N. 71 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 novembre 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 4 novembre 2016 (della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia). 
 
Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Equilibrio  dei  bilanci  delle
  Regioni e degli enti locali - Individuazione dei titoli di  entrata
  e di spesa considerati ai fini dell'equilibrio di bilancio -  Fondo
  pluriennale vincolato - Disciplina delle operazioni di investimento
  realizzate attraverso l'utilizzo dei risultati  di  amministrazione
  di precedenti esercizi - Concorso dello Stato al finanziamento  dei
  livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse
  del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali -  Concorso  delle
  Regioni e degli enti locali alla sostenibilita'  e  alla  riduzione
  del debito pubblico. 
- Legge 12 agosto 2016, n. 164  (Modifiche  alla  legge  24  dicembre
  2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni  e
  degli enti locali), artt. 1, comma 1, lett. b); 2, comma  1,  lett.
  a); 3, comma 1, lett. a); e 4, comma 1, lett. a). 
(GU n.50 del 14-12-2016 )
    Ricorso  della  Regione   Friuli-Venezia   Giulia   (cod.   fisc.
80014930327; P. IVA 00526040324), in  persona  del  presidente  della
regione  pro  tempore  avv.  Debora  Serracchiani,  autorizzata   con
deliberazione della giunta regionale n.  1987  del  21  ottobre  2016
(doc. 1), rappresentata e difesa, come da mandato e procura  speciale
a margine del presente ricorso, dall'avv. prof.  Giandomenico  Falcon
(cod. fisc. FLCGDM45C06L736E) del  Foro  di  Padova,  con  studio  in
Padova, via San Gregorio Barbarigo, 4, telefono  049-660231,  telefax
0498776503,  P  EC   giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it   ed
elettivamente domiciliata in Roma presso l'Ufficio di  rappresentanza
della Regione, in Piazza Colonna, 355; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   pro   tempore,   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,
lettera b); dell'art. 2, comma 1, lettera a); dell'art. 3,  comma  1,
lettera a) e dell'art. 4, comma 1, lettera a) della legge  12  agosto
2016, n. 164 «Modifiche alla legge  24  dicembre  2012,  n.  243,  in
materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2016; 
    Per violazione: 
    dello statuto speciale approvato con legge  costituzionale  n.  1
del 1963, in riferimento agli articoli 4, in particolare comma 1-bis,
5, 6, 7, 8, 25, 48, 49, 51, 63 e 65; 
    degli articoli 3, 81, 97  e  119  della  Costituzione,  anche  in
riferimento all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001; 
    del  principio  di  ragionevolezza,  del   principio   di   leale
collaborazione e del principio dell'accordo  in  materia  di  finanza
regionale (art. 63 e 65 dello statuto speciale, art. 27  della  legge
n. 42 del 2009); 
    dell'art. 5, comma 1, lettera g), e comma 2,  lettera  c),  della
legge costituzionale n. 1 del 2012; 
    delle norme di attuazione di cui al decreto del Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in  materia  di  finanza
regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997,  n.  8  (Norme  di
attuazione dello  statuto  speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia
Giulia recanti modifiche ed integrazioni al  decreto  del  Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965,  n.  114,  concernente  la  finanza
regionale); al decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137  (Norme  di
attuazione   dello   statuto   speciale   della   regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza  regionale);  al  decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione  dello  statuto
speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia  Giulia  in   materia   di
ordinamento degli  enti  locali  e  delle  relative  circoscrizioni),
all'art. 9. 
 
                                Fatto 
 
    Nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2016 e'  stata  pubblicata
la legge 12 agosto 2016, n. 164, recante  «Modifiche  alla  legge  24
dicembre 2012, n. 243, in materia di  equilibrio  dei  bilanci  delle
regioni e degli enti locali». 
    Tale legge, approvata nel testo finale  a  maggioranza  assoluta,
interviene  sulla  legge  24   dicembre   2012,   n.   243,   recante
«Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio
ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione», cioe'  sulla
legge rinforzata prevista dall'art. 81, sesto comma, Cost. 
    La novella incide sugli articoli da 9 a 12 del Capo IV,  dedicato
allo «Equilibrio dei bilanci delle regioni  e  degli  enti  locali  e
concorso dei medesimi enti alla sostenibilita' del  debito  pubblico»
(solo una disposizione della legge n. 164  del  2016  -  l'art.  5  -
interviene su norme che  non  coinvolgono  regioni  od  enti  locali,
andando a modificare l'art. 18 della legge n. 243 del 2012,  relativo
all'Ufficio parlamentare di bilancio). 
    Per quanto qui interessa, l'art. 1, comma 1, della legge  n.  164
del 2015 modifica l'art. 9 della legge n. 243 del 2012, e dopo  avere
alla  lettera  a)  ridefinito  il  concetto  base  di  «bilancio   in
equilibrio», individuandolo come bilancio che presenta un «saldo  non
negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le  spese
finali, come eventualmente modificato ai  sensi  dell'art.  10  della
legge n. 243 del 2012» (modificando cosi' l'art. 9,  comma  1,  della
legge n. 243), dispone altresi' alla lettera B (introducendo un nuovo
comma 1-bis nel predetto art. 9) che ai fini della applicazione della
precedente definizione le entrate finali sono quelle «ascrivibili  ai
titoli 1, 2, 3, 4 e .5 dello schema di bilancio previsto dal  decreto
legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le  spese  finali  sono  quelle
ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio». 
    Nello stesso comma 1-bis dell'art. 9 della legge n. 243 del 2012,
cosi' introdotto, e' anche disposto che «per gli anni 2017-2019,  con
la legge di bilancio, compatibilmente con gli  obiettivi  di  finanza
pubblica e su base triennale, e' prevista  l'introduzione  del  fondo
pluriennale vincolato, di entrata e di  spesa»  e  che  «a  decorrere
dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali e'  incluso  il
fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa,  finanziato  dalle
entrate finali». 
    L'art. 2 della legge n. 164 del 2016  modifica  l'art.  10  della
legge n. 243 del 2012, che regola  il  ricorso  all'indebitamento  da
parte degli enti territoriali e sostituisce i commi 3, 4, 5  di  tale
disposizioni. 
    In particolare, il nuovo comma 3 stabilisce che «le operazioni di
indebitamento di cui al comma  2  -  e  quindi  operazioni  approvate
contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di  durata  non
superiore  alla  vita  utile  dell'investimento,   nei   quali   sono
evidenziate  l'incidenza  delle  obbligazioni  assunte  sui   singoli
esercizi finanziari futuri nonche' le modalita'  di  copertura  degli
oneri corrispondenti - e le  operazioni  di  investimento  realizzate
attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi
precedenti sono effettuate sulla base di apposite intese concluse  in
ambito regionale che garantiscano,  per  l'anno  di  riferimento,  il
rispetto del saldo di cui all'art. 9, comma 1,  del  complesso  degli
enti territoriali della regione  interessata,  compresa  la  medesima
regione». 
    L'art. 3 della legge impugnata novella l'art. 11, comma 1,  della
legge n. 243 del 2012, stabilendo che «fermo restando quanto previsto
dall'art. 9, comma 5, e dall'art. 12, comma 1, lo Stato,  in  ragione
dell'andamento  del  ciclo  economico  o  al  verificarsi  di  eventi
eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e sociali, secondo modalita' definite  con  leggi  dello  Stato,  nel
rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge»,  ed  abroga  i
commi 2 e 3 dello stesso art. 11. 
    Infine - per quanto qui di interesse -  l'art.  4  sostituisce  i
primi due commi, ed abroga il terzo comma, dell'art. 12  della  legge
n. 243 del 2012. 
    L'art. 12, comma 1, come novellato dispone ora che «le regioni, i
comuni, le province, le citta' metropolitane e le  province  autonome
di Trenta e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del
debito  del  complesso  delle  amministrazioni   pubbliche,   secondo
modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge». 
    Il nuovo comma 2 stabilisce che «fermo restando  quanto  previsto
dall'art. 9, comma 5, gli enti  di  cui  al  comma  1,  tenuto  conto
dell'andamento del ciclo economico,  concorrono  alla  riduzione  del
debito  del  complesso  delle  amministrazioni  pubbliche  attraverso
versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli  di  Stato  secondo
modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge». 
    La Regione Friuli-Venezia  Giulia  ritiene  che  le  disposizioni
sopra descritte, contenute negli arti. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 164
del 2016 siano costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia
costituzionale della  Regione  sotto  i  seguenti  profili  e  per  i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,  lettera  b),
della legge n. 164 del 2016, introduttivo dell'art. 9,  comma  1-bis,
della legge n. 243 del 2012. 
    La Regione impugna anzitutto l'art. 1, comma 1, lettera b), della
legge n. 164 del 2016. Tale  disposizione,  che  introduce  il  comma
1-bis nell'art. 9 della legge n.  243  del  2012,  e'  formulata  nei
termini che seguono: 
    1. All'art.  9  della  legge  24  dicembre  2012,  n.  243,  sono
apportate le seguenti modificazioni 
    ... 
        b) dopo il comma 1 e' inserito il seguente: 
    «1-bis. Ai fini dell'applicazione del comma 1, le entrate  finali
sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4  e  5  dello  schema  di
bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n.  118,  e
le spese finali sono quelle ascrivibili  ai  titoli  1,  2  e  3  del
medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, con la legge  di
bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e  su
base triennale, e'  prevista  l'introduzione  del  fondo  pluriennale
vincolato, di entrata e di spesa. A  decorrere  dall'esercizio  2020,
tra le entrate e le spese finali  e'  incluso  il  fondo  pluriennale
vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali». 
    La disposizione del nuovo comma 1-bis si compone di tre periodi. 
    Il primo periodo elenca quali titoli di entrata e quali titoli di
spesa debbono essere considerati ai fini del  rispetto  della  regola
dell'equilibrio di bilancio, come definita dal comma 1  dello  stesso
art. 9 della legge n. 243 del 2012, secondo la quale «i bilanci delle
regioni, dei comuni, delle province,  delle  citta'  metropolitane  e
delle province autonome di Trento e  di  Bolzano  si  considerano  in
equilibrio quando, sia nella fase di previsione  che  di  rendiconto,
conseguono un saldo non negativo; in termini di  competenza,  tra  le
entrate finali e le spese finali, come  eventualmente  modificato  ai
sensi dell'art. 10»): specifica,  cioe'  le  «entrate  finali»  e  le
«spese finali» che contano a questo fine. 
    Riscontrando i titoli in entrata indicati dal primo  periodo,  e'
agevole osservare - ma sara' subito meglio precisato  -  che  tra  le
entrate finali che possono essere prese  in  considerazione  ai  fini
dell'equilibrio di bilancio  non  e'  menzionato  l'eventuale  avanzo
dell'esercizio  precedente.  L'omessa  menzione  di  tale  posta   di
bilancio e' oggetto della presente impugnazione. 
    Il secondo  ed  il  terzo  periodo  riguardano  invece  il  fondo
pluriennale vincolato, posta di bilancio che, secondo  la  disciplina
di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118,  e'  costituita
da risorse gia' accertate destinate al finanziamento di  obbligazioni
passive dell'ente gia' impegnate, ma esigibili in esercizi successivi
a quello in cui e' accertata l'entrata. Il secondo periodo  dell'art.
1, comma 1,  lettera  b),  della  legge  n.  164  del  2016  consente
l'inclusione del fondo pluriennale vincolato negli anni 2017-2019, ma
solo su previsione della legge di bilancio e «compatibilmente con gli
obiettivi di finanza pubblica e su base triennale». Il terzo  periodo
della disposizione, invece, stabilisce l'inclusione di tale fondo tra
le entrate e le spese finali a decorrere dall'esercizio 2020, solo se
finanziato con le entrate finali. In questi termini il secondo  e  il
terzo  periodo  dell'art.  1,   comma   1,   lettera   b),   limitano
materialmente e  temporalmente  l'inclusione  del  fondo  pluriennale
vincolato, e sono oggetto di contestazione. 
    Cio'  premesso,  si  espongono  partitamente   le   censure   che
interessano il primo periodo 
    (II.1) e quelle che investono il secondo e  terzo  periodo  della
disposizione (I.2). 
I.1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  b),
primo periodo, della legge n. 164  del  2016,  nella  parte  in  cui,
introducendo il nuovo comma 1-bis nell'art 9 della legge n.  243  del
2012, al primo periodo del comma  esclude  l'utilizzo  del  saldo  di
amministrazione ai fini dell'equilibrio di bilancio. 
    Il nuovo comma 1-bis dell'art. 9 della legge n.  243,  introdotto
dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164  del  2015,  nel
primo periodo individua, ai  fini  dell'equilibrio  di  bilancio,  le
entrate finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello
schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23  giugno  2011,
n. 118. 
    Si tratta delle seguenti: Titolo 1, entrate  correnti  di  natura
tributaria,  contributiva  e  perequativa;  Titolo  2,  trasferimenti
correnti; Titolo 3, entrate extratributarie;  Titolo  4,  entrate  in
conto  capitale;  Titolo  5,  entrate  da  riduzione   di   attivita'
finanziarie. Dunque tra le entrate finali che possono essere prese in
considerazione  ai  fini  dell'equilibrio  di  bilancio   non   trova
immediata collocazione l'eventuale avanzo dell'esercizio precedente. 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia teme  che  la  mancata  espressa
menzione di tale posta di bilancio sia intesa nel senso di divieto di
utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell'avanzo di
amministrazione    dell'esercizio    precedente.     Tale     ipotesi
interpretativa potrebbe ritenersi confermata, sul piano  sistematico,
da quanto dispone l'art. 2, comma 1, lettera a), della medesima legge
n. 164 del 2015, che parrebbe consentire l'utilizzo degli  avanzi  di
amministrazione soltanto sulla base  di  intese  concluse  in  ambito
regionale, ed e' percio' parimenti impugnato dalla ricorrente Regione
con la censura che sara' illustrata al punto II del presente ricorso. 
    Ove tale fosse l'interpretazione da preferire, i concreti effetti
lesivi della norma impugnata  sarebbero  particolarmente  intensi  (e
percio'  anche  irragionevolmente  discriminatori)  proprio  per   la
Regione Friuli-Venezia Giulia. 
    Premesso infatti che essa ha come principale fonte di entrata  le
compartecipazioni ai tributi erariali,  la  presenza  sul  territorio
regionale di grandi gruppi (e  quindi  di  grandi  contribuenti,  che
comunemente  praticano  operazioni  societarie  o  intragruppo,   con
rilevanti effetti tributari) rende molto variabile, di anno in  anno,
la dimensione delle  entrate  regionali.  Tale  variabilita'  non  e'
prevedibile dalla Regione e quindi non e' programmabile ex ante,  dal
momento che essa ha contezza della entita' della compartecipazione di
sua spettanza solo a versamento avvenuto e dunque  a  saldo,  secondo
quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale. 
    La  combinazione  delle  speciali  regole  costituzionali   sulla
finanza regionale con  la  particolare  composizione  dei  soggettivi
passivi d'imposta, che rende mutevole la massa imponibile,  e  con  i
meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti  comporta
la fisiologica formazione di avanzi di bilancio  (o  disavanzi),  che
costituiscono una parte essenziale della finanza  regionale,  e  che,
che possono essere utilizzati solo  successivamente  all'accertamento
in entrata, devono trovare la necessaria corrispondenza tra  le  voci
di entrata dell'anno seguente utili fini del pareggio di bilancio. 
    Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso  della  Regione,
lesiva della  propria  autonomia  finanziaria  ed  illegittima  sotto
diversi  profili,  che  vengono  qui  prospettati  sulla  base  della
premessa che un simile meccanismo non  ha  alcuna  base  nella  legge
costituzionale n. 1 del 2012 (i cui principi al  contrario  risultano
anch'essi in parte violati), e  che  dunque  nella  fissazione  delle
regole di equilibrio finanziario  non  possono  essere  sovvertiti  i
principi di base dell'autonomia finanziaria regionale. 
    In  primo  luogo,  l'avanzo  di  amministrazione   dell'esercizio
precedente, una volta che sia stato  accertato  e  rappresentato  nei
rendiconti, e' un elemento patrimoniale della Regione, che  la  norma
impugnata, secondo quanto qui prospettato,  renderebbe  indisponibile
da parte dell'ente (salvo che alle  condizioni  di  cui  all'art.  2,
comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, che e'  oggetto  di
separata impugnazione), generando  una  situazione  equivalente  alla
sottrazione materiale di risorse,  analoga  alla  previsione  di  una
riserva all'erario o di un accantonamento di entrata a  valere  sulle
quote di tributi erariali di spettanza regionale. 
    Se tale e' la sostanza dell'avanzo, ad avviso  della  Regione  la
disposizione restrittiva lede le norme dello statuto  speciale  nelle
quali e' fondata la sua autonomia finanziaria della Regione, e dunque
le norme contenute nel Titolo IV della legge costituzionale n. 1  del
1963, in particolare l'art. 48, che costruisce la  finanza  dell'ente
come una finanza propria della Regione («La Regione  ha  una  propria
finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi
della solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti  dagli  articoli
seguenti»); l'art. 49, che attribuisce alla Regione quote dei tributi
erariali; l'art. 51, che individua le altre  entrate  della  Regione;
dell'art. 63, ultimo comma,  dello  statuto  speciale,  che  consente
modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato  ivi
previsto. 
    Violate  sono  anche  le  corrispondenti   norme   sull'autonomia
finanziaria e patrimoniale della  Regione  contenute  nell'art.  119,
primo, secondo e sesto comma, Cost., invocato anche  in  combinazione
con l'art. 10 della legge costituzionale n.  3  del  2001,  ove  piu'
favorevole.  Considerando  poi  l'effetto  sostanziale  «sottrattivo»
sopra descritto, risulta violato anche il principio dell'accordo,  in
applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra
lo Stato e il Friuli-Venezia Giulia, principio sotteso agli  articoli
63 (gia' richiamato)  e  65  (in  tema  di  procedura  negoziata  per
l'approvazione delle norme di attuazione) dello statuto, nonche' alle
norme di  attuazione  contenute  nel  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in  materia  di  finanza
regionale), nel decreto legislativo 2 gennaio 1997, n.  8  (Norme  di
attuazione dello  statuto  speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia
Giulia recanti modifiche ed integrazioni al  decreto  del  Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965,  n.  114,  concernente  la  finanza
regionale); nel decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme  di
attuazione   dello   statuto   speciale   della   regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale),  e  ribadito,
con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale,  dall'art.  27
della legge n. 42 del 2009. 
    La norma non puo'  essere  nemmeno  essere  giustificata  con  le
esigenze della solidarieta' nazionale menzionate dall'art.  48  dello
Statuto (peraltro «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»  dello
stesso statuto), o con le esigenze di  concorso  della  Regione  alla
sostenibilita'   del   debito   del   complesso    delle    pubbliche
amministrazioni, menzionate dall'art. 81, sesto comma,  e  97,  primo
comma, Cost., nonche' dall'art. 5, comma 2,  della  legge  n.  1  del
2012. 
    Invero, e' ipotizzabile che  l'avanzo  di  amministrazione  venga
«sterilizzato» ai fini dell'equilibrio del  bilancio  regionale  allo
scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto  consolidato
delle  amministrazioni  pubbliche  ai  fini   della   rendicontazione
europea; ma tale forma di concorso  alla  sostenibilita'  del  debito
pubblico sarebbe  comunque  incompatibile  con  molteplici  parametri
costituzionali. 
    Sarebbe violato, anzitutto, il  principio  per  cui  l'equilibrio
complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in  equilibrio
e non dalla somma algebrica di bilanci  in  disavanzo  e  bilanci  in
attivo; la possibilita' di compensazioni, del  resto,  e'  consentita
soltanto nei limiti di cui all'art. 10 della legge n. 243  del  2012,
in relazione alle operazioni di investimento. 
    Tale principio si ricava dall'art. 81, primo  comma,  Cost.,  che
impone allo Stato di assicurare «l'equilibrio tra  le  entrate  e  le
spese del proprio bilancio» e l'art. 119,  primo  comma,  Cost.,  che
analogamente impone agli enti territoriali «l'equilibrio dei relativi
bilanci». 
    Quando  l'art.  97,  primo  comma,  Cost.,  stabilisce  che   «le
pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento  dell'Unione
europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita'  del
debito  pubblico»,  esso   impone   a   tutte   le   amministrazioni,
singolarmente prima che nel loro complesso, di avere un  bilancio  in
equilibrio. 
    Si precisa che la Regione e' legittimata a far  valere  anche  la
violazione degli articoli 81, primo comma, e art.  97,  primo  comma,
Cost., sia perche' - come e' stato rilevato in letteratura -  «quella
dell'equilibrio dei rispettivi  bilanci  e'  una  sorta  di  garanzia
reciproca che tutti i livelli di Governo mutuamente si prestano»  (in
tali termini M.  Luciani,  L'equilibrio  di  bilancio  e  i  principi
fondamentali: la  prospettiva  del  controllo  di  costituzionalita',
relazione al Seminario organizzato da codesta Corte su  Il  principio
dell'equilibrio di bilancio secondo  la  riforma  costituzionale  del
2012, nei relativi Atti, alla pagina 39), sia perche' la declinazione
dell'equilibrio di bilancio come un  equilibrio  complessivo,  creato
anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di  amministrazione,
ha un ovvio impatto  sull'autonomia  finanziaria  della  Regione,  la
quale si vede impossibilitata ad utilizzare ai fini del  pareggio  il
saldo favorevole realizzato a  consuntivo  dell'esercizio  precedente
(questo impatto e' notevolissimo nel caso del Friuli-Venezia  Giulia,
come si e' detto supra) 
    In secondo luogo, questo meccanismo violerebbe anche il principio
di veridicita' e di trasparenza  dei  bilanci  e  di  responsabilita'
politica per gli stessi, implicito, oltre  che  nell'art.  81  Cost.,
nelle  norme  statutarie  che  riservano   al   Consiglio   regionale
l'approvazione dei bilanci (art. 7, per cui la Regione «provvede  con
legge: 1) all'approvazione dei bilanci di previsione e dei rendiconti
consuntivi»; art. 25, commi primo e  quarto,  per  cui  il  Consiglio
regionale, «approva il  bilancio  di  previsione  della  Regione»  ed
«esamina  ed  approva  il  conto   consuntivo   della   Regione   per
l'esercizio»). 
    L'organo rappresentativo, che risponde al  corpo  elettorale,  si
troverebbe costretto dalla norma impugnata (se intesa  nel  modo  qui
avversato) ad approvare un bilancio non trasparente e non  veritiero,
perche' l'avanzo degli  esercizi  precedenti,  pur  registrato  nelle
scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile  ai  fini
del  pareggio  di  bilancio,  in  quanto  esso  viene   imputato   al
consolidamento dei conti della pubblica  amministrazione  e  in  esso
confuso. L'elettore verrebbe  cosi'  privato  della  possibilita'  di
comprendere  l'effettivo  andamento  della  finanza  regionale  e  di
valutare corrispondentemente l'operato  degli  amministratori  e  dei
rappresentanti eletti. 
    Non a caso, codesta Corte costituzionale, nella sentenza  n.  188
del 2016 (al punto 4), a proposito degli accantonamenti operato dallo
Stato sulle quote di entrate erariali di spettanza della Regione,  ha
valorizzato il principio della  chiarezza  e  della  trasparenza  dei
rapporti tra prelievi ed impieghi quale presupposto indefettibile per
l'esplicazione  della  esponenzialita'   degli   enti   territoriali,
osservando  che   le   collettivita'   locali   «hanno   diritto   ad
un'informazione chiara e trasparente sull'utilizzazione del  prelievo
obbligatorio e sulla imputabilita' delle scelte politiche sottese  al
suo impiego» e ricordando che «l'art. 1 della legge n.  42  del  2009
declina  l'autonomia  degli  enti  territoriali  come  finalizzata  a
garantire "i principi di solidarieta' e di coesione sociale [nonche']
la massima responsabilizzazione [di detti enti] e l'effettivita' e la
trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti"». 
    In terzo  luogo,  sarebbe  violato  anche  il  principio  sotteso
all'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1  del
2012, che vuole appositamente regolate  le  modalita'  attraverso  le
quali i comuni, le province, le citta' metropolitane, le regioni e le
Province  autonome  di  Trento   e   di   Bolzano   concorrono   alla
sostenibilita'   del   debito   del   complesso    delle    pubbliche
amministrazioni. 
    Non  puo'  dirsi  regolazione  quello  che  e'  solo  un  effetto
indiretto - per quanto voluto - di una regola contabile (non  a  caso
contenuta in una disposizione che non si occupa  del  concorso  degli
enti territoriali alla sostenibilita' del debito pubblico, che invece
e' oggetto di altra previsione). 
    Sotto tale  profilo  risultano  violati  anche  il  principio  di
ragionevolezza ed il principio di eguaglianza,  dal  momento  che  la
norma produce effetti del tutto casuali e scorrelati da  una  vera  e
propria  «capacita'  contributiva»  dell'ente,  dal  momento  che  la
presenza  di  una  avanzo  di  amministrazione  non  e'  di  per  se'
sintomatica di una situazione finanziaria dell'ente realmente  buona,
ne' significa che tutto quell'avanzo possa  essere  contabilizzato  a
servizio del debito consolidato della amministrazioni pubbliche. Come
sopra  esposto,  per  la  Regione  ricorrente  si   produrrebbe   uno
strutturale  effetto  discriminatorio,  con  violazione   anche   del
principio di uguaglianza. 
    Questo rilievo di irragionevolezza e' confermato, sul  piano  dei
dati normativi, dal fatto che la norma impugnata si pone in contrasto
con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n.
243 del 2012, che configura il pareggio di bilancio come un obiettivo
di  medio  termine  (art.  3,  comma  2:  «l'equilibrio  dei  bilanci
corrisponde   all'obiettivo   di   medio   termine»).   La    Regione
Friuli-Venezia   Giulia   sarebbe   costantemente   ostacolata    nel
raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione  alla
propria disponibilita' delle  risorse  che  pure  statutariamente  le
spettano, ma  che  non  puo'  ragionevolmente  riuscire  a  impiegare
nell'anno di riscossione per la struttura stessa  del  meccanismo  di
riscossione. 
    Palese e' la ridondanza  di  tale  violazione  sull'esercizio  di
competenze costituzionalmente riservate alla Regione. Si  richiamano,
a  titolo  di  esempio,  talune   delle   funzioni   legislative   ed
amministrative che richiedono l'approvazione di spese e  l'erogazione
di fondi; quali: a) tra le competenze  primarie  (art.  4  e  art.  8
Statuto, o se piu' favorevoli le  analoghe  competenze  residuali  ex
art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con  l'art.  10  della
legge costituzionale n. 3 del 2001) agricoltura e foreste, bonifiche,
ordinamento delle minime unita' culturali e ricomposizione fondiaria,
irrigazione, opere di miglioramento agrario e  fondiario,  zootecnia,
ittica, economia montana, corpo forestale; viabilita',  acquedotti  e
lavori pubblici di interesse locale e regionale; turismo e  industria
alberghiera;  trasporti  su   funivie   e   linee   automobilistiche,
tranviarie e filoviarie, di interesse  regionale;  acque  minerali  e
termali;  istituzioni  culturali,  ricreative  e  sportive;  musei  e
biblioteche di interesse locale e regionale;  b)  per  le  competenze
legislative concorrenti, l'igiene e sanita' (o, se  piu'  favorevole,
la tutela della salute ex articoli 117, terzo comma, Cost., combinato
con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001). 
I.2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  b),
primo periodo, della legge n. 164  del  2016,  nella  parte  in  cui,
introducendo il nuovo comma 1-bis nell'art 9 della legge n.  243  del
2012, al secondo e terzo periodo  del  comma  limita  l'utilizzo  del
fondo pluriennale vincolato. 
    Come sopra esposto, la Regione impugna anche il secondo  e  terzo
periodo del comma 1-bis dell'art. 9 della  legge  n.  243  del  2012,
introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n.  164  del
2016. Essi dispongono nei termini che seguono: 
        «Per  gli  anni  2017-2019,  con  la   legge   di   bilancio,
compatibilmente con gli obiettivi  di  finanza  pubblica  e  su  base
triennale,  e'  prevista   l'introduzione   del   fondo   pluriennale
vincolato, di entrata e di spesa. A  decorrere  dall'esercizio  2020,
tra le entrate e le spese finali  e'  incluso  il  fondo  pluriennale
vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali». 
    Tali  disposizioni  pongono  limiti  temporali,   procedurali   e
materiali per l'utilizzo del fondo pluriennale di  bilancio,  e  sono
queste limitazioni ad essere oggetto di contestazione. 
    Giova rammentare che il fondo pluriennale vincolato e' una  posta
di bilancio che  e'  stata  introdotta  in  esecuzione  dei  principi
statali di armonizzazione dei bilanci pubblici  dettati  dal  decreto
legislativo n. 118 del 2011. 
    Tale fondo  e'  costituito  da  risorse  gia'  accertate  e  gia'
impegnate in esercizi precedenti, ma destinate  al  finanziamento  di
obbligazioni passive dell'ente che diventeranno esigibili in esercizi
successivi  a  quello  in  cui  e'  accertata  l'entrata.  Il   fondo
pluriennale vincolato  rappresenta  dunque  un  saldo  finanziario  a
garanzia della copertura di spese imputate ad esercizi  successivi  a
quello in corso e configura lo strumento tecnico per  ricollocare  su
tali esercizi spese gia' impegnate, relativamente alle quali sussiste
un'obbligazione giuridicamente perfezionata, e quindi un  vincolo  ad
effettuare i relativi pagamenti  i  quali,  tuttavia,  giungeranno  a
scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate le  spese.  Tale
reimputazione risulta obbligatoria ai sensi del  decreto  legislativo
n. 118 del 2011. 
    Trattandosi di spese gia' impegnate su esercizi precedenti,  esse
risultano finanziariamente gia' coperte con entrate di tali esercizi.
Proprio per  questo,  le  regole  dell'armonizzazione  prevedono  che
l'operazione di reimputazione  delle  spese  sia  accompagnata  dalla
reimputazione delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari
attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni
in cui erano state impegnate le spese. 
    Con riferimento al  fondo  pluriennale  vincolato,  la  legge  28
dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), ne  aveva  previsto
la considerazione limitatamente all'anno 2016  (art.  1,  comma  711,
secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni successivi. 
    La nuova norma consente ora anche per il  triennio  2017  -  2019
l'inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini  dell'equilibrio
di bilancio, subordinando  pero'  questa  eventualita'  a  successive
previsioni della legge di bilancio e comunque alla sua compatibilita'
con gli obiettivi di finanza pubblica. A partire dall'esercizio 2020,
la norma impugnata consente l'inclusione di tale fondo tra le entrate
e le spese finali a decorrere  dall'esercizio  2020,  ma  solo  nella
parte in cui il fondo e' finanziato con le entrate finali. 
    Tali  limitazioni  si   traducono   nel   condizionamento   della
possibilita' di utilizzare i  fondi  gia'  destinati  negli  esercizi
precedenti al finanziamento delle  spese  gia'  programmate,  e  cio'
determina la necessita' che per la copertura di  tali  spese  debbano
essere utilizzate nuove entrate dell'anno sul quale vengono sostenute
le spese, nuove entrate  che  diversamente  avrebbero  potuto  essere
impiegate per nuovi interventi. 
    Le limitazioni di questo meccanismo a partire dal 2017 - che,  si
noti  bene,  e'  stato  introdotto  in   esecuzione   di   norme   di
armonizzazione  statali  (decreto  legislativo  n.  118   del   2011)
-determinano un congelamento delle risorse pur  disponibili,  la  cui
utilizzazione  era  gia'  stata  programmata,  al  di   fuori   delle
limitazioni imposte  dalla  regola  del  saldo  non  negativo  di'cui
all'art. 9 della legge n. 243 del 2012. 
    Tale previsione comporta, in primo luogo, una  limitazione  della
autonomia finanziaria della Regione sul versante della spesa e dunque
una violazione dell'art. 48  (sul  carattere  proprio  della  finanza
regionale) ma anche degli articoli 49 (sulla spettanza delle quote di
tributi erariali) e 51 (sulle altre entrate regionali) dello  statuto
speciale, dal momento che l'attribuzione alla Regione di  determinate
entrate implica che di esse l'ente possa disporne,  e  integra  anche
una violazione dell'art. 119, primo comma, Cost.,  che  espressamente
sancisce l'autonomia di spesa, e che qui e' invocato in  combinazione
con l'art. 10 della legge costituzionale  n.  3  del  2001,  se  piu'
favorevole. 
    La  norma   non   puo'   essere   giustificata   dalle   esigenze
dell'equilibrio di bilancio o da quelle della solidarieta' nazionale,
evocate dall'art. 48  dello  statuto  speciale,  peraltro  «nei  modi
stabiliti dagli articoli seguenti». 
    Infatti, per quanto il medesimo  art.  119,  primo  comma,  Cost.
faccia salvo «il rispetto dell'equilibrio  dei  relativi  bilanci»  e
impegni le regioni  a  concorrere  «ad  assicurare  l'osservanza  dei
vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea»,  trattasi  di  valori  che  non  sono   messi   a   rischio
dall'utilizzo   delle   proprie   risorse   programmate   per   spese
pluriennali. 
    Anzi, e' proprio la previsione di  un  ostacolo  per  la  Regione
nell'utilizzare un fondo appositamente  programmato  per  spese  gia'
impegnate e che diventeranno esigibili negli esercizi  successivi,  a
determinare un rischio per l'equilibrio del bilancio,  giacche'  tale
ostacolo comporta la necessita' di trovare aliunde una copertura  per
tali  spese,  che  corrispondono   ad   obbligazioni   giuridicamente
vincolanti gia' assunte. 
    Sotto tale profilo risulta  poi  violato  il  principio  di  buon
andamento dell'amministrazione di cui art. 97, comma secondo,  Cost.,
in quanto risulta cosi' preclusa la realizzazione  dei  programmi  di
investimento per la cui realizzazione i fondi  sono  accantonati  nel
fondo vincolato di entrata.  Unitamente,  risulta  violato  anche  il
principio di ragionevolezza, fondato sull'art. 3, comma primo, Cost.:
non si intende, infatti, come la Regione -  che  pure  dispone  delle
risorse necessarie al finanziamento di un investimento pluriennale  -
possa avere la certezza di poterlo onorare negli anni successivi,  se
non puo' contare sulle somme appositamente accantonate. 
    Ovvia e' la  ridondanza  di  tale  violazione  sull'esercizio  di
competenze costituzionalmente riservate alla Regione e in particolare
delle competenze che normalmente richiedono l'adozione  di  programmi
di spesa. Su questo punto si rinvia a quanto dedotto  in  precedenza,
segnalando, ad esempio, le competenze in materia di viabilita'  o  di
lavori pubblici di interesse locale e regionale, quelle in materie di
trasporti di interesse regionale oppure quelle in materie di sanita' 
    Ad  avviso  della  ricorrente  Regione  tali   limitazioni   alla
computabilita'   del   fondo   pluriennale   vincolato   rimarrebbero
incostituzionali anche  nell'ipotesi  che  esse  dovessero  ritenersi
strumentali alla sostenibilita'  del  debito  pubblico,  per  ragioni
corrispondenti a quelle esposte al punto precedente in relazione alla
problematica dell'avanzo di amministrazione. 
    Sarebbe infatti violato anche il principio  di  cui  all'art.  5,
comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1  del  2012,  che
vuole  appositamente  regolate  le  modalita'  con   cui   gli   enti
territoriali concorrono alla sostenibilita' del debito del  complesso
delle pubbliche amministrazioni. 
    Si ribadisce che un effetto indiretto di una regola  contabile  -
anche se e' voluto - non e' certo un modo in cui il predetto concorso
e' regolato. 
    Inoltre  sarebbe  lesi  il  principio  di  ragionevolezza  ed  il
principio di eguaglianza, considerato che la tale contributo  sarebbe
automaticamente generato in funzione della applicazione di una regola
contabile che e'  dettata  a  tutt'altri  fini  e  non  di  un  reale
«capacita' contributiva» dell'ente; la presenza e la  dimensione  del
fondo pluriennale vincolato  e'  il  risultato  della  programmazione
della spesa e non della presenza di avanzi strutturali di bilancio. 
    Poiche' l'introduzione del fondo pluriennale vincolato e' imposta
dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza  pubblica,
la  sua  strumentalizzazione  ad  altri  fini  e'  lesiva  anche  del
principio costituzionale di leale collaborazione. 
    II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  1,  lettera
a), della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, introducendo  il
nuovo comma 3 dell'art. 10 della legge n. 243 del  2012,  vincola  ad
intese l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione. 
    L'art. 2, comma 1,  lettera  a)  della  legge  n.  164  del  2016
sostituisce il comma 3 dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012. 
    Essa prevede quanto segue: 
    «All'art. 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, sono apportate
le seguenti modificazioni: 
        a) il comma 3 e' sostituito dal seguente: 
    "3. Le operazioni di  indebitamento  di  cui  al  comma  2  e  le
operazioni  di  investimento  realizzate  attraverso  l'utilizzo  dei
risultati  di  amministrazione   degli   esercizi   precedenti   sono
effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale
che garantiscano, per l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di
cui all'art. 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali  della
regione interessata, compresa la medesima regione"». 
    In questi termini, la disposizione norma sembra  in  primo  luogo
confermare, alla stregua di quanto  sopra  considerato,  la  generale
impossibilita' per la Regione di  utilizzare  il  proprio  avanzo  di
amministrazione ai fini del pareggio di bilancio, ed essa  e'  dunque
impugnata  quale  parte  del  complessivo   regime   di   limitazione
dell'utilizzo del risultato di amministrazione. 
    Specificamente, poi, essa  subordina  l'utilizzo  dell'avanzo  di
amministrazione della Regione alla conclusione di apposite intese con
gli enti  territoriali.  Sennonche',  essendo  sottratto  alla  piena
disponibilita'  della  Regione,  tale  avanzo  cessa  di  essere  una
componente del suo patrimonio, a dispetto di quanto e'  rappresentato
nei suoi rendiconti. 
    Cio'  integra  -  per  le  ragioni  analiticamente   esposte   al
precedente punto I.1., cui si rinvia - una violazione della autonomia
finanziaria regionale (articoli 48, 49 e 51 dello statuto o art. 119,
primo, secondo e sesto comma, se piu' favorevole, ai sensi  dell'art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e della stessa autonomia
politica dell'ente. 
    Per scrupolo di completezza  si  osserva  che,  ad  avviso  della
ricorrente  Regione,   la   norma   contestata   non   puo'   trovare
giustificazione in quanto dispone l'art. 119, ultimo comma, Cost.,  a
tenore del quale comuni, province,  citta'  metropolitane  e  regioni
«possono ricorrere all'indebitamento solo  per  finanziare  spese  di
investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento
e a condizione che per il complesso degli enti  di  ciascuna  Regione
sia rispettato l'equilibrio di bilancio». 
    Non puo' sfuggire la differenza rispetto  alla  norma  impugnata.
Laddove la disposizione costituzionale  si  limita  a  richiedere  il
rispetto dell'equilibrio di bilancio del «complesso  degli  enti»  ai
fini del ricorso all'indebitamento, la  disposizione  qui  contestata
condiziona non solo le operazioni di indebitamento ma anche quelle di
investimento, e  finalizza  l'avanzo  di  amministrazione  alla  sola
copertura  delle  spese  di  investimento.   Altrimenti   detto,   la
disposizione che qui si censura sottopone dell'avanzo di  bilancio  -
che dovrebbe essere un utilizzo libero -  a  condizioni  che  valgono
soltanto per il ricorso all'indebitamento. 
    Si noti, peraltro, che a stretto rigore, in  forza  dell'art.  10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, il disposto dell'art.  119,
ultimo comma, Cost., non potrebbe  neppure  trovare  applicazione  in
malam partem alla Regione ricorrente, la quale  nel  proprio  statuto
speciale dispone invece di regole speciali sull'indebitamento, che la
facoltizzano ad emettere prestiti da essa  garantiti  (art.  52:  «la
Regione ha facolta' di emettere prestiti interni da  essa  garantiti,
per provvedere ad investimenti in opere  permanenti  per  un  importo
annuale  non  superiore  alle  sue  entrate   ordinarie,   salve   le
autorizzazioni di  competenza  del  Ministro  per  il  tesoro  e  del
Comitato interministeriale per il credito  e  il  risparmio  disposte
dalle leggi vigenti»). 
    Ne  risulta  confermata   l'illegittimita'   della   disposizione
impugnata. 
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 1, lettera  a),
nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 1 dell'art. 11  della
legge n. 243 del 2012,  demanda  alla  semplice  legge  ordinaria  la
disciplina delle modalita' del concorso dello Stato al  finanziamento
dei  livelli  essenziali   delle   prestazioni   e   delle   funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. 
    L'art. 3, comma 1, lettera a),  della  legge  n.  164  del  2012,
sostituisce l'art. 11, comma 1, della legge n. 243 del 2012. 
    La disposizione sancisce che: 
    «All'art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, sono apportate
le seguenti modificazioni: 
        a) il comma 1 e' sostituito dal seguente: 
    "1. Fermo restando  quanto  previsto  dall'art.  9,  comma  5,  e
dall'art. 12, comma 1, lo Stato, in ragione dell'andamento del  ciclo
economico  o  al  verificarsi  di  eventi  eccezionali,  concorre  al
finanziamento  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  e  delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e  sociali,  secondo
modalita' definite con leggi dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge"». 
    La lettera b) del medesimo art. 3, comma 1, abroga i commi 2 e  3
dell'art. 11  della  legge  n.  243  del  2012,  che  precedentemente
disciplinavano la materia. 
    La contestazione riguarda il rinvio  di  ogni  vera  regola  alle
«modalita'  definite  con  leggi  dello  Stato»,  violando  cosi'  la
competenza della legge rinforzata. 
    Occorre ricordare che l'art. 5, comma 1, lettera g)  della  legge
costituzionale n. l  del  2012,  stabilisce  che  «la  legge  di  cui
all'art.  81,  sesto  comma,  della  Costituzione,  come   sostituito
dall'art. 1 della presente legge costituzionale, disciplina,  per  il
complesso delle pubbliche amministrazioni, in particolare:  ...g)  le
modalita' attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del  ciclo
economico o al verificarsi  degli  eventi  eccezionali  di  cui  alla
lettera d) del presente comma, anche in  deroga  all'art.  119  della
Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli
altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni  e
delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali». 
    Questa disposizione si  pone  in  diretto  conflitto  con  quanto
previsto dalla  legge  costituzionale,  perche'  sposta  dalla  legge
rinforzata alla legge  ordinaria  la  competenza  a  disciplinare  il
concorso dello Stato al finanziamento dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e  sociale  in  ragione  dell'andamento  del  ciclo  economico  o  al
verificarsi di eventi eccezionali. 
    Tale modifica e' vieppiu' illegittima se si considera poi che  il
rinvio alla legge ordinaria e' un rinvio in bianco, visto che i commi
1, 2 e 3 dell'art. 11, nei quali era  originariamente  contenuta  una
compiuta  disciplina  che  regolava  sia  sostanzialmente   sia   nel
procedimento il concorso dello Stato  al  finanziamento  dei  livelli
essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo
o in presenza di eventi eccezionali,  sono  contestualmente  abrogati
dallo stesso art. 3, comma 1, lettere a) e  b)  [l'impugnata  lettera
a), come si e' detto, sostituisce il comma 1, mentre  la  lettera  b)
abroga seccamente i commi 2 e  3].  La  menzione  del  «rispetto  dei
principi stabiliti dalla presente legge»  diventa  dunque  una  vuota
formula verbale, visto  che  la  legge  rinforzata  non  detta  alcun
principio in ordine al concorso statale al finanziamento dei  livelli
essenziali nelle fasi avverse o  in  presenza  di  eventi  eccezioni,
essendo stati abrogate tutte le norme sul punto in essa contenute. 
    E' evidente che  la  violazione  ha  carattere  sostanziale,  dal
momento che la legge costituzionale ha voluto affidare la  disciplina
di questo delicatissimo aspetto  ad  una  fonte  che,  attraverso  il
rinforzo delle regole di  approvazione,  esprimesse  una  piu'  ampia
condivisione della scelta euna maggiore stabilita' delle regole. 
    Inoltre,  la  violazione  denunciata  ridonda   sulla   autonomia
costituzionalmente  garantita  alla  Regione  ricorrente  sotto   due
distinti profili. 
    Anzitutto, la piu' ampia condivisione della scelta e la  maggiore
stabilita' delle regole, frutto dell'aggravamento, sono  poste  anche
nell'interesse delle Regioni destinatarie delle regole in questione. 
    Palese e' poi l'interferenza con le competenze costituzionalmente
attribuite alla ricorrente e quindi la  ridondanza  del  vizio  sulla
autonomia finanziaria, legislativa ed amministrativa della Regione. 
    Si consideri che la disposizione riguarda  il  finanziamento  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali e le funzioni fondamentali degli enti territoriali relative a
tali  diritti,  e  dunque  incide  su  molteplici  competenze   della
ricorrente Regione. 
    A titolo di esempio si ricordano  le  competenze  legislative  ed
amministrative  in  materia  assistenza  scolastica  o  di  igiene  e
sanita', assistenza sanitaria ed ospedaliera, nonche' il recupero dei
minorati fisici (oggetto di  competenza  legislativa  concorrente  ai
sensi dell'art. 5, rispettivamente nn. 15 e 16 dello  statuto,  e  di
potesta' amministrativa, ai sensi dell'art. 8 dello  statuto;  ovvero
oggetto di competenze acquisite  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  e
quarto comma, Cost., e dell'art. 118 Cost., in  combinazione  con  la
legge costituzionale n. 3 del 2001, ove piu' favorevoli);  oppure  le
competenze integrative in materia di lavoro, previdenza e  assistenza
sociale, ai sensi dell'art. 6 dello statuto (se piu'  favorevole,  ai
sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, in combinato disposto  con
l'art. 10  legge  costituzionale  n.  3  del  2001);  o,  ancora,  le
competenze primarie in materia di ordinamento degli  enti  locali,  e
quindi anche in ordine alle  loro  funzioni  fondamentali,  ai  sensi
dell'art.  4,  n.  1-bis,  e  dell'art.   59   dello   statuto,   che
specificamente  comprendono  una  responsabilita'  regionale  per  il
finanziamento regionale delle funzioni del  Comuni  (cfr.  l'art.  54
dello statuto, ai sensi del quale «allo scopo di adeguare le  finanze
dei  comuni,  anche  nella  forma   di   citta'   metropolitane,   al
raggiungimento  delle  finalita'  ed  all'esercizio  delle   funzioni
stabilite dalle leggi, il consiglio regionale puo' assegnare ad  essi
annualmente una quota delle entrate della Regione»). 
    In terzo luogo, si osserva che la possibilita'  di  finanziamento
dei livelli essenziali  o  delle  funzioni  fondamentali  degli  enti
territoriali con un fondo straordinario rappresenta una doppia deroga
all'art.  119  Cost.,  che  prevede  che  le   fonti   ordinarie   di
finanziamento, previste dall'art. 119, secondo e terzo comma, debbano
consentire agli  enti  territoriali  (art.  119,  quarto  comma:  «Le
risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi  precedenti  consentono
ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche  loro  attribuite»)  e
che  vieta  l'istituzione  di   fondi   vincolati,   consentendo   la
destinazione di risorse aggiuntive o di interventi speciali  soltanto
a favore di determinati enti territoriali e alle condizioni  previste
dall'art.  119,  quinto  comma,  Cost.  (tale  disposizione  prevede,
infatti, che «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e  la
solidarieta'  sociale,  per  rimuovere  gli  squilibri  economici   e
sociali,  per  favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti   della
persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni,  lo  Stato  destina  risorse  aggiuntive  ed  effettua
interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citta'
metropolitane e regioni»). 
    Lo  stesso  risultato   si   ottiene   considerando   le   regole
sull'autonomia finanziaria contenute nel Titolo IV dello statuto  (ad
esempio nell'art. 50, che limita gli interventi speciali, o nel  gia'
citato art. 54), regole che sono modificabili o con  il  procedimento
di revisione costituzionale oppure con la fonte  rinforzata  prevista
dall'art. 63, ultimo comma, dello statuto («le disposizioni contenute
nel titolo IV possono  essere  modificate  con  leggi  ordinarie,  su
proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione,
e,  in  ogni  caso,  sentita  la  Regione»),  la  quale  richiede  il
coinvolgimento della Regione nel procedimento legislativo. 
    Se  si  dovesse  ammettere   che   una   deroga   alle   garanzie
dell'autonomia finanziaria della  Regione  ricorrente  contenute  nel
Titolo IV dello statuto e nell'art. 119 Cost. (per i profili  in  cui
la disposizione costituzionale e' piu' favorevole, ex art.  10  legge
costituzionale  n.  3  del  2001)  sia   implicitamente   autorizzata
dall'art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del
2012 (secondo l'impostazione seguita dalla sentenza n. 88 del 2014 di
codesta Corte, al punto 6), la fonte abilitata  a  disciplinare  tale
deroga rimane pero' unicamente la legge rinforzata  di  cui  all'art.
81, sesto comma, Cost., e non la legge ordinaria. 
    Pertanto, la norma impugnata, demandando ad una  legge  ordinaria
la regolazione di una  fattispecie  in  deroga  al  Titolo  IV  dello
statuto speciale e all'art. 119 Cost., fattispecie che il legislatore
costituzionale ha voluto riservare  ad  una  legge  rinforzata,  lede
indirettamente anche l'art. 63, ultimo comma, dello statuto speciale,
e l'art. 119, quarto e quinto comma, Cost., in  combinato  l'art.  10
della  legge  costituzionale  n.  3  del  2001.  Dunque  anche   tale
inscindibile  collegamento  tra  le  disposizioni  costituzionali   e
statutarie sull'autonomia finanziaria della Regione e  la  competenza
riservata della legge rinforzata  conferma  la  legittimazione  della
Regione a far valere il vizio di violazione  dell'art.  5,  comma  1,
lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012. 
    IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  1,  lettera
a), della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, introducendo  il
nuovo comma 1 dell'art. 12 della legge n. 243 del 2012, demanda  alla
semplice legge ordinaria la disciplina delle modalita' con  le  quali
le regioni, i comuni, le  province,  le  citta'  metropolitane  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare  la
sostenibilita'  del  debito  del  complesso   delle   amministrazioni
pubbliche. 
    L'art. 4, comma 1, lettera  a),  della  legge  n.  164  del  2016
stabilisce quanto segue: 
    «All'art. 12 della 4 dicembre 2012,  n.  243  sono  apportate  le
seguenti modificazioni: 
        a) il comma 1 e' sostituito dal seguente: 
    "1. Le regioni, i comuni, le province, le citta' metropolitane  e
le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono ad  assicurare
la sostenibilita' del  debito  del  complesso  delle  amministrazioni
pubbliche, secondo modalita' definite  con  legge  dello  Stato,  nel
rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge"». 
    Come e' evidente, la disposizione cosi' introdotta rinvia  dunque
ad una normale legge ordinaria, sia pure da emanare «nel rispetto dei
principi» stabiliti dalla legge n. 243 del 2012 (principi che  pero',
anche in questo caso, mancano  completamente),  la  disciplina  delle
modalita' con cui le  regioni,  i  comuni,  le  province,  le  citta'
metropolitane  e  le  Province  autonome  di  Trento  e  di   Bolzano
concorrono ad assicurare la  sostenibilita'  del  debito  complessivo
delle amministrazioni pubbliche. 
    La norma riportata riguarda anche le Regioni a statuto speciale e
dunque anche la Regione Friuli-Venezia Giulia, come  e'  reso  palese
dalla menzione delle due Province autonome insieme con le Regioni. 
    Ad avviso della Regione ricorrente la norma e' costituzionalmente
illegittima per violazione dell'art. 5, comma 2,  lettera  c),  della
legge costituzionale n. 1 del 2012. 
    Tale disposizione di rango costituzionale riserva  la  disciplina
delle «modalita' attraverso le quali i comuni, le province, le citta'
metropolitane, le regioni e le  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano concorrono alla sostenibilita' del debito del complesso delle
pubbliche amministrazioni» alla legge rinforzata approvata  ai  sensi
dell'art. 81, sesto comma, Cost., come modificato dalla stessa  legge
costituzionale n. l del  2012,  e  dunque  alla  legge  «approvata  a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera». 
    La norma impugnata, invece, stabilendo che  la  disciplina  delle
modalita' con cui i comuni, le province, le citta' metropolitane,  le
regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano «concorrono  ad
assicurare  la  sostenibilita'  del  debito   del   complesso   delle
amministrazioni pubbliche» sia posta «con legge dello Stato»,  sposta
invece  nella  competenza  del  legislatore   ordinario   esattamente
quell'oggetto - descritto con le medesime parole utilizzate dall'art.
5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1  del  2012  -
che la norma di rango costituzionale ha voluto coprire da una riserva
di legge rinforzata. Ne' tale violazione e' evitata dalla previsione,
di mero stile, che la legge ordinaria debba conformarsi ai  «principi
stabiliti  dalla  presente  legge»  e  cioe'  dettati   dalla   legge
rinforzata, dal momento che  la  legge  n.  243  del  2012,  dopo  le
modifiche introdotte dalla legge n. 164 del 2016 (e segnatamente dopo
le abrogazioni operate dallo stesso art. 4, alle lettere b e c),  non
contiene  alcun  principio  in  ordine   al   concorso   degli   enti
territoriali alla sostenibilita' del debito pubblico. 
    Oltre   alle   ragioni   gia'   sopra   esposte   in    relazione
all'impugnazione dell'art. 3, comma 1, lettera a), nel senso  che  la
disposizione  di  rango  costituzionale  violata,  prescrivendo   una
maggioranza qualificata per l'approvazione  della  legge  chiamata  a
regolare  questo  oggetto,  garantisce  anche  e  in  particolare  le
autonomie territoriali,  si  osserva  che  la  violazione  denunciata
ridonda sulla autonomia  costituzionalmente  garantita  alla  Regione
ricorrente sotto altri profili. 
    La  norma,  riguardando  come  si  e'  detto  anche  la   Regione
ricorrente, incide infatti  sulla  autonomia  finanziaria  dell'ente,
garantita dagli articoli 48 e 49 ma anche  dalle  altre  disposizioni
del Titolo IV dello statuto speciale, perche' investe le modalita' di
concorso alla sostenibilita'  del  debito  pubblico  e  quindi  tocca
rilevantissime scelte di bilancio. 
    E' evidente, ad avviso della Regione, che il compito di  comporre
i normali principi costituzionali che regolano i rapporti  finanziari
tra lo Stato e la Regione speciale Friuli-Venezia Giulia (e dunque in
primo luogo il principio pattizio, implicito negli articoli 63  e  65
dello statuto speciale, nonche' nelle norme di attuazione in  materia
di autonomia finanziaria, e confermato -  per  la  generalita'  delle
regioni a statuto speciali - dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009:
principio che codesta Corte costituzionale ha piu' volte  ribadito  e
valorizzato: v., tra le molte, le sentenze nn. 19 del 2015,  155  del
2015 e 188 del 2016) con la peculiare competenza prevista dalla legge
costituzionale n. 1 del 2012 non  puo'  essere  assegnato  in  alcuna
parte alla semplice legge ordinaria, pena la  vanificazione  di  ogni
specifica garanzia. 
    In altri termini, la (limitata) capacita' derogatoria ai generali
principi costituzionali sui rapporti finanziari tra Stato  e  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia e' consentita alla legge rinforzata ex
art. 81, sesto comma, Cost. cui fa rinvio la legge costituzionale  n.
1 del 2012. Tale legge rinforzata (o, come in questo caso,  la  legge
parimenti rinforzata che parzialmente la novella) non puo'  conferire
tale capacita' ad una comune legge ordinaria. 
    Diversamente, risultano violati in primo luogo lo stesso  art.  5
della legge costituzionale n. 1 del 2012, nonche', per le ragioni ora
esposte, il principio costituzionale  dell'accordo  e  le  richiamate
norme costituzionali ed ordinarie in cui tale principio e' sancito. 
    Proprio la connessione tra i due sistemi  di  garanzia  -  quella
rinforzata e  quella  negoziata  -  dimostra  il  pieno  e  specifico
interesse della Regione ricorrente a far valere il  vizio  denunciato
nel presente motivo di ricorso. 
    Per prevenire possibili - ma infondate -  eccezioni,  si  osserva
che la lesione recata dalla norma impugnata e' gia' attuale,  perche'
la garanzia costituzionale in parola (e cioe'  la  riserva  di  legge
rinforzata) e' gia' adesso violata. 
    Analogamente, del resto, norme legislative che autorizzano poteri
regolamentari statali  nelle  materie  regionali  sono  sempre  state
ritenute  pacificamente   impugnabili   innanzi   a   codesta   Corte
costituzionale  anche  prima  della  emanazione  dei  regolamenti   e
indipendentemente  dall'avvenuto  esercizio   di   quei   poteri   di
normazione secondaria. La  lesione,  infatti,  si  consuma  gia'  nel
momento in cui la legge statale pretende di  condizionare  l'autonoma
regionale a vincoli diversi, anche sul piano delle fonti,  da  quelli
costituzionalmente previsti. 
    Qui la norma impugnata assoggetta la autonomia finanziaria  della
Regione ad un limite diverso  -  e  meno  garantistico  -  di  quello
specificamente previsto dalle norme di rango costituzionale e  dunque
la lesione e' fin da subito pienamente attuale. 
    Diversamente opinando, le norme lesive della autonomia  regionale
ma non autoapplicative non sarebbero mai impugnabili in via  d'azione
e questo contrasterebbe con la natura  stessa  del  giudizio  in  via
principale,  che   e'   diretto   a   salvaguardare   le   competenze
costituzionale delle  Regioni  (e,  per  quanto  riguarda  i  ricorsi
statali, il principio di  costituzionalita'  della  legislazione),  a
prescindere dalla gia' avvenuta applicazione delle norme. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione Friuli-Venezia  Giulia,  come  sopra  rappresentata  e
difesa, chiede che codesta  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  1,  lettera  b);
dell'art. 2, comma 1, lettera a); dell'art. 3, comma 1, lettera a)  e
dell'art. 4, comma 1, lettera a) della legge 12 agosto 2016,  n.  164
«Modifiche alla legge  24  dicembre  2012,  n.  243,  in  materia  di
equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali», pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2016, nelle parti,  nei
termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. 
 
        Padova, 27 ottobre 2016 
 
                          Prof. avv. Falcon 
 
    Allegati: 
        1. Deliberazione  della  giunta  regionale  n.  1987  del  21
ottobre 2016.