N. 263 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 settembre 2016

Ordinanza  del  28  settembre   2016 del   Tribunale   amministrativo
regionale per la Sicilia - Sezione staccata di  Catania  sul  ricorso
proposto da Mare  Azzurro  Service  Srl  contro  Comune  di  Messina,
Ministero dell'interno e Prefettura di Messina.. 
 
Mafia e criminalita' organizzata - Codice  delle  leggi  antimafia  -
  Documentazione antimafia - Richiesta di comunicazione  antimafia  -
  Accertamento di  tentativi  di  infiltrazione  mafiosa  -  Adozione
  dell'informazione antimafia. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159  (Codice  delle  leggi
  antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni
  in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1  e
  2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), art. 89-bis. 
(GU n.1 del 4-1-2017 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA 
            Sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 344 del 2016, proposto  da:  Mare  Azzurro  Service
S.r.l., in persona del rappresentante legale, rappresentata e  difesa
dall'Avvocato Antonio Saitta (C.F. STTNTN63M13F158C), domiciliato  ex
art. 25 c.p.a. presso  la  Segreteria  del  Tribunale  amministrativo
regionale di Catania, in Catania, via Milano n. 42/a; 
    Contro: 
        Comune di Messina, in persona del  Sindaco,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocato Antonello Garufi  (C.F.  GRFNNL65M17F158S),  con
domicilio presso Domenico Calabro', in Catania, Via Vagliasindi 9; 
        Ministero degli interni (Prefettura di Messina),  in  persona
del Ministro, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  distrettuale
dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, via Vecchia Ognina
149; 
    Per l'annullamento dei seguenti atti: 
        a) ordinanza del Comune di Messina n. 43 in data 1°  febbraio
2016, con cui e'  stata  disposta  la  decadenza  della  segnalazione
certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6  maggio  2014  ed  e'
stato fatto  divieto  alla  societa'  di  proseguire  l'attivita'  di
vendita di prodotti del I Settore alimentare nei locali siti  in  via
Stazione n. 2; 
        b) nota del Ministero degli  interni  n.  11001/119/20(9)  in
data 14 dicembre 2015; 
        c) nota della Prefettura di Messina n. 114429 del 17 dicembre
2015. 
    Visti tutti gli atti e documenti di causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21  settembre  2016  il
dott. Daniele Burzichelli e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Con il presente gravame la societa' ricorrente ha  impugnato:  a)
l'ordinanza del Comune di Messina n. 43 in data 1° febbraio 2016, con
cui e' stata disposta la decadenza della segnalazione certificata  di
inizio attivita' n. 112582 del  6  maggio  2014  ed  e'  stato  fatto
divieto  alla  societa'  di  proseguire  l'attivita'  di  vendita  di
prodotti del I Settore Alimentare nei locali siti in Via Stazione  2;
b) la nota del Ministero degli interni n. 11001/119/20(9) in data  14
dicembre 2015; c) la nota della Prefettura di Messina n.  114429  del
17 dicembre 2015. 
    Nel ricorso sono esposte  le  circostanze  di  fatto  di  seguito
indicate: a) la  ricorrente,  mediante  segnalazione  certificata  di
inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014, ha ottenuto dal  Comune
di Messina l'autorizzazione alla vendita al dettaglio di prodotti  di
cui al I Settore alimentare (prodotti freschi e congelati,  ittici  e
non) nei locali siti in Messina, Via Stazione n. 2; b) in  precedenza
la ricorrente aveva partecipato  al  bando  per  l'erogazione  di  un
finanziamento dell'Assessorato regionale dell'Agricoltura di  cui  al
decreto n. 129/Pesca del 13 maggio 2009  e  nel  corso  del  relativo
procedimento  l'Amministrazione   procedente   aveva   chiesto   alla
Prefettura di Messina rituali informazioni ai sensi dell'art. 83  del
decreto legislativo n. 159/2011 (codice antimafia); c) l'Ufficio  del
Governo, ai sensi dell'art. 91 del citato decreto legislativo, aveva,
quindi,  emanato  l'informazione  antimafia  interdittiva  n.   82460
dell'11  settembre  2015;  d)  nella   menzionata   informazione   si
evidenziava la sussistenza di possibili  tentativi  di  infiltrazione
mafiosa, dando atto che il coniuge del  legale  rappresentante  della
societa' era stato rinviato a giudizio per il reato di  cui  all'art.
73 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990  e  che
alcuni procedimenti di natura  patrimoniale  si  erano  conclusi  con
provvedimenti di sequestro e confisca di beni riconducibili al gruppo
imprenditoriale  di  cui  si  tratta;  e)  la  societa',   non   piu'
interessata a conseguire il finanziamento  regionale,  ha  omesso  di
impugnare l'informazione antimafia della Prefettura; f) il Comune  di
Messina, a sua volta, con nota n. 38330  del  18  febbraio  2015,  in
considerazione  del  provvedimento  autorizzatorio  derivante   dalla
segnalazione certificata di inizio attivita' n. 112582 del  6  maggio
2014, ha interpellato la Prefettura sull'esistenza di cause  ostative
ai sensi dell'art. 67 del codice antimafia e la Prefettura ha esitato
la richiesta con nota n. 86417 in data 23 settembre 2015, comunicando
di aver emesso la sopra indicata informazione antimafia  interdittiva
n. 82460 dell'11 settembre 2015; g) il  Comune  ha,  quindi,  chiesto
alla Prefettura ulteriori informazioni con  nota  n.  224311  del  28
settembre 2015 e la Prefettura, con nota n. 114429  del  17  dicembre
2015, ha trasmesso la nota ministeriale  n.  11001/119/20(9)  del  14
dicembre 2015, con allegato il  parere  del  Consiglio  di  Stato  n.
3088/15 del 17 novembre 2015 in merito  all'applicabilita'  dell'art.
89-bis del decreto legislativo n. 159/2011 ai provvedimenti di natura
meramente autorizzatoria, con  conseguente  esclusione  del  soggetto
interessato da ogni  attivita'  economica  sottoposta  al  preventivo
assenso della Pubblica amministrazione; h) con nota n. 302385 del  21
dicembre 2015, il Comune di Messina  ha  comunicato  alla  ricorrente
l'avvio  del  procedimento  per  la  decadenza   della   segnalazione
certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6 maggio 2014;  i)  con
ordinanza del Comune di Messina n.  43  in  data  1°  febbraio  2016,
tenuto conto dell'ambito di applicazione dell'art. 89-bis del  codice
antimafia, e' stata, infine, disposta la decadenza  della  menzionata
segnalazione certificata  di  inizio  attivita'  ed  e'  stato  fatto
divieto  alla  societa'  di  proseguire  l'attivita'  di  vendita  di
prodotti del I Settore Alimentare nei locali siti in Via Stazione. 
    Il contenuto dei motivi di gravame puo' sintetizzarsi nei termini
di seguito indicati: a) il provvedimento del Comune e' stato  assunto
al di fuori delle ipotesi contemplate  dall'art.  89-bis  del  codice
antimafia,  posto  che  tale  disposizione  fa  espresso  riferimento
all'espletamento delle  verifiche  di  cui  al  precedente  art.  88,
secondo comma, le quali sono state eseguite  quanto  al  procedimento
relativo al bando dell'Assessorato regionale dell'agricoltura di  cui
al decreto n. 129/Pesca  del  13  maggio  2009,  ma  non  sono  state
esperite in relazione  al  procedimento  relativo  alla  segnalazione
certificata di inizio attivita' presentata al Comune di Messina; b) a
differenza di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato  nel  parere  n.
3088/15 del 17 novembre 2015,  l'informazione  antimafia,  in  quanto
relativa  all'ipotesi  in  cui  l'Amministrazione   debba   stipulare
contratti, rilasciare concessioni o disporre  erogazioni,  va  sempre
distinta  dalla  comunicazione  antimafia,  che,   invece,   concerne
attivita' private sottoposte a regime autorizzatorio, e l'art. 89-bis
del codice antimafia, in armonia con quanto indicato nella  relazione
ministeriale allo schema di decreto legislativo n. 153/2014,  assolve
la finalita' di evitare l'ingerenza  della  criminalita'  organizzata
nel settore degli  appalti  e  dei  rapporti  con  l'Amministrazione,
impedendo, in altri termini, che le imprese soggette a  tentativi  di
infiltrazione possano comunque conseguire benefici economici da parte
della  pubblica   autorita';   c)   l'applicazione   della   semplice
comunicazione antimafia ai procedimenti di natura  autorizzatoria  e'
precisata dalla legge  delega  n.  136/2010  (art.  2,  primo  comma,
lettera a) e lettera f); d) in subordine, l'art.  89-bis  del  codice
antimafia  risulta   costituzionalmente   illegittimo,   perche'   in
contrasto  con  la  legge  delega,  che  non  consente   l'estensione
dell'informazione antimafia ai  procedimenti  autorizzatori,  nonche'
con il principio di uguaglianza, con il canone  di  ragionevolezza  e
con il principio di liberta' di  iniziativa  economica,  introducendo
tale disposizione un regime differenziato in relazione a  fattispecie
sostanzialmente identiche (nel senso  che  al  soggetto  in  concreto
sottoposto a tentativi di infiltrazione  mafiosa  non  sarebbero  mai
precluse le attivita' soggette ad autorizzazione, salva  l'ipotesi  -
che pero' non  giustifica  una  differente  disciplina  -  in  cui  i
tentativi di infiltrazione siano stati accertati in occasione di  una
precedente informazione antimafia). 
    Il Comune di Messina, costituitosi in  giudizio,  ha  chiesto  il
rigetto del ricorso sulla  scorta  delle  considerazioni  di  seguito
sinteticamente indicate:  a)  il  gravame  risulta  inammissibile  in
relazione alle impugnate note  del  Ministero  dell'Interno  e  della
Prefettura,  posto  che  nessuna  censura  e'  stata  enunciata   con
specifico riferimento a tali atti; b) come affermato dal Consiglio di
Stato,  l'art.  89-bis  del  decreto  legislativo  n.   159/2011   e'
applicabile ai provvedimenti di natura meramente  autorizzatoria  che
non configurino rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione
e che non diano luogo all'erogazione di contributi pubblici; c)  tale
conclusione e' supportata sia da ragioni di ordine letterale, che  da
ragioni di ordine sistematico, di talche' il citato art.  89-bis  non
puo' che interpretarsi nel senso che l'informazione antimafia produce
i medesimi effetti della comunicazione antimafia anche nelle  ipotesi
in cui non sussista un rapporto contrattuale del soggetto interessato
con la Pubblica  Amministrazione,  come  risulta,  tra  l'altro,  dal
contenuto della menzionata  relazione  illustrativa  allo  schema  di
decreto legislativo concernente ulteriori disposizioni integrative  e
correttive  del  decreto  legislativo  n.   159/2011;   d)   appaiono
conseguentemente insussistenti i denunciati profili di illegittimita'
costituzionale della disciplina in esame. 
    Il Ministero dell'interno, costituitosi in giudizio,  ha  chiesto
il rigetto del gravame, eccependo l'inoppugnabilita' dell'informativa
antimafia, notificata via PEC in data 16 settembre 2015, e osservando
nel merito che l'art. 89-bis del decreto legislativo n.  159/2011  va
interpretato nel  senso  che  l'informazione  antimafia  produce  gli
stessi effetti preclusivi della comunicazione anche nelle ipotesi  in
cui l'attivita' da  autorizzare  non  determini  l'insorgenza  di  un
rapporto del soggetto interessato con la Pubblica amministrazione. 
    Nella pubblica udienza del 21 settembre 2016 la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    Ad  avviso  del  Collegio  e'  rilevante  e  non   manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
89-bis del decreto legislativo n.  159/2001  per  contrasto  con  gli
artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione. 
    E' opportuno premettere che la  comunicazione  antimafia  di  cui
all'art. 84, secondo comma, del decreto legislativo n. 159/2011  deve
essere acquisita - dai soggetti di cui all'art. 83, primo  e  secondo
comma, del medesimo decreto - in relazione al rilascio di determinati
provvedimenti di natura concessoria o  «lato  sensu»  autorizzatoria,
nonche' alla stipula di  contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e
forniture,  di   cottimo   fiduciario   e   relativi   subappalti   e
subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo  e
le forniture con posa in opera,  purche'  l'importo  degli  eventuali
provvedimenti e dei contratti sia  inferiore  a  quello  per  cui  e'
prevista  l'acquisizione   dell'informazione   antimafia   (cfr.   il
combinato disposto degli artt. 67, primo e secondo comma, e 91, primo
comma, del codice antimafia). 
    Come e' noto,  le  cause  che  determinano  il  rilascio  di  una
comunicazione  interdittiva   sono   costituite   dai   provvedimenti
definitivi  di  applicazione  delle  misure  di  prevenzione  di  cui
all'art. 5 del decreto legislativo n. 159/2011 e dalle  condanne  con
sentenza definitiva o confermata in appello per  taluno  dei  delitti
consumati o tentati elencati all'art. 51, comma 3-bis, del codice  di
procedura  penale  (art.  67,  primo  e  ottavo  comma,  del  decreto
legislativo n. 159/2011). 
    L'informazione antimafia di cui all'art.  84,  terzo  comma,  del
decreto legislativo n. 159/2011, attesta, invece, oltre a quanto gia'
previsto per la comunicazione antimafia  (cioe'  eventuali  cause  di
decadenza, sospensione o divieto di cui al citato art. 67), anche  la
sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa  tendenti  a
condizionare le scelte e gli indirizzi della societa' o  dell'impresa
interessata  (mediante  accertamenti  effettuati,   in   particolare,
secondo la disciplina di cui agli artt. 84,  quarto  comma  e  quarto
comma-ter, nonche' 91, comma quinto e sesto, del codice antimafia). 
    L'informazione antimafia va  richiesta  -  dai  soggetti  di  cui
all'art. 83, primo  e  secondo  comma,  del  decreto  legislativo  n.
159/2011 - prima di adottare stipulare,  approvare  o  autorizzare  i
contratti  e  subcontratti  o  prima   di   rilasciare   o   adottare
provvedimenti di concessione o  di  erogazione  di  benefici  il  cui
valore sia superiore a quello previsto per la comunicazione antimafia
(art. 91, primo comma, del codice antimafia). 
    Come evidenziato nel parere del Consiglio di Stato n. 3088/15 del
17 novembre 2015, la comunicazione antimafia costituisce  un  «minus»
rispetto all'informazione antimafia  (attestando  quest'ultima  anche
l'eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa)  e  va
richiesta in relazione a fattispecie di  rilievo  minore  rispetto  a
quelle  per  cui  e'  prevista  l'informazione,   che   e',   invece,
contemplata  per  rapporti   particolarmente   qualificati   in   cui
l'Amministrazione attribuisce al  soggetto  interessato  vantaggi  di
natura economica di importo significativo. 
    La  comunicazione  antimafia  e  l'informazione  antimafia   sono
acquisite mediante consultazione della banca  dati  nazionale  unica,
recentemente resa operativa (artt.  87,  primo  comma,  e  90,  primo
comma, del decreto legislativo n. 159/2011). 
    Stabilisce, inoltre, l'art. 88, secondo  comma,  del  decreto  in
questione che, quando dalla consultazione della banca dati, a seguito
di richiesta di comunicazione antimafia,  emerga  la  sussistenza  di
cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al  precedente  art.
67, il Prefetto e' tenuto ad effettuare le necessarie verifiche e  ad
accertare  la  corrispondenza  dei  motivi  ostativi   emersi   dalla
consultazione  della  banca  dati  alla  situazione  aggiornata   del
soggetto sottoposto agli accertamenti. 
    Come risulta dall'art. 89-bis, primo comma, le verifiche  di  cui
si tratta sono  (anche)  finalizzate  all'accertamento  di  eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa. 
    In buona sostanza, l'Amministrazione, a seguito di una  richiesta
di  comunicazione  e  qualora  dalla  banca  dati  emerga  una  causa
interdittiva, e' chiamata a verificare da un lato  che  il  risultato
della consultazione sia ancora attuale  (si  pensi,  ad  esempio,  al
legale rappresentante di una societa' di  capitali,  il  quale,  gia'
colpito da una delle misure di  prevenzione  previste  dal  libro  I,
titolo I, capo II,  del  codice  antimafia,  risulti  ormai  estraneo
all'impresa), dall'altro ad accertare la sussistenza di tentativi  di
infiltrazione, in deroga alla disciplina ordinaria che  esclude  tale
genere  di  accertamento  allorquando  sia  richiesta  una   semplice
comunicazione antimafia. 
    Qualora, in esito alle menzionate verifiche di cui  all'art.  88,
secondo  comma,  venga  accertata  la  sussistenza  di  tentativi  di
infiltrazione, il Prefetto adotta comunque un'informazione  antimafia
interdittiva e ne da' comunicazione ai soggetti  richiedenti  di  cui
all'art. 83, primo e secondo comma commi 1 e  2,  senza  emettere  la
comunicazione  antimafia  (art.  89-bis,  primo  comma,  del   codice
antimafia). 
    In tal caso l'informazione  antimafia  adottata  ai  sensi  della
disposizione  indicata  tiene  luogo  della  comunicazione  antimafia
richiesta (art. 89-bis, secondo comma,  del  decreto  legislativo  n.
159/2011). 
    In altri termini, una  volta  emersa  dalla  consultazione  della
banca dati una causa interdittiva di cui all'art. 67 in  relazione  a
casi per cui sia prevista la richiesta di una comunicazione antimafia
(che ordinariamente non richiede accertamenti in merito ai  tentativi
di infiltrazione), il Prefetto e' chiamato ad esperire verifiche  sia
in ordine all'attualita' di tali cause, sia -  eccezionalmente  -  in
ordine ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa. 
    Puo' dirsi, quindi, che il legislatore  delegato,  attraverso  il
citato art. 89-bis del codice antimafia, in relazione ai casi per cui
sia  prevista  la  richiesta  della   comunicazione   antimafia,   ha
contemplato  i  piu'  severi  accertamenti  di  cui  all'informazione
antimafia qualora sussista una particolare  fattispecie,  consistente
nella  pregressa  sussistenza  a  carico  dell'impresa  di  cause  di
decadenza, sospensione o divieto  di  cui  all'art.  67  del  decreto
legislativo n. 159/2011. 
    Si e' evidentemente ritenuto che, in tale ipotesi,  tenuto  conto
del  precedente  coinvolgimento  del  soggetto  interessato  con  gli
ambienti della criminalita' organizzata, sussista l'esigenza  di  una
speciale  attenzione  da   parte   dell'Amministrazione,   cio'   che
giustifica  l'accertamento,  oltre  che  dell'attualita'   di   cause
interdittive, anche di eventuali tentativi di infiltrazione  mafiosa,
in relazione ai  quali,  come  ripetutamente  indicato,  non  vengono
ordinariamente svolte verifiche con  riferimento  a  provvedimenti  o
contratti  per  cui  sia  prevista  la   richiesta   della   semplice
comunicazione antimafia. 
    Peraltro, ad avviso del Comune di Messina e della  Prefettura  di
Messina, come risulta implicitamente dai provvedimenti  impugnati,  i
piu'  severi  accertamenti   previsti   in   caso   di   acquisizione
dell'informazione antimafia non  dovrebbero  essere  confinati,  come
desumibile in base alla semplice lettera della legge, all'ipotesi  di
pregressa  sussistenza  di  una  causa  interdittiva,  ma  dovrebbero
estendersi a tutte le richieste di comunicazione antimafia presentate
dai soggetti di cui all'art. 83, primo e secondo comma,  del  decreto
legislativo n. 159/2011 (e, quindi, anche al caso che qui  interessa,
in cui la societa' ricorrente, a seguito di segnalazione  certificata
di inizio attivita' n. 112582  del  6  maggio  2014,  aveva  ottenuto
l'autorizzazione alla vendita al dettaglio di prodotti di  cui  al  I
Settore Alimentare). 
    Tale interpretazione, pero', sembra in contrasto con  l'obiettiva
intenzione del legislatore, atteso che l'art.  89-bis,  primo  comma,
impone i piu' severi  accertamenti  caratteristici  dell'informazione
antimafia con esplicito ed esclusivo riferimento ai soli  casi  delle
verifiche, ex art. 88, secondo comma, che fanno seguito all'emersione
di cause interdittive dalla consultazione della banca dati (e non con
riferimento a  tutti  i  casi  in  cui  sia  comunque  richiesta  una
comunicazione antimafia). 
    Cio' a tacere il fatto che, secondo la tesi delle Amministrazioni
intimate,  comunicazione  ed  informazione   antimafia   resterebbero
soggette ad una disciplina sostanzialmente  equivalente  (nel  senso,
quantomeno, che gli accertamenti tipici dell'informazione  dovrebbero
esperirsi in ogni caso), in contrasto con cio'  che  puo'  desumersi,
oltre che dalla lettera della legge, dal complessivo  impianto  della
disciplina, che, diversamente opinando,  finirebbe  per  operare  una
distinzione fondamentalmente pleonastica fra  i  casi  in  cui  debba
richiedersi l'informazione antimafia e quelli in cui vada  richiesta,
invece, la semplice comunicazione. 
    Peraltro, a differenza di quanto ritenuto  dalle  Amministrazioni
intimate e  dalla  stessa  parte  ricorrente,  la  specialita'  della
disciplina introdotta dal legislatore puo' giustificarsi per la  gia'
evidenziata particolarita' della fattispecie, posto che,  come  sopra
indicato,  solo  nel  caso  di  intervenuto  accertamento   in   sede
amministrativa  di  pregresse  cause  interdittive  sembra   emergere
l'esigenza di una maggiore  attenzione  nei  confronti  del  soggetto
interessato e  la  conseguente  necessita'  di  un  accertamento  che
involga anche l'eventuale sussistenza di tentativi  di  infiltrazione
mafiosa. 
    Poiche'  il  legislatore  delegato  ha  fatto  esclusivo   rinvio
all'ipotesi di verifiche ai sensi dell'art. 88, secondo comma, e  non
ad altre ipotesi (inclusa quella  in  cui,  come  nella  specie,  pur
nell'insussistenza di una pregressa causa di decadenza, sospensione o
divieto risultante dalla consultazione della banca dati, i  tentativi
di infiltrazione  siano  stati  gia'  accertati  all'esito  di  altro
procedimento  amministrativo  e,  segnatamente,  in   occasione   del
rilascio  di  una  precedente,   consolidata   ed   ancora   efficace
informazione antimafia), dovrebbe ritenersi, in  base  ad  un'esegesi
letterale della disciplina, che nella specie l'Amministrazione  fosse
tenuta all'emanazione di una comunicazione liberatoria, nonostante in
concreto  fossero  stati  accertati  nei   confronti   del   soggetto
interessato - sebbene in una diversa sede procedimentale -  tentativi
di infiltrazione mafiosa. 
    Sulla scorta di tali considerazioni risulterebbe fondata la prima
censura sollevata dalla societa' ricorrente. 
    Tuttavia, per le ragioni di seguito indicate, il Collegio ritiene
che  la  situazione  consistente  nel  precedente   accertamento   di
tentativi  di   infiltrazione   in   occasione   dell'emanazione   di
un'informazione antimafia ancora efficace non sia in nulla  dissimile
da quella contemplata dall'art. 89-bis ripetutamente citato. 
    Anche in  tal  caso,  invero,  l'accertamento  dei  tentativi  di
infiltrazione - cosi' come avviene in forza  del  combinato  disposto
degli artt. 88, secondo comma, e 89-bis, primo  comma  -  e'  imposto
dalla  legge,  sebbene  nell'ambito  di  un  diverso  (e  precedente)
procedimento amministrativo. 
    Anche in tal caso, poi, sembrano sussistere  quelle  esigenze  di
tutela giustificate da un'obiettiva situazione di pericolo  accertata
in  sede  amministrativa  in  ossequio  ad  un  obbligo  di  legge  e
consistente nel  coinvolgimento  del  soggetto  interessato  con  gli
ambienti  della  criminalita'  organizzata,  seppure  al  piu'  tenue
livello dei meri tentativi di infiltrazione mafiosa. 
    In altri termini, la totale identita' di  «ratio»  fra  l'ipotesi
indicata  e  quella  esplicitamente   considerata   dal   legislatore
delegato, sembra risultare dalla circostanza che in entrambi i casi i
tentativi vengono obiettivamente appurati dall'Amministrazione in una
sede procedimentale: in esito ai doverosi accertamenti imposti  dagli
artt. 88, secondo comma, e 89-bis, primo comma, in un caso; a seguito
di precedente, doverosa ed  ancora  efficace  informazione  antimafia
interdittiva nell'altro. 
    L'identita' di «ratio» giustificherebbe, pertanto, l'applicazione
analogica al caso in esame dell'art. 89-bis, secondo comma, ai  sensi
dell'art. 12, secondo comma, disp. prel. c.c.. 
    Tale  conclusione,  che   appare   al   Collegio   condivisibile,
imporrebbe il  rigetto  dei  primi  tre  motivi  di  gravame  di  cui
all'odierno ricorso, posto che, ai sensi dell'art. 21-octies, secondo
comma, della legge n. 241/1990, non e' annullabile  il  provvedimento
adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma  degli
atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento,  sia  palese
che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato. 
    Nella  specie,  invero,  il   provvedimento   adottato,   secondo
l'interpretazione analogica sopra descritta, risulterebbe interamente
vincolato a seguito del gia' intervenuto accertamento, sebbene in una
diversa sede procedimentale, dei tentativi di infiltrazione  mafiosa,
a nulla rilevando che l'Amministrazione  abbia  motivato  la  propria
decisione in modo formalmente differente  (e,  come  sopra  indicato,
piu' radicale), giacche', ai sensi del citato art. 21-octies, secondo
comma, la mancata o  insufficiente  motivazione  dell'atto  non  puo'
refluire sulla sua validita' qualora essa esprima un potere privo  di
margini di discrezionalita' (sul punto, cfr., fra  le  piu'  recenti,
Cons. St., Sez. IV, n. 3293/2016, Cons. St., Sez. V, n.  1645/2016  e
tribunale  amministrativo  regionale  Puglia,  Bari,  Sez.   II,   n.
785/2015). 
    Senonche' il  citato  art.  89-bis  del  decreto  legislativo  n.
159/2001, analogicamente applicato anche in relazione all'ipotesi  di
precedente ed efficace informazione antimafia interdittiva che  abbia
accertato la  sussistenza  di  tentativi  di  infiltrazione  mafiosa,
sembra al Collegio  costituzionalmente  illegittimo  per  eccesso  di
delega, in quanto fra  i  principi  e  i  criteri  direttivi  di  cui
all'art. 2 del decreto legislativo n. 159/2001 - da osservarsi  anche
in sede di decreto correttivo, come  disposto  dall'ultimo  comma  di
tale norma - non e' contemplata la possibile estensione del  rilascio
dell'informazione antimafia (con i piu' severi accertamenti che  tale
provvedimento  presuppone)  per   alcuna   delle   ipotesi   in   cui
l'ordinamento abbia  precedentemente  previsto  la  richiesta  ed  il
rilascio della semplice comunicazione. 
    Sul punto vanno interamente  richiamate  le  osservazioni  svolte
dalla societa' ricorrente, la quale ha  bene  evidenziato  che,  come
affermato dalla Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  219/2013,
l'eventuale opera di completamento  della  disciplina  da  parte  del
legislatore delegato deve necessariamente mantenersi nell'alveo delle
scelte di fondo operate dalla legge delega, senza potersi spingere  a
ricomprendere materie ed ipotesi che ne erano escluse. 
    Nella specie, invece, il  legislatore  delegato,  ad  avviso  del
Collegio in contrasto  con  le  previsioni  della  legge  delega,  ha
contemplato l'emanazione di un'informazione antimafia con riferimento
ad una fattispecie -  da  interpretarsi  analogicamente  nei  termini
ripetutamente indicati - per cui la normativa previgente imponeva  la
richiesta e, soprattutto, il rilascio di una semplice comunicazione. 
    Ne' appare possibile alla Sezione  un'interpretazione  diversa  e
costituzionalmente orientata della disciplina vigente, nel  senso  di
ritenere, ad esempio, l'eccezionalita', con  conseguente  divieto  di
qualsiasi  interpretazione  analogica,  di  quanto  desumibile  dalla
semplice esegesi letterale del citato art.  89-bis,  posto  che  tale
disposizione, nel derogare alle ordinarie ipotesi in cui e'  prevista
sia la richiesta  che  il  rilascio  della  comunicazione  antimafia,
sembra riposare, come gia' indicato, sul  principio  secondo  cui  e'
necessario apprestare piu' adeguate misure amministrative nei casi in
cui, all'esito di accertamenti imposti dalla normativa  vigente,  sia
stato  obiettivamente  appurato  dall'autorita'   amministrativa   il
coinvolgimento del soggetto interessato, seppure a  livello  di  meri
tentativi di  infiltrazione,  con  gli  ambienti  della  criminalita'
organizzata (circostanza che  ricorre,  con  conseguente  sussistenza
della «eadem ratio», non  solo  nell'ipotesi  in  cui,  a  fronte  di
pregresse  cause  interdittive,  sia  intervenuto  l'accertamento  di
concreti tentativi di infiltrazione ai sensi dell'art. 89-bis,  primo
comma, ma anche nel caso di tentativi di infiltrazione gia' accertati
in  occasione  di  una  precedente  informazione   antimafia   ancora
efficace). 
    Ne' appare possibile  dare  rilievo  alla  volonta'  storica  del
legislatore  delegato   quale   sembra   emergere   dalla   relazione
ministeriale allo schema di decreto legislativo n. 153/2014, ove,  in
effetti, si legge che il citato art. 89-bis assolve la  finalita'  di
«evitare vuoti normativi suscettibili  di  favorire  l'ingerenza  nel
settore   degli   appalti   e   dei   rapporti   con   la    Pubblica
amministrazione». 
    Tale espressione, con il suo esplicito riferimento agli «appalti»
e a veri e propri «rapporti» tra  l'interessato  e  l'Amministrazione
(con esclusione - sembra doversi intendere - dei  procedimenti  «lato
sensu»  autorizzatori),   potrebbe   indurre   ad   interpretare   la
disposizione, come prospettato dalla societa' ricorrente,  nel  senso
che essa sia riferita esclusivamente ai contratti,  ai  subcontratti,
alle concessioni e alle erogazioni al di sotto del valore per cui era
gia' prevista l'acquisizione dell'informazione antimafia, in ossequio
all'esigenza di evitare ogni impegno di denaro pubblico in favore  di
soggetti  in  qualsiasi   modo   interessati   dall'attivita'   della
criminalita' organizzata. 
    Tale lettura, tuttavia, contrasta  radicalmente  con  la  lettera
della  legge,  atteso  che  l'art.  89-bis,   primo   comma,   rinvia
espressamente alle verifiche di cui all'art. 88,  secondo  comma,  le
quali, a fronte di una pregressa causa  interdittiva,  devono  essere
svolte con riferimento a tutte le ipotesi  in  cui  l'ordinamento  ha
contemplato la richiesta della comunicazione antimafia da  parte  dei
soggetti di cui all'art. 83, primo e secondo comma. 
    Se il legislatore delegato avesse effettivamente inteso estendere
gli accertamenti tipici dell'informazione  soltanto  ai  contratti  e
subcontratti,  nonche'  alle  concessioni  ed  erogazioni  di  valore
inferiore a quanto  previsto  in  materia  di  informazione,  avrebbe
dovuto, piuttosto, riformulare  espressamente  gli  artt.  67,  primo
comma, e 91, primo comma, del codice antimafia,  applicando  l'intera
disciplina dell'informazione a  tutti  i  casi  in  cui  la  Pubblica
amministrazione  sia  chiamata  ad  assegnare  al  privato,   tramite
contratto o provvedimento, vantaggi di natura economica. 
    Deve anche aggiungersi che, in alternativa, il  quadro  normativo
sopra delineato puo' non apparire particolarmente coerente  sotto  un
diverso profilo. 
    Il legislatore, infatti, sembra aver trattato in  modo  dissimile
situazioni che potrebbero anche ritenersi sostanzialmente  identiche,
non comprendendosi esattamente perche' i tentativi  di  infiltrazione
dovrebbero assumere rilievo solo nei casi in  cui  sia  richiesta  la
comunicazione antimafia relativa ad un  soggetto  nei  cui  confronti
risultino  pregresse  cause  interdittive,  nonche'   nel   caso   di
precedente ed ancora efficace  informazione  antimafia  interdittiva,
mentre essi risulterebbero irrilevanti - anche se sussistenti - negli
altri casi. 
    In altri termini, non e' del tutto chiaro perche' il legislatore,
in luogo di introdurre la  disciplina  derogatoria  di  cui  all'art.
89-bis, primo  comma,  che  rimanda  alla  sola  ipotesi  di  cui  al
precedente art. 88, secondo comma, e - analogicamente -  al  caso  di
precedente ed efficace informazione interdittiva, non abbia  previsto
«tout court»,  attesa  la  sostanziale  omogeneita'  fra  le  diverse
fattispecie, il rilascio di un'informazione  antimafia  per  tutti  i
procedimenti di rilievo minore - o, in alternativa, per nessuno - per
i quali in precedenza si prevedeva (la richiesta ed) il  rilascio  di
una semplice comunicazione. 
    In tale prospettiva, la disciplina di cui  all'art.  89-bis  puo'
risultare  irrazionale  e  violare  il   canone   di   ragionevolezza
desumibile dall'art. 3, primo comma, della Costituzione,  attribuendo
rilievo ai tentativi di infiltrazione, non in ragione  dell'obiettivo
rilievo  del  provvedimento  o  del  contratto,  ma  per  circostanze
contingenti consistenti nella  pregressa  sussistenza  di  una  causa
interdittiva  o  nella  precedente  emanazione   di   un'informazione
antimafia interdittiva. 
    La  rilevanza   dei   prospettati   profili   di   illegittimita'
costituzionale risulta, oltre che dalle argomentazioni in  precedenza
svolte, dalla ritenuta infondatezza dell'eccezione di irricevibilita'
del gravame sollevata dal Ministero dell'Interno, a  nulla  rilevando
che il provvedimento ritenuto presupposto dall'Amministrazione (cioe'
l'informazione prefettizia - immediatamente lesiva - n. 82460 dell'11
settembre  2015)  si  sia  definitivamente  consolidato,  in  quanto,
nell'ipotesi di accoglimento del ricorso,  risulterebbe  illegittima,
non l'informazione interdittiva (che, infatti, non e'  stata  neppure
impugnata), ma il provvedimento  di  decadenza  del  Comune,  perche'
emanato nell'erroneo convincimento del rilievo dell'informazione gia'
rilasciata  anche  in  relazione  al  procedimento  conseguente  alla
segnalazione certificata di inizio attivita'. 
    A nulla sembra rilevare, poi,  che  il  gravame  possa  risultare
inammissibile  in  relazione  alle  impugnate  note   del   Ministero
dell'interno e della Prefettura, posto che: a) la loro  contestazione
e' avvenuta a fini esplicitamente tuzioristici; b) tali atti appaiono
di natura endoprocedimentale; c) la societa' ricorrente, in sostanza,
ha interesse a conseguire  il  solo  annullamento  del  provvedimento
conclusivo del  procedimento  (cioe'  dell'ordinanza  n.  43  del  1°
febbraio 2016). 
    Neppure,    infine,    sembra    potersi    attribuire    rilievo
provvedimentale alla nota della Prefettura di  Messina  n.  86417  in
data 23 settembre 2015 (non impugnata con l'odierno  gravame),  posto
che  essa   costituisce   una   semplice   comunicazione,   con   cui
l'Amministrazione  si  limita  a  sollecitare  -   implicitamente   -
un'interpretazione della disciplina che conduca ad individuare  quale
atto  presupposto  del  provvedimento  di  decadenza  la   precedente
informazione antimafia n. 82460 dell'11  settembre  2015,  come  piu'
chiaramente e  diffusamente  indicato  nella  successiva  nota  della
medesima Prefettura n. 224311 del 28 settembre 2015. 
    Per le considerazioni che  precedono,  il  Collegio  ritiene  che
debba essere  rimessa  alla  Corte  Costituzionale  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis del decreto  legislativo
n. 159/2001 per contrasto con gli artt. 76, 77,  primo  comma,  e  3,
primo comma, della Costituzione. 
    Il  presente  giudizio   va,   conseguentemente,   sospeso   sino
all'intervenuta decisione del giudice delle leggi. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Sicilia,  Sezione
Staccata   di   Catania   (Sezione   Seconda),    non    pronunciando
definitivamente sul presente giudizio e visti  gli  artt.  134  della
Costituzione e l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87:  1)
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis del decreto  legislativo
n. 159/2011 in relazione agli artt. 76, 77, primo comma,  e  3  della
Costituzione; 2) dispone la sospensione  del  presente  giudizio;  3)
ordina   la   immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
costituzionale;  4)  dispone  che,  a  cura  della  segreteria  della
Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e
al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  comunicata  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato  della  Repubblica;
5) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione. 
    Cosi' deciso in Catania nella Camera di consiglio del  giorno  21
settembre 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Francesco Brugaletta, Presidente; 
        Daniele Burzichelli, consigliere, estensore; 
        Francesco Elefante, referendario. 
 
                      Il Presidente: Brugaletta 
 
 
                                             L'estensore: Burzichelli