N. 265 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 2016
Ordinanza del 5 ottobre 2016 del Tribunale di Trieste sui ricorsi proposti da Simeoni Federico e altri contro Ministero dell'interno, Presidenza del Consiglio dei ministri . Elezioni - Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati (c.d. Italicum) - Attribuzione del premio di maggioranza al secondo turno di ballottaggio tra le due liste con il maggior numero di voti. - Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati), artt. 1, comma 1, lett. f), e 2, comma 25, [sostitutivo dell'] art. 83, in relazione al novellato comma 5 [, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati)]. Elezioni - Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati (c.d. Italicum) - Opzione per un collegio del candidato capolista eletto in piu' collegi plurinominali. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), art. 85, come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati).(GU n.50 del 14-12-2016 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE nella persona della dott.ssa Monica Pacilio, decidendo sul ricorso ex art. 702-bis codice di procedura civile proposto da: Federico Simeoni con l'avv. Sbisa' Giuseppe; Paolo Fontanelli con l'avv. Sbisa' Giuseppe; Luigi Del Piccolo con l'avv. Sbisa' Giuseppe; Giancarlo Castellarin con l'avv. Sbisa' Giuseppe; Marco Greatti con l'avv. Sbisa' Giuseppe; Luca Campanotto con l'avv. Sbisa' Giuseppe; Contro: Ministero dell'interno (C.F. 80025500325) con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato di Trieste; Presidenza del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587) con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato di Trieste; letti gli atti, udite le parti, pronuncia la seguente ordinanza. I ricorrenti hanno attivato il procedimento sommario di cognizione (art. 702-bis e ss. codice di procedura civile), evocando in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno chiedendo che fosse accertato che il loro diritto di «votare conformemente alla Costituzione» e' leso da alcune norme della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015 (il c.d. Italicum), cosi' come sostituite o modificate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 30 marzo 1957. Hanno allegato di essere cittadini italiani friulanofoni iscritti alle liste elettorali. I ricorrenti hanno argomentato in ordine alla sussistenza del loro attuale interesse ad agire tenuto conto del disposto dell'art. 1, comma I, lettera c) della legge n. 52 del 2015 che dispone: «la Camera dei deputati e' eletta secondo le disposizioni della presente legge a decorrere dal 1° luglio 2016» evidenziando che la legge e' stata promulgata ed e' entrata in vigore e, inoltre, con la promulgazione del decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122, la legge ha avuto parziale attuazione, con la suddivisione dell'Italia in circoscrizioni e collegi. In forza dell'art. 2, comma 36 della legge n. 52 del 2016, le disposizioni ritenute lesive del proprio diritto di voto avrebbero trovato applicazione in occasione delle «prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della presente legge». Dunque i ricorrenti evidenziano che le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento saranno regolate da tali disposizioni e che sussiste il loro interesse attuale a vederne accertata la contrarieta' a Costituzione, prima ancora che vengano indette elezioni dato che la semplice entrata in vigore del testo di legge contestato comportava di per se' la lesione del diritto di voto. Indicate specificamente le norme di legge e i parametri costituzionali ritenuti violati hanno concluso in via preliminare per l'accertamento della violazione del loro diritto di voto, previa rimessione delle questioni cosi' sollevate alla Corte costituzionale. La Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'interno si sono costituiti concludendo per l'infondatezza e l'inammissibilita' del ricorso, che deriverebbe dal fatto che con il ricorso si intende porre in discussione le scelte politiche del legislatore. Hanno eccepito la carenza di interesse ad agire ex art. 100 codice di procedura civile in quanto la nuova legge elettorale non era ancora entrata in vigore, essendo applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016 e non potendosi, pertanto postulare che una norma di legge non entrata in vigore possa ledere un diritto. Motivi della decisione I. Va preliminarmente affrontata la questione dell'inammissibilita' e dell'interesse ad agire. Quanto alla prima, deve evidenziarsi che l'ammissibilita' di un'azione puo' riguardare l'esistenza dei presupposti o le condizioni di un'azione. La possibilita' di sindacare le scelte legislative puo' assumere invece rilevanza per vagliare la fondatezza o meno della domanda e non anche per la sua ammissibilita'. Per quanto concerne l'interesse ad agire, poiche' la legge n. 52 del 2015 e' applicabile a partire a partire dal 1° luglio 2016 (come disposto dall'art. 2, comma 36), non puo' porsi in discussione l'interesse delle parti all'accertamento richiesto. Una volta emesso il decreto di convocazione dei comizi elettorali, non vi sarebbe piu' uno spazio di tutela effettiva per l'elettore che non potrebbe ottenere pronunce giurisdizionali che incidano sulle elezioni, anche se svolte sulla base di norme poi dichiarate incostituzionali (tale e' appunto la situazione che si e' verificata nel giudizio che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014). II. Va ora affrontata la questione della rilevanza nel giudizio a quo delle questioni di costituzionalita'. Sovviene in ausilio la Corte costituzionale, che ha osservato come «la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni volta sia individuabile nel giudizio principale un separato e distinto dalla questione (o delle questioni) di legittimita' costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi» «anche allo scopo di scongiurare la esclusione di ogni garanzia e di ogni controllo su taluni atti legislativi (sent. n. 59 del 1957, sent. n. 4 del 2000, sent. n. 1 del 2014). Nel caso di specie tale condizione e' soddisfatta perche' il petitum oggetto del giudizio principale e' costituito dalla pronuncia di accertamento del diritto azionato, in ipotesi condizionata dalla decisione delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale. Deve pertanto escludersi, anche nel presente caso, che la proposta questione di costituzionalita' esaurisca in se' ogni aspetto della controversia di merito. III. Il Parlamento ha approvato (in prima deliberazione al Senato nella seduta del 13 ottobre 2015 e dalla Camera nella seduta dell'11 gennaio 2016 e, in seconda deliberazione, dal Senato nella seduta del 20 gennaio 2016 e dalla Camera nella seduta del 12 aprile 2016) un testo di legge di riforma costituzionale, sottoposto a referendum, ex art. 138 Costituzione. La riforma costituzionale attualmente in itinere prevede, per quanto di rilievo nel presente procedimento, il superamento del c.d. bicameralismo perfetto con l'adozione di un bicameralismo «differenziato» che conferma l'articolazione del Parlamento in due rami, la Camera dei deputati e il Senato, ma che nel nuovo assetto avranno composizione diversa e funzioni in gran parte non coincidenti e, in particolare, non parteciperanno piu' in modo paritario alla funzione legislativa. Poiche' tali norme non sono entrate in vigore, deve ritenersi persistente l'interesse ad agire delle parti. IV. Si passera' ora alla verifica della manifesta infondatezza delle questioni sollevate. Su di esse vi e' stata gia' una pronuncia alla quale questo giudice ritiene di uniformarsi, condividendone pienamente le argomentazioni (ordinanza Tribunale Torino, Sez. I, 5 luglio 2016). La parte ricorrente denuncia l'illegittimita' costituzionale di diverse disposizioni della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015 in relazione a piu' articoli della Carta costituzionale. Le censure sono articolate in quattordici motivi che saranno esaminati in modo separato (ad eccezione dei motivi 4 e 12, nonche' 10 e 13, che saranno, invece, esaminati «a coppie», per ragioni di chiarezza), incominciando da quelli che il Tribunale ritiene essere manifestamente infondati (numeri 1, 2, 3, 4, 5, 7, 9, 10, 11, 12 e 13), per trattare infine i motivi 6 e 8, rispetto ai quali il dubbio di illegittimita' non appare manifestamente infondato. Secondo i ricorrenti la legge n. 52 del 2015 sarebbe incostituzionale perche' approvata con una procedura diversa da quella prevista per la legge elettorale dalla Carta costituzionale all'art. 72, comma 4, e precisamente con l'adozione da parte del Governo del sistema della c.d. «questione di fiducia» ex art. 116 Regolamento parlamentare; la procedura di approvazione della legge con «riserva di assemblea» prevista dalla norma costituzionale citata sarebbe incompatibile con la procedura prevista dall'art. 116 Regolamento parlamentare. La questione e' manifestamente infondata. Invero, l'art. 72 prevede al primo comma che «Ogni disegno di legge, presentato a una Camera e', secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che lo approva articolo per articolo e con votazione finale»; al terzo comma prevede che «Puo' altresi' stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge e' rimesso alla Camera se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il quarto comma prevede che «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera e' sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale ...». Ritengono i ricorrenti che per la legge elettorale non possano essere adottate procedure diverse da quella definita «normale» dall'art. 72 Costituzione che prevede l'esame diretto del testo da parte della Camera, con approvazione articolo per articolo e votazione finale. La procedura speciale prevista dall'art. 116 Regolamento della Camera, in quando si discosterebbe da tale paradigma, non potrebbe essere applicata per la formazione della legge elettorale, non avendo il Governo, in questo caso, la corrispondente prerogativa. E' noto che per gli articoli 1, 2 e 4 della legge n. 52 del 2015 il Governo ha effettivamente posto la c.d. «questione di fiducia» cosi' adottando, alla Camera, la procedura prevista dal Regolamento parlamentare all'art. 116, comma 4 che prevede, quanto alla procedura per il «mantenimento di un articolo», che la votazione avvenga sul singolo articolo «dopo che tutti gli emendamenti sono stati illustrati» e che, in caso di approvazione «gli emendamenti stessi si intendono respinti». Secondo la medesima disposizione, quando venga posta «la questione di fiducia» la votazione avviene per appello nominale, con facolta' per un solo deputato per ciascun gruppo di rendere dichiarazioni di voto. L'art. 116 Regolamento della Camera non indica, al quarto comma, la legge elettorale tra le materie per le quali viene espressamente esclusa la possibilita' di adottare la descritta procedura di voto (ossia per le quali il Governo non puo' porre la «questione di fiducia»). L'art. 49 dello stesso Regolamento prevede, invece, che sulle leggi elettorali (cosi' come su altri «argomenti») la votazione debba avvenire a scrutinio segreto ma solo se ne venga fatta esplicita richiesta. L'art. 24, comma 12 stesso Regolamento prevede inoltre che quando un progetto di legge debba essere votato a scrutinio segreto non possa essere oggetto di contingentamento dei tempi (salvo diversa unanime delibera della Conferenza dei capigruppo). Le norme regolamentari citate devono essere lette congiuntamente e, dal loro combinato disposto, si ricava, per quanto concerne il voto di approvazione alla Camera di una legge elettorale, che il Governo puo' porre la questione di fiducia, e quindi ricorrere alla speciale procedura di voto indicata dall'art. 116 del Regolamento per la quale, tuttavia, puo' essere richiesta (ma deve appunto esserlo) la votazione a scrutinio segreto, invece che per appello nominale, con conseguente divieto, in tal caso, di contingentamento dei tempi di discussione. Questa procedura non si discosta, in termini sostanziali, dalla c.d. procedura «normale» prevista dall'art. 72, primo e quarto comma della Costituzione. Infatti la procedura c.d. «normale» di cui al primo comma prescrive che la votazione avvenga «articolo per articolo e con votazione finale» ed essa consiste in una riserva all'assemblea dell'esame diretto e della approvazione del testo di legge la cui ratio e' quella di assicurare che su certi argomenti vi sia ampia e piena partecipazione alla formazione della legge anche da parte delle minoranze. Tale riserva di assemblea, nella sostanza, viene assicurata anche dalla procedura di cui al citato art. 116, comma 4 del Regolamento parlamentare in quanto esso prevede che si proceda, come e' in effetti avvenuto, all'esame del singolo articolo e degli emendamenti, con votazione sul singolo articolo (con decadenza automatica degli emendamenti solo in caso di voto favorevole all'articolo). La circostanza che un Governo ricorra alla questione di fiducia per certe materie e' suscettibile di generare responsabilita' politica ma non necessariamente illegittimita' costituzionale. Con il secondo motivo la parte ricorrente censura gli articoli 1, comma 1, lettera f) nella parte in cui prevede che «sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi» e 2 comma 25 capoverso «art. 83» con particolare riferimento ai commi: 1 numeri 5 e 6, 2, 3 e 4 in relazione agli articoli 1 comma secondo e 61 Costituzione. Le norme prevedono, molto in sintesi, che vengono attribuiti «comunque 340 seggi» (il c.d. premio di maggioranza) alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi. Ne viene censurata l'irrazionalita' in quanto nulla viene disposto per regolare l'ipotesi in cui due liste raggiungano, nella stessa tornata elettorale, «almeno il 40% dei voti validi» con conseguente diritto, per ciascuna di esse, di vedersi attribuire il premio di maggioranza, cosa pero' non possibile, non potendosi attribuire un numero di seggi superiore a quello massimo immodificabile previsto dalla Costituzione. La parte ricorrente sostiene che la questione non potrebbe essere risolta in via interpretativa, in quanto qualsiasi soluzione produrrebbe conseguenze illegittime. Sarebbe assurdo e irrazionale interpretare la norma non attribuendo a nessuna delle due liste la vittoria e, quindi il premio di maggioranza; Sarebbe arbitrario attribuire il premio di maggioranza alla lista che risultasse vincente anche per un solo voto (in quanto nulla prevede la legge); Sarebbe arbitrario e non conforme alla legge indire il turno di ballottaggio in presenza di due liste che hanno superato lo sbarramento del 40% (essendo invece il ballottaggio previsto solo in caso di mancato raggiungimento di questa soglia). La questione, come posta, e' manifestamente infondata. Si deve anzitutto osservare che la parte ricorrente muove da un presupposto non condivisibile e non conforme ai generali canoni interpretativi di una disposizione normativa. Infatti viene censurato, per irrazionalita', l'art. 1, comma 1, lettera f) nella sola parte in cui prevede: «la presente legge, mediante le necessarie modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati e le altre disposizioni in diretta correlazione con le medesime modificazioni stabilisce: ... sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale almeno il 40% dei voti validi ...». Deve tuttavia osservarsi che la norma prosegue, con la seguente espressione «o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione». Dunque, l'art. 1, lettera f) legge n. 52 del 2015, nella sua interezza, indica che la soglia di «almeno» il 40% e' quella che consente l'attribuzione del premio di maggioranza, in presenza della quale e' escluso il ricorso al turno di ballottaggio. La medesima disposizione contiene un criterio di indubbio carattere generale, che e' quello della prevalenza della lista che ha ottenuto il maggior numero di voti. Tale criterio e' menzionato espressamente per individuare il vincitore del premio di maggioranza al turno di ballottaggio ma esso e' certamente utilizzabile, proprio per la sua valenza generale, nell'ipotesi prevista dai ricorrenti, ossia del superamento da parte di due liste dello sbarramento del 40%. In tal caso la norma non potrebbe che essere interpretata ritenendo che debba essere considerata vincitrice, con diritto di accedere al premio di maggioranza, quella tra le due liste che abbia ottenuto, rispetto all'altra, il maggior numero di voti. Non si ravvisano ostacoli a questa interpretazione, pure presa in considerazione dalla parte ricorrente, che immotivatamente afferma che si tratterebbe di ipotesi «non prevista» (quella, teorica, di prevalenza di una lista sull'altra, anche per un solo voto). La ratio della disposizione e' infatti quella di attribuire il premio di maggioranza a fini di stabilita' e di «governabilita'» alla lista o gruppo di liste collegate che abbia ottenuto piu' voti. Stabilita' e governabilita' sono parametri che possono ricondurre a ragionevolezza la scelta legislativa, che appare idonea ad assicurare la rappresentativita' dell'assemblea parlamentare. E' allora corretto e conforme alla Costituzione interpretare la disposizione, leggendola nella sua totalita', nel senso che essa prevede che in caso in cui due liste raggiungano la soglia del 40% al primo turno, il premio di maggioranza debba essere attribuito alla lista che, cosi' come previsto per il turno di ballottaggio, ottenga un numero di voti superiore rispetto all'altra. Si deve del resto osservare che la verifica del raggiungimento della soglia del 40% viene effettuata sulla base della cifra elettorale nazionale raggiunta da ciascuna lista (v. art. 2, comma 25, contenente la riformulazione dell'art. 83 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957), dato che viene ottenuto dalla «somma delle cifre elettorali circoscrizionali conseguite nelle singole circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo contrassegno», ma e' ben possibile che si tratti di liste che, in termini assoluti, hanno ricevuto un differente numero di voti (espressi e validi, evidentemente). Con il terzo motivo si censurano gli articoli 1, comma 1, lettera f), 2, comma 25 capoverso «art. 83» numeri 5 e 6, commi 2 e 5; capoverso «art. 83-bis» commi 1, numeri 1, 2 e 3 e 4 della legge n. 52 del 2015 in relazione agli articoli 1, 3, 48, 49, 51 e 67 della Costituzione. I ricorrenti prendono in considerazione la possibilita' che, in presenza di una forte dispersione del voto verso liste che non raggiungano la soglia del 3%, si verifichi il caso che una lista ottenga 340 seggi al primo turno, ma che non raggiunga la percentuale del 40%. Affermano che, in questo caso, non si potrebbe attribuire il premio di maggioranza (per difetto del presupposto del raggiungimento di una soglia di almeno il 40%) ne' si potrebbe applicare la norma di «salvaguardia» prevista dall'art. 83, comma 1, n. 7) che consente di mantenere ferma l'attribuzione dei 340 seggi conquistati al primo turno costringendo tale lista, oggettivamente maggioritaria, al ballottaggio. Si produrrebbe allora l'effetto - secondo i ricorrenti irragionevole e contraddittorio rispetto ai fini dichiarati dal legislatore - di costringere una lista che ha gia' la maggioranza dei seggi a confrontarsi al ballottaggio con la seconda lista per numero di voti. L'irragionevolezza e la contraddittorieta' denunciate dai ricorrenti, inoltre, sarebbero ancor piu' evidenti qualora, all'esito del suddetto ballottaggio, risultasse vincente la lista che al primo turno aveva preso meno voti dell'altra. Anche questo motivo appare manifestamente infondato essendo basato su una interpretazione non conforme al dettato normativo. L'art. 83, comma 1, numeri 3, 4, 5, 6 e 7 prevede che l'ufficio centrale nazionale, dopo avere determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, procede al riparto dei seggi tra le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 3% dei voti validi espressi e le liste rappresentative delle minoranze linguistiche, ottenendo cosi' il «quoziente elettorale nazionale». Con la divisione della cifra elettorale nazionale per il quoziente ottenendo cosi' il numero di seggi da attribuire a ciascuna lista. Effettuata tale operazione, verifica se la lista con maggiore cifra elettorale abbia raggiunto il 40% dei voti validi espressi (ipotesi prevista dal n. 5) e verifica se tale lista abbia ottenuto almeno 340 seggi e, qualora una lista abbia ottenuto 340 seggi «resta ferma l'attribuzione dei seggi» effettuata in base al n. 4. La norma indica quindi che, nel caso in cui una lista al primo turno non abbia raggiunto il 40% dei voti, calcolato ai sensi del n. 2 del nuovo testo dell'art. 83 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 (che e' il comma 25 dell'art. 2 legge n. 52 del 2015) ma abbia conseguito «almeno 340 seggi» (avendo cosi' la maggioranza) dei seggi alla Camera, tale attribuzione viene mantenuta ferma (in base appunto al n. 7 dell'art. 83), il che significa che essa non viene messa in discussione per il fatto di non avere raggiunto anche la soglia del 40% dei voti validi. Questo significa, non apparendo altrimenti la disposizione citata avere un significato, che in tale ipotesi la lista o coalizione di liste che abbia ottenuto tale risultato, non e' costretta ad andare al ballottaggio. In sostanza le norme in esame, lette nel loro insieme, indicano che il premio di maggioranza debba essere attribuito alla lista che raggiunga il 40% terzo dei voti validi espressi (ovvero, in caso di parita', a quella che abbia ottenuto il 40% e il numero di voti piu' alto in termini assoluti) ma che non abbia anche conseguito 340 seggi. Se pero' una lista, pur al di sotto della soglia del 40% ha ottenuto comunque 340 seggi, non vi sara' necessita' di costringerla al ballottaggio in quanto il risultato che il legislatore ha inteso conseguire con il premio di maggioranza, al primo o al secondo turno, e' stato gia' raggiunto in via diretta da una delle liste in competizione. Devono ritenersi allora infondate le censure proposte dai ricorrenti che muovono dal presupposto che si ritiene errato e non sostenibile con una adeguata interpretazione delle norme, secondo cui il mantenimento della attribuzione dei 340 seggi ottenuto direttamente da una lista sarebbe soggetto all'ulteriore requisito del raggiungimento anche della soglia del 40% dovendosi, in tal caso andare necessariamente al ballottaggio per attribuire il premio di maggioranza. L'interpretazione data dai ricorrenti, da ritenersi estremamente formalistica, condurrebbe ad una applicazione irrazionale delle citate disposizioni, che finirebbe per disattendere il risultato dei voti espressi e favorirebbe l'applicazione di un meccanismo correttivo in vista della governabilita', quale e' appunto l'attribuzione del premio di maggioranza, in un caso in cui di tale correttivo non vi e' necessita'. Con il quarto motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 legge n. 52 del 2015 per violazione dell'art. 138 della Costituzione. Con il dodicesimo motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 8, legge n. 52 del 2015 e degli articoli 14 e 14-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 per violazione dell'art. 92 Costituzione. I due motivi vengono accorpati. Con il quarto motivo i ricorrenti espongono le ragioni per le quali, in generale, si debba ritenere incompatibile l'impianto complessivo della legge elettorale in esame con la forma di governo parlamentare vigente in Italia a norma di Costituzione dato che, secondo le norme elettorali il Presidente del Consiglio dei ministri verrebbe sostanzialmente individuato con il capo della coalizione vincitrice delle elezioni e quindi, sostanzialmente eletto e non puo' individuato dal Presidente della Repubblica. Affermano infatti che con un premio di maggioranza attribuito ad una sola lista vincente, con indicazione sulla scheda del Capo di quella stessa lista e seguito di un ballottaggio, le dette prerogative del Presidente della Repubblica risultano sostanzialmente annichilite. Vi sarebbe nei fatti l'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, circostanza che necessariamente produrrebbe un mutamento della forma di governo, da parlamentare ad un premierato assoluto tendenzialmente presidenzialistico, ma senza i contrappesi della forma di governo presidenziale classica (USA), con conseguente surrettizio mutamento della forma di governo, aggirando la procedura prevista dall'art. 138 Costituzione. Con il dodicesimo motivo si sottolinea che l'indicazione della persona da loro indicata come capo della forza politica, specialmente in caso di ricorso al turno di ballottaggio comporta, in sostanza, un mutamento della forma di governo da parlamentare a presidenziale in quanto il programma elettorale di cui al comma 1 dell'art. 14-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 non e' altro se non il programma del partito che quella lista (o coalizione di liste) esprime. Pertanto in caso di attribuzione del premio di maggioranza in sede di ballottaggio (al quale non possono accedere coalizioni di liste, ma solo le due liste risultate vincitrici al primo turno) la pretesa di affermare, come fa il primo comma del nuovo art. 14-bis, che restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall'art. 92, secondo comma della Costituzione sarebbe una vuota formalita', essendo stato, in realta', completamente svuotata tale prerogativa, non potendo far altro, il Capo dello Stato, se non prendere atto del risultato del primo turno ovvero del ballottaggio. La censura di illegittimita' costituzionale e innanzitutto priva di rilevanza in questo giudizio, ove - si rammenta - e' in questione il diritto di elettorato attivo, cioe' il modo in cui viene esercitato il diritto di voto. La scelta del Presidente del Consiglio dei ministri viene in considerazione solo dopo che il corpo elettorale si e' espresso. Ad ogni modo la questione sembra anche manifestamente infondata poiche' il sistema elettorale, sebbene possa produrre in fatto i risultati pratici indicati, non puo' escludere la possibilita' che il Presidente della Repubblica nomini Presidente del Consiglio dei ministri una persona diversa, in base a valutazioni politiche che sono ancora a lui riservate e che solo «di fatto» tengono conto - per ovvi motivi - del risultato elettorale, poiche', in definitiva, la persona designata dovra' ottenere la fiducia delle Camere. Con il quinto motivo si censurano gli articoli 1, lettera f), 2 commi 1 e 25 capoverso «art. 83» legge n. 52 del 2015 (ossia il nuovo testo dell'art. 83 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957) in relazione agli articoli 1, 3, 48 comma II, 51, 56 comma I e 122, 2 Costituzione. In particolare i ricorrenti denunciano la non conformita' a Costituzione di tali disposizioni nella parte in cui prevedono di attribuire il c.d. premio di maggioranza alla lista che abbia ottenuto, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi e al contempo stabiliscono una soglia di accesso minima del 3% di voti, validi per accedere alla distribuzione dei seggi. Secondo i ricorrenti la combinazione di tali meccanismi produrrebbe effetti irragionevolmente distorsivi dell'uguaglianza del voto, in quanto si finirebbe con l'attribuire irrazionalmente il premio di maggioranza e verrebbero lesi anche i principi di rappresentanza democratica e di divieto di mandato imperativo. Sarebbe, infatti, sproporzionato attribuire il premio di maggioranza, pari a oltre il 14% dei voti validi, a una lista che non ha ottenuto la maggioranza dei consensi senza neppure tenere conto del fatto che la lista premiata abbia conquistato seggi nella circoscrizione estero fino al numero di 12. Il motivo e' manifestamente infondato, tenuto conto anche dei principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, richiamata dagli stessi ricorrenti. Le norme in esame infatti stabiliscono, a differenza di quelle dichiarate illegittime dalla sentenza in questione, che il premio di maggioranza non sia svincolato dal raggiungimento di una soglia minima di consenso elettorale. Tale soglia, come osservato da parte della dottrina, non e' cosi' bassa da essere ragionevole, rappresentando il 40% dei consensi che la lista (o la coalizione di liste) al primo turno deve conquistare con il raggiungimento della cifra nazionale piu' alta che si calcola sulla base dei voti validi espressi. La dottrina che si e' specificamente occupata di verificare, in concreto, se le norme della legge n. 52 del 2015 che attribuiscono il premio di maggioranza alla lista che abbia ottenuto il 40% dei voti validi espressi, presenti i medesimi sintomi di irrazionalita' che avevano caratterizzato le disposizioni previgenti ha escluso che si possa ipotizzare una eccessiva distorsione tra il voto espresso e la sua rappresentazione in termini di seggi attribuiti, in virtu' del premio di maggioranza, ad una lista che non ha ottenuto la maggioranza dei voti validi espressi dagli elettori. Si deve infatti muovere dall'insegnamento della sentenza n. 1/2014 a mente della quale: «... l'Assemblea Costituente "pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria» ... pertanto la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicita' della scelta legislativa ... il principio costituzionale di eguaglianza del voto ... esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di parita', in quanto "ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi ... ma "non si estende ... al risultato concreto della manifestazione di volonta' dell'elettore ... che dipende esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni elettorali. Non c'e', in altri termini, un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale in quanto quest'ultima lascia alla discrezionalita' del legislatore la scelta del sistema che ritenga piu' idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell'ampia discrezionalita' legislativa non e' esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalita' quando risulti manifestamente irragionevole». Coloro che hanno commentato la sentenza n. 1/2014 hanno condivisibilmente evidenziato che la Corte, quando ha affermato che gli effetti del premio di maggioranza non possono distorcere eccessivamente l'esito del voto, ha evidentemente voluto dire che la vittoria conseguita con il premio di maggioranza deve, per essere razionale e non eccessivamente distorsiva dei risultati del voto, dipendere piu' dal numero di voti ottenuti che dal premio di maggioranza il cui peso, in sostanza, non puo' essere maggiore del peso del consenso che quella lista (o coalizione di liste) si e' conquistato attraverso le urne. Ora, l'art. 1, lettera f) legge n. 52 del 2015 prevede che vengano attribuiti 340 seggi su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi, con attribuzione in via automatica di un premio del 15% a fronte del conseguimento del 40% dei voti validi di lista. Come e' stato gia' correttamente osservato, questo significa che la percentuale di distorsione del voto espresso a favore della lista vincitrice e' pari a 1,375, dato che il 55% dei seggi viene attribuito a chi ha ottenuto il 40% dei voti. Invece il voto «perdente» ha un coefficiente di sotto rappresentazione pari allo 0,75, dato che il restante 45% dei seggi viene distribuito a chi si e' aggiudicato il restante 60% dei voti validi. Il voto unico in entrata a favore della lista vincitrice per effetto del premio di maggioranza viene effettivamente sovra rappresentato, come lamentano i ricorrenti, ma non in modo tale da vanificare un effettivo rapporto di rappresentativita' tra seggi conseguiti in base ai voti espressi e quelli conseguiti per effetto del premio di maggioranza. Si ritiene pertanto che il test di ragionevolezza previsto dalla Corte nella sentenza n. 1/2104 sia positivamente superato dalle norme censurate che, per tutte le ragioni esposte, non possono dirsi distorcere in modo eccessivo, in «uscita» l'uguaglianza del voto unico e uguale espresso in «entrata». Con il settimo motivo i ricorrenti censurano gli articoli 1 lettera b) per le parole «... salvo i capilista nel limite di 10 collegi» c) per le parole «... dapprima i capilista nei collegi, quindi ...»; 2 comma 26 capoverso «art. 84» comma 1 per le parole «... a partire dal candidato capolista ...» e comma 2 per le parole «... a partire dal candidato capolista» della legge n. 52 del 2015 nonche' dell'art. 59-bis commi da 1 a 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2015 come novellato dall'art. 2, comma 21, legge n. 52 del 2015, in relazione agli articoli 2, 48 secondo comma, 51 primo comma e 67 Costituzione. Le disposizioni citate vengono ritenute non conformi a Costituzione in quanto consentono solo a determinate categorie di candidati, scelti dai partiti senza alcuna forma di controllo esterno o di trasparenza del relativo procedimento, di essere eletti prescindendo completamente dall'esistenza di una indicazione di voto in loro favore da parte degli elettori. Si tratta dei candidati ai quali la forza politica che presenta una lista alle elezioni della Camera attribuisce la posizione di «capo lista», consentendo all'elettore di esprimere «sino a due preferenze per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista». Le stesse disposizioni consentono inoltre ai soli candidati che siano anche «capi lista» di candidarsi simultaneamente in piu' collegi, fino al limite massimo di 10. Il nuovo testo dell'art. 59-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 ai commi da 1 a 3 stabilisce al comma 1 che il voto espresso a favore del capo lista (cioe' con il segno di voto tracciato sul nominativo del candidato capo lista) senza tracciare un segno sul contrassegno della lista, valga come voto a favore della lista, al comma 2 che se l'elettore traccia un segno su una linea posta a destra del contrassegno senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima si intende che abbia votato per la lista stessa; al comma 3 che se l'elettore esprime uno o due voti di preferenza, senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima, si intende che abbia votato anche per la lista medesima. I capi lista, inoltre, per effetto delle disposizioni contenute nell'art. 2, comma 26 (ossia il nuovo testo dell'art. 84 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957) si vedono attribuire per primi (in precedenza cioe' sugli altri candidati della stessa lista ma in posizione successiva alla prima) i seggi che la lista da loro capeggiata si e' conquistata, conteggiati secondo quanto previsto dall'art. 83-bis stesso decreto. Secondo i ricorrenti queste disposizioni, esattamente come aveva fatto la legge n. 270 del 2005, privano di liberta' l'elettore, dato che il descritto meccanismo dei c.d. «capilista bloccati» consentirebbe ai partiti di scegliere, prescindendo completamente dalla volonta' espressa dall'elettore, circa 300 deputati e richiamano sul punto le motivazioni con cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/2014 aveva dichiarato illegittime le disposizioni della precedente legge elettorale che non consentivano agli elettori di esprimere preferenze e che inoltre imponeva loro la scelta di un elenco bloccato di candidati e che pertanto alteravano per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti. Il motivo e' manifestamente infondato. Nel merito si deve, anzitutto, escludere che il principio affermato con la citata sentenza n. 1/2014 possa essere trasposto, tal quale, alle disposizioni della legge n. 52 del 2015 in quanto esse hanno sostanzialmente modificato il sistema delle liste previsto dalla legge previgente. Nel sistema precedente non era possibile esprimere nessuna preferenza e l'elettore era costretto a votare in blocco per una lista relativamente lunga di candidati, sicche' per effetto delle candidature multiple (previste anche dalla legge precedente) e della possibilita' per l'eletto in piu' di un collegio di optare «per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni di partito», veniva alterata in modo serio la stessa possibilita' di ipotizzare che si costituisse realmente un rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti. Diversa e' la condizione di voto delineata, per questi profili, dalla legge n. 52 del 2015 in quanto l'art. 14-bis, lettera c) prevede che «ogni lista, all'atto della presentazione, composta da un candidato capolista e da un elenco di candidati, presentati secondo un ordine numerico. La lista e' formata da un numero di candidati pari almeno alla meta' del numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale e non superiore al numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale...» il che comporta la possibilita' di presentare liste relativamente «corte», con specifiche ulteriori disposizioni volte a salvaguardare la parita' di genere nell'accesso alle cariche elettive. Inoltre, dall'art. 2, comma 21, legge n. 52 del 2015 (testo dell'art. 59-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957) l'elettore puo' esprimere fino a due preferenze, mentre l'eventuale preferenza espressa per il capolista, senza segno sul contrassegno della lista, vale come voto a favore della lista stessa. Il complesso delle disposizioni censurate non esclude pertanto l'esistenza di un effettivo rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, proprio in quanto e' previsto, a differenza della legge precedente, che si possano esprimere fino a due preferenze. Queste preferenze non sono in assoluto vanificate dal meccanismo dei c.d. «capilista bloccati» che permette la loro elezione per primi rispetto ai candidati che li seguono in lista dato che in caso di candidature plurime, il capolista dovra' poi optare per un solo collegio, cosi' dando luogo alla elezione del candidato non capolista negli altri collegi. Con il nono motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale degli articoli 2, comma 25 legge n. 25 del 2015, 83 comma 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 per violazione dell'art. 56, secondo comma Costituzione, articoli 2 commi 29, 30, 31 e 32 legge n. 52 del 2015 in relazione agli articoli 3, 48 e 51 Costituzione oltre che dell'art. 1, comma 1, lettera f) legge n. 52 del 2015 nella parte in cui non prevede l'esclusione dalla partecipazione al voto al turno di ballottaggio gli elettori della Regione Valle d'Aosta e Trentino Alto-Adige. Si puo' evincere in maniera indiretta che la norma violata sarebbe l'art. 3 Cost. Secondo i ricorrenti, il procedimento di ripartizione dei seggi disciplinato dalle sopra indicate disposizioni sarebbe congegnato in modo tale da condurre, in concreto, a una possibile attribuzione di un numero di seggi superiore al numero totale fissato dalla Costituzione (630). Questo potrebbe infatti verificarsi, secondo quanto prospettato, nel caso in cui, per i nove collegi uninominali attribuiti a VDA e TAA (rispettivamente 1 + 8) siano proclamati vincitori candidati espressione di liste risultate minoritarie su base nazionale. Il motivo e' manifestamente infondato. L'argomentazione dei ricorrenti, infatti, non tiene conto del dato costituito dal numero massimo di 630 deputati, compresi i 12 della Circoscrizione estero indicato nella norma costituzionale che si assume violata e del fatto che, per questo, il dato numerico in questione costituisce il canone ermeneutico che non puo' non guidare l'analisi delle disposizioni della legge n. 52 del 2015. Nelle norme sospettate di illegittimita' costituzionale non vi e un espresso riferimento al numero di seggi che a seguito dei conteggi debba essere attribuito alle liste che partecipano alla loro distribuzione. Questo comporta che, come evidenziato dalla dottrina che si e' occupata di questo aspetto della nuova legge elettorale, le norme dettate in ordine al modo in cui si deve operare il conteggio della quota dei seggi da ripartire tra le liste minoritarie su base nazionale, debbano necessariamente essere interpretate in conformita' al ricordato precetto Costituzionale e quindi, nel caso prospettato dai ricorrenti, che i seggi attribuiti a tali liste siano da computare in riduzione ulteriore della quota di seggi da ripartire tra le liste minoritarie nazionali, al fine di evitare di dover proclamare eletti ulteriori deputati (eletti nei collegi di VDA e TAA) fino a superare il limite di 630 deputati. Per quanto concerne l'asserita irrazionalita' delle previsioni dettate per il solo TAA nella parte in cui stabiliscono, solo per i voti espressi dagli abitanti di questa regione, che l'attribuzione dei corrispondenti seggi avvenga con la «previsione di 8 collegi uninominali e 3 deputati di recupero proporzionale», giova evidenziare che la scelta del legislatore di dotare la regione TAA di una peculiare modalita' di attribuzione dei seggi trova fondamento razionale nel fatto che la regione TAA e' costituita da due province autonome in una delle quali (Trentino-Alto Adige) la porzione di popolazione di lingua germanofona e ladina costituisce una minoranza linguistica massicciamente presente all'interno del territorio. Non si rileva pertanto nessuna evidente violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 ed anche di uguaglianza del voto di cui agli articoli 48 e 51 Costituzione. Insomma, anche per questa parte il motivo appare manifestamente infondato. Con la terza parte del motivo i ricorrenti censurano le disposizioni della legge n. 52 del 2015 nella parte in cui consentono agli elettori delle regioni Valle d'Aosta e TAA di partecipare all'eventuale turno di ballottaggio nonostante essi eleggano tutti i loro rappresentanti al primo turno, in modo indipendente dall'esito del voto su base nazionale. Il denunciato «privilegio» che avrebbero gli elettori di questi due collegi, di disporre di un «primo voto» tale da determinare con precisione il risultato elettorale locale e di un «secondo voto» finalizzato all'attribuzione del premio di maggioranza sul piano nazionale, non tiene pero' conto delle misure di carattere compensativo che il legislatore ha avuto cura di introdurre. Il rilievo sul piano nazionale dei voti espressi dagli elettori del VDA e del TAA e', infatti, compensato dalla previsione secondo la quale i seggi guadagnati in quelle due circoscrizioni da candidati collegati ad una lista che abbia vinto il premio di' maggioranza sono scomputati dal traguardo dei 340 seggi. I motivi decimo e tredicesimo, in quanto vertono sul comune argomento della distorsione del voto in uscita dovuto alle norme dettate per la tutela delle minoranze linguistiche in sede elettorale, vengono esaminati congiuntamente. Con il decimo motivo si censura l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 1, lettera a), e) e i) e art. 2 commi 1, 2, 3, 4, 5, 25 capoverso «art. 83» commi 1 numeri 3, 6, 29, 30, 31 e 32 della legge n. 52 del 2015 in relazione agli articoli 1, 2, 3, 6, 10, 11, 48, 49, 51, 117 secondo comma, lettera f) Costituzione nella parte in cui non tutelano in modo effettivo e attivo le altre minoranze linguistiche riconosciute (diverse cioe' da quelle francofone e germanofone e ladine residenti in VDA e TAA) per le quali non sono previste disposizioni specifiche idonee a dare effettiva rappresentativita' agli elettori appartenenti a tali minoranze. Secondo i ricorrenti la disposizione di cui all'art. 83, comma 1, numero 3, in base alla quale l'Ufficio elettorale nazionale «individua quindi le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno il 20%) dei voti validi espressi nella regione medesima», prevedrebbe un sistema di conteggio dei voti da applicare solo per le liste che siano espressione di minoranze linguistiche che risiedano in regioni a statuto speciale e solo a condizione che il relativo statuto ne preveda in modo specifico una particolare tutela. Verrebbero conseguentemente esclusi da tale speciale sistema di conteggio tutti gli elettori che abbiano votato per liste espressione di minoranze linguistiche (riconosciute) presentate in regioni non ad autonomia speciale, ovvero in quelle regioni ad autonomia speciale che nulla prevedano sul punto, percio' solo la minoranza linguistica slovena residente in Friuli-Venezia Giulia sarebbe tutelata dal combinato disposto delle disposizioni statutarie regionali e dal citato art. 83, comma 1, n. 3) legge n. 25 del 2015. Con il tredicesimo motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale della Tabella A approvata dall'art. 1 decreto legislativo n. 122 del 2015 per violazione dell'art. 76 Costituzione e dell'art. 4 della legge n. 52 del 2015 per violazione degli articoli 1, 2, 3, 6, 48, 49 e 51 Costituzione. L'art. 4 legge n. 52 del 2015 contiene una delega al Governo per la «determinazione dei collegi plurinominali», da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, secondo i criteri dettati dalle lettere da a) a g) dell'art. 4. La delega e' stata attuata con il decreto legislativo n. 122 del 2015 che ha individuato i confini «geografici» di detti collegi, contenuti nella Tabella A approvata con l'art. 1 del decreto in questione. Secondo i ricorrenti il Governo nel dare attuazione alla delega avrebbe disatteso i criteri di cui alle lettere c) (ultimo periodo) e g) con violazione, quindi, della delega. Inoltre la mappa dei collegi plurinominali delineata dalla Tabella A produrrebbe anche una violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche. Sarebbero stati separati comuni caratterizzati dalla presenza di determinate minoranze linguistiche, con l'effetto pratico di «annacquarne» il peso del voto in uscita (cio' avverrebbe, in particolare, per la minoranza di lingua slovena, nonostante il riconoscimento da parte della Regione ad autonomia speciale), tenuto conto della soglia di sbarramento posto dall'art. 83 primo comma n. 3 che le liste rappresentative di minoranze linguistiche devono superare per concorrere alla ripartizione dei seggi alla Camera. I motivi appena esposti sono privi di rilevanza. Non viene infatti prospettata in concreto una violazione del diritto di voto da parte dei ricorrenti per effetto delle norme censurate con i motivi in esame. Non indicano infatti quali effetti distorsivi avrebbero le norme denunciate come illegittime in ordine al loro diritto di elettorato attivo, neanche quali elettori friulanofoni. Si fa riferimento alle minoranze linguistiche presenti in VDA e TAA, alla minoranza linguistica slovena, ma non anche alla loro condizione di elettori friulanofoni. Con l'undicesimo motivo i ricorrenti censurano gli articoli 2 comma 10 e comma 36 legge n. 52 del 2015 e 18-bis commi 1 e 2 in relazione agli articoli 3, 48, 49 e 51 Costituzione, nonche' 24, 113 Costituzione e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. I ricorrenti lamentano che in modo del tutto irragionevole i nuovi soggetti politici che intendono partecipare alla competizione elettorale, per poter presentare le loro liste devono munirsi di un numero di firme di elettori iscritti nelle liste elettorali (di comuni compresi nei Collegi nei quali si intende partecipare) ricompreso tra 1.500 e 2 mila firme ovvero, in caso di scioglimento della Camera di deputati prima di 120 giorni, da un numero pari alla meta' delle firme richieste in via ordinaria; invece nessuna sottoscrizione e' richiesta per i partiti e gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei Comizi, ovvero per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento di cui all'art. 14-bis (a condizione che il collegamento venga fatto con due partiti o gruppi politici che abbiano conseguito almeno un seggi in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo). I ricorrenti evidenziano che le disposizioni censurate lederebbero il diritto dei partiti alle pari opportunita' nelle competizioni elettorali in violazione degli articoli 3, 48, 49 e 51 della Costituzione e lamentano inoltre l'assenza di un «giusto processo» (o meglio di un rimedio effettivo ex art. 113 CEDU) che consenta ai partiti esclusi per insufficienza di firme di ottenere tutela giurisdizionale con ulteriore violazione degli articoli 24 e 113 Costituzione, atteso che il Governo, nuovamente violando l'art. 76 Costituzione, non aveva attuato i principi contenuti nella legge delega n. 69/2009, art. 44, comma 2, lettera b) che avrebbe consentito l'impugnazione delle operazioni elettorali preparatorie, tra le quali le ammissioni e le esclusioni di liste per il Parlamento. Tale effettiva tutela non sarebbe oggi garantita dalla «abnorme estensione dell'autodichia ex art. 66 Costituzione» che tale competenza attribuisce attualmente alla Camera. Il motivo e' privo di rilevanza per la considerazione che la violazione delle norme costituzionali inciderebbe, per come prospettata, sul diritto di elettorato passivo e non su quello di elettorato attivo, che non costituisce, come ormai piu' volte sottolineato, oggetto dell'accertamento richiesto. Con il sesto motivo vengono censurati l'art. 1, comma 1, lettera f); art. 2 commi 1, 25 capoverso «art. 83» della legge n. 52 del 2015 e 93 comma 2 n. 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 relativamente al turno di ballottaggio in relazione agli articoli 1, 3, 48 secondo comma, 49, 51, 56 primo e quarto comma, 67 Costituzione e art. 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nella parte in cui disciplinano il turno di ballottaggio e l'attribuzione, all'esito del premio di maggioranza. Secondo i ricorrenti il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza al secondo turno di ballottaggio tra liste viola il principio di ragionevolezza e di uguaglianza del voto, in quanto consente l'attribuzione del premio con modalita' che, senza adeguati correttivi, rischiano di premiare in modo abnorme una forza politica addirittura in modo inversamente proporzionale al grado di consenso ricevuto. Le disposizioni in esame attribuiscono il premio di maggioranza sulla base dei voti validi espressi nel turno, senza porre un correttivo quale, ad esempio, il raggiungimento di un quorum minimo al primo turno, con la conseguenza che potrebbe risultare vincitrice al ballottaggio una lista che in termini assoluti e' in realta' minoritaria; il voto dei cittadini che avesse scelto la lista di minoranza finirebbe, con l'esito del secondo turno, ad esprimere un voto di valore piu' che doppio rispetto al voto espresso dai cittadini che avessero, invece, votato altre liste. La questione di legittimita' non e' manifestamente infondata per i seguenti motivi. La Corte costituzionale, in ordine alla legge n. 270 del 2005, ha precisato che: «il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio e' pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di uguaglianza (art. 48, secondo comma della Costituzione). Esso infatti pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla funzione degli organi elettivi» (Corte cost. n. 1/2014). Ha dunque ravvisato la necessita' di individuare un limite per la legittima attribuzione del premio di maggioranza, dal quale il legislatore non puo' prescindere in sede di adozione di una legge elettorale. La legge n. 52 del 2015 prevede che nel caso in cui nessuna delle liste che partecipano alla competizione elettorale si aggiudichi la maggioranza dei seggi alla Camera, viene attribuito un premio di maggioranza alla formazione che abbia raggiunto almeno il 40% dei voti validi espressi. Nel caso in cui nessuna lista raggiunga almeno il 40% dei voti, e' previsto un ulteriore turno elettorale strutturato secondo il modello del ballottaggio di tipo binario, al quale hanno diritto di partecipare le sole prime due liste che al primo turno abbiano raggiunto il maggior numero di voti, con espresso divieto di collegamento tra liste o apparentamento tra i due turni di votazione, con esclusione della possibilita' di esprimere preferenze e con conteggio dei voti che tiene conto soltanto dei voti validi espressi nel turno di' ballottaggio. Il legislatore si e' limitato a prevedere che accedano al secondo turno le sole due liste piu' votate al primo turno, purche' abbiano raggiunto almeno la soglia del 3% (ovvero del 20% nel caso di liste espressione di minoranze linguistiche). In effetti, senza l'adozione di meccanismi che garantiscano una adeguata espansione della componente rappresentativa del voto (ovvero senza l'eliminazione del divieto di cui si e' detto) l'attribuzione del premio di maggioranza alla sola lista che, all'esito del ballottaggio, si aggiudichi il premio di maggioranza finisce per essere svincolata dalla esistenza di parametri oggettivi che consentano di affermare che lista vincitrice ha ottenuto quella «ragionevole soglia di voti minima» in presenza della quale e' possibile la legittima attribuzione del premio di maggioranza. Appare allora non manifestamente infondato il dubbio di conformita' a Costituzione espresso dai ricorrenti, in relazione agli articoli 1 secondo comma, 3, 48 secondo comma Costituzione, la' dove essi evidenziano, in accordo con le opinioni espresse da molti costituzionalisti, che l'attuale sistema, privo di correttivi, pone il concreto rischio che il premio venga attribuito a una formazione che e' priva di adeguata rappresentativita' nel corpo elettorale. Con l'ottavo motivo i ricorrenti censurano la non conformita', rispetto agli articoli 48 e 51 Costituzione, delle disposizioni di cui all'art. 2, comma 11, legge n. 52 del 2015 «sulle candidature multiple» nella parte in cui consentono al candidato capolista in piu' collegi di optare ad elezione avvenuta con successo, per un collegio piuttosto che per un altro, senza dare indicazioni sulle modalita' di esercizio di detta opzione e cosi' influendo in modo arbitrario e potenzialmente molto «pesante» sul voto di preferenza espresso dagli elettori a favore di un candidato che, senza l'opzione del capolista, verrebbe senz'altro eletto avendo raggiunto il numero maggiore di preferenze rispetto agli altri competitori della sua stessa lista. In questo modo non sono piu' gli elettori ad eleggere il candidato ma il candidato capolista a decidere in quale collegio farsi eleggere. Il motivo, nei termini suindicati, non appare manifestamente infondato, limitatamente alla disposizione che consente di operare la scelta del collegio senza alcun tipo di vincolo. Infatti, la libera scelta del candidato capolista e suscettibile di annullare il voto di preferenza degli elettori nel collegio optato dal capolista. In virtu' dell'opzione, e' del tutto possibile che il candidato che abbia ricevuto molte preferenze (addirittura il piu' votato in assoluto) sia superato da uno o piu' candidati di altri collegi con meno preferenze. L'assenza di qualsivoglia criterio al quale il capolista debba ispirarsi nella scelta rende impossibile per l'elettore effettuare valutazioni prognostiche. L'esigenza della governabilita' non puo' giustificare la scelta legislativa perche' l'esclusione di un candidato non condizionata dal numero di voti di preferenza ottenuti e' del tutto irrazionale e contraria al principio della rappresentativita'; la scelta normativa non e' rispettosa della volonta' espressa dagli elettori. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, devono essere dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' sollevate nel giudizio, tutte indicenti sulle modalita' di esercizio della sovranita' popolare (art. 1 Cost., comma 2, 3, 48 II comma Cost.), aventi ad oggetto: l'art. 1, comma 1, lettera f) sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione e art. 2 comma 25 «art. 83» relativamente al novellato comma 5: «Qualora la verifica di cui al comma 1, numero 5), abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio fra le liste che abbiano ottenuto al primo turno le due maggiori cifre elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di cui ai comma 1, numero 3). Alla lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi al turno di ballottaggio l'Ufficio assegna 340 seggi. L'Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti seggi tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi del comma 3. L'Ufficio procede quindi all'assegnazione dei seggi ai sensi del comma 4.», della legge n. 52 del 2015; l'art. 85 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52 del 2015. Con il quattordicesimo motivo i ricorrenti denunciano l'illegittimita' costituzionale degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 553, come modificati dall'art. 4, commi 7 e 8, della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, per violazione degli articoli 1, 3, 48, 49 e 51 Cost. Secondo i ricorrenti tali norme, in maniera irragionevole, prevedrebbero soglie di accesso per il Senato pari al doppio della Camera (8% per le liste e 20% per le coalizioni) e senza le stesse eccezioni per le liste coalizzate. In questo modo i candidati con lo stesso numero di voti avrebbero meno possibilita' al Senato rispetto alla Camera e a causa delle soglie di accesso piu' elevate e i partiti o gruppi politici non potrebbero presentarsi con le stesse liste alla Camera e al Senato. I motivi appaiono manifestamente infondati perche' la previsione di soglie diverse per la Camera ed il Senato non lede le norme costituzionali previste dagli articoli 1, 3, 48, 49 e 51 Cost. Rispetto all'art. 1 Cost. non sono esplicitati i motivi per cui la piu' elevata soglia di accesso rispetto alla Camera possa essere contraria alle affermazioni di principio contenute nella disposizione. Rispetto all'art. 3 Cost. i ricorrenti fanno questione di disparita' di trattamento tra candidati che ottengano il medesimo numero di voti a seconda che concorrano per la Camera o il Senato. Ora, a parte la considerazione che tale censura appare attenere piu' al diritto di elettorato passivo che a quello attivo, che costituisce oggetto della controversia, la disparita' di trattamento tra i due tipi di candidati trova giustificazione ragionevole nella circostanza che per il Senato il numero dei seggi e' la meta' di quello della Camera, percio' e' ragionevole che possa avere accesso alla carica di senatore chi gode di un piu' ampio consenso. Non si ritiene sussistere contrasto con l'art. 48 Cost., perche' la semplice previsione di una soglia di accesso piu' elevata per il Senato non e' suscettibile di per se' di creare discriminazioni tra gli elettori. Analogamente non viola il diritto dei cittadini di associarsi liberamente, e con cio' viene in considerazione l'art. 49 Cost. Infine, quanto all'art. 51 Cost. la maggiore soglia prevista per il Senato non determina di per se' discriminazioni legate al genere o alla cittadinanza, ma per la verita' simili profili di illegittimita' non sono nemmeno allegati. Vi sono nell'ultima parte del ricorso diverse censure di incostituzionalita' sollevate dai ricorrenti in ordine alla partecipazione alle competizioni elettorali e alla ripartizione dei seggi da parte di minoranze linguistiche del Friuli-Venezia Giulia. Innanzitutto secondo i ricorrenti la soglia del 20% per la partecipazione del riparto tra i seggi andrebbe a discapito dei movimenti «di carattere locale ed etnico-linguistico». Essa violerebbe gli articoli 2, 3 e 6 Cost. La censura e' manifestamente infondata per i seguenti motivi. Precisato preliminarmente che sussiste interesse dei ricorrenti solo per quanto concerne la minoranza friulanofona (hanno dichiarato di appartenere tutti solo a tale minoranza), va fatta una premessa di carattere generale. La tutela delle minoranze linguistiche contemplata dall'art. 6 della Cost. si concretizza innanzitutto nell'affermazione del principio di uguaglianza formale e di non discriminazione sulla base del fattore linguistico (tutela negativa), e poi anche nella predisposizione di interventi di sostegno idonei a realizzare l'uguaglianza sostanziale (tutela positiva). Il Costituente ha rinviato ad «apposite norme» la tutela positiva delle minoranze linguistiche. Tali norme sono state a volte trasfuse in legge costituzionale, come nel caso delle regioni a statuto speciale, altre volte in leggi ordinarie. Ragioni storiche hanno comportato che per alcune minoranze vi fosse una tutela piu' forte, come e' avvenuto per la minoranza francofona in Valle d'Aosta e tedesca in Trentino-Alto Adige. In Friuli-Venezia Giulia lo statuto regionale - diversamente da quelli della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige - non contiene disposizioni ulteriori e specificamente rivolte alla garanzia delle minoranze localizzate nella Regione; quella slovena ha ricevuto sin da subito dalla Corte costituzionale la qualificazione di «minoranza riconosciuta» per effetto del Memorandum di Londra del 1954 e del Trattato di Osimo del 1975. E' intervenuta infine la legge n. 482/199 che in attuazione dell'art. 6 Cost. ha inteso tutelare i diritti linguistici delle minoranze, tra cui quella friulanofona. Non vi e' nessuna norma costituzionale che assicuri alle minoranze linguistiche la presenza di un loro rappresentante in Parlamento. Tanto premesso, si rileva che sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost. non si ravvisa altra minoranza linguistica (ne viene indicata) rispetto alla quale vi sarebbe disparita' di trattamento. Rispetto all'art. 6 Cost., si e' gia' posto in evidenza che la norma non assicura alle minoranze linguistiche la partecipazione attraverso un loro rappresentante alla formazione del Parlamento. Rispetto all'art. 2 Cost. pure non si ravvisano, e per la verita' non sono allegate, ragioni di contrasto. I ricorrenti ritengono che la previsione di due collegi elettorali nella Regione da parte del decreto legislativo n. 122/2015 ed in generale l'individuazione di simili collegi attraverso lo strumento normativo del decreto delegato contrasti con l'art. 72 Cost., che consentirebbe la delega legislativa solo per testi normativi compilativi. Non e' corretta l'affermazione per cui non sia costituzionalmente legittimo l'uso del decreto legislativo per introdurre nuove norme. Invero, la lettera della norma costituzionale (l'art. 76 Cost.) e' chiara nel senso di attribuire al Parlamento il potere di delegare al Governo la funzione legislativa, purche' in una materia sulla quale la Costituzione non preveda una riserva di legge formale. I ricorrenti non si dolgono, in questo specifico motivo della violazione di una riserva di tal fatta ne' della violazione dei criteri direttivi dati nella delega. La violazione dei criteri direttivi viene invece denunciata in ordine alla lettera c) dell'art. 4 legge n. 52/2015 che prevede il rispetto delle aree linguistiche delle comunita' linguistiche autoctone legislativamente riconosciute. La norma prevede: «Nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute, la delimitazione dei collegi, anche in deroga ai principi e ai criteri indicati nella presente lettera, deve tenere conto dell'esigenza di agevolare la loro inclusione nel minor numero possibile di collegi». Si ritiene che il motivo sia manifestamente infondato in quanto le disposizioni censurate non prevedono che per la formazione dei collegi siano rispettati in maniera assoluta le aree geografiche in cui sono presenti le minoranze riconosciute, ma solo che queste siano eccessivamente frammentate, finalita' realizzata con la previsione di soli due collegi.
P.Q.M. Il Tribunale di Trieste dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione agli articoli 1 comma 2, 3 e 48 comma 2 Costituzione, le questioni di legittimita' sollevate in relazione agli articoli: 1, comma 1, lettera f) della legge n. 52 del 2015; 2, comma 25 «art. 83» della legge n. 52 del 2015 in relazione al novellato comma 5; 85, decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52 del 2015. Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al presidente del Senato della Repubblica e al presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazione, alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione agli articoli 1 comma 2, 3 e 48 comma 2 Costituzione, le questioni di legittimita' sollevate in relazione agli articoli: 1, comma 1, lettera f) della legge n. 52 del 2015; 2, comma 25 «art. 83» della legge n. 52 del 2015 in relazione al novellato comma 5; 85, decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52 del 2015. Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazione, alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso fino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al presidente del Senato della Repubblica e al presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. Trieste, 5 ottobre 2016 Il Giudice: Pacilio