel  tempo
aumentano i costi per il mantenimento in efficienza degli stessi. 
    L'opzione sub  b)  e'  parimenti  peggiorativa  ove  prevede  una
riduzione della tariffa per un primo periodo ed  un  pari  incremento
nel secondo, atteso che il rendimento di tali impianti nei primi anni
di attivita' e' sensibilmente maggiore. 
    L'opzione sub c) e' manifestamente peggiorativa  laddove  prevede
un  taglio  dal  6%  all'8%  per  il  residuo   periodo   di   durata
dell'incentivazione. 
    Ne deriva che la lesione, attualmente riferibile  alla  posizione
di   parte   ricorrente,    consegue    all'immediata    operativita'
dell'obbligo,  imposto  dall'art.  26,  comma  3°  decreto-legge   n.
91/2014, di scelta di uno dei tre regimi peggiorativi previsti  dalla
norma. 
    Dal momento che la lesione consegue alla mera entrata  in  vigore
della   norma,   che   non   necessita   per   la   sua    attuazione
dell'intermediazione del potere amministrativo del  Ministero  o  del
Gestore, ove e'  previsto  che,  nell'ipotesi  di  mancato  esercizio
dell'opzione, agli operatori economici si applica la rimodulazione di
cui alla lettera c) del terzo comma  dell'art.  26  decreto-legge  n.
91/2014, la norma e' autoapplicativa. 
    Anche l'intervento del GSE, previsto dalla disposizione in esame,
e' finalizzato alla sola quantificazione in concreto, con riferimento
alle   percentuali   di   riduzione   gia'   fissate   dalla   norma,
dell'incentivo risultante  dall'opzione  sub  c),  applicata  in  via
imperativa dalla  legge,  senza  lasciare  margini  ad  una  autonoma
manifestazione di volonta' nella sua applicazione. 
    La norma  censurata,  inoltre,  per  il  suo  contenuto  univoco,
specifico ed immediatamente lesivo degli interessi economici dei suoi
destinatari non si  presta  in  alcun  modo  ad  una  interpretazione
costituzionalmente orientata, imponendo la rimessione della questione
alla Corte costituzionale al fine  di  valutarne  la  conformita'  al
canone di ragionevolezza e non arbitrarieta'. 
    Per quanto sopra osservato, pertanto, la questione e' rilevante. 
    3. Con diverse ordinanze, tutte adottate nella odierna Camera  di
Consiglio, (v. per tutte ordinanza Tribunale amministrativo regionale
Lazio Sez. III ter n. 8671/2015 su analogo ricorso), si ripercorre la
disciplina dell'incentivazione della produzione di energia  elettrica
da fonte solare al fine di meglio illustrare il quadro normativo  nel
quale si iscrivono le disposizioni qui impugnate. 
    A tali ordinanze il Collegio rinvia ai sensi dell'art. 88,  comma
2, lettera d), c.p.a., richiamandone i contenuti per quanto  qui  non
riproposto. 
    L'art.  26,  oggi  in  esame,  reca  «interventi  sulle   tariffe
incentivanti dell'elettricita' prodotta da impianti fotovoltaici» (la
disposizione, introdotta con il decreto-legge, e' stata profondamente
modificata nel corso dell'iter di conversione). 
    Ai fini di un piu' agevole esame, esso puo' essere  suddiviso  in
quattro parti. 
    i) Ambito applicativo e finalita' (comma 1). 
    «1. Al fine di ottimizzare la gestione dei tempi di  raccolta  ed
erogazione degli incentivi e  favorire  una  migliore  sostenibilita'
nella politica di  supporto  alle  energie  rinnovabili,  le  tariffe
incentivanti  sull'energia  elettrica  prodotta  da  impianti  solari
fotovoltaici,  riconosciute  in  base  all'articolo  7  del   decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e all'articolo  25,  comma  10,
del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, sono erogate secondo  le
modalita' previste dal presente articolo.». 
    L'intervento si rivolge ai percettori delle tariffe  incentivanti
riconosciute in base ai conti energia ed  e'  ispirato  alla  duplice
finalita' di «ottimizzare  la  gestione  dei  tempi  di  raccolta  ed
erogazione degli incentivi», cui  e'  collegato  il  comma  2,  e  di
«favorire una migliore sostenibilita' nella politica di supporto alle
energie rinnovabili». 
    ii) Modalita' di erogazione (comma 2). 
    «2. A decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi
energetici S.p.A. eroga le tariffe incentivanti di cui  al  comma  1,
con rate mensili costanti, in misura  pari  al  90  per  cento  della
producibilita' media annua stimata  di  ciascun  impianto,  nell'anno
solare di produzione ed effettua il  conguaglio,  in  relazione  alla
produzione effettiva, entro il 30  giugno  dell'anno  successivo.  Le
modalita' operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla
pubblicazione del  presente  decreto  e  approvate  con  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico.». 
    La norma introduce, a far tempo dal 1° luglio 2014, un sistema di
erogazione  delle  tariffe   incentivanti   secondo   il   meccanismo
acconti-conguaglio (acconto del 90% della «producibilita' media annua
stimata di ciascun impianto» nell'anno di produzione, da  versare  in
«rate mensili costanti», e  «conguaglio»,  basato  sulla  «produzione
effettiva», entro il 30  giugno  dell'anno  successivo  a  quello  di
produzione). 
    A tale comma e' stata data attuazione col decreto ministeriale 16
ottobre 2014 (pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  248  del  24
ottobre 2014). 
    iii) Rimodulazione (comma 3). 
    Il comma 3 contiene il nucleo della disciplina sostanziale  della
rimodulazione, stabilendone l'operativita' a decorrere dal 1° gennaio
2015. 
    iii.1) L'ambito soggettivo di applicazione e' piu'  ristretto  di
quello contemplato dal comma 1, venendo  presi  in  considerazione  i
soli «impianti di potenza nominale superiore a 200 kW». 
    L'art. 22-bis, comma 1, decreto-legge 12 settembre 2014,  n.  133
(convertito, con modificazioni, dalla  legge  11  novembre  2014,  n.
164),    ha    operato    un'ulteriore    restrizione,     esonerando
dall'applicazione delle disposizioni di cui ai commi da  3  a  6  gli
«impianti i cui soggetti responsabili erano (alla data di entrata  in
vigore della legge di conversione  del  decreto-legge  91/2014)  enti
locali o scuole». 
    iii.2) La norma concede agli operatori la possibilita' di  optare
entro il 30 novembre 2014 fra tre modalita' alternative: 
        lettera a): estendere la durata dell'incentivazione sino a 24
anni (decorrenti dalla data di entrata in  esercizio  dell'impianto),
applicando le riduzioni indicate nella tabella di cui all'allegato  2
al decreto-legge n. 91/2014, sulla base di  una  proporzione  inversa
tra  «periodo  residuo»  (dell'incentivazione)  e   «percentuale   di
riduzione». Sono previsti 8 scaglioni di «periodo residuo», a partire
da «12 anni», cui corrisponde una riduzione del 25%, sino a «19  anni
e oltre», cui corrisponde una riduzione del 17%; 
        lettera b): ferma la durata  ventennale  dell'incentivazione,
essa viene suddivisa  in  due  «periodi»,  il  primo  dei  quali  «di
fruizione di un incentivo ridotto rispetto all'attuale» e il  secondo
«di fruizione di un incentivo incrementato in ugual misura». 
    Secondo   la   disposizione,   le   relative   percentuali    (di
rimodulazione) avrebbero dovuto essere emanate entro  il  1°  ottobre
2014 «in modo da consentire, nel caso di adesione di tutti gli aventi
titolo all'opzione, un  risparmio  di  almeno  600  milioni  di  euro
all'anno per il periodo 2015-2019, rispetto  all'erogazione  prevista
con le tariffe vigenti». 
    A tale  previsione  e'  stata  data  attuazione  con  il  decreto
ministeriale 17 ottobre 2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.
248 del 24 ottobre 2014, entrato in vigore il 25 ottobre;  cfr.  art.
2), che  all'allegato  1  ha  indicato  l'algoritmo  per  determinare
l'entita' della rimodulazione; 
    lettera c): ferma la durata  ventennale  dell'incentivazione,  si
applica una  riduzione  «dell'incentivo  riconosciuto  alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, per  la  durata  residua  del
periodo  di  incentivazione»  secondo  percentuali   determinate   in
relazione alla potenza (6% per  gli  impianti  con  potenza  nominale
maggiore di 200 e inferiore a 500  kW;  7%  per  quelli  con  potenza
superiore a 500 e inferiore a 900 kW; 8% per gli impianti con potenza
superiore a 900 kW). 
    In caso di mancato esercizio della  scelta,  la  legge  prescrive
l'applicazione di questa terza ipotesi sub c). 
    iv) Misure di «accompagnamento» (commi 5-12). 
    Un altro  blocco  di  disposizioni  introduce  alcune  misure  di
«accompagnamento»: 
    iv.1) finanziamenti bancari (comma 5): 
    ai sensi del comma 5, il «beneficiario della tariffa incentivante
di cui ai commi 3 e 4 puo' accedere a finanziamenti  bancari  per  un
importo massimo pari alla differenza tra l'incentivo  gia'  spettante
al 31 dicembre 2014 e  l'incentivo  rimodulato»;  tali  finanziamenti
«possono beneficiare, cumulativamente o alternativamente, sulla  base
di  apposite  convenzioni  con  il  sistema  bancario,  di  provvista
dedicata o di garanzia  concessa  dalla  Cassa  depositi  e  prestiti
S.p.A.» (CDP); a sua volta, l'esposizione di CDP e'  garantita  dallo
Stato (...) secondo criteri e  modalita'  stabiliti  con  decreto  di
natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze». 
    A  tale  disposizione  e'  stata  data  attuazione  col   decreto
ministeriale 29 dicembre 2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
17 del 22 gennaio 2015), che stabilisce, tra l'altro, all'art. 1, che
«e' garantita dallo Stato l'esposizione»  di  CDP  «rappresentata  da
crediti connessi ad operazioni di provvista dedicata o  di  garanzia,
per i finanziamenti bancari a favore dei  beneficiari  della  tariffa
incentivante», ai sensi del menzionato art. 26, comma 5 (comma  1)  e
che la  garanzia  dello  Stato,  «concessa  a  titolo  oneroso  (...)
diretta, incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta» (comma 2),
copre fino all'80% dell'ammontare. 
    iv.2) Adeguamento della durata dei titoli (comma 6): 
    in riferimento all'opzione sub lettera a), «Le regioni e gli enti
locali  adeguano,  ciascuno  per  la  parte  di  competenza   e   ove
necessario, alla durata  dell'incentivo  come  rimodulata  (...),  la
validita' temporale dei permessi rilasciati, comunque denominati, per
la costruzione e l'esercizio degli  impianti  fotovoltaici  ricadenti
nel campo di applicazione del presente articolo»; 
    iv.3) «acquirente selezionato» (commi da 7 a 10, 12 e 13): 
    la misura concerne tutti «i beneficiari di incentivi pluriennali,
comunque denominati, per la produzione di energia elettrica da  fonti
rinnovabili» - non solo, dunque, i produttori da energia solare  -  i
quali «possono cedere una  quota  di  detti  incentivi,  fino  ad  un
massimo dell'80 per cento, ad un acquirente selezionato tra i primari
operatori finanziari europei» (comma 7). 
    L'«acquirente selezionato» subentra ai beneficiari «nei diritti a
percepire gli  incentivi»,  «salva  la  prerogativa»  di  Aeggsi  «di
esercitare annualmente (...) l'opzione di acquisire tali diritti» per
un importo definito dalla stessa disposizione  (comma  8:  «a  fronte
della corresponsione di un importo pari alla rata  annuale  costante,
calcolata sulla base di  un  tasso  di  interesse  T,  corrispondente
all'ammortamento finanziario del costo sostenuto per  l'acquisto  dei
diritti di un arco temporale analogo a  quello  riconosciuto  per  la
percezione degli incentivi»). 
    Essa demanda poi all'AEEG: 
        i) la definizione (entro il 19 novembre 2014) delle  inerenti
modalita' attuative, attraverso la definizione del  sistema  per  gli
acquisti e la cessione delle quote (comma 9); 
        ii) la destinazione «a riduzione della  componente  A3  degli
oneri di sistema», «nel rispetto di specifici indirizzi», dettati con
decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico,   dell'«eventuale
differenza  tra  il  costo  annuale   degli   incentivi»   acquistati
dall'acquirente selezionato e l'importo annuale determinato ai  sensi
del comma 8. 
    Tali provvedimenti non risultano ancora emanati. 
    L'art. 26 prevede ancora: 
        al comma 12, che «alle quote di  incentivi  cedute  ai  sensi
delle disposizioni di cui al comma 9 non si  applicano,  a  decorrere
dalla data di cessione, le misure di rimodulazione di  cui  al  comma
3»; 
        al comma 13, che «l'efficacia delle disposizioni  di  cui  ai
commi da 7 a 12 e' subordinata alla verifica da parte  del  Ministero
dell'economia e delle  finanze  della  compatibilita'  degli  effetti
delle operazioni sottostanti sui saldi di finanza  pubblica  ai  fini
del rispetto degli impegni assunti in sede europea». 
    iv.4) Infine, con il comma  11  viene  demandato  al  Governo  di
«assumere  ogni  iniziativa  utile  a  dare  piena  esecuzione   alle
disposizioni del presente articolo, inclusi eventuali accordi con  il
sistema bancario per semplificare il recesso totale  o  parziale  dei
soggetti  beneficiari  di  incentivi  pluriennali  dai  contratti  di
finanziamento stipulati». 
    Da ultimo, giova dare atto che il GSE ha pubblicato  nel  proprio
sito istituzionale le «Istruzioni operative per gli interventi  sulle
tariffe incentivanti relative agli impianti fotovoltaici» (con data 3
novembre 2014), recanti precisazioni sulle modalita' di  applicazione
del nuovo meccanismo. 
    3.4.3 Gli effetti dell'art. 26, comma  3,  del  decreto-legge  n.
91/2014. 
    Come si e' visto, le previsioni dell'art. 26, comma  3,  incidono
sugli incentivi percepiti, in base alle convenzioni stipulate con  il
GSE in attuazione dei vari conti energia, dai titolari degli impianti
fotovoltaici aventi potenza superiore a 200 kW. 
    Quanto al campo applicativo soggettivo, la platea dei destinatari
della  norma  costituisce  una  percentuale  ridotta   dei   soggetti
percettori dei benefici. 
    Dalle  difese  dell'amministrazione  risulta   che   gli   stessi
costituirebbero una percentuale di  circa  il  4%  del  totale  degli
impianti incentivati (ca.  9.000  su  ca.  198.000),  destinatari  di
benefici pari al 60% della spesa totale per l'incentivazione (ca. 4,3
mld/anno su ca. 6,8 mld/anno). 
    Dai dati  pubblicati  dal  GSE  nel  proprio  sito  istituzionale
risulta peraltro un numero maggiore di impianti  incentivati  (al  31
luglio 2014 m 550.785 impianti, per una potenza  complessiva  di  ca.
17,731 MW, dei quali 12.264 con potenza superiore a 200 kW; cfr. sito
internet GSE, sezione «Conto Energia» - «Risultati incentivazione»  -
«Totale dei risultati»). 
    Sotto il profilo oggettivo, ciascuna delle opzioni  del  comma  3
impatta in senso peggiorativo sulla posizione degli operatori siccome
definita nelle convenzioni di incentivazione, esplicando  un  effetto
novativo sugli elementi della durata  o  dell'importo  delle  tariffe
incentivanti o su entrambi, e tanto anche a non voler tener conto dei
costi di transazione  derivanti  dalla  necessita'  di  adeguare  gli
assetti in essere alla nuova situazione. 
    E, infatti, a parte la riduzione secca delle tariffe di cui  alla
lettera c), avente chiara portata negativa: 
        l'allungamento  della  durata  divisata  dalla   lettera   a)
(estensione  a  24  anni  con  proporzionale  riduzione  delle  quote
annuali),  oltre  a  comportare  una   differita   percezione   degli
incentivi, di per se' (notoriamente) pregiudizievole,  non  puo'  non
incidere sui parametri iniziali dell'investimento,  impattando  anche
sui costi dei fattori produttivi (si pensi a es.  alle  attivita'  di
gestione, alla durata  degli  eventuali  finanziamenti  bancari,  dei
contratti  stipulati  per  la  disponibilita'   delle   aree,   delle
assicurazioni, ecc.), ferma la necessita' del  parallelo  adeguamento
dei necessari titoli amministrativi (cfr. comma 6); 
        la lettera b) determina una riduzione degli  importi  per  il
quadriennio 2015-2019 (tale da generare un risparmio di  «almeno  600
milioni» di euro per l'ipotesi di adesione all'opzione di  tutti  gli
interessati)  e  un  incremento  nel  periodo   successivo   (secondo
l'algoritmo definito  col  decreto  ministeriale  17  ottobre  2014):
poiche' l'incentivo e'  funzione  della  produzione,  il  fisiologico
invecchiamento degli impianti, assoggettati nel corso del tempo a una
diminuzione di produttivita', determina la  non  recuperabilita'  dei
minori  importi  relativi  al  periodo  2015-2019,   attraverso   gli
incrementi delle tariffe riferibili al periodo successivo (nel  quale
gli impianti stessi hanno minore efficienza). 
    4. Le disposizioni di cui all'art. 26, comma 3, del decreto-legge
91/2014,  convertito  nella  legge  116/2014,  ove  ha  previsto   la
rideterminazione degli incentivi, per gli  impianti  fotovoltaici  di
potenza superiore ai 200 kw, in  misura  ridotta  rispetto  a  quelli
attualmente praticati in base alle convenzioni attualmente in essere,
la questione di legittimita'  costituzionale  non  e'  manifestamente
infondata sotto i profili di seguito analizzati. 
    4.1. Violazione degli  artt.  3  e  41  Cost.:  irragionevolezza,
sproporzione e violazione del legittimo affidamento. 
    Il comma 3 dell'art.  26  decreto-legge  n.  91/2014  risulta  in
contrasto   con   gli   artt.   3   e   41   Cost.   laddove   incide
ingiustificatamente  sulle  consolidate   posizioni   di   vantaggio,
riconosciute  da  negozi  di  «diritto  privato»  e   sul   legittimo
affidamento dei fruitori degli incentivi. 
    4.1.1) La questione rientra nel tema  dei  limiti  costituzionali
alle leggi di modificazione dei  rapporti  di  durata  e  della  c.d.
retroattivita' impropria,  quale  attributo  delle  disposizioni  che
introducono  «per  il  futuro  una  modificazione  peggiorativa   del
rapporto di durata», con riflessi negativi «sulla posizione giuridica
gia' acquisita dall'interessato (C. cost. sentenza n. 236/2009). 
    La Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  ricordato  come  nella
propria  giurisprudenza  sia  ormai  «consolidato  il  principio  del
legittimo affidamento  nella  sicurezza  giuridica,  che  costituisce
elemento fondamentale dello Stato di diritto e non puo'  essere  leso
da  disposizioni   retroattive,   che   trasmodino   in   regolamento
irrazionale di situazioni sostanziali  fondate  su  leggi  anteriori»
(sent. n. 236/2009 cit. e giurisprudenza ivi richiamata): «nel nostro
sistema costituzionale non e' affatto interdetto  al  legislatore  di
emanare  disposizioni  le  quali  vengano  a  modificare   in   senso
sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti  di  durata,
anche se l'oggetto di questi sia  costituito  da  diritti  soggettivi
perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il  limite
imposto  in  materia  penale  dall'art.  25,  secondo  comma,   della
Costituzione). Unica condizione essenziale e' che  tali  disposizioni
non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,  frustrando,   con
riguardo a situazioni sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,
l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale  elemento  fondamentale  dello  Stato  di  diritto»  (sent.  n.
64/2014, che cita la sentenza n. 264 del 2005, e richiama,  in  senso
conforme, le sentenze n. 236 e n. 206 del 2009). 
    In applicazione  di  questa  pacifica  massima  -  integrata  dal
riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia  dell'Unione
europea secondo cui  «una  mutazione  dei  rapporti  di  durata  deve
ritenersi illegittima quando incide sugli stessi in modo  «improvviso
e imprevedibile»  senza  che  lo  scopo  perseguito  dal  legislatore
imponga l'intervento (sentenza del 29 aprile 2004, in cause  C-487/01
e C-7/02)» (cosi' sentenza n. 64/2014 cit.) - la Corte  ha,  ad  es.,
escluso  l'incostituzionalita'  di   una   normativa   diretta   alla
«variazione  dei  criteri  di   calcolo   dei   canoni   dovuti   dai
concessionari di beni demaniali» (con lo  scopo  di  consentire  allo
Stato una maggiorazione delle entrate e  di  rendere  i  canoni  piu'
equilibrati rispetto a quelli pagati a favore di  locatori  privati),
sul rilievo che  tale  effetto  non  era  «frutto  di  una  decisione
improvvisa ed arbitraria del legislatore», ma  si  inseriva  «in  una
precisa linea evolutiva nella disciplina dell'utilizzazione dei  beni
demaniali» (sent. n. 302/2010; v. anche sentenza n. 64/2014,  in  cui
e'  stata  giudicata  «non  irragionevole  l'opzione   normativa   di
rideterminazione del canone sulla base di fasce di utenza commisurate
alla potenza nominale degli impianti  di  derivazione  idroelettrica,
sulla quale si e' assestato nel tempo il legislatore provinciale allo
scopo di attuare un maggiore prelievo  al  progredire  della  risorsa
sottratta all'uso della collettivita', nell'ottica della piu'  idonea
preservazione delle risorse idriche», alla  luce,  tra  l'altro,  del
«dato storico della reiterazione nel tempo dell'intervento  normativo
sospettato di illegittimita' costituzionale»). 
    Cosi' come ha, al contrario, (sentenza  Corte  costituzionale  n.
236/2009)  ritenuto  incostituzionale  la  disposizione  introduttiva
della graduale riduzione e finale abolizione  del  periodo  di  fuori
ruolo dei docenti universitari (art. 2, comma 434, legge n.  244/07),
ravvisandone   l'irragionevolezza,    all'esito    del    «necessario
bilanciamento» tra il perseguimento della  finalita'  avuta  di  mira
dalla norma «e la tutela  da  riconoscere  al  legittimo  affidamento
nella sicurezza  giuridica,  nutrito  da  quanti,  sulla  base  della
normativa previgente, hanno  conseguito  una  situazione  sostanziale
consolidata» (cio' alla luce di una serie di elementi fattuali, quali
le  caratteristiche  di  detta  posizione   giuridica,   «concentrata
nell'arco di un triennio», interessante  «una  categoria  di  docenti
numericamente ristretta», non produttiva di  «significative  ricadute
sulla finanza pubblica», non rispondente «allo scopo di salvaguardare
equilibri di bilancio  o  altri  aspetti  di  pubblico  interesse»  e
neppure  potendosi  definire  «funzionale  all'esigenza  di  ricambio
generazionale dei  docenti  universitari»,  con  sacrificio  pertanto
«ingiustificato   e   percio'   irragionevole,   traducendosi   nella
violazione del  legittimo  affidamento  -  derivante  da  un  formale
provvedimento amministrativo - riposto nella possibilita' di  portare
a  termine,  nel  tempo  stabilito  dalla  legge,  le  funzioni  loro
conferite e,  quindi,  nella  stabilita'  della  posizione  giuridica
acquisita»). 
    Del pari, con sentenza n. 92 del 2013, la Corte costituzionale ha
accolto la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,
commi 2, 4, 6 e 10  del  decreto-legge  30  settembre  2003  n.  269,
contenente «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo  e  per  la
correzione  dell'andamento  dei  conti  pubblici»,  convertito,   con
modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. 
    In tale occasione la Corte,  dopo  avere  richiamato  la  propria
giurisprudenza in materia di legittimita' delle  norme  destinate  ad
incidere su rapporti di durata, ha ricordato che cio' che rileva  e',
non soltanto «il generico affidamento  in  un  quadro  normativa  dal
quale  scaturiscano  determinati   diritti,   ma   quello   specifico
affidamento in un fascio di  situazioni  (giuridiche  ed  economiche)
iscritte in un rapporto convenzionale regolato  iure  privatorum  tra
pubblica amministrazione» ed una determinata  categoria  di  soggetti
(nella fattispecie  erano  i  titolari  di  aziende  di  deposito  di
vetture) secondo una specifica disciplina in ossequio alla  quale  le
parti hanno raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. 
    La Corte continua affermando che «l'affidamento  appare  qui,  in
altri termini, rivolto non tanto alle astratte norme  regolative  del
rapporto o alla relativa loro sicurezza quanto piuttosto al  concreto
contenuto dell'accordo e dei reciproci e  specifici  impegni  assunti
dalle parti al momento della stipula della convenzione. 
    Da  cio'  consegue  che  il  vaglio   di   ragionevolezza   della
trasformazione a cui sono assoggettati i rapporti  negoziali  di  cui
alla disposizione denunciata deve  avvenire  non  sul  piano  di  una
astratta ragionevolezza della  volonta'  normativa  quanto  piuttosto
«sul terreno della ragionevolezza  complessiva  della  operazione  da
apprezzarsi nel quadro di un altrettanto ragionevole  contemperamento
degli interessi che risultano nella  specie  coinvolti,  al  fine  di
evitare che «una generalizzata esigenza di contenimento della finanza
pubblica   possa   risultare   sempre    e    comunque,    e    quasi
pregiudizialmente, legittimata a  determinare  la  compromissione  di
diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi,  sia
individuali, sia anche collettivi». 
    La conclusione e' che «la disposizione retroattiva, specie quanto
determini  effetti  pregiudizievoli  rispetto  a   diritti   soggetti
perfetti che trovino la loro base in rapporti  di  durata  di  matura
contrattuale o convenzionale - pubbliche o private che siano le parti
contraenti - deve dunque essere assistita da  una  «causa»  normativa
adeguata: intendendosi per tale una funzione della  norma  che  renda
«accettabilmente penalizzata la posizione del  titolare  del  diritto
compromesso, attraverso contropartite intrinseche allo stesso disegno
normativo e che valgano a bilanciare le posizioni delle parti.». 
    Piu' in generale, sul tema dell'efficacia retroattiva delle leggi
la Corte ha reiteratamente affermato che il divieto di retroattivita'
non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25
Cost., ben potendo il legislatore emanare norme retroattive  «purche'
la retroattivita' trovi  adeguata  giustificazione  nell'esigenza  di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse  generale»,
ai sensi della Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU)» e con una  serie  di  limiti  generali,
«attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi  costituzionali,
di altri fondamentali valori di civilta' giuridica,  posti  a  tutela
dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra  i  quali
vanno   ricompresi   il   rispetto   del   principio   generale    di
ragionevolezza,  che  si   riflette   nel   divieto   di   introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario» (sentenza 160/2013 e 209/2010). 
    Tali conclusioni non si discostano  (e  anzi  sembrano  permeate)
dagli esiti raggiunti dalla giurisprudenza della Corte  di  giustizia
sull'operativita' del principio  di  legittimo  affidamento  (cui  e'
sotteso quello della certezza del diritto)  nel  campo  dei  rapporti
economici, in relazione al  quale  e'  stato  elaborato  il  criterio
dell'operatore economico «prudente e accorto»: la possibilita' di far
valere la tutela del legittimo affidamento e'  bensi'  «prevista  per
ogni operatore economico nel quale un'autorita' nazionale abbia fatto
sorgere fondate aspettative», ma non «qualora un operatore  economico
prudente ed accorto sia  in  grado  di  prevedere  l'adozione  di  un
provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi» (nel caso in  cui  il
provvedimento venga adottato); in  tale  prospettiva,  inoltre,  «gli
operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla
conservazione di una situazione esistente che puo' essere  modificata
nell'ambito del potere discrezionale delle autorita' nazionali» (cfr.
punto 53, sentenza C. giust. 10 settembre 2009,  in  causa  C-201/08,
Plantanol, cit.). 
    Per completezza, si  puo'  sottolineare  come  nell'ambito  della
disciplina  generale  del  procedimento  amministrativo   lo   stesso
legislatore nazionale abbia da ultimo conferito valenza pregnante  al
principio dell'affidamento. 
    Basti considerare le rilevanti innovazioni apportate  alla  legge
n. 241/90 dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (convertito  in
legge con modificazioni, dalla  legge  11  novembre  2014,  n.  164),
recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione
delle  opere   pubbliche,   la   digitalizzazione   del   Paese,   la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attivita' produttive». 
    Con l'art. 25, comma 1, lettera b-ter),  di  detto  decreto-legge
(lettera aggiunta  dalla  legge  di  conversione)  e'  stato  infatti
modificato l'art. 21-quinquies, comma 1, legge n. 241/90 cit.,  sulla
«revoca del provvedimento», nel duplice senso: 
        a) di  circoscrivere  il  presupposto  del  «mutamento  della
situazione di fatto», che per la nuova disposizione deve essere  «non
prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento»; 
        b)  di  precludere,  nell'ipotesi   di   «nuova   valutazione
dell'interesse pubblico originario», la revoca dei  provvedimenti  (a
efficacia durevole) di «autorizzazione o di attribuzione di  vantaggi
economici». 
    Cio'  che  costituisce  un  significativo  passo  nell'articolato
processo di emersione della centralita' del  principio  di  sicurezza
giuridica  (ne'  sembrando  fuori  luogo   pretendere   che   analogo
atteggiamento,  prescritto   dal   legislatore   per   le   autorita'
amministrative, sia tenuto dallo stesso legislatore, sia pure con gli
ovvi  accorgimenti  derivanti   dalla   diversita'   delle   inerenti
prerogative). 
    Tanto premesso, ritiene il  collegio  che  in  capo  ai  soggetti
titolari  di   impianti   fotovoltaici,   fruitori   delle   relative
incentivazioni pubbliche in forza  di  contratto  stipulato  col  GSE
(previo riconoscimento delle condizioni per  l'erogazione  attraverso
specifico  provvedimento  ammissivo),  sussista  una   posizione   di
legittimo affidamento nei sensi innanzi precisati,  non  essendo  mai
emersi nel corso  del  tempo  elementi  alla  stregua  dei  quali  un
operatore «prudente e accorto» avrebbe potuto prevedere,  al  momento
di chiedere gli incentivi e di decidere se far entrare  in  esercizio
il proprio impianto, l'adozione da parte delle autorita' pubbliche di
misure lesive del diritto agli incentivi. 
    Come desumibile dalla precedente rassegna normativa, nel contesto
internazionale di favore per le fonti rinnovabili e in adesione  alle
indicazioni  provenienti  dall'ordinamento  europeo,  il  legislatore
nazionale ha consentito la nascita  e  favorito  lo  sviluppo  di  un
settore di attivita' economica  ritenuto  particolarmente  importante
per i fini della stessa Unione  europea,  approntando  un  regime  di
sostegno connotato sin dalla sua genesi dalla «stabilita'», nel senso
che  gli  incentivi  dei  conti  energia,  una  volta   riconosciuti,
sarebbero rimasti invariati per l'intera durata del rapporto. 
    Questa  caratteristica  si  ricava  anzitutto   dal   cambio   di
impostazione consistito nel passaggio da obiettivi  indicativi  (dir.
2001/77)   a   obbligatori   (dir.   2009/28)   e   dalla    conferma
dell'autorizzazione agli Stati  membri  circa  il  ricorso  a  misure
incentivanti per ovviare  all'assenza  di  iniziativa  da  parte  del
mercato (regimi di sostegno). 
    Per parte sua,  il  legislatore  italiano  ha  mostrato  piena  e
convinta adesione agli indirizzi sovranazionali, conferendo specifico
risalto  alla  promozione  della  produzione  energetica   da   fonti
rinnovabili e, in particolare, dalla fonte solare. 
    Sin  dal  decreto  legislativo  n.  387/03,  nonostante  la   non
obbligatorieta'  dell'obiettivo  nazionale,  e'  stato  delineato  un
regime di sostegno ispirato al  rispetto  di  criteri  quale  l'«equa
remunerazione dei costi di investimento  e  di  esercizio»  (art.  7,
comma 2, lettera d), tanto  che  i  primi  tre  conti  energia  hanno
chiaramente     enucleato     l'immutabilita'      per      vent'anni
dell'incentivazione riconosciuta al singolo operatore. 
    Il decreto legislativo n. 28/2011 ha amplificato la percezione di
stabilita' nei sensi anzidetti, individuando: 
        a) all'art. 23, tra  i  «principi  generali»  dei  regimi  di
sostegno alle fonti rinnovabili: «la  predisposizione  di  criteri  e
strumenti che promuovano (...) la stabilita' nel tempo dei sistemi di
incentivazione, perseguendo nel contempo l'armonizzazione  con  altri
strumenti di analoga finalita' e la riduzione degli oneri di sostegno
specifici in capo ai consumatori» (enf. agg.; comma 1);  nonche'  «la
gradualita'  di  intervento   a   salvaguardia   degli   investimenti
effettuati  e  la  proporzionalita'  agli   obiettivi,   nonche'   la
flessibilita' della struttura dei regimi  di  sostegno,  al  fine  di
tener conto  dei  meccanismi  del  mercato  e  dell'evoluzione  delle
tecnologie delle  fonti  rinnovabili  e  dell'efficienza  energetica»
(enf. agg.; comma 2); 
        b) all'art. 24, tra i «criteri generali»  dei  meccanismi  di
incentivazione, quelli indicati al comma 2,  lettere  b),  c)  e  d),
secondo cui, rispettivamente, «il periodo di diritto all'incentivo e'
pari alla vita media utile convenzionale delle  specifiche  tipologie
di  impianto»  (il  principio  si   collega   a   quello   dell'«equa
remunerazione dei costi di investimento e di  esercizio»,  confermato
dalla precedente lettera a), «l'incentivo resta costante per tutto il
periodo di diritto» e «gli incentivi sono assegnati tramite contratti
di  diritto  privato  fra  il  GSE   e   il   soggetto   responsabile
dell'impianto» (enf. agg.); 
        c) all'art. 25, comma 11, recante clausola  di  salvezza  dei
«diritti acquisiti». 
    Ed  e'  significativo  che  il  legislatore   delegato   utilizzi
ripetutamente i termini «diritto» (all'incentivo) o «diritti». 
    Ne'  decampa   dalla   linea   d'azione   sinora   esaminata   il
decreto-legge  n.  145/2013  cit.,  adottato   successivamente   alla
conclusione dei conti energia e dunque in un contesto  nel  quale  il
novero dei destinatari delle incentivazioni era ormai definito (o  in
via di definizione). 
    Tale provvedimento, pur muovendo  dalla  ritenuta  «straordinaria
necessita' ed urgenza di emanare  misure»  (tra  le  altre)  «per  il
contenimento delle tariffe elettriche (...), quali fattori essenziali
di progresso e opportunita' di arricchimento economico,  culturale  e
civile e,  nel  contempo,  di  rilancio  della  competitivita'  delle
imprese» (v. preambolo), e al dichiarato duplice fine  di  «contenere
l'onere annuo sui prezzi e sulle tariffe elettriche  degli  incentivi
alle energie rinnovabili  e  massimizzare  l'apporto  produttivo  nel
medio-lungo termine dagli esistenti impianti», ha tuttavia introdotto
meccanismi di tipo facoltativo e dunque  non  pregiudizievoli  per  i
fruitori degli incentivi. 
    In questa prospettiva, sia gli interventi divisati  ex  ante,  in
corso di vigenza  dei  conti  energia,  dal  decreto  legislativo  n.
28/2011 (anticipata cessazione del III conto,  in  una  all'immanente
temporaneita'  di  IV  e  V  conto,  la  cui  operativita'  e'  stata
collegata,  come  si  e'  visto,  al  raggiungimento   di   specifici
obiettivi), sia quelli previsti  dal  decreto-legge  n.  145/2013  ex
post, ossia dopo la chiusura del regime di sostegno, dimostrano  come
il  legislatore  abbia  comunque  preservato  il   «sinallagma»   tra
incentivi e iniziative in corso. 
    E infatti il c.d. «boom del fotovoltaico», sotteso alle  inerenti
determinazioni delle autorita' pubbliche, per quanto riconducibile al
parametro di esercizio della discrezionalita' consistente nel  «tener
conto dei meccanismi del mercato e dell'evoluzione  delle  tecnologie
delle fonti rinnovabili» ex art. 23, comma 2, decreto legislativo  n.
28/2011, e' stato affrontato con misure operanti pro futuro,  perche'
applicabili  a  impianti  non  ancora  entrati  in  esercizio   (come
attestato dalle riferite vicende giudiziali relative al passaggio dal
III al IV conto), mentre  sono  state  accuratamente  evitate  scelte
aventi efficacia pro praeterito tempore. 
    In altri termini, anche l'anticipata cessazione  del  III  conto,
ancorche'  abbia  prodotto  effetti  negativi  nei  confronti   degli
investitori  che  avessero  intrapreso  attivita'  preliminari   alla
realizzazione della propria iniziativa, non ha messo  in  discussione
il «patto» stipulato con gli interessati, salvaguardando la posizione
dei titolari degli incentivi e consentendo a  ciascun  operatore  non
ancora   «contrattualizzato»   di   ponderare    consapevolmente    e
adeguatamente il merito  economico  della  propria  iniziativa  e  di
assumere le conseguenti determinazioni. 
    E' pertanto possibile ravvisare il vulnus arrecato dall'art.  26,
comma 3, in esame al  «diritto  all'incentivo»  e  al  principio  del
legittimo affidamento degli operatori (stante  l'imprevedibilita'  da
parte di un soggetto «prudente ed accorto», titolare di un  incentivo
ventennale a seguito dell'adesione a uno  dei  conti  energia,  delle
modificazioni in pejus del rapporto). 
    4.1.2) Le precedenti considerazioni  non  paiono  superate  dagli
elementi addotti dalla parte pubblica al fine di escludere che l'art.
26 abbia dato  vita  a  un  «regolamento  irrazionale  di  situazioni
sostanziali fondate su leggi anteriori»  (quale  aspetto  sintomatico
dell'incostituzionalita' della disposizione), potendo dubitarsi della
ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento. 
    L'art. 23, decreto-legge n. 91/2014, rubricato  «Riduzione  delle
bollette elettriche a favore dei clienti forniti  in  media  e  bassa
tensione», prevede quanto segue: 
    «1. Al fine di pervenire a  una  piu'  equa  distribuzione  degli
oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici,  i
minori oneri per l'utenza derivanti dagli articoli da  24  a  30  del
presente  decreto-legge,  laddove  abbiano  effetti   su   specifiche
componenti tariffarie, sono destinati alla  riduzione  delle  tariffe
elettriche dei clienti di energia elettrica in media  tensione  e  di
quelli in bassa tensione con potenza disponibile superiore a 16,5 kW,
diversi dai clienti residenziali e dall'illuminazione pubblica. 
    2. Alla stessa finalita' sono destinati i minori oneri  tariffari
conseguenti dall'attuazione dell'articolo 1, commi  da  3  a  5,  del
decreto-legge   23   dicembre   2013,   n.   145,   convertito,   con
modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 9. 
    3. Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente  decreto-legge,  l'Autorita'  per  l'energia
elettrica,  il  gas  e  il  sistema  idrico  adotta  i  provvedimenti
necessari ai fini dell'applicazione dei commi 1 e 2, garantendo che i
medesimi  benefici  siano  ripartiti  in  modo  proporzionale  tra  i
soggetti che ne hanno diritto e assicurando che i  benefici  previsti
agli stessi commi 1  e  2  non  siano  cumulabili  a  regime  con  le
agevolazioni  in  materia  di  oneri  generali  di  sistema,  di  cui
all'articolo 39 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.». 
    Ora, non sono certo contestabili gli  scopi  avuti  di  mira  dal
legislatore, che intende «pervenire a  una  piu'  equa  distribuzione
degli  oneri  tariffari  fra  le  diverse  categorie  di  consumatori
elettrici», distribuendo tra costoro «i minori  oneri  per  l'utenza»
generati anche dalle  misure  dell'art.  26  e,  in  ultima  analisi,
alleggerendo i costi dell'energia elettrica per i «clienti  (...)  in
media tensione e (...) in  bassa  tensione  con  potenza  disponibile
superiore  a  16,5   kW,   diversi   dai   clienti   residenziali   e
dall'illuminazione pubblica». 
    Sennonche', tale obiettivo -  oltre  a  non  sembrare  del  tutto
consonante con la finalita'  specificamente  declinata  dal  comma  1
dell'art. 26 nel senso di «favorire una migliore sostenibilita' nella
politica di supporto alle energie  rinnovabili»,  non  risultando  in
particolare chiaro il nesso tra tale «migliore sostenibilita'»  e  la
«piu' equa distribuzione degli oneri tariffari» tra gli utenti  -  e'
perseguito  attraverso  una  «leva»  che  consiste  in  un'operazione
redistributiva irragionevole e sproporzionata. 
    Il reperimento delle necessarie risorse  finanziarie  e'  infatti
attuato attraverso una modificazione unilaterale e  autoritativa  dei
rapporti in essere, di cui e' dubbia di per se'  la  proporzionalita'
rispetto all'obiettivo avuto di mira dal  legislatore,  tenuto  conto
del rango e della natura degli scopi del regime  di  sostegno  (basti
por mente all'evocazione, da parte della dir.  2001/77,  delle  norme
del Trattato sull'Unione europea sulla tutela dell'ambiente),  e  che
comunque non appare bilanciata da adeguate misure compensative  (art.
26, commi 5 e ss.), con ulteriore profilo di irragionevolezza. 
    Quanto ai  «finanziamenti  bancari»  (comma  5),  e'  sufficiente
rilevare - in disparte gli aspetti  collegati  all'onerosita'  per  i
beneficiari dei meccanismi  ipotizzati  e  ai  costi  di  transazione
comunque derivanti dall'impalcatura giuridico-finanziaria  dei  nuovi
contratti - che la garanzia dello Stato non  copre  l'intero  importo
dell'eventuale operazione finanziaria  (sino  all'80%  dell'ammontare
dell'«esposizione creditizia (...) di CDP nei confronti della  banca»
o della «somma liquidata da CDP alla banca garantita») e che comunque
si tratta di «finanziamenti» non automatici (residuando uno spazio di
apprezzamento circa i requisiti dei beneficiari finali, che devono  a
es. essere soggetti «economicamente e finanziariamente sani», e circa
il «merito di credito»; cfr. artt. 1  e  2  decreto  ministeriale  29
dicembre 2014). 
    Ne' presenta natura compensativa l'adeguamento della  durata  dei
titoli  autorizzatori  (comma  6),  che  costituisce  piuttosto   una
conseguenza   necessitata   della   protrazione   del   periodo    di
incentivazione oltre i venti anni nel caso di scelta dell'opzione  di
cui al comma 3, lettera a). 
    Quanto  all'«acquirente  selezionato»  (commi  da  7  a  12),  va
osservato come lo stesso  legislatore  attribuisca  alla  misura  una
portata solo eventuale, tenuto conto dell'art. 26, comma 13,  che  ne
subordina  l'efficacia  «alla  verifica  da   parte   del   Ministero
dell'economia e delle  finanze  della  compatibilita'  degli  effetti
delle operazioni sottostanti sui saldi di finanza  pubblica  ai  fini
del rispetto degli impegni assunti in sede europea». 
    Verifica tanto piu' stringente alla luce del relativo  ambito  di
applicazione, non riservato ai soli produttori da  fonte  solare,  ma
esteso a tutti i percettori di incentivi per la produzione di energia
da fonti rinnovabili. 
    In ogni caso, ferma l'impossibilita' di apprezzarne compiutamente
il contenuto in assenza delle necessarie disposizioni  attuative  (si
pensi, a es., al comma 9, lettera d,  che  demanda  all'Autorita'  di
«stabilire i criteri e le procedure per determinare la quota  annuale
costante di incentivi pluriennali che puo' essere oggetto di cessione
da parte di ciascun soggetto beneficiario, tenendo conto anche  della
tipologia e della localizzazione degli impianti»), anche qui e' posto
un limite quantitativo agli  incentivi  cedibili  (80%),  mentre  non
paiono disciplinate le  conseguenze  sui  rapporti  di  finanziamento
eventualmente accesi dai produttori (i quali, attraverso la cessione,
intendano monetizzare immediatamente l'incentivo). 
    La possibilita' di  un  recesso  anticipato  del  produttore  dal
contratto di finanziamento sembra in effetti presa in  considerazione
dal comma 11, che reca pero'  un  impegno  generico  per  il  Governo
(«assumere  ogni  iniziativa  utile  a  dare  piena  esecuzione  alle
disposizioni del presente articolo, inclusi eventuali accordi con  il
sistema bancario per semplificare il recesso totale  o  parziale  dei
soggetti  beneficiari  di  incentivi  pluriennali  dai  contratti  di
finanziamento stipulati»). 
    4.1.3  Da  quanto  detto,  e  all'esito  del  bilanciamento   tra
l'interesse perseguito dal legislatore e la lesione dei  diritti  dei
fruitori delle agevolazioni, emerge l'irragionevolezza e l'assenza di
proporzionalita', ai sensi dell'art. 3 Cost., delle  norme  dell'art.
26, comma 3, decreto-legge n. 91/2014, come convertito dalla legge n.
116/2014, apparendo altresi' violato anche l'art. 41 Cost., alla luce
dell'irragionevole   effetto   della   frustrazione   delle    scelte
imprenditoriali   attraverso   la   modificazione   degli    elementi
costitutivi  dei  rapporti  in  essere  come   contrattualizzati   o,
comunque, gia' negoziati. 
    Cio' in quanto, riassuntivamente: 
        il sistema degli incentivi perde la sua stabilita' nel  tempo
nonostante lo stesso sia stato gia' individuato e  predeterminato  in
una convenzione o contratto di diritto privato  (art.  24,  comma  2,
lettera D, decreto legislativo n. 28/2011); 
        gli investimenti effettuati non sono salvaguardati; 
        viene   meno   l'equa   remunerazione   degli    investimenti
effettuati; 
        il  periodo  di  tempo  per  la  percezione   dell'incentivo,
invariato    nella    misura    complessiva,     viene     prolungato
indipendentemente  dalla  vita  media  convenzionale  degli  impianti
(lettera a); l'incentivo non e' piu' costante per tutto il periodo di
diritto, ma si riduce  in  assoluto  per  tutto  il  periodo  residuo
(lettera  c)  o  varia  in  diminuzione  nell'ambito  del   ventennio
originario di durata della convenzione (lettera a) o per cinque  anni
(lettera b). 
    4.2 Il comma 3 viola  inoltre  l'art.  117,  comma  1,  Cost.  in
relazione, quali norme interposte, all'art. 1, Prot.  addizionale  n.
1, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (di cui e'  stata  autorizzata  la  ratifica  e
disposta l'esecuzione con legge 4 agosto 1955, n. 848) e all'art.  6,
par. 3, Trattato UE, che introduce nel diritto dell'Unione «in quanto
principi generali», i «diritti fondamentali» garantiti dall'anzidetta
Convenzione. 
    Secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo detto art. 1 - che  afferma  il  principio  di  «protezione
della proprieta'», ammettendo al  contempo  l'adozione  delle  misure
legislative «ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei  beni  in
modo conforme all'interesse generale» - conferisce  protezione  anche
ai diritti di credito (e alle aspettative legittime; v., ex plurimis,
Maurice c. Francia [GC], del 6 ottobre 2005, n. 11810/03, parr. 63  e
ss.), reputando ammissibili le «interferenze»  (ingerenze)  da  parte
della pubblica autorita' in presenza di un interesse  generale  (cfr.
Arras e altri comma Italia, n. 17972/07, 14 febbraio 2012 e 14 maggio
2012, final, parr. 77-79: 78.). 
    In questa prospettiva, l'ingerenza costituita  dalla  sottrazione
di parte dei crediti spettanti ai  produttori  di  energia  in  forza
delle convenzioni stipulate con il GSE non appare giustificata ed  e'
in contrasto con il principio  di  proporzionalita',  non  risultando
l'intervento ablatorio adeguatamente bilanciato  dalla  finalita'  di
diminuire le tariffe elettriche in  favore  di  alcune  categorie  di
consumatori. 
    4.3 Ulteriore violazione degli articoli 3 e 41 Cost.:  disparita'
di  trattamento  ed   ulteriori   profili   di   irragionevolezza   e
sproporzione. 
    E'  dubbia  la   costituzionalita'   dell'art.   26,   comma   3,
decreto-legge n. 91/2014, rispetto all'art.  3  Cost.,  eventualmente
anche in relazione all'art. 41 Cost., nella parte in cui prevede  che
la rimodulazione si  applichi  soltanto  agli  «impianti  di  potenza
nominale superiore a 200 kW» (recte: ai soggetti fruitori di  tariffe
incentivanti per l'energia elettrica prodotta da tali impianti). 
    4.3.1)  Tale  restrizione  del  campo  applicativo  comporta   la
creazione,  all'interno  dell'insieme  dei  titolari  degli  impianti
fotovoltaici incentivati, di due sottoinsiemi di imprese distinte  in
base alla «potenza  nominale»  (dell'impianto),  destinatarie  di  un
trattamento differenziato. 
    A dire della parte pubblica le ragioni di tale  scelta  sarebbero
da ricondurre essenzialmente alla circostanza che i  soggetti  incisi
dalla rimodulazione, pur costituendo un'esigua percentuale  (4%)  del
totale di quelli agevolati, fruirebbero di benefici pari al 60% della
spesa totale per  l'incentivazione  (ca.  4,3  mld/anno  su  ca.  6,8
mld/anno). 
    In disparte l'esattezza del dato numerico, questa  considerazione
non integra tuttavia un profilo idoneo  a  sorreggere  la  contestata
differenziazione di  trattamento  e,  in  particolare,  il  deteriore
trattamento disposto per quelli di  maggiori  dimensioni,  occorrendo
tener  conto  delle  modalita'   di   funzionamento   delle   tariffe
incentivanti. 
    La relativa entita' dipende infatti dalla  quantita'  di  energia
prodotta, sicche' e'  evenienza  del  tutto  normale,  e  insita  nel
sistema, che i soggetti dotati di piu' elevata capacita'  produttiva,
fruendo di incentivi proporzionati, possano assorbire un ammontare di
benefici piu' che proporzionale rispetto al loro numero. 
    In altri termini, nel regime  di  sostegno  delineato  dai  conti
energia rileva la quantita' dell'energia prodotta, non gia' il numero
dei produttori, con la  conseguenza  che  misure  dirette  a  colpire
soltanto alcuni di  costoro  sortiscono  l'effetto  di  differenziare
posizioni giuridiche omogenee. 
    Le precedenti considerazioni dimostrano al  contempo  l'ulteriore
irragionevolezza delle misure, foriere di  un  trattamento  deteriore
per alcuni produttori in assenza di  adeguata  causa  giustificativa,
non risultando percepibili le ragioni di interesse pubblico  poste  a
base della distinzione. 
    La  sussistenza  dei  vizi  innanzi  indicati   pare   avvalorata
dall'ulteriore  esonero   disposto   dall'art.   22-bis,   comma   1,
decreto-legge n. 133/14 cit. in favore degli impianti i cui  soggetti
responsabili erano, alla data di entrata in  vigore  della  legge  di
conversione del decreto-legge 91/2014, «enti locali o scuole»,  norma
che infatti opera un distinguo fondato sulla peculiare  qualita'  dei
percettori dei benefici, indipendentemente dalla quantita' di energia
prodotta. 
    4.3.2) Altro profilo di discriminazione si desume dal trattamento
degli  impianti  di  produzione  di  energia   elettrica   da   fonti
rinnovabili diverse dal solare. 
    Nell'ambito dell'art. 26 il legislatore prende in  considerazione
anche   tali   soggetti   nella   parte   relativa    all'«acquirente
selezionato». 
    Sennonche',  non  si  comprendono  le   ragioni   del   deteriore
trattamento dei  produttori  da  fonte  solare  rispetto  agli  altri
percettori di incentivi parimenti finanziati dagli utenti  attraverso
i cc.dd. oneri generali di sistema (e dunque con il versamento  delle
componenti della bolletta elettrica A3 o assimilate). 
    4.3.3) La creazione di categorie differenziate determina anche un
vulnus alla concorrenza e una lesione della  liberta'  di  iniziativa
economica ex art.  41  Cost.  dei  produttori  di  energia  elettrica
destinatari dell'art. 26, comma 3, i quali, ancorche' in un  contesto
economico connotato dal sostegno  pubblico,  vedono  pregiudicata  la
possibilita' di operare sul mercato a parita' di condizioni  con  gli
altri produttori da fonte solare e, piu',  in  generale,  di  energia
rinnovabile. Sotto questo profilo, pertanto, risultano lesi gli artt.
3 e 41 Cost. 
    5. Violazione art. 77 Cost. 
    Secondo  la  Corte  Costituzionale  «la   preesistenza   di   una
situazione  di  fatto  comportante  la  necessita'  e  l'urgenza   di
provvedere tramite  l'utilizzazione  di  uno  strumento  eccezionale,
quale  il  decreto-legge,  costituisce  un  requisito  di   validita'
dell'adozione di tale atto, la cui mancanza  configura  un  vizio  di
legittimita' costituzionale del medesimo, che  non  e'  sanato  dalla
legge di conversione» (sent. n. 93 del 2011). 
    Essa precisa anche che il relativo sindacato «va  (...)  limitato
ai casi di  «evidente  mancanza»  dei  presupposti  di  straordinaria
necessita' e urgenza richiesti dall'art. 77, secondo comma,  Cost.  o
di  «manifesta  irragionevolezza  o  arbitrarieta'   della   relativa
valutazione». 
    Ai  fini  della  relativa  indagine  la  Corte  ha  rimarcato  la
centralita' dell'elemento  dell'«evidente  estraneita'»  della  norma
censurata rispetto alla materia disciplinata  da  altre  disposizioni
del  decreto-legge  in  cui  e'  inserita,  dovendo   risultare   una
«intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal
punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale
e finalistico. La urgente necessita' del provvedere  puo'  riguardare
una pluralita'  di  norme  accomunate  dalla  natura  unitaria  delle
fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento  di  fronteggiare
situazioni  straordinarie  complesse  e  variegate,  che   richiedono
interventi oggettivamente  eterogenei,  afferenti  quindi  a  materie
diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi  urgenti
a situazioni straordinarie venutesi a determinare» (sent. n. 22/2012,
nonche' sentenze numeri 128/2008 e 171/2007). 
    Cio' in quanto «l'inserimento di norme eterogenee  all'oggetto  o
alla finalita' del decreto spezza il legame logico-giuridico  tra  la
valutazione fatta dal  Governo  dell'urgenza  del  provvedere  ed  «i
provvedimenti provvisori con forza di legge» ex art.  77  Cost.,  con
l'ulteriore precisazione che «il presupposto del "caso" straordinario
di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto  al  provvedimento
inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito  di  intrinseca
coerenza, anche se articolato  e  differenziato  al  suo  interno»  e
ponendosi «la scomposizione atomistica della condizione di  validita'
prescritta dalla Costituzione (...) in contrasto  con  il  necessario
legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il "caso"  che  lo
ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie  di
norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (Corte  Cost.
n. 22/2012). 
    In tale ottica, la Corte ha conferito rilievo anche all'art.  15,
comma 3, legge 23 agosto 1988, n. 400, che «pur non avendo, in se'  e
per se', rango costituzionale,  e  non  potendo  quindi  assurgere  a
parametro di legittimita'  (...),  costituisce  esplicitazione  della
ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 Cost., il quale impone
il collegamento dell'intero decreto-legge al  caso  straordinario  di
necessita'  e  urgenza,  che  ha  indotto  il  Governo  ad  avvalersi
dell'eccezionale potere di esercitare la funzione  legislativa  senza
previa delegazione da parte del Parlamento» (sentenza n. 22/2012). 
    Ora, premesso che ai sensi dell'art. 15, comma 1 della  legge  n.
400/88,  i  decreti-legge  sono  presentati  per  l'emanazione   «con
l'indicazione, nel  preambolo,  delle  circostanze  straordinarie  di
necessita' e di urgenza che ne giustificano  l'adozione»,  mentre  il
comma 3 sancisce che «i decreti devono contenere misure di  immediata
applicazione e il loro contenuto deve essere  specifico,  omogeneo  e
corrispondente al titolo», il dubbio di  costituzionalita'  dell'art.
26, comma 3, decreto-legge n.  91/2014,  insorge  in  relazione  alla
circostanza che, pur rinvenendosi nel  titolo  del  decreto-legge  n.
91/2014 il riferimento al «rilancio e (al)lo sviluppo delle  imprese»
e al «contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche»,  nel
preambolo del provvedimento non si rinviene  tuttavia  esplicitazione
di tali punti. 
    Risulta,  infatti,  presa  in  considerazione   unicamente   (con
riguardo alla  materia  in  esame)  «la  straordinaria  necessita'  e
urgenza di adottare disposizioni volte a superare  alcune  criticita'
ambientali, alla immediata mitigazione del  rischio  idrogeologico  e
alla salvaguardia degli ecosistemi, intervenendo con  semplificazioni
procedurali, promuovendo  interventi  di  incremento  dell'efficienza
energetica negli usi  finali  dell'energia  nel  settore  pubblico  e
razionalizzando le procedure in materia di impatto  ambientale»  (gli
altri enunciati del preambolo riguardano la straordinaria  necessita'
e urgenza di  adottare  «disposizioni  finalizzate  a  coordinare  il
sistema   dei   controlli   e   a   semplificare    i    procedimenti
amministrativi»,  di   «prevedere   disposizioni   finalizzate   alla
sicurezza alimentare dei cittadini», di  adottare  «disposizioni  per
rilanciare il comparto agricolo, quale parte trainante  dell'economia
nazionale, e  la  competitivita'  del  medesimo  settore  (...)»,  di
adottare  «disposizioni  per  semplificare  i  procedimenti  per   la
bonifica e la messa in  sicurezza  dei  siti  contaminati  e  per  il
sistema di  tracciabilita'  dei  rifiuti,  per  superare  eccezionali
situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti solidi urbani,
nonche' di adeguare l'ordinamento interno agli obblighi derivanti, in
materia   ambientale,   dall'appartenenza   dell'Italia    all'Unione
europea»). 
    Il testo e' poi articolato in un titolo unico (tit. I «misure per
la crescita economica») e in 3 capi  («disposizioni  urgenti  per  il
rilancio del settore agricolo»; «disposizioni urgenti per l'efficacia
dell'azione pubblica di tutela ambientale, per la semplificazione  di
procedimenti in materia ambientale e per l'adempimento degli obblighi
derivanti  dall'appartenenza   all'unione   europea»;   «disposizioni
urgenti per le imprese»). 
    L'art. 26 e' contenuto nel capo III, «disposizioni urgenti per le
imprese», insieme a una serie di  articoli  omogenei  (da  23  a  30)
effettivamente al tema della «piu'  equa  distribuzione  degli  oneri
tariffari fra le diverse categorie di consumatori  elettrici»  (cosi'
l'art. 23 cit., che individua gli artt. da 24 a 30  quali  generatori
di «minori oneri per l'utenza»), ma in un contesto di  norme  tra  di
loro del tutto eterogenee (cfr. artt. 18 e seguenti). 
    Appare dunque  carente  l'elemento  finalistico  richiesto  dalla
Corte  costituzionale,  non  sembrando  ravvisabile   «l'intento   di
fronteggiare situazioni  straordinarie  complesse  e  variegate,  che
richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti  quindi  a
materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare  rimedi
urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare». 
    Sotto altro profilo, esso contiene anche misure che non sono  «di
immediata applicazione», come sancito dall'art. 15, comma 3, legge n.
400/88,  essendo  sufficiente   considerare   le   menzionate   norme
sull'«acquirente  selezionato»  e  sul  recesso  dai   contratti   di
finanziamento (commi da 7 a 12). 
    6. Profili di non manifesta infondatezza dell'art. 26,  comma  2,
in relazione agli articoli 3, 41, 77 e 117, 1° comma Cost. 
    L'art. 26, comma 2, decreto-legge n.  91/2014,  interviene  sulle
modalita' di corresponsione delle tariffe  incentivanti,  prevedendo,
«dal secondo semestre 2014», che il GSE le eroghi «con  rate  mensili
costanti, in misura pari al 90 per cento della  producibilita'  media
annua stimata di ciascun impianto, nell'anno solare  di  produzione»,
con effettuazione  del  «conguaglio,  in  relazione  alla  produzione
effettiva, entro il 30 giugno dell'anno successivo». 
    Il decreto ministeriale 16 ottobre 2014, nel dare  attuazione  al
comma  2,  sancisce,  all'allegato  1  (punto  1.1),  che   ai   fini
dell'individuazione  del  «valore  della   rata   di   acconto»,   la
«producibilita' media annua» sia determinata sulla base: 
        della  c.d.  «produzione   storica»,   qualora   disponibile,
consistente nelle «ore di produzione del  singolo  impianto  relative
all'anno precedente»: nelle «Istruzioni  operative»  del  3  novembre
2014 il Gestore precisa che tale criterio si applica  «qualora  siano
disponibili le misure  valide  relative  a  tutti  i  mesi  dell'anno
precedente»; 
        della c.d. «stima regionale», consistente in una «stima delle
ore di produzione regionali»: sempre nelle  Istruzioni  si  chiarisce
che qualora le anzidette «misure  valide  riferite  a  tutti  i  mesi
dell'anno precedente» non siano disponibili, si applica  il  criterio
del «numero di ore annue medie, definite in funzione della regione in
cui e' localizzato l'impianto»), sulla base  della  Tabella  1  («Ore
equivalenti medie per Regione - anno 2014»). 
    In relazione a questa disposizione possono essere  richiamate  le
considerazioni  sopra  sviluppate,  potendosi  dubitare   della   sua
compatibilita' con gli artt. 3, 41 e 77 Cost. 
    Essa, oltre a risentire della medesima  eterogeneita'  ipotizzata
con riferimento al comma 3, incide parimenti su rapporti in corso  di
esecuzione, definendo autoritativamente le  modalita'  di  attuazione
dell'obbligazione  di  pagamento  degli  incentivi   incombente   sul
Gestore. 
    Il comma 2 modifica infatti le condizioni contrattuali in essere,
sostituendo il criterio della «produzione effettiva» - fondato dunque
su un dato di realta' (le modalita' di erogazione delle tariffe per i
vari conti energia si basano sulla misure dell'energia prodotta; cfr.
a es. art. 6, comma 4, decreto ministeriale 5 luglio 2012; si ricorre
a criteri suppletivi, quale la «producibilita' attesa», nel  caso  di
mancata comunicazione delle misure; cfr. art. 5.3, allegato A, delib.
Aeeg n. 181/10 del 20 ottobre 2010, in riferimento al III°  conto)  -
con quello della «producibilita' media annua» (a sua volta  supplito,
in assenza di «misure  valide»,  dalle  «ore  equivalenti  medie  per
Regione»), senza considerare che il singolo beneficiario ha  acceduto
al regime di sostegno confidando nella possibilita' di disporre di un
flusso di cassa commisurato all'effettiva produzione, sulla base  del
quale  provvedere  alle  proprie  esigenze   di   tipo   finanziario,
continuative (es.  rimborso  dei  finanziamenti)  o  contingenti  che
siano. 
    In altri termini, anche questa misura comporta un'alterazione dei
rapporti giuridici in corso, e, con  riferimento  al  primo  anno  di
operativita'  del  meccanismo,   un   pregiudizio   economico   certo
(consistente  nella  ritardata  percezione  del  10%   dell'incentivo
spettante, qualificato dalla legge in termini di «conguaglio»). 
    Sicche' il raggiungimento  di  quella  che  pare  essere  la  sua
dichiarata finalita' - «ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta
ed erogazione degli incentivi» (art. 26, comma 1) - avviene a scapito
del fruitore degli incentivi, che  non  e'  messo  in  condizione  di
acconsentire al mutamento delle  condizioni  alle  quali  avviene  la
regolazione delle partite economiche del rapporto. 
    Si puo' aggiungere in proposito che il duplice effetto del  comma
2  -  pagamenti  non  commisurati  alla  produzione  e,  soprattutto,
differita corresponsione  del  10%  per  il  primo  anno  -  pare  in
contrasto col canone di tempestivita' dei pagamenti desumibile  dalla
direttiva 2011/7/UE (v. cons. 3),  laddove  stabilisce  che  in  ogni
«transazione commerciale»  tra  imprese  e  pubblica  amministrazione
(cfr. art. 2, par. 1), il periodo di pagamento non deve  superare  il
termine di «trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte  del
debitore della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento  »
(ovvero decorrenti dalla data  di  conclusione  della  «procedura  di
accettazione o di verifica» diretta ad accertare la conformita' delle
merci o dei servizi al contratto; cfr. art. 4, par. 3;  termine  che,
secondo il successivo par. 6, puo' essere superato solo al  ricorrere
di un espresso patto contrario e  di  una  giustificazione  oggettiva
dipendente dalla «natura particolare del contratto o  da  talune  sue
caratteristiche»);   e   cio'   indipendentemente    dalla    diretta
riferibilita' alla  categoria  delle  «transazioni  commerciali»  dei
rapporti che si inscrivono nell'ambito  delle  sovvenzioni  pubbliche
(tenuto  anche  conto,  con  riguardo  al  caso   in   esame,   della
pariteticita'  delle  posizioni  di   Gestore   e   di   beneficiario
dell'incentivo). 
    Tanto   premesso,   il   collegio   ritiene   rilevanti   e   non
manifestamente infondate le esposte questioni  di  costituzionalita',
relative all'applicazione dei commi 2 e 3 dell'art. 26  decreto-legge
n. 91/2014 agli impianti di produzione di energia elettrica da  fonte
solare,  aventi  potenza  superiore  a  200  kW,  che  fruiscano   di
incentivazioni in atto ai sensi dei conti energia. 
    Il giudizio e' di conseguenza sospeso  per  la  rimessione  delle
questioni suddette all'esame  della  Corte  costituzionale,  mandando
alla segreteria di trasmettere  alla  Corte  la  presente  ordinanza,
unitamente al ricorso, di  notificarla  alle  parti  in  causa  e  al
Presidente del Consiglio  dei  ministri  nonche'  di  comunicarla  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza
Ter); 
    Visti gli articoli 134 Cost., 1 legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1
e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  26,  commi   2   e   3   del
decreto-legge n. 91/2014, convertito  in  legge,  con  modificazioni,
dalla legge n. 116/2014, in relazione agli articoli 3, 11, 41,  77  e
117, comma 1 della Costituzione, nonche' 1, Protocollo addizionale n.
1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e  delle
liberta' fondamentali e 6, paragrafo 3, Trattato sull'Unione  europea
secondo quanto specificato in motivazione; 
    Dispone la sospensione del presente giudizio; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, unitamente alla prova delle previste comunicazioni  e
notificazioni; 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti del giudizio e al Presidente del Consiglio  dei
ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nelle camere  di  consiglio  dei  giorni  25
giugno 2015, 29 ottobre 2015, con l'intervento dei magistrati: 
        Giuseppe Daniele, Presidente; 
        Mario Alberto di Nezza, consigliere; 
        Anna Maria Verlengia, consigliere, estensore. 
 
                       Il Presidente: Daniele 
 
 
                                               L'estensore: Verlengia