N. 263 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 settembre 2016
Ordinanza del 28 settembre 2016 del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Mare Azzurro Service Srl contro Comune di Messina, Ministero dell'interno e Prefettura di Messina.. Mafia e criminalita' organizzata - Codice delle leggi antimafia - Documentazione antimafia - Richiesta di comunicazione antimafia - Accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa - Adozione dell'informazione antimafia. - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), art. 89-bis.(GU n.1 del 4-1-2017 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA Sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 344 del 2016, proposto da: Mare Azzurro Service S.r.l., in persona del rappresentante legale, rappresentata e difesa dall'Avvocato Antonio Saitta (C.F. STTNTN63M13F158C), domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale di Catania, in Catania, via Milano n. 42/a; Contro: Comune di Messina, in persona del Sindaco, rappresentato e difeso dall'Avvocato Antonello Garufi (C.F. GRFNNL65M17F158S), con domicilio presso Domenico Calabro', in Catania, Via Vagliasindi 9; Ministero degli interni (Prefettura di Messina), in persona del Ministro, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, via Vecchia Ognina 149; Per l'annullamento dei seguenti atti: a) ordinanza del Comune di Messina n. 43 in data 1° febbraio 2016, con cui e' stata disposta la decadenza della segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014 ed e' stato fatto divieto alla societa' di proseguire l'attivita' di vendita di prodotti del I Settore alimentare nei locali siti in via Stazione n. 2; b) nota del Ministero degli interni n. 11001/119/20(9) in data 14 dicembre 2015; c) nota della Prefettura di Messina n. 114429 del 17 dicembre 2015. Visti tutti gli atti e documenti di causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2016 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Con il presente gravame la societa' ricorrente ha impugnato: a) l'ordinanza del Comune di Messina n. 43 in data 1° febbraio 2016, con cui e' stata disposta la decadenza della segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014 ed e' stato fatto divieto alla societa' di proseguire l'attivita' di vendita di prodotti del I Settore Alimentare nei locali siti in Via Stazione 2; b) la nota del Ministero degli interni n. 11001/119/20(9) in data 14 dicembre 2015; c) la nota della Prefettura di Messina n. 114429 del 17 dicembre 2015. Nel ricorso sono esposte le circostanze di fatto di seguito indicate: a) la ricorrente, mediante segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014, ha ottenuto dal Comune di Messina l'autorizzazione alla vendita al dettaglio di prodotti di cui al I Settore alimentare (prodotti freschi e congelati, ittici e non) nei locali siti in Messina, Via Stazione n. 2; b) in precedenza la ricorrente aveva partecipato al bando per l'erogazione di un finanziamento dell'Assessorato regionale dell'Agricoltura di cui al decreto n. 129/Pesca del 13 maggio 2009 e nel corso del relativo procedimento l'Amministrazione procedente aveva chiesto alla Prefettura di Messina rituali informazioni ai sensi dell'art. 83 del decreto legislativo n. 159/2011 (codice antimafia); c) l'Ufficio del Governo, ai sensi dell'art. 91 del citato decreto legislativo, aveva, quindi, emanato l'informazione antimafia interdittiva n. 82460 dell'11 settembre 2015; d) nella menzionata informazione si evidenziava la sussistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa, dando atto che il coniuge del legale rappresentante della societa' era stato rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e che alcuni procedimenti di natura patrimoniale si erano conclusi con provvedimenti di sequestro e confisca di beni riconducibili al gruppo imprenditoriale di cui si tratta; e) la societa', non piu' interessata a conseguire il finanziamento regionale, ha omesso di impugnare l'informazione antimafia della Prefettura; f) il Comune di Messina, a sua volta, con nota n. 38330 del 18 febbraio 2015, in considerazione del provvedimento autorizzatorio derivante dalla segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014, ha interpellato la Prefettura sull'esistenza di cause ostative ai sensi dell'art. 67 del codice antimafia e la Prefettura ha esitato la richiesta con nota n. 86417 in data 23 settembre 2015, comunicando di aver emesso la sopra indicata informazione antimafia interdittiva n. 82460 dell'11 settembre 2015; g) il Comune ha, quindi, chiesto alla Prefettura ulteriori informazioni con nota n. 224311 del 28 settembre 2015 e la Prefettura, con nota n. 114429 del 17 dicembre 2015, ha trasmesso la nota ministeriale n. 11001/119/20(9) del 14 dicembre 2015, con allegato il parere del Consiglio di Stato n. 3088/15 del 17 novembre 2015 in merito all'applicabilita' dell'art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2011 ai provvedimenti di natura meramente autorizzatoria, con conseguente esclusione del soggetto interessato da ogni attivita' economica sottoposta al preventivo assenso della Pubblica amministrazione; h) con nota n. 302385 del 21 dicembre 2015, il Comune di Messina ha comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento per la decadenza della segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014; i) con ordinanza del Comune di Messina n. 43 in data 1° febbraio 2016, tenuto conto dell'ambito di applicazione dell'art. 89-bis del codice antimafia, e' stata, infine, disposta la decadenza della menzionata segnalazione certificata di inizio attivita' ed e' stato fatto divieto alla societa' di proseguire l'attivita' di vendita di prodotti del I Settore Alimentare nei locali siti in Via Stazione. Il contenuto dei motivi di gravame puo' sintetizzarsi nei termini di seguito indicati: a) il provvedimento del Comune e' stato assunto al di fuori delle ipotesi contemplate dall'art. 89-bis del codice antimafia, posto che tale disposizione fa espresso riferimento all'espletamento delle verifiche di cui al precedente art. 88, secondo comma, le quali sono state eseguite quanto al procedimento relativo al bando dell'Assessorato regionale dell'agricoltura di cui al decreto n. 129/Pesca del 13 maggio 2009, ma non sono state esperite in relazione al procedimento relativo alla segnalazione certificata di inizio attivita' presentata al Comune di Messina; b) a differenza di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato nel parere n. 3088/15 del 17 novembre 2015, l'informazione antimafia, in quanto relativa all'ipotesi in cui l'Amministrazione debba stipulare contratti, rilasciare concessioni o disporre erogazioni, va sempre distinta dalla comunicazione antimafia, che, invece, concerne attivita' private sottoposte a regime autorizzatorio, e l'art. 89-bis del codice antimafia, in armonia con quanto indicato nella relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo n. 153/2014, assolve la finalita' di evitare l'ingerenza della criminalita' organizzata nel settore degli appalti e dei rapporti con l'Amministrazione, impedendo, in altri termini, che le imprese soggette a tentativi di infiltrazione possano comunque conseguire benefici economici da parte della pubblica autorita'; c) l'applicazione della semplice comunicazione antimafia ai procedimenti di natura autorizzatoria e' precisata dalla legge delega n. 136/2010 (art. 2, primo comma, lettera a) e lettera f); d) in subordine, l'art. 89-bis del codice antimafia risulta costituzionalmente illegittimo, perche' in contrasto con la legge delega, che non consente l'estensione dell'informazione antimafia ai procedimenti autorizzatori, nonche' con il principio di uguaglianza, con il canone di ragionevolezza e con il principio di liberta' di iniziativa economica, introducendo tale disposizione un regime differenziato in relazione a fattispecie sostanzialmente identiche (nel senso che al soggetto in concreto sottoposto a tentativi di infiltrazione mafiosa non sarebbero mai precluse le attivita' soggette ad autorizzazione, salva l'ipotesi - che pero' non giustifica una differente disciplina - in cui i tentativi di infiltrazione siano stati accertati in occasione di una precedente informazione antimafia). Il Comune di Messina, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso sulla scorta delle considerazioni di seguito sinteticamente indicate: a) il gravame risulta inammissibile in relazione alle impugnate note del Ministero dell'Interno e della Prefettura, posto che nessuna censura e' stata enunciata con specifico riferimento a tali atti; b) come affermato dal Consiglio di Stato, l'art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2011 e' applicabile ai provvedimenti di natura meramente autorizzatoria che non configurino rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione e che non diano luogo all'erogazione di contributi pubblici; c) tale conclusione e' supportata sia da ragioni di ordine letterale, che da ragioni di ordine sistematico, di talche' il citato art. 89-bis non puo' che interpretarsi nel senso che l'informazione antimafia produce i medesimi effetti della comunicazione antimafia anche nelle ipotesi in cui non sussista un rapporto contrattuale del soggetto interessato con la Pubblica Amministrazione, come risulta, tra l'altro, dal contenuto della menzionata relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo concernente ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 159/2011; d) appaiono conseguentemente insussistenti i denunciati profili di illegittimita' costituzionale della disciplina in esame. Il Ministero dell'interno, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame, eccependo l'inoppugnabilita' dell'informativa antimafia, notificata via PEC in data 16 settembre 2015, e osservando nel merito che l'art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2011 va interpretato nel senso che l'informazione antimafia produce gli stessi effetti preclusivi della comunicazione anche nelle ipotesi in cui l'attivita' da autorizzare non determini l'insorgenza di un rapporto del soggetto interessato con la Pubblica amministrazione. Nella pubblica udienza del 21 settembre 2016 la causa e' stata trattenuta in decisione. Ad avviso del Collegio e' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2001 per contrasto con gli artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione. E' opportuno premettere che la comunicazione antimafia di cui all'art. 84, secondo comma, del decreto legislativo n. 159/2011 deve essere acquisita - dai soggetti di cui all'art. 83, primo e secondo comma, del medesimo decreto - in relazione al rilascio di determinati provvedimenti di natura concessoria o «lato sensu» autorizzatoria, nonche' alla stipula di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera, purche' l'importo degli eventuali provvedimenti e dei contratti sia inferiore a quello per cui e' prevista l'acquisizione dell'informazione antimafia (cfr. il combinato disposto degli artt. 67, primo e secondo comma, e 91, primo comma, del codice antimafia). Come e' noto, le cause che determinano il rilascio di una comunicazione interdittiva sono costituite dai provvedimenti definitivi di applicazione delle misure di prevenzione di cui all'art. 5 del decreto legislativo n. 159/2011 e dalle condanne con sentenza definitiva o confermata in appello per taluno dei delitti consumati o tentati elencati all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale (art. 67, primo e ottavo comma, del decreto legislativo n. 159/2011). L'informazione antimafia di cui all'art. 84, terzo comma, del decreto legislativo n. 159/2011, attesta, invece, oltre a quanto gia' previsto per la comunicazione antimafia (cioe' eventuali cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al citato art. 67), anche la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della societa' o dell'impresa interessata (mediante accertamenti effettuati, in particolare, secondo la disciplina di cui agli artt. 84, quarto comma e quarto comma-ter, nonche' 91, comma quinto e sesto, del codice antimafia). L'informazione antimafia va richiesta - dai soggetti di cui all'art. 83, primo e secondo comma, del decreto legislativo n. 159/2011 - prima di adottare stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti o prima di rilasciare o adottare provvedimenti di concessione o di erogazione di benefici il cui valore sia superiore a quello previsto per la comunicazione antimafia (art. 91, primo comma, del codice antimafia). Come evidenziato nel parere del Consiglio di Stato n. 3088/15 del 17 novembre 2015, la comunicazione antimafia costituisce un «minus» rispetto all'informazione antimafia (attestando quest'ultima anche l'eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa) e va richiesta in relazione a fattispecie di rilievo minore rispetto a quelle per cui e' prevista l'informazione, che e', invece, contemplata per rapporti particolarmente qualificati in cui l'Amministrazione attribuisce al soggetto interessato vantaggi di natura economica di importo significativo. La comunicazione antimafia e l'informazione antimafia sono acquisite mediante consultazione della banca dati nazionale unica, recentemente resa operativa (artt. 87, primo comma, e 90, primo comma, del decreto legislativo n. 159/2011). Stabilisce, inoltre, l'art. 88, secondo comma, del decreto in questione che, quando dalla consultazione della banca dati, a seguito di richiesta di comunicazione antimafia, emerga la sussistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al precedente art. 67, il Prefetto e' tenuto ad effettuare le necessarie verifiche e ad accertare la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti. Come risulta dall'art. 89-bis, primo comma, le verifiche di cui si tratta sono (anche) finalizzate all'accertamento di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa. In buona sostanza, l'Amministrazione, a seguito di una richiesta di comunicazione e qualora dalla banca dati emerga una causa interdittiva, e' chiamata a verificare da un lato che il risultato della consultazione sia ancora attuale (si pensi, ad esempio, al legale rappresentante di una societa' di capitali, il quale, gia' colpito da una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II, del codice antimafia, risulti ormai estraneo all'impresa), dall'altro ad accertare la sussistenza di tentativi di infiltrazione, in deroga alla disciplina ordinaria che esclude tale genere di accertamento allorquando sia richiesta una semplice comunicazione antimafia. Qualora, in esito alle menzionate verifiche di cui all'art. 88, secondo comma, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione, il Prefetto adotta comunque un'informazione antimafia interdittiva e ne da' comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'art. 83, primo e secondo comma commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia (art. 89-bis, primo comma, del codice antimafia). In tal caso l'informazione antimafia adottata ai sensi della disposizione indicata tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta (art. 89-bis, secondo comma, del decreto legislativo n. 159/2011). In altri termini, una volta emersa dalla consultazione della banca dati una causa interdittiva di cui all'art. 67 in relazione a casi per cui sia prevista la richiesta di una comunicazione antimafia (che ordinariamente non richiede accertamenti in merito ai tentativi di infiltrazione), il Prefetto e' chiamato ad esperire verifiche sia in ordine all'attualita' di tali cause, sia - eccezionalmente - in ordine ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa. Puo' dirsi, quindi, che il legislatore delegato, attraverso il citato art. 89-bis del codice antimafia, in relazione ai casi per cui sia prevista la richiesta della comunicazione antimafia, ha contemplato i piu' severi accertamenti di cui all'informazione antimafia qualora sussista una particolare fattispecie, consistente nella pregressa sussistenza a carico dell'impresa di cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all'art. 67 del decreto legislativo n. 159/2011. Si e' evidentemente ritenuto che, in tale ipotesi, tenuto conto del precedente coinvolgimento del soggetto interessato con gli ambienti della criminalita' organizzata, sussista l'esigenza di una speciale attenzione da parte dell'Amministrazione, cio' che giustifica l'accertamento, oltre che dell'attualita' di cause interdittive, anche di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, in relazione ai quali, come ripetutamente indicato, non vengono ordinariamente svolte verifiche con riferimento a provvedimenti o contratti per cui sia prevista la richiesta della semplice comunicazione antimafia. Peraltro, ad avviso del Comune di Messina e della Prefettura di Messina, come risulta implicitamente dai provvedimenti impugnati, i piu' severi accertamenti previsti in caso di acquisizione dell'informazione antimafia non dovrebbero essere confinati, come desumibile in base alla semplice lettera della legge, all'ipotesi di pregressa sussistenza di una causa interdittiva, ma dovrebbero estendersi a tutte le richieste di comunicazione antimafia presentate dai soggetti di cui all'art. 83, primo e secondo comma, del decreto legislativo n. 159/2011 (e, quindi, anche al caso che qui interessa, in cui la societa' ricorrente, a seguito di segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014, aveva ottenuto l'autorizzazione alla vendita al dettaglio di prodotti di cui al I Settore Alimentare). Tale interpretazione, pero', sembra in contrasto con l'obiettiva intenzione del legislatore, atteso che l'art. 89-bis, primo comma, impone i piu' severi accertamenti caratteristici dell'informazione antimafia con esplicito ed esclusivo riferimento ai soli casi delle verifiche, ex art. 88, secondo comma, che fanno seguito all'emersione di cause interdittive dalla consultazione della banca dati (e non con riferimento a tutti i casi in cui sia comunque richiesta una comunicazione antimafia). Cio' a tacere il fatto che, secondo la tesi delle Amministrazioni intimate, comunicazione ed informazione antimafia resterebbero soggette ad una disciplina sostanzialmente equivalente (nel senso, quantomeno, che gli accertamenti tipici dell'informazione dovrebbero esperirsi in ogni caso), in contrasto con cio' che puo' desumersi, oltre che dalla lettera della legge, dal complessivo impianto della disciplina, che, diversamente opinando, finirebbe per operare una distinzione fondamentalmente pleonastica fra i casi in cui debba richiedersi l'informazione antimafia e quelli in cui vada richiesta, invece, la semplice comunicazione. Peraltro, a differenza di quanto ritenuto dalle Amministrazioni intimate e dalla stessa parte ricorrente, la specialita' della disciplina introdotta dal legislatore puo' giustificarsi per la gia' evidenziata particolarita' della fattispecie, posto che, come sopra indicato, solo nel caso di intervenuto accertamento in sede amministrativa di pregresse cause interdittive sembra emergere l'esigenza di una maggiore attenzione nei confronti del soggetto interessato e la conseguente necessita' di un accertamento che involga anche l'eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Poiche' il legislatore delegato ha fatto esclusivo rinvio all'ipotesi di verifiche ai sensi dell'art. 88, secondo comma, e non ad altre ipotesi (inclusa quella in cui, come nella specie, pur nell'insussistenza di una pregressa causa di decadenza, sospensione o divieto risultante dalla consultazione della banca dati, i tentativi di infiltrazione siano stati gia' accertati all'esito di altro procedimento amministrativo e, segnatamente, in occasione del rilascio di una precedente, consolidata ed ancora efficace informazione antimafia), dovrebbe ritenersi, in base ad un'esegesi letterale della disciplina, che nella specie l'Amministrazione fosse tenuta all'emanazione di una comunicazione liberatoria, nonostante in concreto fossero stati accertati nei confronti del soggetto interessato - sebbene in una diversa sede procedimentale - tentativi di infiltrazione mafiosa. Sulla scorta di tali considerazioni risulterebbe fondata la prima censura sollevata dalla societa' ricorrente. Tuttavia, per le ragioni di seguito indicate, il Collegio ritiene che la situazione consistente nel precedente accertamento di tentativi di infiltrazione in occasione dell'emanazione di un'informazione antimafia ancora efficace non sia in nulla dissimile da quella contemplata dall'art. 89-bis ripetutamente citato. Anche in tal caso, invero, l'accertamento dei tentativi di infiltrazione - cosi' come avviene in forza del combinato disposto degli artt. 88, secondo comma, e 89-bis, primo comma - e' imposto dalla legge, sebbene nell'ambito di un diverso (e precedente) procedimento amministrativo. Anche in tal caso, poi, sembrano sussistere quelle esigenze di tutela giustificate da un'obiettiva situazione di pericolo accertata in sede amministrativa in ossequio ad un obbligo di legge e consistente nel coinvolgimento del soggetto interessato con gli ambienti della criminalita' organizzata, seppure al piu' tenue livello dei meri tentativi di infiltrazione mafiosa. In altri termini, la totale identita' di «ratio» fra l'ipotesi indicata e quella esplicitamente considerata dal legislatore delegato, sembra risultare dalla circostanza che in entrambi i casi i tentativi vengono obiettivamente appurati dall'Amministrazione in una sede procedimentale: in esito ai doverosi accertamenti imposti dagli artt. 88, secondo comma, e 89-bis, primo comma, in un caso; a seguito di precedente, doverosa ed ancora efficace informazione antimafia interdittiva nell'altro. L'identita' di «ratio» giustificherebbe, pertanto, l'applicazione analogica al caso in esame dell'art. 89-bis, secondo comma, ai sensi dell'art. 12, secondo comma, disp. prel. c.c.. Tale conclusione, che appare al Collegio condivisibile, imporrebbe il rigetto dei primi tre motivi di gravame di cui all'odierno ricorso, posto che, ai sensi dell'art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241/1990, non e' annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Nella specie, invero, il provvedimento adottato, secondo l'interpretazione analogica sopra descritta, risulterebbe interamente vincolato a seguito del gia' intervenuto accertamento, sebbene in una diversa sede procedimentale, dei tentativi di infiltrazione mafiosa, a nulla rilevando che l'Amministrazione abbia motivato la propria decisione in modo formalmente differente (e, come sopra indicato, piu' radicale), giacche', ai sensi del citato art. 21-octies, secondo comma, la mancata o insufficiente motivazione dell'atto non puo' refluire sulla sua validita' qualora essa esprima un potere privo di margini di discrezionalita' (sul punto, cfr., fra le piu' recenti, Cons. St., Sez. IV, n. 3293/2016, Cons. St., Sez. V, n. 1645/2016 e tribunale amministrativo regionale Puglia, Bari, Sez. II, n. 785/2015). Senonche' il citato art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2001, analogicamente applicato anche in relazione all'ipotesi di precedente ed efficace informazione antimafia interdittiva che abbia accertato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, sembra al Collegio costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega, in quanto fra i principi e i criteri direttivi di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 159/2001 - da osservarsi anche in sede di decreto correttivo, come disposto dall'ultimo comma di tale norma - non e' contemplata la possibile estensione del rilascio dell'informazione antimafia (con i piu' severi accertamenti che tale provvedimento presuppone) per alcuna delle ipotesi in cui l'ordinamento abbia precedentemente previsto la richiesta ed il rilascio della semplice comunicazione. Sul punto vanno interamente richiamate le osservazioni svolte dalla societa' ricorrente, la quale ha bene evidenziato che, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 219/2013, l'eventuale opera di completamento della disciplina da parte del legislatore delegato deve necessariamente mantenersi nell'alveo delle scelte di fondo operate dalla legge delega, senza potersi spingere a ricomprendere materie ed ipotesi che ne erano escluse. Nella specie, invece, il legislatore delegato, ad avviso del Collegio in contrasto con le previsioni della legge delega, ha contemplato l'emanazione di un'informazione antimafia con riferimento ad una fattispecie - da interpretarsi analogicamente nei termini ripetutamente indicati - per cui la normativa previgente imponeva la richiesta e, soprattutto, il rilascio di una semplice comunicazione. Ne' appare possibile alla Sezione un'interpretazione diversa e costituzionalmente orientata della disciplina vigente, nel senso di ritenere, ad esempio, l'eccezionalita', con conseguente divieto di qualsiasi interpretazione analogica, di quanto desumibile dalla semplice esegesi letterale del citato art. 89-bis, posto che tale disposizione, nel derogare alle ordinarie ipotesi in cui e' prevista sia la richiesta che il rilascio della comunicazione antimafia, sembra riposare, come gia' indicato, sul principio secondo cui e' necessario apprestare piu' adeguate misure amministrative nei casi in cui, all'esito di accertamenti imposti dalla normativa vigente, sia stato obiettivamente appurato dall'autorita' amministrativa il coinvolgimento del soggetto interessato, seppure a livello di meri tentativi di infiltrazione, con gli ambienti della criminalita' organizzata (circostanza che ricorre, con conseguente sussistenza della «eadem ratio», non solo nell'ipotesi in cui, a fronte di pregresse cause interdittive, sia intervenuto l'accertamento di concreti tentativi di infiltrazione ai sensi dell'art. 89-bis, primo comma, ma anche nel caso di tentativi di infiltrazione gia' accertati in occasione di una precedente informazione antimafia ancora efficace). Ne' appare possibile dare rilievo alla volonta' storica del legislatore delegato quale sembra emergere dalla relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo n. 153/2014, ove, in effetti, si legge che il citato art. 89-bis assolve la finalita' di «evitare vuoti normativi suscettibili di favorire l'ingerenza nel settore degli appalti e dei rapporti con la Pubblica amministrazione». Tale espressione, con il suo esplicito riferimento agli «appalti» e a veri e propri «rapporti» tra l'interessato e l'Amministrazione (con esclusione - sembra doversi intendere - dei procedimenti «lato sensu» autorizzatori), potrebbe indurre ad interpretare la disposizione, come prospettato dalla societa' ricorrente, nel senso che essa sia riferita esclusivamente ai contratti, ai subcontratti, alle concessioni e alle erogazioni al di sotto del valore per cui era gia' prevista l'acquisizione dell'informazione antimafia, in ossequio all'esigenza di evitare ogni impegno di denaro pubblico in favore di soggetti in qualsiasi modo interessati dall'attivita' della criminalita' organizzata. Tale lettura, tuttavia, contrasta radicalmente con la lettera della legge, atteso che l'art. 89-bis, primo comma, rinvia espressamente alle verifiche di cui all'art. 88, secondo comma, le quali, a fronte di una pregressa causa interdittiva, devono essere svolte con riferimento a tutte le ipotesi in cui l'ordinamento ha contemplato la richiesta della comunicazione antimafia da parte dei soggetti di cui all'art. 83, primo e secondo comma. Se il legislatore delegato avesse effettivamente inteso estendere gli accertamenti tipici dell'informazione soltanto ai contratti e subcontratti, nonche' alle concessioni ed erogazioni di valore inferiore a quanto previsto in materia di informazione, avrebbe dovuto, piuttosto, riformulare espressamente gli artt. 67, primo comma, e 91, primo comma, del codice antimafia, applicando l'intera disciplina dell'informazione a tutti i casi in cui la Pubblica amministrazione sia chiamata ad assegnare al privato, tramite contratto o provvedimento, vantaggi di natura economica. Deve anche aggiungersi che, in alternativa, il quadro normativo sopra delineato puo' non apparire particolarmente coerente sotto un diverso profilo. Il legislatore, infatti, sembra aver trattato in modo dissimile situazioni che potrebbero anche ritenersi sostanzialmente identiche, non comprendendosi esattamente perche' i tentativi di infiltrazione dovrebbero assumere rilievo solo nei casi in cui sia richiesta la comunicazione antimafia relativa ad un soggetto nei cui confronti risultino pregresse cause interdittive, nonche' nel caso di precedente ed ancora efficace informazione antimafia interdittiva, mentre essi risulterebbero irrilevanti - anche se sussistenti - negli altri casi. In altri termini, non e' del tutto chiaro perche' il legislatore, in luogo di introdurre la disciplina derogatoria di cui all'art. 89-bis, primo comma, che rimanda alla sola ipotesi di cui al precedente art. 88, secondo comma, e - analogicamente - al caso di precedente ed efficace informazione interdittiva, non abbia previsto «tout court», attesa la sostanziale omogeneita' fra le diverse fattispecie, il rilascio di un'informazione antimafia per tutti i procedimenti di rilievo minore - o, in alternativa, per nessuno - per i quali in precedenza si prevedeva (la richiesta ed) il rilascio di una semplice comunicazione. In tale prospettiva, la disciplina di cui all'art. 89-bis puo' risultare irrazionale e violare il canone di ragionevolezza desumibile dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, attribuendo rilievo ai tentativi di infiltrazione, non in ragione dell'obiettivo rilievo del provvedimento o del contratto, ma per circostanze contingenti consistenti nella pregressa sussistenza di una causa interdittiva o nella precedente emanazione di un'informazione antimafia interdittiva. La rilevanza dei prospettati profili di illegittimita' costituzionale risulta, oltre che dalle argomentazioni in precedenza svolte, dalla ritenuta infondatezza dell'eccezione di irricevibilita' del gravame sollevata dal Ministero dell'Interno, a nulla rilevando che il provvedimento ritenuto presupposto dall'Amministrazione (cioe' l'informazione prefettizia - immediatamente lesiva - n. 82460 dell'11 settembre 2015) si sia definitivamente consolidato, in quanto, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso, risulterebbe illegittima, non l'informazione interdittiva (che, infatti, non e' stata neppure impugnata), ma il provvedimento di decadenza del Comune, perche' emanato nell'erroneo convincimento del rilievo dell'informazione gia' rilasciata anche in relazione al procedimento conseguente alla segnalazione certificata di inizio attivita'. A nulla sembra rilevare, poi, che il gravame possa risultare inammissibile in relazione alle impugnate note del Ministero dell'interno e della Prefettura, posto che: a) la loro contestazione e' avvenuta a fini esplicitamente tuzioristici; b) tali atti appaiono di natura endoprocedimentale; c) la societa' ricorrente, in sostanza, ha interesse a conseguire il solo annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento (cioe' dell'ordinanza n. 43 del 1° febbraio 2016). Neppure, infine, sembra potersi attribuire rilievo provvedimentale alla nota della Prefettura di Messina n. 86417 in data 23 settembre 2015 (non impugnata con l'odierno gravame), posto che essa costituisce una semplice comunicazione, con cui l'Amministrazione si limita a sollecitare - implicitamente - un'interpretazione della disciplina che conduca ad individuare quale atto presupposto del provvedimento di decadenza la precedente informazione antimafia n. 82460 dell'11 settembre 2015, come piu' chiaramente e diffusamente indicato nella successiva nota della medesima Prefettura n. 224311 del 28 settembre 2015. Per le considerazioni che precedono, il Collegio ritiene che debba essere rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2001 per contrasto con gli artt. 76, 77, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione. Il presente giudizio va, conseguentemente, sospeso sino all'intervenuta decisione del giudice delle leggi.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania (Sezione Seconda), non pronunciando definitivamente sul presente giudizio e visti gli artt. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: 1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis del decreto legislativo n. 159/2011 in relazione agli artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione; 2) dispone la sospensione del presente giudizio; 3) ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 4) dispone che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; 5) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione. Cosi' deciso in Catania nella Camera di consiglio del giorno 21 settembre 2016 con l'intervento dei magistrati: Francesco Brugaletta, Presidente; Daniele Burzichelli, consigliere, estensore; Francesco Elefante, referendario. Il Presidente: Brugaletta L'estensore: Burzichelli