N. 286 SENTENZA 8 novembre - 21 dicembre 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Stato civile - Attribuzione automatica del cognome paterno al  figlio
  nato  in  costanza  di  matrimonio,  in  presenza  di  una  diversa
  contraria volonta' di entrambi i genitori. 
- Norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile,  72,
  primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238  (Ordinamento
  dello stato civile), e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000,  n.  396
  (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento
  dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L.  15
  maggio 1997, n. 127); codice civile, art. 262, primo comma, e  299,
  terzo comma. 
-   
(GU n.52 del 28-12-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   della   norma
desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice  civile,  72,  primo
comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n.  1238  (Ordinamento  dello
stato civile)  e  33  e  34  del  d.P.R.  3  novembre  2000,  n.  396
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12,  della  L.  15
maggio 1997, n. 127), promosso dalla Corte di appello di Genova,  nel
procedimento proposto da M.M. e M.G., con ordinanza del  28  novembre
2013, iscritta al n. 31 del  registro  ordinanze  2014  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  13,  prima   serie
speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di costituzione di M.M. e M.G., in proprio  e  nella
qualita' di esercenti la potesta' sul minore V.,  nonche'  l'atto  di
intervento dell'Associazione Rete per la Parita'; 
    udito nell'udienza  pubblica  dell'8  novembre  2016  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Antonella Anselmo per l'Associazione Rete  per
la Parita' e Susanna Schivo per M.M.  e  M.G.,  in  proprio  e  nella
qualita' di esercenti la potesta' sul minore V. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza emessa il 28 novembre 2013, la Corte  d'appello
di Genova ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 29,  secondo
comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione  -  questione  di
legittimita' costituzionale della norma desumibile dagli  artt.  237,
262 e 299 del codice civile, 72, primo comma,  del  regio  decreto  9
luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e 33 e  34  del
d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per  la  revisione  e  la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997,  n.  127),  nella
parte in cui prevede «l'automatica attribuzione del  cognome  paterno
al figlio legittimo, in presenza di una  diversa  contraria  volonta'
dei genitori». 
    2.- Il giudizio a quo  ha  per  oggetto  il  reclamo  avverso  il
provvedimento del Tribunale ordinario di Genova che  ha  respinto  il
ricorso avverso il  rigetto,  da  parte  dall'ufficiale  dello  stato
civile, della richiesta di attribuire al  figlio  dei  ricorrenti  il
cognome materno, in aggiunta a quello paterno. 
    La Corte d'appello  di  Genova  osserva  che,  sebbene  la  norma
sull'automatica attribuzione del cognome paterno, anche  in  presenza
di una diversa volonta' dei genitori,  non  sia  prevista  da  alcuna
specifica norma di legge, essa e' desumibile dal  sistema  normativo,
in quanto presupposta dagli artt. 237, 262 e 299 cod.  civ.,  nonche'
dall'art. 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, e  dagli  artt.
33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000. 
    Il rimettente evidenzia che molti  Stati  europei  si  sono  gia'
adeguati  al  vincolo  posto  dalle   fonti   convenzionali   e,   in
particolare, dall'art. 16, comma 1,  lettera  g),  della  Convenzione
sulla eliminazione di ogni forma  di  discriminazione  nei  confronti
della donna, adottata a New York il 18 dicembre  1979,  ratificata  e
resa esecutiva con legge 14 marzo 1985,  n.  132.  Essa  impegna  gli
Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate  per  eliminare
tale discriminazione in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e
nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare  «gli  stessi
diritti personali al marito e alla moglie,  compresa  la  scelta  del
cognome». 
    Vengono, inoltre, richiamate  le  raccomandazioni  del  Consiglio
d'Europa 28 aprile 1995, n. 1271 e 18 marzo 1998, n. 1362, nonche' la
risoluzione  27  settembre  1978,  n.   37,   relative   alla   piena
realizzazione della uguaglianza tra madre e  padre  nell'attribuzione
del cognome dei figli, nonche' alcune pronunce  della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo, che vanno nella direzione  della  eliminazione
di ogni discriminazione basata sul genere nella  scelta  del  cognome
(sentenze 16 febbraio 2005, Unal Tekeli contro  Turchia;  24  ottobre
1994, Stjerna contro Finlandia; 24  gennaio  1994,  Burghartz  contro
Svizzera). 
    Viene, in particolare, richiamata la sentenza di questa Corte  in
cui si afferma che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome  e'
retaggio di una  concezione  patriarcale  della  famiglia,  la  quale
affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico,  e  di
una tramontata potesta' maritale, non piu' coerente  con  i  principi
dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza  tra
uomo e donna» (sentenza n. 61 del 2006). In quella occasione, osserva
il rimettente, la  Corte  costituzionale  ritenne  che  la  questione
esorbitasse  dalle  proprie  prerogative,  in   quanto   l'intervento
invocato avrebbe comportato un'operazione manipolativa eccedente  dai
suoi poteri. 
    Il giudice a  quo  evidenzia,  tuttavia,  la  necessita'  di  una
rivalutazione della medesima questione,  alla  luce  degli  argomenti
sviluppati dalla Corte di cassazione nell'ordinanza n. 23934  del  22
settembre 2008, con la quale - ai sensi dell'art. 374, secondo comma,
del codice di procedura civile  -  veniva  disposta  la  trasmissione
degli atti al Primo Presidente ai fini della rimessione alle  sezioni
unite,   per   valutare   la   possibilita'   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme che regolano  l'attribuzione
del cognome ai figli. 
    Il rimettente  ritiene  che  la  distonia  rispetto  ai  principi
sanciti dall'art. 29 Cost., gia' rilevata nella sentenza  n.  61  del
2006, imponga - alla luce dei due eventi normativi consistenti, da un
lato,  nella  modifica  dell'art.  117  Cost.  e,  dall'altro,  nella
ratifica del trattato di Lisbona - la riproposizione della  questione
relativa alla norma implicita che prevede  l'automatica  attribuzione
del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di  una  diversa
volonta' dei genitori. 
    Tale disciplina si porrebbe in contrasto,  in  primo  luogo,  con
l'art.  2  Cost.,  per  la  violazione  del   diritto   all'identita'
personale, che trova il primo ed immediato riscontro proprio nel nome
e che, nell'ambito del consesso sociale,  identifica  le  origini  di
ogni persona. Da cio' discenderebbe il diritto del singolo  individuo
di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i  rami
genitoriali. 
    Viene, inoltre, denunciata la violazione dell'art. 3 e  dell'art.
29, secondo comma, Cost., sotto il profilo del diritto di uguaglianza
e pari dignita' dei genitori nei confronti dei figli  e  dei  coniugi
tra di loro. D'altra parte, ad avviso del rimettente,  l'esigenza  di
tutela  dell'unita'  familiare  non  sarebbe  idonea  a  giustificare
l'obbligatoria prevalenza del cognome paterno. 
    Viene, infine, denunciata  la  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., «come interpretato nelle sentenze n. 348 e n.  349  del
2007 della Corte costituzionale [...], costituendo le norme di natura
convenzionale gia' citate parametri del giudizio di costituzionalita'
delle norme interne». 
    3.- Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituite  le  parti
reclamanti nel giudizio principale,  chiedendo  l'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale sollevata dal giudice a quo. 
    3.1.- In punto di fatto, esse evidenziano che il  proprio  figlio
minore, nato  in  costanza  di  matrimonio,  e'  titolare  di  doppia
cittadinanza  e  tuttavia  -  per   effetto   del   rifiuto   opposto
dall'ufficiale dello stato civile  di  procedere  all'iscrizione  del
minore  con  il  cognome  di  entrambi  i  genitori  -   egli   viene
identificato diversamente nei due Stati dei quali  e'  cittadino:  in
Italia con il solo cognome del padre ed  in  Brasile  con  il  doppio
cognome, paterno e materno. 
    Dopo avere illustrato l'evoluzione normativa e  giurisprudenziale
successiva alla sentenza n.  61  del  2006,  la  difesa  delle  parti
ricorrenti evidenzia che, nelle more del presente giudizio, la  Corte
europea dei diritti dell'uomo ha affermato che l'impossibilita' per i
genitori di far iscrivere il figlio "legittimo"  nei  registri  dello
stato civile attribuendogli alla  nascita  il  cognome  della  madre,
anziche' quello del padre, integra violazione dell'art.  14  (divieto
di discriminazione), in combinato disposto con l'art. 8  (diritto  al
rispetto della vita privata e familiare)  della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e  deriva  da  una
lacuna  del  sistema  giuridico  italiano,  per  superare  la   quale
«dovrebbero essere adottate  riforme  nella  legislazione  e/o  nelle
prassi italiane» (sentenza 7  gennaio  2014,  Cusan  e  Fazzo  contro
Italia). 
    Ad avviso delle parti reclamanti, tale decisione, vertente su  un
caso sostanzialmente identico a quello  all'esame  di  questa  Corte,
rafforza gli argomenti a sostegno della fondatezza della questione. 
    3.2.- Con riferimento  alla  denunciata  violazione  dell'art.  2
Cost., la difesa delle parti private richiama  i  principi  affermati
dalla giurisprudenza costituzionale sul diritto al  nome  come  segno
distintivo  dell'identita'  personale,  anche  in  riferimento   alla
posizione del figlio adottivo (sentenze n. 268 del 2002; n.  120  del
2001; n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994). 
    Pur riconoscendo che permangono delle differenze  in  materia  di
attribuzione del cognome tra la posizione del figlio  di  una  coppia
non unita in matrimonio o adottato e la posizione del figlio  di  una
coppia coniugata, le parti  ricorrenti  ritengono  che  la  rigidita'
della norma che  impone  in  ogni  caso  l'attribuzione  del  cognome
paterno sacrifichi il diritto all'identita' del minore, che  si  vede
negata la possibilita' di aggiungere il cognome materno, qualora tale
scelta sia espressione  di  un'esigenza  connessa  all'esercizio  del
diritto all'identita' personale. 
    Ad avviso delle parti private, se il diritto al nome e,  piu'  in
particolare, al cognome,  costituisce  la  manifestazione  esterna  e
"tangibile"  del  diritto  all'identita'  personale,   l'attribuzione
automatica al figlio di una coppia coniugata del solo cognome paterno
determina l'irrimediabile compromissione di tale diritto, precludendo
al singolo individuo di essere identificato attraverso il cognome che
meglio corrisponda alla propria identita' personale. 
    3.3.- Con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 3,  primo
comma, e  dell'art.  29,  secondo  comma,  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'uguaglianza e pari dignita' dei genitori e dei coniugi,  vengono
richiamate le pronunce con le quali, sin dal 1960, la  giurisprudenza
costituzionale ha affermato l'illegittimita' di norme che prevedevano
un trattamento irragionevolmente differenziato dei coniugi  (sentenze
n. 33 del 1960; n. 126 e n. 127 del 1968; n. 147 del 1969; n. 128 del
1970; n. 87 del 1975; n. 477 del 1987; n. 254 del 2006;  in  tema  di
eguaglianza  nei  rapporti  patrimoniali  tra  i  coniugi,   vengono,
inoltre, citate le sentenze n. 46 del 1966; n. 133 del 1970; n. 6 del
1980 e n. 116 del 1990). 
    3.4.- Quanto alla  denunciata  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., la difesa  delle  parti  private  richiama  i  principi
affermati  a  livello  internazionale,  e  recepiti  dall'ordinamento
italiano, sulla protezione dei diritti del fanciullo e sulla  parita'
di genere. Vengono richiamati, in particolare, l'art.  24  del  Patto
internazionale sui diritti civili e politici (adottato dall'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, entrato  in  vigore
il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con  legge  25  ottobre
1977, n. 881); l'art. 7 della Convenzione sui diritti  del  fanciullo
(fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata  e  resa  esecutiva
con legge 27 maggio 1991, n.  176);  l'art.  16,  lettera  g),  della
Convenzione sull'eliminazione di tutte le  forme  di  discriminazione
contro le donne (Convention  on  the  Elimination  of  all  forms  of
Discrimination Against Women - CEDAW), adottata il 18  dicembre  1979
dall'Assemblea  generale  delle  Nazioni  Unite,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132. 
    Da tale  quadro  normativo  emergerebbe  la  non  conformita'  ai
principi sopra  richiamati  della  norma  che  impone  l'attribuzione
automatica ed esclusiva del solo cognome paterno. Essa sarebbe lesiva
sia dei principi che garantiscono la tutela del diritto al nome,  sia
di quelli in tema di eguaglianza e di non discriminazione tra uomo  e
donna nella trasmissione del cognome al figlio, sia esso legittimo  o
naturale. 
    La difesa delle parti reclamanti evidenzia, in  particolare,  che
sebbene la CEDU non contenga alcun riferimento espresso al diritto al
nome del singolo individuo, la Corte  di  Strasburgo,  in  molteplici
pronunce, ne ha ricondotto la tutela entro l'ambito  applicativo  del
diritto al rispetto della vita privata,  sancito  dall'art.  8  della
CEDU. In queste decisioni la Corte europea - pronunciandosi  su  casi
analoghi a quello successivamente deciso dalla  citata  sentenza  nel
caso Cusan e Fazzo - ha accertato la violazione dell'art. 8 CEDU,  in
combinato disposto con l'art. 14,  in  ragione  della  disparita'  di
trattamento fondata sul genere. 
    3.5.- Le  parti  private  deducono,  inoltre,  che  la  pronuncia
richiesta alla Corte  non  sarebbe  tale  da  invadere  la  sfera  di
discrezionalita'  del  legislatore,  trattandosi,  viceversa,  di  un
intervento costituzionalmente imposto, limitato all'apposizione, alla
norma impugnata, delle "rime obbligate". La Corte potrebbe,  infatti,
limitarsi a dichiarare l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
invocate, nella parte in cui non consentono ai genitori di scegliere,
di comune accordo, il cognome da trasmettere ai figli. 
    D'altra parte, non  sarebbe  ravvisabile  alcun  vuoto  normativo
derivante dall'invocato intervento  caducatorio.  Al  riguardo,  sono
richiamate le pronunce che affermano che,  a  fronte  di  «un  vulnus
costituzionale, non sanabile in via interpretativa -  tanto  piu'  se
attinente a diritti fondamentali - la  Corte  e'  tenuta  comunque  a
porvi rimedio: e cio', indipendentemente dal  fatto  che  la  lesione
dipenda da quello che la norma prevede o, al contrario, da quanto  la
norma (o, meglio, la norma maggiormente pertinente  alla  fattispecie
in discussione) omette di prevedere. [...] Spettera', infatti, da  un
lato, ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari  corollari
sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro
disposizione; e, dall'altro, al legislatore provvedere  eventualmente
a disciplinare, nel modo piu' sollecito e opportuno, gli aspetti  che
apparissero bisognevoli di apposita  regolamentazione»  (sentenza  n.
113 del 2011; nello stesso senso, sentenze n. 78 del 1992 e n. 59 del
1958). 
    4.- L'Associazione Rete per la  Parita'  ha  depositato  atto  di
intervento in  cui  ha  chiesto  l'accoglimento  della  questione  di
legittimita' costituzionale  sollevata  dalla  Corte  di  appello  di
Genova. 
    In  via   preliminare,   sono   state   illustrate   le   ragioni
dell'ammissibilita'  dell'intervento,  sebbene   l'Associazione   non
rivesta la qualita' di parte nel giudizio a quo. 
    Quanto al merito della questione,  l'Associazione  ha  esposto  e
ribadito i medesimi argomenti svolti dalla difesa delle parti private
a sostegno della rilevanza e della fondatezza della questione. 
    5.- L'ordinanza di rimessione e' stata ritualmente notificata  al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  il  quale  ha  omesso  di
intervenire in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza emessa il 28 novembre 2013, la Corte  d'appello
di Genova ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 29,  secondo
comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione  -  questione  di
legittimita' costituzionale della norma desumibile dagli  artt.  237,
262 e 299 del codice civile, 72, primo comma,  del  regio  decreto  9
luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e 33 e  34  del
d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per  la  revisione  e  la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997,  n.  127),  nella
parte in cui prevede «l'automatica attribuzione del  cognome  paterno
al figlio legittimo, in presenza di una  diversa  contraria  volonta'
dei genitori». 
    E' denunciata, in primo luogo, la violazione dell'art.  2  Cost.,
in quanto verrebbe compresso il diritto all'identita'  personale,  il
quale  comporta  il  diritto  del  singolo   individuo   di   vedersi
riconoscere  i  segni  di  identificazione   di   entrambi   i   rami
genitoriali. 
    Viene, inoltre, evidenziato il contrasto con gli artt.  3  e  29,
secondo comma, Cost., poiche' sarebbe leso il diritto di  uguaglianza
e pari dignita' dei genitori nei confronti dei figli  e  dei  coniugi
tra di loro. 
    Viene, infine,  ravvisata  la  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., in riferimento all'art. 16, comma 1, lettera g),  della
Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di  discriminazione  nei
confronti della donna, alle raccomandazioni del Consiglio d'Europa 28
aprile 1995,  n.  1271  e  18  marzo  1998,  n.  1362,  nonche'  alla
risoluzione  27  settembre  1978,  n.   37,   relative   alla   piena
realizzazione dell'uguaglianza  dei  genitori  nell'attribuzione  del
cognome dei figli. 
    2.- Preliminarmente, va  confermata  l'ordinanza  dibattimentale,
allegata alla presente sentenza, con la  quale  e'  stato  dichiarato
inammissibile l'intervento dell'associazione Rete per la Parita'. 
    3.- La questione sollevata in riferimento agli artt. 2,  3  e  29
Cost. e' fondata. 
    3.1.- E' denunciata l'illegittimita' costituzionale della norma -
desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ. e dagli artt. 33 e 34
del d.P.R. n. 396 del 2000 - che  prevede  l'automatica  attribuzione
del cognome paterno al figlio nato  in  costanza  di  matrimonio,  in
presenza di una diversa contraria volonta' dei genitori. 
    Va rilevato, preliminarmente, che tra le disposizioni individuate
dal rimettente compare, altresi', l'art. 72, primo comma, del r.d. n.
1238 del 1939, il quale, tuttavia, e' stato  abrogato  dall'art.  110
del d.P.R. n. 396 del 2000. Dal tenore  complessivo  degli  argomenti
sviluppati nell'ordinanza di rinvio si  evince,  peraltro,  che  tale
disposizione rientra nel fuoco delle censure del rimettente  al  solo
fine di esplicitare la norma - da  essa  presupposta  -  che  prevede
l'automatica attribuzione del solo cognome paterno. 
    L'esistenza della norma censurata e la sua  perdurante  immanenza
nel sistema, desumibili  dalle  disposizioni  che  implicitamente  la
presuppongono,  e'  stata  gia'  riconosciuta  dalla   giurisprudenza
costituzionale,  nelle  precedenti  occasioni  in  cui  ne  e'  stata
denunciata l'illegittimita' (sentenze n. 61 del 2006  e  n.  176  del
1988; ordinanze n. 145 del  2007  e  n.  586  del  1988).  In  queste
pronunce, la Corte ha riconosciuto  l'esistenza  di  tale  norma,  in
quanto  presupposta  dalle  medesime  disposizioni,  regolatrici   di
fattispecie diverse, individuate dall'odierno rimettente (artt.  237,
262 e 299 cod. civ., nonche' artt. 33 e 34  del  d.P.R.  n.  396  del
2000). 
    Sebbene  essa  non  abbia  trovato  corpo  in  una   disposizione
espressa,  ancora  una  volta,  non  vi  e'   ragione   di   dubitare
dell'attuale vigenza e forza imperativa della  norma,  in  base  alla
quale il cognome del padre si estende ipso iure al figlio. 
    Nello stesso senso si e'  espressa  anche  la  giurisprudenza  di
legittimita', sia precedente, sia successiva alle richiamate pronunce
di questa Corte, laddove ha riconosciuto che - da tali pur eterogenee
previsioni - si desume l'esistenza di  una  norma  che,  sebbene  non
prevista  testualmente  nell'ambito  di   alcuna   disposizione,   e'
ugualmente presente nel  sistema  e  «certamente  si  configura  come
traduzione in regola dello Stato di un'usanza consolidata nel  tempo»
(Cass., sez. I, 17 luglio 2004, n. 13298; v. anche Cass., sez. I,  22
settembre 2008, n. 23934). 
    Nel caso in esame,  la  norma  sull'automatica  attribuzione  del
cognome paterno e' oggetto di censura per la sola parte  in  cui  non
consente ai genitori - i quali  ne  facciano  concorde  richiesta  al
momento della nascita - di attribuire  al  figlio  anche  il  cognome
materno. 
    3.2.- Cosi' ricostruito l'oggetto della  presente  questione,  va
rilevato che gia' in precedenti occasioni questa Corte  ha  esaminato
la disciplina della prevalenza del cognome paterno, al momento  della
sua  attribuzione  al  figlio,  ma  ha  dichiarato  inammissibili  le
relative questioni, ritenendole riservate alla  discrezionalita'  del
legislatore, nell'ambito di una rinnovata disciplina. 
    Tuttavia,  gia'  nell'ordinanza  n.  176  del  1988,   e'   stato
espressamente riconosciuto che «sarebbe  possibile,  e  probabilmente
consentaneo all'evoluzione della  coscienza  sociale,  sostituire  la
regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo  dei
membri della famiglia  costituita  dal  matrimonio  con  un  criterio
diverso,  piu'  rispettoso  dell'autonomia  dei  coniugi,  il   quale
concilii  i  due  principi  sanciti  dall'art.  29  Cost.,   anziche'
avvalersi  dell'autorizzazione   a   limitare   l'uno   in   funzione
dell'altro» (v. anche ordinanza n. 586 del 1988). 
    Diciotto anni dopo, con ancora maggiore fermezza, nella  sentenza
n. 61 del 2006, in  considerazione  dell'immutato  quadro  normativo,
questa Corte ha espressamente rilevato l'incompatibilita' della norma
in esame con i  valori  costituzionali  della  uguaglianza  morale  e
giuridica dei coniugi. Tale  sistema  di  attribuzione  del  cognome,
infatti, e' definito come il «retaggio di una concezione  patriarcale
della famiglia, la quale affonda le proprie  radici  nel  diritto  di
famiglia romanistico, e di una tramontata potesta' maritale, non piu'
coerente  con  i  principi   dell'ordinamento   e   con   il   valore
costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna». 
    3.3.- A distanza di molti anni da queste pronunce,  un  «criterio
diverso, piu' rispettoso dell'autonomia dei coniugi», non  e'  ancora
stato introdotto. 
    Neppure  il  decreto  legislativo  28  dicembre  2013,   n.   154
(Revisione delle disposizioni vigenti in  materia  di  filiazione,  a
norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), con  cui
il legislatore ha posto le basi per la completa  equiparazione  della
disciplina dello status di figlio legittimo, figlio naturale e figlio
adottato, riconoscendo l'unicita' dello status di figlio, ha scalfito
la norma oggi censurata. 
    Pur essendo stata modificata la  disciplina  del  cambiamento  di
cognome - con l'abrogazione degli artt. 84,  85,  86,  87  e  88  del
d.P.R. n. 396 del 2000 e l'introduzione del nuovo testo dell'art. 89,
ad opera del  d.P.R.  13  marzo  2012,  n.  54  (Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'art. 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n.  127)  -  le
modifiche  non  hanno   attinto   la   disciplina   dell'attribuzione
"originaria" del cognome, effettuata al momento della nascita. 
    Va, d'altro canto, rilevata un'intensa attivita' preparatoria  di
interventi legislativi volti a disciplinare secondo nuovi criteri  la
materia dell'attribuzione del cognome ai figli. Allo stato, tuttavia,
essi risultano ancora in itinere. 
    Nella  famiglia  fondata  sul  matrimonio  rimane  cosi'  tuttora
preclusa la possibilita' per la madre di attribuire  al  figlio,  sin
dalla nascita, il proprio cognome, nonche'  la  possibilita'  per  il
figlio di essere  identificato,  sin  dalla  nascita,  anche  con  il
cognome della madre. 
    3.4.- La Corte ritiene che siffatta  preclusione  pregiudichi  il
diritto  all'identita'  personale  del   minore   e,   al   contempo,
costituisca un'irragionevole disparita' di trattamento tra i coniugi,
che non trova alcuna giustificazione nella finalita' di  salvaguardia
dell'unita' familiare. 
    3.4.1.- Quanto al primo profilo di  illegittimita',  va  rilevato
che la distonia di tale norma  rispetto  alla  garanzia  della  piena
realizzazione del diritto all'identita' personale,  avente  copertura
costituzionale  assoluta,  ai  sensi  dell'art.  2   Cost.,   risulta
avvalorata nell'attuale quadro ordinamentale. 
    Il  valore  dell'identita'  della  persona,  nella   pienezza   e
complessita'  delle  sue  espressioni,  e  la  consapevolezza   della
valenza, pubblicistica e privatistica, del  diritto  al  nome,  quale
punto  di  emersione  dell'appartenenza  del  singolo  ad  un  gruppo
familiare, portano ad individuare nei  criteri  di  attribuzione  del
cognome  del  minore  profili  determinanti   della   sua   identita'
personale, che si proietta nella sua personalita' sociale,  ai  sensi
dell'art. 2 Cost. 
    E' proprio in tale prospettiva che questa Corte aveva, da  tempo,
riconosciuto il diritto al mantenimento dell'originario  cognome  del
figlio, anche in caso di modificazioni del suo  status  derivanti  da
successivo riconoscimento o da adozione. Tale originario  cognome  si
qualifica,  infatti,  come  autonomo  segno  distintivo   della   sua
identita' personale (sentenza  n.  297  del  1996),  nonche'  «tratto
essenziale della sua personalita'» (sentenza n. 268 del  2002;  nello
stesso senso, sentenza n. 120 del 2001). 
    Il processo di valorizzazione del diritto all'identita' personale
e' culminato nella recente affermazione, da parte  di  questa  Corte,
del diritto del figlio a conoscere le proprie origini e  ad  accedere
alla propria storia  parentale,  quale  «elemento  significativo  nel
sistema costituzionale di tutela della persona» (sentenza n. 278  del
2013). 
    In questa stessa cornice si  inserisce  anche  la  giurisprudenza
della Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  che  ha  ricondotto  il
diritto al nome nell'ambito della tutela offerta  dall'art.  8  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il  4  novembre  1950  e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    In particolare, nella sentenza Cusan Fazzo contro Italia,  del  7
gennaio 2014, successiva all'ordinanza di  rimessione  in  esame,  la
Corte di Strasburgo ha affermato che l'impossibilita' per i  genitori
di attribuire al  figlio,  alla  nascita,  il  cognome  della  madre,
anziche' quello del padre, integra violazione dell'art.  14  (divieto
di discriminazione), in combinato disposto con l'art. 8  (diritto  al
rispetto della vita privata e familiare) della CEDU, e deriva da  una
lacuna  del  sistema  giuridico  italiano,  per  superare  la   quale
«dovrebbero essere adottate  riforme  nella  legislazione  e/o  nelle
prassi italiane». La  Corte  EDU  ha,  altresi',  ritenuto  che  tale
impossibilita' non sia  compensata  dalla  successiva  autorizzazione
amministrativa a cambiare il cognome dei figli minorenni  aggiungendo
a quello paterno il cognome della madre. 
    La piena ed effettiva  realizzazione  del  diritto  all'identita'
personale, che nel nome trova il suo primo  ed  immediato  riscontro,
unitamente al riconoscimento del paritario  rilievo  di  entrambe  le
figure genitoriali nel processo  di  costruzione  di  tale  identita'
personale, impone l'affermazione del diritto  del  figlio  ad  essere
identificato,  sin  dalla  nascita,  attraverso  l'attribuzione   del
cognome di entrambi i genitori. 
    Viceversa, la previsione dell'inderogabile prevalenza del cognome
paterno sacrifica il diritto all'identita' del minore, negandogli  la
possibilita' di essere identificato, sin dalla nascita, anche con  il
cognome materno. 
    3.4.2.- Quanto al  concorrente  profilo  di  illegittimita',  che
risiede nella violazione del principio di uguaglianza dei coniugi, va
rilevato che il criterio della prevalenza del cognome paterno,  e  la
conseguente disparita' di trattamento dei coniugi, non trovano alcuna
giustificazione  ne'  nell'art.  3  Cost.,  ne'  nella  finalita'  di
salvaguardia dell'unita'  familiare,  di  cui  all'art.  29,  secondo
comma, Cost. 
    Come gia' osservato da questa Corte sin da epoca  risalente,  «e'
proprio l'eguaglianza che garantisce quella unita' e,  viceversa,  e'
la diseguaglianza a  metterla  in  pericolo»,  poiche'  l'unita'  «si
rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi  sono
governati dalla solidarieta' e dalla parita'» (sentenza  n.  133  del
1970). 
    La perdurante violazione del principio di uguaglianza  "morale  e
giuridica" dei coniugi, realizzata attraverso la  mortificazione  del
diritto della madre a che il figlio acquisti anche  il  suo  cognome,
contraddice,  ora  come  allora,   quella   finalita'   di   garanzia
dell'unita' familiare, individuata quale  ratio  giustificatrice,  in
generale, di eventuali  deroghe  alla  parita'  dei  coniugi,  ed  in
particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno. 
    Tale diversita' di trattamento dei coniugi nell'attribuzione  del
cognome ai figli, in quanto espressione di  una  superata  concezione
patriarcale della  famiglia  e  dei  rapporti  fra  coniugi,  non  e'
compatibile ne' con il principio di uguaglianza, ne' con il principio
della loro pari dignita' morale e giuridica. 
    4.-  Con  la  presente  decisione,  questa  Corte  e',  peraltro,
chiamata a risolvere la questione formulata dal rimettente e riferita
alla norma sull'attribuzione del cognome paterno nella sola parte  in
cui, anche in presenza di una diversa e comune volonta' dei  coniugi,
i  figli   acquistano   automaticamente   il   cognome   del   padre.
L'accertamento della illegittimita' e', pertanto, limitato alla  sola
parte di essa in cui non consente ai coniugi, di comune  accordo,  di
trasmettere ai figli, al momento  della  nascita,  anche  il  cognome
materno. 
    4.1- Rimane assorbita la censura  relativa  all'art.  117,  primo
comma, Cost. 
    5.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale va estesa,  in  via
consequenziale, alla disposizione dell'art. 262,  primo  comma,  cod.
civ., la quale contiene tuttora - con  riferimento  alla  fattispecie
del riconoscimento del figlio naturale effettuato  contemporaneamente
da entrambi i genitori - una norma identica a  quella  dichiarata  in
contrasto con la Costituzione dalla presente sentenza. 
    Anche tale disposizione  va,  pertanto,  dichiarata  illegittima,
nella parte in cui non consente ai genitori, di  comune  accordo,  di
trasmettere al figlio, al momento della  nascita,  anche  il  cognome
materno. 
    5.1.- Per le medesime ragioni, la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953,  va
estesa, infine, all'art. 299, terzo comma, cod. civ., per la parte in
cui non  consente  ai  coniugi,  in  caso  di  adozione  compiuta  da
entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome  materno
al momento dell'adozione. 
    6.-  Va,  infine,  rilevato  che,  in  assenza  dell'accordo  dei
genitori,  residua  la  generale  previsione  dell'attribuzione   del
cognome  paterno,  in   attesa   di   un   indifferibile   intervento
legislativo,  destinato  a  disciplinare  organicamente  la  materia,
secondo criteri finalmente consoni al principio di parita'. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)   dichiara   l'illegittimita'   costituzionale   della   norma
desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice  civile;  72,  primo
comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n.  1238  (Ordinamento  dello
stato civile); e  33  e  34  del  d.P.R.  3  novembre  2000,  n.  396
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12,  della  L.  15
maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi,  di
comune accordo, di trasmettere ai figli, al  momento  della  nascita,
anche il cognome materno; 
    2) dichiara in via consequenziale, ai sensi  dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte  in
cui non consente ai genitori, di comune accordo,  di  trasmettere  al
figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno; 
    3) dichiara in via consequenziale, ai sensi  dell'art.  27  della
legge n. 87 del 1953, l'illegittimita' costituzionale dell'art.  299,
terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente  ai  coniugi,
in caso di adozione compiuta da entrambi, di  attribuire,  di  comune
accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                   Carmelinda MORANO, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Carmelinda MORANO 
 
 
                                                            Allegato: 
                     ordinanza letta all'udienza dell'8 novembre 2016 
 
                              ORDINANZA 
 
    Rilevato che, nel giudizio promosso dalla  Corte  di  appello  di
Genova con ordinanza del 28 novembre 2013 (reg. ord. n. 31 del 2014),
il 7 aprile 2014 ha depositato atto di intervento l'associazione Rete
per la Parita', in persona  del  proprio  legale  rappresentante  pro
tempore. 
    Considerato che l'Associazione Rete per la Parita' non riveste la
qualita' di parte del giudizio principale; 
    che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante,  le
ordinanze allegate alla sentenza n. 134 del 2013 e  all'ordinanza  n.
318 del  2013)  e'  nel  senso  che  la  partecipazione  al  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma,
alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del  Consiglio
dei ministri e, nel caso di  legge  regionale,  al  Presidente  della
Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle norme integrative per  i  giudizi
dinanzi alla Corte costituzionale); 
    che a tale disciplina e' possibile derogare  -  senza  venire  in
contrasto   con   il   carattere   incidentale   del   giudizio    di
costituzionalita' - soltanto a favore di  soggetti  terzi  che  siano
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura (ex plurimis, sentenze n. 76 del 2016;  n.  221  del  2015  e
relativa ordinanza letta all'udienza del 20 ottobre 2015; n. 162  del
2014 e relativa ordinanza letta allʼudienza dellʼ8  aprile  2014;  n.
293 e n. 118 del 2011; n. 138 del 2010  e  relativa  ordinanza  letta
allʼudienza del 23 marzo 2010; ordinanze n. 240 del 2014; n. 156  del
2013; n. 150 del 2012 e relativa ordinanza letta allʼudienza  del  22
maggio 2012); 
    che,   pertanto,   sulla   posizione   soggettiva   della   parte
interveniente l'eventuale declaratoria di illegittimita' della  legge
deve produrre lo stesso effetto che produce sul rapporto oggetto  del
giudizio a quo; 
    che il presente giudizio - che ha ad oggetto la norma  desumibile
dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72,  primo  comma,  del
regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile)
e 33 e 34 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  3  novembre
2000, n. 396 (Regolamento  per  la  revisione  e  la  semplificazione
dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo  2,  comma
12, della L. 15 maggio 1997, n. 127),  nella  parte  in  cui  prevede
«l'automatica attribuzione del cognome paterno al  figlio  legittimo,
in presenza di una diversa contraria volonta'  dei  genitori»  −  non
sarebbe  destinato  a  produrre,  nei   confronti   dell'Associazione
interveniente, effetti immediati, neppure indiretti; 
    che, pertanto, essa non riveste la posizione di terzo legittimato
a partecipare al giudizio dinanzi a questa Corte. 
 
                          PER QUESTI MOTIVI 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile l'intervento dell'Associazione Rete per la
Parita'. 
 
                   F.to: Paolo Grossi, Presidente