N. 227 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2016
Ordinanza del 19 aprile 2016 della Commissione tributaria regionale di Napoli sul ricorso proposto da Orabona Raffaele contro Ministero dell'economia e delle finanze - Commissione tributaria di Caserta. Spese di giustizia - Contributo unificato nel processo tributario - Importo dovuto in caso di ricorso cumulativo o collettivo - Determinazione in base alla somma dei contributi previsti per i singoli atti impugnati, anziche' in base alla somma totale dei tributi richiesti. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - testo A), art. 14, comma 3-bis, come modificato dall'art. 1, comma 558 [recte: comma 598, lett. a)] della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)"), [in combinato disposto con l'] art. 12, comma 5 [recte: comma 2], del decreto legislativo 31 dicembre 2002 [recte: 1992], n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).(GU n.46 del 16-11-2016 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI NAPOLI Sezione 32 Riunita con l'intervento dei signori: Notari Alfredo - Presidente e Relatore; Gallo Sergio - Giudice; Ucci Pasquale - Giudice, ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 9568/2015, depositato il 29 settembre 2015, avverso la sentenza n. 4605/2015, Sezione 13, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Caserta, contro MEF-SEGR.-COMM. Trib. provinciale di Caserta, proposto dall'appellante: Orabona Raffaele, Via P. Riverso, 7 - 81031 Aversa (CE), difeso da: Iavazzo Loredana, Via Roma P.Co Verde - 81030 Teverola (CE). Atti impugnati: invito al pagamento n. prot. 3291/14 Contributo unificato 9568/15. Svolgimento del processo Con l'impugnata sentenza la C.T.P. di Caserta rigettava il ricorso proposto Orabona Raffaele avverso l'invito di pagamento della residua somma di € 360,00 ad integrazione di contributo unificato come da epigrafe, invito speditogli dal Ministero delle finanze in relazione a ricorso tributario presentato presso la stessa C.T.P. di Caserta. Il ricorrente aveva dedotto la correttezza del calcolo del contributo versato in ragione di € 30,00 in ordine al valore di quella lite, consistente in un'opposizione ad estratto di ruolo cumulativamente riferito a dieci cartelle, per cui, a suo dire, non si dovevano tenere in conto partitamente i valori di ciascuna di quelle, ma la somma complessiva dei medesimi. Il Ministero delle finanze resistente, instauratosi il contraddittorio, si era costituito eccependo l'inammissibilita' del ricorso in quanto presentato avverso un atto non impositivo, nonche' contestando nel merito l'avverso dedotto. La C.T.P. di Caserta, previamente delibata l'ammissibilita' del ricorso in relazione alla ritenuta non tassativita' dell'art. 19, decreto legislativo n. 546/1992, rilevava che il valore della lite, da computarsi ai sensi degli articoli 14, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e 12, comma 5, decreto legislativo n. 546/2002, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 558, della legge n. 147/2013, eccedeva lo scaglione di € 2.583,00 cui si era riferito il contribuente ai fini di quel versamento, il quale ultimo andava quindi integrato nei sensi richiesti dal Ministero resistente. Avverso tale sentenza proponeva appello l'Orabona, ribadendo le doglianze gia' esposte in primo grado e deducendo l'incostituzionalita' degli articoli 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e 12, comma 5, decreto legislativo n. 546/2002, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 558, della legge n. 147/2013 rispetto agli articoli 3, 53, 24, 113 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui si prevede che il valore della lite per il calcolo del contributo unificato venga determinato per ciascun atto impugnato anche in appello, con conseguente disparita' di trattamento per l'ipotesi di ricorsi cumulativi come nella specie. Egli, tuttavia non chiedeva pronuncia di manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' con i provvedimenti accessori del caso, ma invocava solo l'annullamento dell'atto contestato in riforma dell'impugnata sentenza. Il Ministero appellato, radicatasi la lite nel presente grado, si costituiva tardivamente resistendo al gravame. Indi questo collegio ha adottato la deliberazione, come da dispositivo e motivi qui contenuti, riservandosi all'udienza dell'8 aprile 2016, svoltasi con le formalita' di cui all'art. 34, decreto legislativo n. 546/1992 nella ricorrenza di ogni requisito previsto dalla detta norma. Motivi della decisione La materia del contendere e' limitata alla mera delibazione di questa C.T.R. in ordine alla questione di costituzionalita' prospettata dall'Orabona nei sensi di cui in narrativa, questione strettamente funzionale alla decisione della causa, in cui appunto si controverte della legittimita' della pretesa tributaria, per cosi' dire, atomistica e non cumulativa del contributo unificato per ciascun atto impugnato, a quanto espressamente previsto dall'art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 che rimanda all'art. 12, comma 5, decreto legislativo n. 546/2002, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 558, della legge n. 147/2013. Orbene va anzitutto premesso che la Corte costituzionale si e' recentissimamente occupata della questione, per come sollevata dalla C.T.P. di Campobasso con ordinanza del 7 maggio 2015 con riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, comma 1 Cost., quest'ultimo quanto agli artt. 6 e 13 CEDU, ed ha reso con sentenza n. 78 depositata il 7 aprile 2016, appena un giorno prima dell'udienza tenuta da questa C.T.R., pronuncia d'inammissibilita' di essa questione in ordine a ciascuna delle dette norme con argomenti di cui si dara' partitamente conto nel prosieguo del presente testo. Cio' detto, va ricordato che la Corte medesima, gia' investita del problema della definizione della natura giuridica del contributo unificato, lo ha inquadrato come entrata tributaria erariale ex art. 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 1074/1965, si che e' consentito far riferimento alle numerose pronunce della Corte stessa in ordine alle caratteristiche proprie dei tributi (cfr., ex multis, sentt. n. 26/1982; n. 63/1990; n. 2/1995; n. 11/1995; n. 37/1997). Da cio' il Ministero appellato fa discendere la conseguenza che al legislatore ordinario resterebbe riservata la piu' ampia autonomia in ordine all'esigibilita' del contributo unificato, cosi' come nella determinazione ed individuazione d'ogni altro tributo in quanto tale. Tale argomento tuttavia non puo' essere condiviso, dacche' diversamente la discrezionalita' legislativa in materia tributaria trasmoderebbe in arbitrio, non restando asservita, per come dev'essere, ai precipui di razionalita', eguaglianza e giustizia che sono, a tacer d'altro, sottesi agli artt. 3 e 24 Cost., si' che non si possa in alcun modo legittimare la prospettata equazione fra natura tributaria del contributo unificato e possibilita' di fissare ad libitum ogni aspetto della sua esazione (an, quid, quomodo, quando). A ben guardare invero la radicalizzazione di un siffatto approccio interpretativo renderebbe vano lo stesso controllo di legittimita' della Corte costituzionale perche' consentirebbe a priori la possibilita' di esigere il contributo unificato ed i tributi in genere nel piu' dispotico dei modi, senza alcuna possibilita' di vagliare a riguardo la complessiva scelta del legislatore ordinario - in particolare nei cennati an, quid, quomodo, quando - in termini di conformita' al sovraordinato schema di principi e norme che vi conferiscono istituzionale giustifica. Nondimeno va subito precisato che la critica appena mossa alla posizione difensiva del Ministero non implica nel contempo adesione totale agli argomenti addotti dall'appellante. Si ravvisa invero manifesta infondatezza in ordine al prospettato contrasto della disposizione normativa in esame rispetto all'art. 53 Cost., e cio' perche', come correttamente dedotto da esso Ministero, gli importi del contributo unificato sono calcolati in base al valore della lite, mentre la capacita' contributiva non attiene alle spese per i servizi di giustizia, rappresentando piuttosto l'attitudine soggettiva ad eseguire la prestazione imposta, con riguardo al presupposto economico cui e' correlata l'obbligazione tributaria e quindi rispetto all'esistenza di causa giustificativa del prelievo sulla base di indici rivelatori (v. Corte costituzionale n. 155/2001 e n. 3737/2015). A riguardo ovviamente soccorrono anche e soprattutto le specifiche motivazioni leggibili nella sentenza n. 78/2016, motivazioni riferite al prospettato contrasto della normativa in oggetto rispetto agli artt. 3 e 53 Cost., quasi a livello di disposto congiunto, sotto il profilo del diverso trattamento riservato a tributi e sanzioni, cosi' come da ordinanza di rimessione della C.T.P. di Campobasso. Non si ravvisa invece manifesta infondatezza con riferimento alla dedotta contrarieta' della normativa di che trattasi rispetto agli artt. 3 e 24 Cost., essendo innegabile, il dato della costrizione e del condizionamento del diritto di accesso alla giustizia, reso indubbiamente piu' disagevole e, per cosi' dire, appesantito dalla necessita' di corrispondere tanti contributi unificati per quanti atti impositivi siano da contestarsi in giudizio e non gia' un solo contributo sulla somma dei corrispettivi valori (ipotesi di violazione dell'art. 24 Cost.), secondo la logica del cumulo regolata dall'art. 10 del codice di procedura civile che, come meglio sara' detto poi, dovrebbe essere applicabile ad ogni altro rito dell'ordinamento, ivi incluso quello della giustizia amministrativa (ipotesi di violazione dell'art. 3 Cost.). Ed invero in dettaglio, per quanto riguarda lo specifico contrasto con l'art. 24 Cost., va ricordato che la pregnante formulazione garantistica della detta norma e l'ampio respiro enunciativo che la rende, nella sua indiscussa solennita', fra le piu' caratterizzanti dell'ordinamento offrono gia' di per se' una sicura direttiva ermeneutica nel senso di annettervi il minimo possibile di lacci e lacciuoli donde il diritto di difesa possa subire limitazioni o compressioni a qualsiasi livello, se non quelle strettamente necessarie. In tale ottica un'esazione di contributo unificato atomistica e parcellizzata, in deroga al generale criterio del cumulo (ma su cio' si dira' meglio poi), principio certamente piu' favorevole al titolare del diritto di azione, non puo' non apparire come un onere eccessivo, irrazionale e punitivo per chi intenda adire la giustizia tributaria. E cio' massimamente nel caso oggetto del presente giudizio, in cui e' stato impugnato un estratto di ruolo. Infatti si ricordera' in proposito che la questione dell'impugnabilita' dell'estratto di ruolo, molto controversa in giurisprudenza, e' stata da ultimo positivamente risolta dalla sentenza delle S.U. della Cassazione n. 19704 del 2 ottobre 2015. Tale pronuncia, con un'interpretazione sistematica dichiaratamente definita come costituzionalmente orientata, precisa, fra l'altro, che e' ammissibile il ricorso del contribuente avverso la cartella e/o il ruolo, pur se quegli, in difetto di notifica a riguardo, ne sia venuto a conoscenza attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta, e cio' senza che vi sia d'ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma, dell'art. 19, decreto legislativo n. 546/1992 per il quale «la mancata notificazione di atti autonomamente inpugnabili, adottati pretedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo». Se ne inferisce che l'estratto di ruolo, alla stregua della piu' recente giurisprudenza teste' menzionata, e' passibile di impugnativa giudiziale unitaria in quanto tale, non essendovi la necessita' di dettagliare tante autonome opposizioni per quante cartelle esattoriali vi siano contemplate. Cio' dunque integra una ragione ulteriore per ritenere che la commisurazione del contributo unificato al valore delle singole cartelle e non alla somma complessiva di quelle stesse rappresenti non solo una penalizzazione eccessiva del diritto di difesa del contribuente, vieppiu' nella qualificante valorizzazione conferitavi dal complesso normativo di cui alla legge n. 212/2000, ma contrasti con la stessa logica della possibilita' di impugnativa unitaria dell'estratto di ruolo nei sensi detti. Ne' sembra aver pregio l'obiezione del Ministero appellato per cui il pagamento del contributo unificato non costituisce condizione di ammissibilita' o procedibilita' della domanda (v. Corte cost., ordinanza n. 343/2011 e n. 284/2011 ), e cio' perche' sul piano logico l'inesistenza di un vincolo restrittivo di una facolta' non attrae di per se' la pedissequa inesistenza di altri vincoli che ben possono coesistervi in positivo e sul piano giuridico condizionamenti del diritto di accesso alla giustizia possono essere costituiti da oneri, economici o non, che lo rendano, come gia' cennato, meno agevole, pur senza creare implicazioni in termini di sbarramenti processuali radicali di tipo impeditivo per com'e' proprio delle categorie dell'ammissibilita' o della procedibilita' dell'azione. Vi e poi da considerare che non sussiste alcun valido e razionale motivo per riservare solo alla giustizia tributaria tale jus singolare nel panorama complessivo dell'ordinamento processuale italiano, ove impera la regola del cumulo di cui all'art. 10 c.p.c., regola quindi contenuta nello schema piu' contiguo a quello del rito tributario, come indica il disposto dell'art. 1 del decreto legislativo n. 546/1992, norma di apertura e di chiusura, al tempo stesso, della disciplina del medesimo. Ebbene a tal proposito la sentenza n. 78/2016 della Corte costituzionale esplicitamente osserva che non vi e' ragione alcuna per considerare la regola del cumulo di cui all'art. 10 codice di procedura civile come tertium comparationis cui annettere, per effetto di ravvisate omogeneita' che in realta' sarebbero insussistenti, un possibile ricorso all'analogia. Tale affermazione trae le sue premesse dalla constatazione che l'art. 113 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 stabilirebbe criteri diversi per il processo civile, per quello amministrativo e per quello tributario, per cui, come testualmente leggesi nella sentenza n. 78/2016, «nel primo per la quantificazione del contributo ... vengono in rilievo sia la materia che il valore della controversia; nel secondo ... e' stato adottato il criterio della differenziazione per materia; nel processo tributario ... il successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valori delle liti». Ebbene le differenze divisate dalla Corte non convincono del tutto questa C.T.R., essenzialmente perche' non si riscontra veridica la proposizione distintiva fra rito civile e rito amministrativo nel senso che nel primo vengano in rilievo sia la materia che il valore della controversia, mentre nel secondo risulti adottato il criterio della differenziazione per materia. Pare invece che tanto il processo civile quanto il processo amministrativo restino regolati dall'art. 113 in discorso sia ratione materiae che ratione valoris, alla stregua peraltro di un'esegesi addirittura letterale ed inequivoca di tale norma. Infatti il comma 6-bis dell'art. 113 cit., che si occupa del contributo unificato nel rito amministrativo, fa riferimento anche al valore delle controversie, per come leggesi al punto b), laddove vie operato testuale rinvio, per le cause relative a rapporti di pubblico impiego, al comma 3 e, per esso, ai criteri di valore quivi indicati, e per come leggesi ancora al punto d), che anzi e' cosi' articolatamente riferito a criteri di valore da legittimare l'interprete a concludere che esso art. 113 contempla il contributo unificato nel rito civile e nel rito amministrativo in modo non dissimile l'uno dall'altro, dacche' in entrambi i casi lo riferisce a criteri sia di materia che di valore. Se cio' e' vero, e' vero allo stesso tempo che il rito civile e quello amministrativo non trovano disciplina diversa nell'ambito dell'art. 113 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, ma anzi disciplina essenzialmente conforme, per cui ai due tipi di processo viene riservata sostanziale omogeneita' nella determinazione del contributo stesso. Ed anzi, siccome, a quanto correttamente affermato dalla sentenza n. 78/2016 nei sensi sopra riportati, «nel processo tributario il successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valori delle liti», e' lecito affermare che tutti e tre i tipi processuali rimandano, per quanto di ragione, a criteri del valore per la determinazione del contributo unificato, ma che solo nel rito tributario non vige la regola del cumulo ex art. 10 codice di procedura civile che pacificamente si applica anche nel rito amministrativo nei casi in cui si debba far riferimento appunto ad essi criteri del valore. E' dunque lecito considerare che il detto art. 10 debba opportunamente interpretarsi come precetto di amplissima e generale portata, pur al di fuori dell'ordinamento processuale civile ove resta allocato, e cio' per effetto della dimensione espansiva che vi si deve annettere in relazione alla razionalita' che l'ispira, permeandone la mens legis assieme alla palese conformita' ad elementari criteri di giustizia distributiva. Peraltro, se e' vero che il contributo unificato, come gia' detto, rinviene la sua ragione giustificativa nella partecipazione economica alle spese del servizio di giustizia, e' irrazionale moltiplicare per un solo ricorso tale onere economico del privato come se avesse fruito di un servizio plurimo commisurato ai singoli atti impositivi opposti e cioe' come se avesse adito separatamente il giudice tributario con piu' ricorsi. In altri termini fra il contribuire monistico per un ricorso semplice ed il contribuire plurimo per un ricorso complesso la barra della razionalita' non puo' che stare nel mezzo, esattamente come quella che informa di se' il cit. art. 10 e cioe' quella riferita alla logica del cumulo del valore, per cui una giustizia scomodata una sola volta con valore intrinsecamente plurimo non puo' equivalere esattamente ad una giustizia scomodata piu' volte con singoli valori di corrispondente importo totale. Tanto altresi' massimamente rileva nell'ambito di un piu' generale discorso imperniato sui principi dell'art. 3 Cost., per i quali, com'e' noto, non possono tollerarsi disparita' di trattamento a parita' di condizioni, si' che colui che ricorre al giudice tributario non puo' vedersi penalizzato rispetto a chi ricorre al giudice civile o amministrativo. Ed invero a tal proposito le determinazioni della Corte costituzionale per come adottate nella sentenza n. 78/2016 andrebbero, a parere di questa C.T.R., riconsiderate. E cio' quantomeno perche' testualmente fondate sulla premessa della disomogeneita' dei tre riti, civile, amministrativo e tributario, disomogeneita' che non convince quantomeno nei termini leggibili nella detta sentenza n. 78/2016, laddove si sostiene che il contributo unificato nel processo civile si determinerebbe in base ai criteri della materia e del valore della controversia, mentre nel processo amministrativo solo in base al criterio della materia. Non sfuggira' dunque ad alcuno che, espunta la premessa della disomogeneita' nei sensi detti, verra' meno anche la conclusione sillogistica su cui la sentenza n. 78/2016 testualmente fonda: «In definitiva - si legge in tale pronuncia - dalla esposta premessa si ricava implicitamente la difficolta' di individuare un principio o una fattispecie suscettibile di analogia, utilizzabile nel presente giudizio quale tertium comparationis». Potra' quindi essere vero proprio il contrario, e cioe' che da una corretta premessa di omogeneita' dei tre schemi processuali nei sensi sopra evidenziati possa e debba ricavarsi l'agevole individuazione di un criterio analogico ovviamente funzionale ad una ben diversa soluzione della tematica di che trattasi. Cio' detto, non meno debole appare a questa C.T.R. il dedotto profilo di illegittimita' per asserito contrasto con l'art. 113 Cost. che stabilisce che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa, dacche' l'appesantimento in discorso, per com'e' intuitivo, si traduce immediatamente in una diminuita possibilita' reattiva avverso atti d'imposizione tributaria, promananti in quanto tali sempre da soggetti pubblici. Ed invero, se ben si riflette la non manifesta infondatezza del profilo di costituzionalita' riferito agli artt. 3 e 24 Cost. nei termini considerati finisce col radicare, per diretta implicazione logica a mo' di corollario, la postulabilita' dello stesso discorso con riferimento al cit. art. 113, ne' piu' ne' meno che nella dimensione di un rapporto fra genere e specie. Ne' sarebbe d'ostacolo quanto esposto dalla Corte cost. nella sentenza n. 78/2016, ove e' detto che «il remittente non avrebbe chiarito per qual motivo il diritto di difesa sarebbe conculcato dal meccanismo di determinazione del contributo unificato» cosi' come fissato per i ricorsi cumulativi, «quasi che la possibilita' di difendersi fosse legato alla prerogativa di scegliere le modalita' cumulative anziche' individuali». Infatti - non mettendo conto, ovviamente, qui considerare le motivazioni addotte dalla C.T.P. di Campobasso circa il divisato contrasto con l'art. 24 Cost. - non dovrebbe poter intendersi il diritto di difesa, al di la' dell'iperbole adoperata dalla Corte costituzionale nella proposizione appena trascritta, come mera possibilita' di difendersi. In particolare - non senza ribadire la precedente notazione di questa C.T.R. per cui dovrebbe bastare il rilievo dell'appesantimento del diritto di difesa per configurare un contrasto con l'art. 24 Cost., non certo ipotizzabile solo in casi di abrasione totale del medesimo, vero essendo, sia sul piano logico che su quello giuridico, che condizionamenti del diritto di accesso alla giustizia possono essere costituiti da oneri, economici o non, che lo rendano meno agevole, pur senza addurvi radicali sbarramenti impeditivi - non dovrebbe apparire in ipotesi del tutto congruo, in tale ottica, asserire che un dubbio di legittimita' costituzionale correlato al detto appesantimento possa risolversi banalmente nella postulazione di un diritto di difesa legato alla prerogativa di scegliere le modalita' cumulative anziche' individuali. E non lo dovrebbe invero, a condizione di serbare dell'art. 24 Cost. una specifica visione qualitativa e quantitativa all'un tempo, banale essendo - si', stavolta - osservare che il diritto di difesa non rileva solo in termini di astratta possibilita' di difendersi, bensi' anche e soprattutto in termini di sua concreta estensione quantitativa. Anzi il diritto di difesa come possibilita' di difendersi puo' dirsi sempre esistito, persino negli Stati assoluti e finanche nelle tribu' primitive, divenendo poi coessenziale allo Stato di diritto proprio nella sintetica accezione di acquisito arricchimento di contenuti e spazi maggiori in un processo storico che ovviamente non puo' dirsi esaurito. Non esiste in altri termini un principio ex art. 24 Cost. da intendersi burocraticamente come diritto di difesa si' anziche' no, ma piuttosto da intendersi evolutivamente come diritto di difesa quanto piu' concreto, piu' completo, piu' esteso possibile nel diritto vivente. Del pari non dovrebbe apparire del tutto infondato il prospettato contrasto della normativa in questione con l'art. 117, comma 1, Cost. e, per esso, con i vincoli derivanti dagli artt. 6, 13 e 18 CEDU, i quali sanciscono rispettivamente il diritto ad un processo equo, ad un ricorso effettivo e al divieto di restrizione dei diritti non si rettamente connessa allo scopo previsto. Anche rispetto a tali principi tuttavia la sentenza della Consulta n. 78/2016 non ravvisa contrasti, riproducendo la stessa argomentazione addotta con riferimento all'art. 24 Cost., peraltro esaminato in unico contesto con l'art. 113 Cost., pur se la remittente C.T.P. di Campobasso aveva prospettato a riguardo separati discorsi. Anche qui dunque questa C.T.R. auspica che venga adeguatamente valorizzata la logica della concretezza e dell'effettivita' contenutistiche del diritto di difesa nella ratio legis sottesa ai detti artt. 6, 13 e 18 CEDU, che non sono altro che la proiezione ultranazionale dell'art. 24 Cost. negli stessi termini di cui si e' detto. Per tutto quanto precede, la tematica della legittimita' costituzionale del complessivo disposto di cui, all'art. 14, comma 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e 12, comma 5, decreto legislativo n. 546/2002, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 558, della legge n. 147/2013, ad avviso di questa C.T.R., merita di essere riconsiderata, alla stregua degli argomenti addotti dall'appellante e di altri complementari ex officio judicis dei quali si e' fatto cenno, nella parte in cui si prevede che il valore della lite per il calcolo del contributo unificato venga determinato in via autonoma per ciascun atto impugnato e non piuttosto complessivamente secondo la regola del cumulo fissata dall'art. 10 codice di procedura civile - da considerarsi norma di carattere generale non ristretta all'ambito processuale civile per il quale e' dettata, attesa la sua specifica aderenza ad indubbi criteri di logicita' e giustizia -, con conseguente disparita' di trattamento per l'ipotesi di ricorsi tributari cumulativi come nella specie rispetto al pedissequo diritto d'azione esercitato nel processo civile ed in quello amministrativo. Ai sensi dell'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita', mentre ai sensi dell'art. 23, comma 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sara' notificata alle parti costituite ed al Presidente dei Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
P. Q. M. La commissione cosi' provvede: a) letti gli artt. 134 e 137 Cost., l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e 12, comma 5, decreto legislativo n. 546/2002, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 558, della legge n. 147/2013, in relazione agli artt. 3, 24, 113 e 117, comma 1 Cost., nei sensi di cui in motivazione; b) dispone la sospensione del presente giudizio; c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; d) dispone infine l'immediata trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale assieme al fascicolo processuale nella sua interezza e con la prova delle avvenute e rituali notificazioni e comunicazioni predette. Napoli, 19 aprile 2016 Il Presidente estensore: Notari