N. 73 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 novembre 2016
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 novembre 2016 (della Regione Liguria). Bilancio e contabilita' pubblica - Equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali - Disciplina delle operazioni di indebitamento delle Regioni e degli enti locali - Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali. - Legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), artt. 2, comma 1, lett. c); 3, comma 1, lett. a); e 4, comma 1, lett. b) e c).(GU n.51 del 21-12-2016 )
Ricorso ex art. 127 Cost. della Regione Liguria (C.F.
00849050109), in persona del Presidente della Giunta Regionale pro
tempore, dott. Giovanni Toti, autorizzato con delibera di Giunta
Regionale n. 959 del 25 ottobre 2016 (doc. 1), rappresentata e difesa
dall'avv. prof. Fabio Cintioli (C.F. CNTFBA62M23F158G
fabiocintioli@ordineavvocatiroma.org - fax 0668892383), giusta
procura speciale a margine del presente atto ed elettivamente
domiciliata presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 32;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (C.F.
80188230587), domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi,
Piazza Colonna n. 370, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale degli artt. 2, comma 1 lettera c); 3, comma 1, lettera
a); 4, comma 1 lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164,
recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di
equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli Enti Locali», per
violazione, tra l'altro, degli articoli 117, sesto comma, della
Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b)
della legge costituzionale n. 1 del 2012, e del principio di leale
collaborazione anche in relazione agli artt. 5, 114 e 117 della
Costituzione.
Fatto
Le disposizioni qui impugnate sono gli artt. 2, comma 1, lettera
c); 3, comma 1 lettera a); 4, comma 1, lettere b) e c) della legge 12
agosto 2016, n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012,
n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli
Enti Locali»; la prima delle disposizioni per violazione degli
articoli 117, sesto comma, 5 e 114 della Costituzione, nonche' per
violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge
costituzionale n. 1 del 2012, le altre per la violazione del
principio di leale collaborazione anche in relazione agli artt. 5 e
114 della Costituzione.
Tali disposizioni hanno introdotto modifiche alla legge n. 243
del 2012, ed in particolare agli artt. 10 («Ricorso all'indebitamento
da parte delle Regioni e degli Enti Locali»), 11 («Concorso dello
Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni
fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi
eccezionali») e 12 («Concorso delle Regioni e degli Enti Locali alla
sostenibilita' del debito pubblico»). Tali modifiche hanno fatto
seguito alla pronuncia della sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 88
del 10 aprile 2014.
Tali modifiche, come si vedra' tra breve, non hanno pero' tenuto
in conto quanto deciso da codesta Corte ed hanno riproposto
illegittimita' costituzionali analoghe a quelle a suo tempo rilevate
nella sentenza n. 88 del 2014.
Per garantire un'uniformita' di esposizione e, al tempo stesso,
l'opportuna sintesi, si affronteranno partitamente le censure che
riguardano le singole disposizioni impugnate, mettendo previamente a
confronto quando necessario il testo della vecchia disposizione, la
relativa pronuncia resa da codesta Corte con la citata sentenza n.
88/2014 e, infine, il testo della nuova disposizione. In tal modo,
emergeranno con evidenza i vizi di illegittimita' costituzionale
(anche) della nuova normativa.
Le disposizioni in epigrafe sono costituzionalmente illegittime e
vengono impugnate da Regione Liguria per i seguenti motivi di
Diritto
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera c),
della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione degli artt. 117,
sesto comma, 5 e 114 della Costituzione, nonche' per violazione
dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge costituzionale n. 1 del
2012
1. Con il primo motivo di ricorso si censura l'art. 2, comma 1,
lettera c), della legge 12 agosto 2016, n. 164, il quale ha
modificato il comma 5 dell'art. 10 legge n. 243/2012.
L'art. 10 cit., prima della modifica, prevedeva che:
«1. Il ricorso all'indebitamento da parte delle regioni, dei
comuni, delle province, delle citta' metropolitane e delle province
autonome di Trento e di Bolzano e' consentito esclusivamente per
finanziare spese di investimento con le modalita' e nei limiti
previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato.
2. In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono
effettuale solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento
di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei quali
sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli
esercizi finanziari futuri nonche' le modalita' di copertura degli
oneri corrispondenti.
3. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 sono
effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale
che garantiscano, per l'anno di riferimento, l'equilibrio della
gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della
regione interessata, compresa la medesima regione, come definito
dall'articolo 9, comma 1, lettera a). A tal fine, ogni anno i comuni,
le province e le citta' metropolitane comunicano alla regione di
appartenenza ovvero alla provincia autonoma di appartenenza, secondo
modalita' stabilite con il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri di cui al comma 5 del presente articolo, il saldo di cassa
di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a), che l'ente locale prevede
di conseguire, nonche' gli investimenti che intende realizzare
attraverso il ricorso all'indebitamento o con i risultati di
amministrazione degli esercizi precedenti. Ciascun ente territoriale
puo' in ogni caso ricorrere all'indebitamento nel limite delle spese
per rimborsi di prestiti risultanti dal proprio bilancio di
previsione.
4. Qualora, in sede di rendiconto, non sia rispettato
l'equilibrio di cui al comma 3, primo periodo, il saldo negativo
concorre alla determinazione dell'equilibrio della gestione di cassa
finale dell'anno successivo del complesso degli enti della regione
interessata, compresa la medesima regione, ed e' ripartito tra gli
enti che non hanno rispettato il saldo previsto.
5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
adottato d'intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalita' di
attuazione del presente articolo».
2. Il comma 5 di tale disposizione era stato impugnato in via
principale dinanzi a codesta Corte per tre distinte ragioni:
(i) per violazione dell'art. 117, comma 6, Cost., nella
misura in cui affidava allo Stato un potere di adottare atti
regolamentari oltre i limiti di competenza segnati dalla
Costituzione;
(ii) per violazione dell'art. 5, comma 2, lettera b) legge
Costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, il quale assegna ad una legge
ordinaria rinforzata (e non certo ad un decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri) la disciplina sull'indebitamento delle
Regioni;
(iii) per violazione del principio di leale collaborazione,
in quanto prevedeva che il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri fosse adottato d'intesa non con la Conferenza unificata ma
con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo
parziale e con esclusione delle Regioni.
3. Sul punto, con la sentenza n. 88 del 2014, codesta Corte ha
rilevato che, seppur l'art. 5, comma 2, lettera b), della legge
costituzionale n. 1 del 2012 «prevede l'adozione di una disciplina
statale attuativa che non appare in alcun modo limitata ai principi
generali e che deve avere un contenuto eguale per tutte le autonomie»
e, pertanto, che «la circostanza che la normativa censurata abbia un
contenuto dettagliato e il fatto che sia piu' rigorosa di quella
contenuta negli statuti delle ricorrenti non comportano violazione
del parametro costituzionale», la disposizione impugnata (il comma 5
cit.) risultava nondimeno in contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost.
e con l'art. 5, legge Cost. citata.
Per ricavare tale illegittimita', codesta Corte ha proceduto a
verificare in concreto «l'ambito operativo del decreto in parola
(decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 10, comma
5, cit.) e, in particolare, se esso abbia un contenuto meramente
tecnico». Ed infatti, «se e' indubbiamente corretto, infatti, il
rilievo delle ricorrenti, secondo cui la disciplina della materia e'
affidata dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 alla legge
rinforzata, e' anche vero che la natura stessa dell'atto legislativo
esclude che esso debba farsi carico di aspetti della disciplina che
richiedono solo apporti tecnici, cosicche' questa Corte ha affermato
la legittimita' di un tal genere di disciplina con riferimento al
parametro di cui all'art. 117, sesto comma, Cost. (sentenze n. 139
del 2012 e n. 278 del 2010)».
In altre parole, la sentenza osservava che, vuoi in relazione ai
limiti posti dell'art. 117, comma 6, vuoi in relazione a quelli
fissati dal rinvio alla legge ordinaria (oltretutto rinforzata)
disposto dall'art. 5, comma 2, lettera b), poteva si' concedersi
l'intervento in fase esecutiva di un decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri; a patto, pero', che esso avesse un contenuto
meramente tecnico, con esclusione di qualsivoglia potere
discrezionale.
Tale verifica e' stata quindi effettuata esaminando il comma 5 in
questione con riferimento agli altri commi del medesimo articolo 10,
al fine di individuare «l'effettivo spazio precettivo nel quale esso
e' chiamato a muoversi».
4. Nell'ambito di tale verifica «in concreto» codesta Corte ha
rilevato la legittimita' della disposizione in questione con
riferimento ai commi 1 e 2 dell'art. 10 cit., trattandosi,
rispettivamente, di precetti che, in larga parte, non richiedevano
«l'individuazione di criteri e modalita' di attuazione» e che
sembravano compatibili col predetto contenuto meramente tecnico del
decreto. Pertanto, rispetto ad essi, nessun concreto compito
ulteriore veniva assegnato al decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri in questione.
Con riferimento, invece, ai commi 3 e 4, la valutazione della
Corte e' stata differente, in quanto tali commi prevedevano
adempimenti per i quali il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri avrebbe avuto natura discrezionale e non soltanto tecnica.
In particolare, rispetto al comma 4, la Corte ha rilevato che
esso «disciplina, in caso di mancato rispetto dell'equilibrio del
bilancio regionale allargato, la ripartizione del saldo negativo tra
gli enti territoriali inadempienti, e in questo ambito il decreto
potrebbe intervenire a specificare i criteri di riparto. La
definizione del suo compito in termini cosi' ampi (l'individuazione
di "criteri e modalita' di attuazione") potrebbe qui comportare
l'esercizio di un potere tanto di natura meramente tecnica, quanto di
natura discrezionale. Per evitare tale ultima evenienza e quindi per
ricondurre a legittimita' costituzionale la norma impugnata, deve
essere riservato al decreto un compito attuativo meramente tecnico».
La sentenza ha cosi' concluso che «per ricondurre a legittimita'
costituzionale la norma impugnata, deve essere riservato al decreto
un compito attuativo meramente tecnico» ed ha pertanto rilevato
l'illegittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 10 «nella parte
in cui non prevede la parola "tecnica", dopo le parole "criteri e
modalita' di attuazione" e prima delle parole "del presente
articolo"».
Ci si trovava al cospetto dunque di una sentenza additiva, con la
quale si censurava (e si integrava) l'omissione del legislatore per
non aver specificato che il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri avrebbe potuto dettare criteri e modalita' attuative
unicamente di natura tecnica.
5. Nonostante la norma risultasse cosi' emendata dalla violazione
costituzionale, il legislatore e' intervenuto con le disposizioni
oggi impugnate, le quali, modificando i commi 3, 4 e 5, finiscono per
perpetuare sostanzialmente la medesima illegittimita' costituzionale
gia' rilevata.
Infatti, il nuovo art. 10, legge n. 243/2012, modificato
dall'art. 2 della legge n. 164/2016, prevede che:
«1. Il ricorso all'indebitamento da parte delle regioni, dei
comuni, delle province, delle citta' metropolitane e delle province
autonome di Trento e di Bolzano e' consentito esclusivamente per
finanziare spese di investimento con le modalita' e nei limiti
previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato.
2. In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono
effettuate solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento
di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei quali
sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli
esercizi finanziari futuri nonche' le modalita' di copertura degli
oneri corrispondenti.
3. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le
operazioni di investimento realizzate attraverso l'utilizzo dei
risultati di amministrazione degli esercizi precedenti sono
effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale
che garantiscano, per l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di
cui all'articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali
della regione interessata, compresa la medesima regione.
4. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le
operazioni di investimento realizzate attraverso l'utilizzo dei
risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, non
soddisfatte dalle intese di cui al comma 3, sono effettuate sulla
base dei patti di solidarieta' nazionali. Resta fermo il rispetto del
saldo di cui all'articolo 9, comma 1, del complesso degli enti
territoriali.
5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da
adottare d'intesa con la Conferenza unificata, sono disciplinati
criteri e modalita' di attuazione del presente articolo, ivi incluse
le modalita' attuative del potere sostitutivo dello Stato, in caso di
inerzia o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano. Lo schema del decreto e' trasmesso alle Camere
per l'espressione del parere delle commissioni parlamentari
competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono
espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il
decreto puo' essere comunque adottato».
6. Come si vede, il nuovo comma 5 mantiene le medesime
illegittimita' gia' censurate da codesta Corte. E cio' non soltanto
dal punto di vista formale, nella misura in cui non conserva piu' la
specificazione del carattere meramente tecnico (e non discrezionale)
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ritenuta
necessaria dalla sentenza n. 88 del 2014, ma anche dal punto di vista
sostanziale, sol che si compia una analisi del tipo di quella
effettuata con la sentenza n. 88/2014, ovvero una analisi nella quale
la natura (meramente tecnica ovvero anche discrezionale) del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri viene verificata in
relazione agli adempimenti ad esso riservati dai commi che precedono.
In questo senso, allora, si osserva che il nuovo comma 3 ha si'
eliminato ogni specifico e diretto riferimento al decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5 (ai fini
della comunicazione del saldo di cassa e degli investimenti che si
intendono realizzare). Tuttavia, lo stesso comma 5 prevede oggi - con
formula onnicomprensiva - che il decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri deve disciplinare criteri e modalita' di attuazione di
tutti gli adempimenti previsti nell'articolo 10 e, dunque, ancora una
volta, anche i criteri e le modalita' per garantire il rispetto dello
stesso saldo di cassa di cui all'art. 9, comma 1, legge n. 243/2012.
Analogamente, il nuovo comma 4 elimina la previsione del riparto
del saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti, con cio'
apparentemente sanando l'illegittimita' rilevata nella sentenza n.
88/2014. E tuttavia, nella misura in cui prevede che «resta fermo il
rispetto del saldo di cui all'articolo 9, comma 1, del complesso
degli enti territoriali» sottintende e rimette al decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri il compito di definire criteri
e modalita' per garantire tale rispetto da parte della Regione.
Non si dimentichi quanto appena rimarcato: ai sensi del comma 5,
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha competenza
per l'attuazione di tutto l'articolo 10. Ed i commi 3 e 4, benche'
novellati, conservano il riferimento ad adempimenti che implicano che
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri eserciti una
qualche potesta' di tipo discrezionale.
In cio' si manifesta anzitutto la violazione dell'art. 117, comma
6, della Costituzione nella parte in cui la disposizione in
questione, ancora una volta, finisce per concedere allo Stato di
adottare atti regolamentari in una materia concorrente e dunque in
una materia nella quale la potesta' regolamentare spetta alle
Regioni.
Si aggiunga oltretutto che, come rilevato nella stessa sentenza
n. 88 del 2014 (par. 6), la (nuova) materia esclusiva statale
dell'armonizzazione dei bilanci pubblici «non puo' essere
interpretata cosi' estensivamente da coprire l'intero ambito
materiale regolato dalla legge n. 243 del 2012», dovendosi ricondurre
in particolare la disciplina dell'indebitamento delle autonomie
territoriali al coordinamento della finanza pubblica.
Non solo.
E' evidente anche la violazione dell'art. 5, comma 2, lettera b),
legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che assegna ad una legge
ordinaria rinforzata la disciplina sull'indebitamento delle Regioni;
e non gia' ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
che, come gia' rilevato da codesta Corte, in tanto puo' trovare qui
spazio, in quanto abbia un compito meramente attuativo-esecutivo, di
natura meramente tecnica.
Infine, dal momento che il comma 5 conteneva ormai l'esplicito
riferimento alla natura tecnica del decreto grazie alla addizione
fatta dalla sentenza n. 88 del 2014, il fatto che la volonta'
legislativa trasfusa nel nuovo comma 5 abbia eliminato questo
aggettivo sembra ancor piu' avallare l'interpretazione che al decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri si sia voluto assegnare, in
realta', un contenuto che va oltre questo ristretto confine;
riassegnando al regolamento un potere discrezionale.
7. Si vuole qui ancora precisare che la rilevata illegittimita'
non puo' certo dirsi sanata dalla previsione che il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 10, comma 5, sia
adottato all'esito di Intese con la Conferenza unificata, cosi'
modificando l'originario tenore della disposizione, che si riferiva
ad una intesa da raggiungere in sede di Conferenza permanente.
Infatti codesta Corte, nel dichiarare l'illegittimita'
costituzionale del comma 5 nella sua vecchia formulazione, aveva
ritenuto di poter prescindere da questo profilo, affermando che la
previsione di un'intesa con la Conferenza permanente appariva «una
garantita procedimentale in se' sufficiente del coinvolgimento delle
autonomie». La violazione dell'art. 5, legge Cost. n. 1/2012 dunque
sussisteva - e sussiste ancora oggi - per il solo fatto di aver
riservato la disciplina attuativa sull'indebitamento delle Regioni ad
una fonte di natura regolamentare (non esplicitamente confinata entro
un ristretto contenuto tecnico), anziche' ad una legge ordinaria
rinforzata. Questa illegittimita' non e' in alcun modo eliminata per
via della comparsa della Conferenza unificata.
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettere b) e
c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione del principio
di leale collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della
Costituzione
1. Con il secondo motivo di ricorso si censura l'art. 4, comma 1,
lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, il quale ha
modificato il comma 2, dell'art. 12, legge n. 243/2012 ed abrogato il
comma 3 del medesimo articolo.
Anche in questo caso, pare opportuno partire dall'esame della
vecchia formulazione dei commi 2 e 3 dell'art. 12, secondo cui:
«... 2. Nelle fasi favorevoli del ciclo economico, i documenti di
programmazione finanziaria e di bilancio, tenendo conto della quota
di entrate proprie degli enti di cui al comma 1 influenzata
dall'andamento del ciclo economico, determinano la misura del
contributo del complesso dei medesimi enti al Fondo per
l'ammortamento dei titoli di Stato. Tale contributo e' incluso tra le
spese di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a).
3. Il contributo di cui al comma 2 e' ripartito tra gli enti di
cui al comma 1 con decreto del Presidente del consiglio dei ministri,
sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica, tenendo conto della quota di entrate proprie di ciascun
ente influenzata dall'andamento del ciclo economico. Lo schema del
decreto e' trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da
parte delle Commissioni competenti per i profili di carattere
finanziario. I pareri sono espressi entro trenta giorni dalla
trasmissione, decorsi i quali il decreto puo' essere comunque
adottato».
Risulta chiaro che il comma 2 dell'art. 12 prevedeva che la
misura complessiva del contributo delle Regioni e degli Enti locali
al Fondo per l'Ammortamento dei titoli di Stato fosse determinato con
legge dello Stato. A sua volta, il comma 3 stabiliva che la
ripartizione fra gli Enti interessati di tale contributo sarebbe
avvenuta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
sentita la Conferenza permanente.
2. Proprio il comma 3 appena citato e' stato oggetto di
impugnazione dinanzi a codesta Corte per violazione del principio di
leale collaborazione, nella misura in cui prevedeva che il decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri fosse adottato sentita la
Conferenza permanente, anziche' d'intesa con la Conferenza unificata.
Con la pronuncia dianzi richiamata (la n. 88 del 2014), codesta
Corte (al punto 10.3) ha ritenuto sussistente la violazione del
principio di leale collaborazione per via del mancato e necessario
pieno coinvolgimento delle Regioni, affermando che «e' necessario, in
primo luogo, che il procedimento si svolga nell'ambito non della
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica,
bensi' della Conferenza unificata, in modo da garantire a tutti gli
enti territoriali la possibilita' di collaborare alla fase
decisionale. Ed e' anche necessario che tale collaborazione assuma la
forma dell'intesa, considerate l'entita' del sacrificio imposto e la
delicatezza del compito cui la Conferenza e' chiamata».
Dunque, la Corte ha concluso che «il comma 3 dell'art. 12,
pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui prevede che "Il contributo di cui al comma 2 e'
ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica", anziche' "Il contributo di cui
al comma 2 e' ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni"».
Si e' trattato in questo caso di una pronuncia manipolativa di
tipo sostitutivo, derivando l'illegittimita' della norma dalla
previsione di una certa prescrizione anziche' di un'altra. La
pronuncia conteneva in se' la decisione di incostituzionalita' della
legge per quello che essa diceva e, al tempo stesso, una decisione
aggiuntiva per quel che essa non diceva.
3. La nuova norma, per come risultante dalle modifiche normative
oggetto di censura, abroga il comma 3 che era, appunto, oggetto della
sentenza sostitutiva, mantenendo tuttavia inalterata la violazione
del principio di leale collaborazione gia' rilevato da codesta Corte.
Il nuovo comma 2, invero, prevede oggi che «Fermo restando quanto
previsto dall'articolo 9, comma 5, gli enti di cui al comma 1, tenuto
conto dell'andamento del ciclo economico, concorrono alla riduzione
del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche attraverso
versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato secondo
modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto dei principi
stabiliti dalla presente legge». In altre parole, la norma stabilisce
che le Regioni concorrono alla riduzione del debito delle
Amministrazioni con versamenti al Fondo da effettuarsi con modalita'
definite con legge dello Stato. Legge che ha oggi un ruolo
onnicomprensivo perche' assorbe anche i compiti prima assegnati al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativi ai
criteri di ripartizione gia' oggetto delle valutazioni della sentenza
n. 88 del 2014.
4. Ora, pur potendosi apparentemente ritenere che la norma abbia
introdotto elementi rilevanti per mettere in dubbio l'illegittimita'
costituzionale, avendo affidato la definizione delle modalita' di
riparto ad una legge dello Stato, anziche' al decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, cio' non elimina affatto il ripetersi
della violazione.
Ed infatti, l'aver previsto che sia una legge dello Stato a
definire tali aspetti non e' di per se' dirimente, atteso che la
stessa legge dello Stato verra' adottata senza alcun coinvolgimento
delle Regioni e, dunque, in perpetrata violazione del principio di
leale collaborazione.
La sentenza di codesta Corte, per cio' che riguarda questo
profilo, non aveva appuntato la propria attenzione sul tipo di fonte
utilizzata, bensi' sul fatto che le modalita' di riparto avvenissero
senza una reale collaborazione Stato-Regioni.
Evidente e' dunque la violazione del principio di leale
collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della Costituzione in
quanto la nuova norma perpetua il vizio di illegittimita'
costituzionale gia' rilevato da codesta Corte con la sentenza n.
88/2014 (punto 10.3) nella parte in cui affida allo Stato il compito
di definire le modalita' di contribuzione e riparto, senza alcun
coinvolgimento delle Regioni.
Il tutto abrogando un comma che era stato oggetto di pronuncia
sostitutiva da parte di codesta Corte proprio per assicurare il
rispetto delle prerogative regionali.
Di qui la denunciata illegittimita' costituzionale.
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a),
della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione del principio di
leale collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della
Costituzione
1. Con il presente motivo si impugna, denunciandone
l'illegittimita' costituzionale, l'articolo 3, comma 1, lettera a)
della legge 12 agosto 2016, n. 164, col quale e' stato interamente
sostituito il comma 1 dell'art. 11 della legge n. 243 del 2012, il
cui tenore e' divenuto il seguente: «Fermo restando quanto previsto
dall'articolo 9, comma 5, e dall'articolo 12, comma 1, lo Stato, in
ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi
eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli essenziali delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili
e sociali, secondo modalita' definite con leggi dello Stato, nel
rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge». Questo comma
oggi esaurisce il contenuto del medesimo art. 11, dato che gli altri
due commi sono stati nel contempo abrogati dall'art. 3, comma 1,
lettera b) della medesima legge n. 164 del 2016.
Nel suo tenore precedente l'art. 11, che pur esso era stato in
parte scrutinato da codesta Corte nella richiamata sentenza n. 88 del
2014 (par. 10.1 e 10.2), disciplinava il funzionamento di un Fondo
straordinario per il concorso dello Stato, per le fasi avverse del
ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, da destinare
al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali,
alimentato da quota parte delle risorse derivanti dal ricorso
all'indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti del
ciclo economico del saldo del conto consolidato. Si prevedeva,
altresi', nell'originario primo comma, il riferimento ad una quota di
entrate proprie degli enti territoriali «di cui all'art. 10, comma
1». Inoltre, dopo aver previsto nel comma 2 un raccordo con gli
obiettivi programmatici indicati all'art. 6, si aggiungeva al comma 3
che il riparto a favore degli enti territoriali sarebbe avvenuto con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica,
tenendo conto della quota di entrate proprie di ciascun ente
influenzata dall'andamento del ciclo economico e degli effetti degli
eventi.
In altre parole, l'art. 11 della legge n. 243 del 2012 recava una
misura di accantonamento finanziario imperniata sull'azione e sulle
risorse dello Stato, evidentemente tenendo anche conto delle entrate
proprie degli enti territoriali, con la finalita' di tutelare i
livelli essenziali delle prestazioni e l'esercizio delle funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Una finalita',
sottolineava oltretutto la sentenza n. 88 del 2014 (par. 10.2.), che
non puo' andare disgiunta da quella che attiene alla garanzia del
rigore finanziario. La disposizione si saldava cosi', osservava
codesta Corte, con l'originario testo dell'art. 12, rivelando la
«connessione esistente fra i due articoli» e, per quanto attiene
all'art. 11, essa era considerata una norma «favorevole» all'allora
ricorrente Provincia autonoma di Trento, che l'aveva impugnata
esclusivamente per coerenza organica con le censure rivolte contro
l'art. 12.
Ebbene, la modifica introdotta con la norma qui impugnata
modifica in modo profondo il contenuto dell'articolo.
In esso, ormai, la provvista per far fronte alla tutela dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali vede unicamente il
concorso dello Stato (lo Stato, appunto, concorre) mentre restano
viceversa fermi e appositamente richiamati ex novo: (i) quanto
previsto dall'art. 9, comma 5, che prevede la facolta' statale di
imporre ulteriori obblighi a carico degli enti territoriali; (ii)
quanto previsto dall'art. 12, comma 1, che ribadisce il necessario
concorso degli enti territoriali ad assicurare la sostenibilita' del
debito del complesso delle amministrazioni pubbliche, secondo
modalita' definite con legge dello Stato.
Pertanto, in luogo del Fondo a cura dello Stato compare nell'art.
11 il piu' blando concorso statale, in una con la rivendicazione del
potere dello Stato stesso di imporre agli enti territoriali
rilevantissimi oneri finanziari.
Se pure le finalita' solidaristiche che sono prese in
considerazione da questa riforma possano richiedere, anche per la
specifica funzione dell'art. 11, un sacrificio delle autonomie
territoriali e l'incidenza sulla loro autonomia finanziaria,
nondimeno risulta evidente la violazione del principio di leale
collaborazione, e con esso, degli artt. 5 e 114 Cost., nella parte in
cui non prevedono il loro coinvolgimento nelle relative decisioni
sulla provvista da assicurare per provvedere alla garanzia dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali (Corte cost.,
sentenze n. 139 del 2012; n. 165 del 2011; ed ovviamente n. 88 del
2014).
Questa illegittimita' costituzionale sussiste per almeno tre
concorrenti profili.
In primo luogo, per la parte in cui non e' stato previsto il
coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome e delle altre
autonomie nella forma di una previa intesa in Conferenza unificata, o
quantomeno di un parere, per cio' che attiene all'individuazione
della misura dell'accantonamento e/o della provvista da destinare a
questa finalita'. Il che, oltretutto, genera anche gravissime
inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze, dal momento
che le Regioni, specialmente per le funzioni da esse svolte nel campo
sanitario, hanno la visione e la disponibilita' di dati conoscitivi
ed elementi di valutazione che sono cruciali per calibrare l'entita'
dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali. Essenziale,
quindi, sarebbe stato prevedere l'intesa o quantomeno un parere da
acquisire nella sede della Conferenza unificata.
In secondo luogo, l'imposizione di questi obblighi di
contribuzione delle Regioni e degli enti territoriali (e quindi la
fissazione del loro importo totale), lapidariamente fondati sul
richiamo all'art. 9, comma 5 ed all'art. 12, comma 1, della medesima
legge n. 243 del 2012, genera una compressione dell'autonomia
finanziaria tale che potrebbe giustificarsi, ancora una volta, solo
rispettando il principio di leale collaborazione e quindi previa
intesa in sede di Conferenza unificata.
In terzo luogo, il rispetto del principio di leale collaborazione
avrebbe dovuto altresi' essere rispettato per quanto attiene alla
scelta - comunque necessaria, benche' non garantito nella
disposizione - di come ripartire l'onere del concorso finanziario a
carico degli enti territoriali. Possono ancora una volta richiamarsi
in proposito le considerazioni svolte da codesta Corte nella sentenza
n. 88 del 2014, a proposito della rilevata illegittimita'
costituzionale del testo originario dell'art. 12, comma 3, della
legge n. 243 del 2012. Il necessario e pieno coinvolgimento delle
Regioni richiede allora sia un previo passaggio procedimentale che
coinvolga la Conferenza unificata sia una collaborazione che assuma
la forma dell'intesa.
Per questi motivi, Regione Liguria chiede che sia dichiarata
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate.
P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso
e per l'effetto, dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 2, comma 1, lettera c); 3, comma 1, lettera a); 4, comma 1
lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, recante
«Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di
equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli Enti Locali», per
violazione degli articoli 117, sesto comma, della Costituzione,
nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge
costituzionale n. 1 del 2012, e del principio di leale collaborazione
e con esso degli artt. 5 e 114 della Costituzione, per le ragioni
sopra esposte.
Si produce la delibera di G.R. n. 959 del 25 ottobre 2016 (doc.
1).
Roma, addi' 27 ottobre 2016
Prof. avv.: Cintioli