N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2016
Ordinanza del 30 giugno 2016 del Tribunale di Monza nel procedimento penale a carico di Stiscia Claudio. Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione di un divieto di un secondo giudizio nel caso in cui all'imputato sia gia' stata applicata, per il medesimo fatto (omessa dichiarazione ai fini IRPEF e IVA), nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di natura sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi Protocolli. - Codice di procedura penale, art. 649.(GU n.47 del 23-11-2016 )
TRIBUNALE DI MONZA sezione penale Ordinanza di rimessione di questione di legittimita' Il Tribunale di Monza, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Stefano Cavallini, all'udienza del 30 giugno 2016, nel procedimento a carico di Stiscia Claudio, imputato «in ordine al reato p. e p. dall'art. 5 decreto legislativo n. 74/2000, perche', nella sua qualita' di titolare della omonima ditta individuale, con domicilio fiscale in Verano Brianza, via della Cooperazione n. 20/l - partita IVA: 02185460967, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presentava per l'anno d'imposta 2008 la dichiarazione annuale relativa a dette imposte, pur essendovi obbligato, avendo prodotto un reddito d'impresa pari ad euro 1.863.617,27. IRPEF evasa euro 794.525,00 e maggior IVA dovuta euro 455.653,00 (imposta evasa superiore ad euro 77.486,53). In Verano Brianza, il 29 gennaio 2010» (decreto di citazione diretta a giudizio in data 8 agosto 2014); Considerato che nei confronti dell'imputato, come risulta dall'avviso di accertamento del 20 febbraio 2013 nonche' dal «dettaglio partita di ruolo» (aggiornato al 10 giugno 2016) in atti, risultano gia' irrogate in via definitiva - in relazione alla stessa annualita' (2008) ed alle medesime imposte - sanzioni amministrative pari, rispettivamente, ad euro 953.430,00 (quanto all'IRPEF) e ad euro 546.783,00 (quanto all'IVA); Osservato che l'applicazione di tali sanzioni, entrambe pari al 120% dell'imposta evasa, discende dall'accertamento, da parte dell'amministrazione finanziaria, degli illeciti amministrativi tratteggiati dagli articoli 1 comma I e 5 comma I decreto legislativo n. 471/1997; Evidenziato che tali norme prevedono, partitamente, che «nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 250 a euro 1.000. Se la dichiarazione omessa e presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo e, comunque, prima dell'inizio di qualunque attivita' amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500. Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili» (art. 1 comma I decreto legislativo n. 471/1997), e che «nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell'imposta sul valore aggiunto si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare del tributo dovuto per il periodo d'imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto firmare oggetto di dichiarazione. Per determinare l'imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell'anno precedente del quale non e' stato chiesto il rimborso, nonche' le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite. Nel caso di omessa o tardiva presentazione della dichiarazione cui sono tenuti i soggetti che applicano i regimi speciali di cui agli articoli 74-quinquies e 74-septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sanzione e' commisurata all'ammontare dell'imposta dovuta nel territorio dello Stato che avrebbe dovuto formare oggetto di dichiarazione. La sanzione non puo' essere comunque inferiore a euro 258. Se la dichiarazione omessa e' presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo e, comunque, prima dell'inizio di qualunque attivita' amministrativa di accertamento di cui il soggetto passivo abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell'ammontare del tributo dovuto per il periodo d'imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione, con un minimo di euro 200» (art. 5 comma I decreto legislativo n. 471/1997); Preso atto che l'Agenzia delle entrate, attesa l'entita' delle somme dianzi riportate, ha provveduto alla segnalazione alla Procura della Repubblica di Parma, che ha poi, a sua volta, trasmesso il fascicolo per competenza alla Procura della Repubblica di Monza; Rilevato che il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale contestando all'imputato la fattispecie delittuosa di omessa dichiarazione, nei termini anzidetti; Ritenuti l'identita' del destinatario del precetto penale e delle sanzioni amministrative, il carattere afflittivo e, pertanto, sostanzialmente «penale» di queste ultime, in ragione del consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, nonche' la definitivita' del provvedimento amministrativo di irrogazione delle sanzioni, Sottopone, ex officio, al giudizio di questa Ecc.ma. Corte questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 codice di procedura penale - nella parte in cui non prevede un divieto di secondo giudizio per l'imputato che sia gia' stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, in relazione al medesimo fatto, nell'ambito di un procedimento amministrativo che si sia concluso con l'irrogazione di una sanzione di natura «penale» ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dei relativi Protocolli - per contrasto con il divieto di bis in idem contemplato dall'art. 4 protocollo 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, norma integratrice del parametro costituzionale di cui all'art. 117, comma I, della Carta fondamentale. Non manifesta infondatezza della questione 1. La questione di legittimita' costituzionale sopra delineata si presenta non manifestamente infondata per una serie di considerazioni. 1.1. Fondamentale punto di partenza nella ricostruzione dell'assetto normativo sovraprimario e' dato dalla nota decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo Engel e altri c. Paesi Bassi (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, 8 giugno 1976), nella quale il Giudice di Strasburgo isola tre criteri (c.d. Engel criteria) per sperimentare se una sanzione - in disparte l'etichetta formale ad essa attribuita dal legislatore nazionale - possa definirsi sostanzialmente penale. Nel dettaglio, i tre parametri che la Corte valuta per saggiare la natura di una sanzione possono essere riassunti: (i) nella qualificazione giuridica offerta dall'ordinamento interno; (ii) nell'effettiva natura della sanzione; (iii) nel grado di severita' dalla stessa veicolato. Si tratta peraltro di criteri, nella lettura della Corte, tra loro alternativi, sicche' e' sufficiente che la sanzione abbia finalita' preventiva o retributiva, ovvero sia particolarmente severa, per sancirne la refluenza nella materie penale. Al riconoscimento della natura sostanzialmente criminale della sanzione consegue, quale immediato corollario, l'obbligo per lo Stato di applicare lo statuto garantistico, sostanziale e processuale, proprio del diritto penale e garantito dalla Convenzione, quanto alla struttura, all'oggetto ed all'accertamento della responsabilita' del soggetto perseguito. 1.2. Sulla scorta dei principi fissati nella sentenza «pilota» Engel e altri c. Paesi Bassi, la giurisprudenza convenzionale e' giunta in plurimi arresti, a far data dalla pronuncia Jussila c. Finlandia (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, 23 novembre 2006), a riconoscere il carattere «penale» di forme di sovrattasse tributarie, anche a fronte di importi modesti: emblematico, in tal senso, il recente caso Nykänen c. Finlandia (Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. IV, 20 maggio 2014), in cui la Corte si e espressa sulla natura penale di una multa pari a 1.700,00 euro, comminata al ricorrente dall'amministrazione finanziaria nazionale. Centrale rilievo, nell'accezione sostanzialistica che contrassegna la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, assume infatti la finalita' repressiva e preventiva della sanzione; laddove con la stessa si imponga al contribuente non solo il pagamento della somma evasa (in termini restitutori-compensativi) bensi' (anche) un quid pluris, la formale qualificazione come «amministrativa» assegnata dalla legge interna non impedisce la lettura di quella sanzione - che acquista, in ragione di tale quid pluris, funzione deterrente e retributiva - in termini di «pena». Si tratta di principi ribaditi ancora piu' recentemente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, tanto in materia tributaria, quanto - con precipuo riferimento all'ordinamento italiano - in relazione al settore degli abusi di mercato. Sul primo versante, con la sentenza Lucky Dev c. Svezia (Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. V, 27 novembre 2014), e' stato ritenuto incompatibile con il divieto di bis in idem, nella esegesi ad esso fornita dalla giurisprudenza convenzionale, un sistema (nella specie, quello svedese) che - a fronte della avvenuta irrogazione di sovrattasse nei confronti di un contribuente (pari, in quel caso, al 40% ed al 20%, rispettivamente ricollegate ad una omessa dichiarazione dei redditi e ad una evasione IVA) - consentiva che lo stesso soggetto fosse sottoposto a procedimento penale: decisione ancor piu' rilevante, ove si consideri che l'ordinamento svedese, al pari di quello italiano, presidia le violazioni tributarie sia con una sanzione «amministrativa» sia con una sanzione penale e che, analogamente a quanto stabilito dall'art. 20 decreto legislativo 74/2000 (su cui si tornera' appresso), anche in quel sistema nazionale i due procedimenti (tributario/amministrativo da un lato, penale dall'altro) sono improntati alla reciproca indipendenza. Sotto il secondo profilo, merita senza dubbio richiamarsi la pronuncia nel caso Grande Stevens c. Italia (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, 4 marzo 2014): in tale arresto, la Grande Camera ha sottolineato che il sistema legislativo (e sanzionatorio) italiano in materia di abusi di mercato - che, al pari degli illeciti tributari nella presente sede rilevanti, ammette l'applicazione per fatti costituenti reato, anche di una congerie di sanzioni amministrative (irrogate, segnatamente, dalla C.O.N.S.O.B.) - determina significativi dubbi di compatibilita' rispetto, tra l'altro, al diritto a non essere giudicati o puniti due volte per il medesimo fatto. In tal senso, pietra angolare del ragionamento della Corte risiede, ancora una volta, nella corretta individuazione della natura delle sanzioni - solo formalmente qualificate come amministrative dall'ordinamento nazionale - inflitte dalla C.O.N.S.O.B.: una natura indubbiamente «penale», nell'ottica convenzionale, alla luce della severita' delle stesse, dell'importo in concreto elevato al trasgressore e delle ripercussioni complessive sugli interessi del condannato, che traghettano le sanzioni nel campo della vera e propria «pena», con cui condividono la funzione prettamente repressiva. Sennonche', riqualificata come «penale» la sanzione amministrativa, costituisce violazione dell'art. 4, prot. 7, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali la sottoposizione dello stesso soggetto ad un ulteriore processo penale e, a fortiori, l'applicazione di una pena aggiuntiva, per i medesimi fatti, dopo che la prima sanzione sia divenuta definitiva. 1.3. Decisivo diviene dunque, nella stessa prospettiva sovranazionale, appurare quando due «fatti» possano ritenersi identici. L'orientamento ormai consolidato della Corte europea dei diritti dell'uomo, in proposito, valorizza la coincidenza o meno del fatto nella sua dimensione storico-naturalistica, a prescindere dunque dalla (eventuale) diversa qualificazione dello stesso sul terreno giuridico: tanto emerge con evidenza, nell'orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, a seguito delle decisione Zolotukhin c. Russia (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, 10 febbraio 2009), ad avviso della quale il focus dell'interprete deve orientarsi al fatto nella sua concreta materialita', e non gia' all'astratto rapporto tra fattispecie; a rilevare, in altre parole, e' la condotta tenuta e contestata (idem factum), non gia' la sua tipizzazione nelle singole previsioni punitive (idem legale). In ossequio a tali direttrici teoriche si e' espressa la giurisprudenza successiva della Corte europea dei diritti dell'uomo (cfr., ex aliis, la gia' citata sentenza Lucky Dev c. Svezia), che ha ribadito la necessita' - pena un indebolimento complessivo della garanzia veicolata dall'art. 4 prot. 7 della Convenzione - di prescindere dalla fattispecie astratta (legal characterisation), per concentrare l'analisi sul «fatto concreto». 1.4. La reiterazione nel tempo di tali, conformi affermazioni di principio, in seno alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, impone al giudice nazionale, che ravvisi un contrasto delle disposizioni domestiche con il diritto convenzionale, nell'interpretazione consolidata ad esso offerta dal suo Giudice, di sollevare questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117 comma I Cost., invocando l'intervento del Giudice delle leggi per rimediare a tale vulnus. Come recentemente statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49/2015, infatti, spetta al giudice nazionale il compito irrinunciabile di interpretare il sistema di norme in cui i principi enucleati dalla giurisprudenza convenzionale sono inseriti, essendo invero tenuto a recepire le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo soltanto nella misura in cui esse esprimano un «diritto consolidato» (su cui, dunque, il giudice interno deve fondare il proprio iter argomentativo), laddove un simile obbligo non sussiste quando le sentenze della Corte, riferite al caso che lo occupa, siano espressione di un indirizzo non consolidato in serio alla giurisprudenza di Strasburgo. Ne consegue, per riprendere le parole della pronuncia n. 49/2015, che «e' solo un "diritto consolidato", generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno e' tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo». Orbene, alcun dubbio in ordine al grado di consolidamento del diritto convenzionale - in punto di valutazione dell'identita' del fatto e del carattere «penale» di una sanzione - e' dato ravvisare nel caso in esame, a fronte di plurime pronunce di univoco tenore, emesse anche dalla Grande Camera ed in relazione a profili di incompatibilita' sollevati, in argomento, da ricorrenti di diversi Paesi Membri. 1.5. Non del tutto univoca appare, invero, la giurisprudenza sovranazionale unicamente sotto un diverso profilo, tuttavia non rilevante nel caso di specie. Il riferimento, segnatamente, e' alla necessita' o meno, onde ravvisare la coincidenza del fatto, dell'identita' «naturalistica» dei destinatari della comminatoria «amministrativa» (nel sistema tributario: il contribuente) e della sanzione penale in senso stretto (l'imputato persona fisica); cio' che, come e' ovvio, restituisce non marginali ricadute nell'ambito penal-tributario, ove si ponga mente al fatto che spesso (ma - come si e' anticipato - non nel caso al vaglio di questo giudice) il contribuente e' una societa', dotata di una propria personalita' giuridica e di un'autonoma soggettivita' passiva di imposta, mentre della violazione penale e' chiamato a rispondere la persona fisica, legale rappresentante di quell'ente (per il rispetto del divieto di un secondo giudizio quando vi sia discrasia tra contribuente e destinatario della sanzione penale cfr. Pirttimaki c. Finlandia, Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. IV, 20 maggio 2014, in particolare § 51: «The Court considers that these two sets of facts are different. First of all, the legal entities involved in these proceedings were not the same: in the first set of proceedings it was the applicant and in the second set of proceedings the company (...). Even assuming that it had in fact been the applicant who was making the tax declaration in both cases, the circumstances were still not the same: making a tax declaration in personal taxation differs from making a tax declaration for a company as these declarations are made in different forms, they may have been made at a different point of time and, in the case of the company, may also have involved other persons»; contra, apparentemente, Kiiveri c. Finlandia, Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. IV, 10 febbraio 2015). Si tratta nondimeno, come accennato, di un contrasto non rilevante nel caso all'esame di questo giudice, in cui l'imputato - in qualita' di titolare di ditta individuale a suo nome - e' anche il contribuente, pacificamente destinatario dunque, in quanto tale, di entrambe le sanzioni («amministrative» e penali). 1.6. Nel medesimo alveo tracciato dalla giurisprudenza di Strasburgo, del resto, la Corte di giustizia dell'Unione europea, investita di una questione pregiudiziale inerente l'applicazione del principio del ne bis in idem di cui agli articoli 4 prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 50 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - con un quesito di diritto relativo all'ammissibilita' di un procedimento penale nel caso di una precedente condanna fiscale per i medesimi fatti in sede amministrativa - ha affermato che uno Stato puo' irrogare per uno stesso fatto sanzioni penali e sanzioni amministrative, a condizione, tuttavia, che queste ultime non abbiano natura sostanzialmente penale, con cio' facendo proprio il criterio sostanzialistico di irrilevanza della qualificazione formale assegnata dal diritto nazionale alla sanzione gia' irrogata (Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson, Corte di giustizia dell'Unione europea, 26 febbraio 2013). 2. Cosi' compendiato il quadro di riferimento sovranazionale, occorre ora soffermarsi sull'ordinamento interno, e segnatamente sulle norme rilevanti ai fini del giudizio di merito demandato a questo giudice, per valutarne la compatibilita' con l'art. 4 prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, norma interposta dell'art. 117 comma I Cost. 2.1. In primo luogo, alcun dubbio si profila in ordine al carattere essenzialmente «penale» - alla luce delle coordinate teoriche piu' sopra tracciate - delle sanzioni amministrative contemplate dagli articoli 1 comma I e 5 comma I decreto legislativo n. 471/1997, risolvendosi esse nella applicazione al contribuente di sovrattasse, calcolate percentualmente sull'imposta evasa (dal 120% al 240%), che accedono alla riscossione delle imposte e degli interessi sulle stesse maturati: rilette nella prospettiva degli Engel criteria, dunque, le sanzioni, oltre a distinguersi per la evidente gravita' (e, quindi, per le significative ricadute sulla sfera patrimoniale del destinatario), hanno indubbiamente una funzione deterrente ed afflittiva, non gia' meramente restitutoria. Ne', in senso contrario, rileva la circostanza per cui tali sanzioni sono state disposte all'esito di un procedimento formalmente amministrativo, atteso che - come gia' rimarcato in precedenza - a venire in rilievo, nell'interpretazione del principio del ne bis idem delineata dalla giurisprudenza di Strasburgo, e', in chiave sostanziale, la reale natura della sanzione. 2.2. Identico, sotto diverso aspetto, appare il fatto storico alla base di ambedue i procedimenti (amministrativo e penale), nella sua concreta materialita': presupposto delle sanzioni «amministrative» e della comminatoria edittale prevista dall'art. 5 decreto legislativo n. 74/2000 e' pur sempre l'omissione dichiarativa concernente le medesime imposte. Giova peraltro osservare, in limine, che ad analoghe conclusioni in punto di identita' del fatto si perverrebbe agevolmente anche all'esito di un semplice raffronto tra le fattispecie astratte che contrassegnano gli illeciti in parola; fattispecie che invero si pongono in rapporto di specialita' unilaterale, giacche' la norma incriminatrice tratteggiata dall'art. 5 decreto legislativo n. 74/2000 annovera la totalita' degli elementi strutturali che colorano le parallele previsioni «amministrative», con l'aggiunta del dolo specifico di evasione e, sul piano oggettivo, delle soglie di punibilita'. 2.3. Tanto, venendo ai rimedi offerti dal diritto interno per scongiurare il rischio di duplicazione delle sanzioni al medesimo soggetto per l'identico fatto, consentirebbe teoricamente l'operativita' del principio declinato dall'art. 19 decreto legislativo n. 74/2000 nel micro-sistema penale tributario, plastica applicazione, a sua volta, degli articoli 15 codice penale e 9 legge n. 689/1981: un principio, in combinazione con il meccanismo di cui all'art. 21 comma II decreto legislativo n. 74/2000, che - seppur non valevole, in quanto mutuato da un criterio differente da quello individuato dalle Corti sovranazionali per descrivere l'idem factum, ad escludere invariabilmente la violazione del ne bis in idem - nel caso di omessa dichiarazione, quale quello che nella presente sede interessa, si mostra in apparenza suscettibile di evitare il cumulo sanzionatorio, mediante l'applicazione della sola norma speciale (dunque, come visto, della fattispecie penale in senso stretto). In effetti, superato il vecchio regime normativo impostato sulla pregiudiziale tributaria, i rapporti tra i procedimenti penale e tributario sono ispirati al c.d. «doppio binario» (art. 20 decreto legislativo n. 74/2000: «il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione»), laddove la possibilita' per l'amministrazione finanziaria di irrogare le sanzioni amministrative, in presenza di notitiae criminis, e' temperata dall'impossibilita' di eseguirle, nei confronti dei soggetti sottoposti al procedimento penale, sino a quando quest'ultimo non sia stato definito con provvedimento di archiviazione ovvero con sentenza irrevocabile di assoluzione o proscioglimento con formula escludente la rilevanza penale del fatto (art. 21 comma II decreto legislativo n. 74/2000): un congegno normativo che, come puntualmente evidenziato, mira all'efficienza complessiva del sistema, autorizzando l'amministrazione a precostituirsi un titolo che - ove mancassero i presupposti per l'applicazione del principio di specialita' (nei casi, appunto, elencati dall'art. 21 comma II, sopra richiamato) - potra' immediatamente essere posto in esecuzione. Vero e', per inciso, che, anche nella sua fisiologica applicazione, un meccanismo cosi' calibrato non presidia del tutto il principio del ne bis idem nell'ottica della giurisprudenza sovranazionale: valga, infatti, unicamente osservare che, all'esito di una eventuale pronuncia assolutoria in sede penale, puo' essere eseguita una sanzione sostanzialmente penale, gia' irrogata per la medesima violazione. 2.4. Detta soluzione, ad ogni buon conto, non contribuisce in alcun modo a garantire il rispetto del divieto di bis in idem processuale nelle situazioni in cui - come quella al vaglio di questo rimettente - all'imputato per omessa dichiarazione sia gia' stata inflitta una sanzione «penale» (a valle dell'avviso di accertamento amministrativo definitivo), in relazione all'evasione delle medesime imposte, prima ancora dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. Se infatti, sul piano sostanziale, la duplicazione delle sanzioni e', seppur non senza aspetti di criticita', scongiurata dall'operativita' del principio di specialita', nulla vieta che, dopo l'esaurimento di un procedimento amministrativo, si proceda penalmente nei confronti dello stesso soggetto in relazione ai medesimi fatti: risolvendosi anzi detta eventualita', a ben vedere, in una fisiologica declinazione del principio del «doppio binario» di cui all'art. 20 decreto legislativo n. 74/2000, cui il successivo art. 21 comma II si incarica di porre rimedio soltanto nel segmento finale di effettiva esecuzione delle sanzioni, onde evitarne il cumulo. Un rimedio tuttavia che, essendo strutturato in termini di «sospensione», non esclude affatto che - anteriormente o contemporaneamente al procedimento penale - una sanzione lato sensu penale sia formalmente irrogata ed acquisti il crisma della definitivita'. 2.5. A fronte di tale situazione, merita evidenziare che l'unica norma astrattamente predicabile di applicazione, per neutralizzare la duplicazione dei giudizi, e' costituita dall'art. 649 codice di procedura penale, che preclude la possibilita' di un secondo procedimento penale nei confronti dell'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili in relazione al medesimo fatto. Il tenore letterale della disposizione, tuttavia, non ne consente un'interpretazione convenzionalmente orientata, in virtu' dell'inequivoco riferimento all'autorita' giudiziaria penale, che non permette di allargarne lo spettro applicativo agli accertamenti di natura amministrativa. Come efficacemente rilevato dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, «gli strumenti preventivi e riparatori che compongono il quadro sistematico all'interno del quale si colloca la disciplina di cui all'art. 649 codice procedura penale presuppongono tutti la comune riferibilita' dei piu' procedimenti per il medesimo fatto all'autorita' giudiziaria penale: e' dunque tale quadro sistematico, in uno con la considerazione del tenore letterale della disposizione codicistica, che preclude un'interpretazione di quest'ultima che ne estenda l'ambito applicativo a sanzioni irrogate l'una dal giudice penale, l'altra da un'autorita' amministrativa» (Cass. pen. sez. V, ordinanza n. 1782/2015). In effetti, in alcuni isolati arresti della giurisprudenza di merito (relativi a fatti di omessa dichiarazione, quali quello che questo rimettente si trova a giudicare), si e' ritenuta praticabile la via della estensione analogica dell'art. 649 codice di procedura penale a casi in cui, secondo una interpretazione conforme ai principi convenzionali, il procedimento precedentemente concluso per gli stessi fatti abbia natura (solo formalmente) amministrativa: cio' sulla scorta del carattere generale del principio sancito dall'art. 649 codice di procedura penale, in quanto tale suscettibile di applicazione per analogia a situazioni ivi non direttamente contemplate, ma ad esso accomunate per identita' di ratio. Trattasi, tuttavia, di soluzione cui questo rimettente non ritiene di dare continuita'. In disparte la portata generale del principio enucleato all'art. 649 codice di procedura penale, ad ostare al ricorso all'analogia, nella specie, contribuisce invariabilmente il difetto dell'ulteriore presupposto che fonda la legittimita' di siffatto strumento esegetico, vale a dire la sussistenza di una lacuna (non intenzionale) nel tessuto normativo: laddove, al contrario, l'autonomia e l'indipendenza tra il procedimento amministrativo ed il procedimento penale (e, dunque, l'eventualita' - finanche - di un loro contemporaneo svolgersi) e' espressamente regolata dal legislatore che invero - come visto - eleva all'art. 20 decreto legislativo n. 74/2000 il principio della separazione tra i giudizi a momento fondativo, in chiave processuale, del «doppio binario» sanzionatorio in materia penale tributaria. Di talche', in argomento, non puo' evidentemente ricorrersi analogicamente al disposto dell'art. 649 codice di procedura penale, non essendovi alcuna lacuna da colmare, ma - in ultima analisi - un vulnus al divieto di bis in idem cui detta norma non puo', cosi' formulata e a diritto invariato, rimediare. 2.6. Tanto rilevato, questo rimettente non ignora come, in concreto, il riconoscimento alla sanzione «amministrativa» inflitta in via definitiva di un carattere preclusivo del giudizio penale rischierebbe, paradossalmente, di frustrare proprio il principio di specialita' sul quale il legislatore ha improntato i rapporti tra il sistema amministrativo e quello penale; cio' in quanto - stante la tendenziale priorita' temporale del procedimento amministrativo - l'irrogazione della sanzione stricto sensu penale, in relazione alla fattispecie astrattamente speciale (e, come tale, prevalente ai sensi dell'art. 19 decreto legislativo n. 74/2000), verrebbe, nei fatti, pressoche' sempre paralizzata, con cio' determinando la sostanziale inapplicazione della fattispecie incriminatrice. Detto altrimenti: mentre sul piano sostanziale l'ordinamento assegna precedenza all'applicazione della fattispecie delittuosa, sul versante processuale si anteporrebbe di fatto il procedimento sfociante nella applicazione della sanzione amministrativa, che finirebbe per impedire l'operativita' della prima, ovvero comunque si genererebbe una incertezza sul tipo di risposta sanzionatoria ricollegata al verificarsi di determinate condotte, sulla scorta della aleatoria circostanza del procedimento - amministrativo o penale - che per primo acquisti il crisma della definitivita'. Vero e' del pari, nondimeno, che un simile «cortocircuito» sistematico, insuscettibile per le ragioni anzidette di risolversi in via interpretativa, non puo' - a fortiori - tradursi in una violazione di un diritto fondamentale dell'imputato, quale quello di non essere giudicato due volte per lo stesso fatto: una evenienza quanto mai concreta, come testimonia la vicenda sottoposta a questo giudice, cui non resta - pertanto - che rimettere la questione alla Corte costituzionale. Se, infatti, spetta naturalmente al legislatore, in prima battuta, stabilire gli strumenti piu' idonei per rendere il sistema del «doppio binario» compatibile con il divieto di bis in idem nell'accezione convenzionale, occorre prendere atto della scelta - cristallizzata da ultimo nell'intervento riformatore in materia penale tributaria, di cui al decreto legislativo n. 158/2015 - di lasciare immutato il regime in parola, cosi' alimentando l'esigenza di ricercare una soluzione che non privi di pratico significato il principio sovranazionale. 2.7. Questo giudice, peraltro, non sottovaluta che - recentemente - la Corte costituzionale, con ordinanza n. 102/2016, ha dichiarato inammissibile una analoga questione di legittimita' dell'art. 649 codice di procedura penale (in materia di abusi di mercato) sollevata dalla Sezione V della Suprema Corte; il dato, tuttavia, non appare dirimente nel presente giudizio per un duplice ordine di considerazioni. Da un lato, la decisione resa con la richiamata ordinanza concerneva la legittimita' costituzionale dell'art. 649 codice di procedura penale solo in via subordinata ad altra questione - attinente alla norma sanzionatoria sostanziale - giudicata inammissibile. Dall'altro, la declaratoria di inammissibilita', in parte qua, e' dipesa - in ultima analisi - proprio dal «carattere perplesso della motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione subordinata», avendo lo stesso rimettente postulato, «a torto o a ragione, che l'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali dovrebbe avvenire prioritariamente attraverso una strada che egli non puo' percorrere per difetto di rilevanza, cosicche' la questione subordinata diviene per definizione una incongrua soluzione di ripiego» (Corte costituzionale, ordinanza n. 102/2016, par. 6.2.); laddove, nell'economia del giudizio al vaglio dell'odierno rimettente, la devoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 codice di procedura penale, nei termini qui esposti, appare l'unica via percorribile per scongiurare la lesione del diritto fondamentale dell'imputato a non essere giudicato due volte per un identico fatto, secondo il principio veicolato dalla norma convenzionale. Rilevanza della questione nel giudizio di merito 3. Oltre a non apparire manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale cosi' prospettata appare, infatti, anche rilevante nella decisione del giudizio di merito, demandato alla cognizione di questo Tribunale. Il procedimento incardinato innanzi al rimettente (decreto di citazione diretta a giudizio emesso in data 8 agosto 2014) vede infatti imputato di omessa dichiarazione ai fini Irpef ed IVA (art. 5 decreto legislativo n. 74/2000) relativa all'anno di imposta 2008, quale titolare di una ditta individuale, un soggetto nei cui confronti - con avviso di accertamento del 20 febbraio 2013, rispetto al quale non sono stati esperiti ricorsi in sede amministrativa e, dunque, definitivo (come comprovato dal «dettaglio partita di ruolo») - l'Agenzia delle entrate ha gia' inflitto, in relazione al medesimo periodo ed alle medesime imposte evase, sanzioni quantificate nel 120% degli importi dovuti. Segnatamente, l'amministrazione finanziaria, ravvisando le violazioni degli articoli 1 comma I, in materia di imposte dirette, e 5 comma I, in tema di IVA (violazioni riguardanti l'omessa presentazione delle dichiarazioni afferenti a quelle imposte) decreto legislativo n. 471/1997, ha irrogato al contribuente una sanzione pari ad euro 953.430,00, con riguardo all'Irpef (essendo la maggiore imposta accertata pari ad euro 794.525,00), e ad euro 546.783,00, con riguardo all'IVA (essendo la maggiore imposta accertata pari ad euro 455.653,00). Sussistente si mostra dunque la totalita' dei presupposti, in precedenza richiamati, sui quali la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo edifica il divieto di doppio giudizio: a) medesimo risulta il fatto alla base del procedimento amministrativo e dell'odierno procedimento penale; b) identico e' il destinatario delle rispettive sanzioni, trattandosi della stessa persona fisica, contribuente ed imputato; c) carattere «penale» assumono le sanzioni gia' irrogate in via amministrativa, in ragione della severita' delle stesse (120% dell'imposta evasa), alla significativa incidenza sul patrimonio del «condannato», ed al connotato deterrente e repressivo che esse riflettono; d) definitivo si mostra l'accertamento tributario, caratterizzato da irrevocabilita'. Quanto a tale ultimo profilo, in particolare, giova rilevare che, secondo un recente indirizzo gemmato nella giurisprudenza di legittimita', sarebbe «preclusa la deducibilita' della violazione del divieto di "bis in idem" in conseguenza della irrogazione, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta la natura «sostanzialmente penale» secondo l'interpretazione data dalle decisioni emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nelle cause «Grande Stevens e altri contro Italia» del 4 marzo 2014, e «Nykanen contro Finlandia» del 20 maggio 2014, quando manchi qualsiasi prova della definitivita' della irrogazione della sanzione amministrativa medesima», prova da ritrarre sulla scorta «dell'avvenuto pagamento (oltre che della somma di cui era stato omesso il versamento all'Erario) della sanzione amministrativa irrogata dall'Amministrazione finanziaria» (Cass. pen. sez. III, n. 19334/2015). Ora, nessuna prova dell'avvenuto pagamento delle sanzioni da parte dell'imputato effettivamente emerge dal fascicolo dibattimentale; sennonche', cio' non incide sulla rilevanza, nel giudizio di merito, della questione con la presente ordinanza demandata al Giudice delle leggi, in quanto le coordinate teoriche fissate dalla Suprema Corte non risultano immediatamente applicabili alla vicenda al vaglio di questo giudice. A prescindere dal fatto che detti principi sono tratteggiati in riferimento ad omissioni nella fase puramente liquidatoria del tributo (ed in particolare all'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000) - e che altro e' l'accertamento della violazione cui accede l'irrogazione delle sanzioni, altro e' invece l'esecuzione delle stesse - a privare di decisivita' la circostanza dell'avvenuto pagamento delle sanzioni, nel caso in esame, soccorre il dato normativo primario: l'esecuzione della sanzione «amministrativa» risultando invero sospesa in base al meccanismo previsto dall'art. 21 decreto legislativo n. 74/2000, giacche' la stessa Agenzia delle entrate ha trasmesso la notitia criminis all'Autorita' giudiziaria, cosi' determinando l'ineseguibilita' delle sanzioni inflitte nell'avviso di accertamento. Cio' che tuttavia non esclude, evidentemente, che l'irrogazione di una sanzione sostanzialmente penale per quei fatti sia intervenuta, e sia frattanto divenuta irrevocabile. L'esercizio dell'azione penale impone in definitiva a questo giudice di procedere all'accertamento della tipicita' dei fatti contestati ai sensi dell'art. 5 decreto legislativo n. 74/2000 e della correlativa responsabilita' dell'imputato, non potendo evitare - per le ragioni anzidette - la celebrazione di un secondo giudizio in base al tenore dell'art. 649 codice di procedura penale e delineandosi, dunque, i profili di incostituzionalita' sopra esposti. Il precetto costituzionale violato. 4. Le considerazioni sin qui svolte consentono infatti di concludere nel senso che la norma di cui all'art. 649 codice di procedura penale - nella parte in cui non permette l'applicazione del divieto di secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato con provvedimento irrevocabile per il medesimo fatto, nell'ambito di un procedimento formalmente amministrativo, per l'irrogazione di una sanzione di natura «penale» alla luce della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dei relativi protocolli - si pone irrimediabilmente in contrasto con l'art. 117 comma I Cost., come risultante dall'integrazione con la fonte convenzionale, di rango subcostituzionale, di cui all'art. 4 prot. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'invocata pronuncia manipolativa, da parte del Giudice delle leggi, si declina quale unico rimedio - de iure condito - per evitare che il sistema del «doppio binario» in materia penale tributaria determini una incompatibilita' con il divieto di bis in idem di matrice convenzionale, nella misura in cui non scongiura che un soggetto - come nel caso che questo rimettente si trova a giudicare - sia sottoposto ad un procedimento penale pur avendo gia' riportato in via definitiva, per il medesimo fatto, una sanzione (solo formalmente) amministrativa. In tal senso, un intervento additivo sul disposto dell'art. 649 codice di procedura penale da parte della Corte costituzionale rimuoverebbe gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla violazione del bis in idem, precludendo la celebrazione di un processo penale in presenza di una «condanna» in via «amministrativa» per quegli stessi fatti e con cio' ripristinando la legalita' costituzionale e convenzionale.
P. Q. M. Il Tribunale di Monza, in composizione monocratica, visto l'art. 23, legge n. 87/1953, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Sottopone all'Ecc.ma Corte costituzionale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 117 comma I Cost., in relazione all'art. 4 protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di' un secondo giudizio nei confronti dell'imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia gia' stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli; Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Visto l'art. 159, comma I, n. 2) codice penale, sospende il corso della prescrizione. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle camere del Parlamento. Dell'ordinanza e' data lettura alle parti in udienza. Monza, 30 giugno 2016 Il Giudice: Cavallini