N. 276 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 novembre 2016

Ordinanza del 17 novembre 2016 del Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Portoghese Daria e altri contro Presidenza del  Consiglio
dei ministri e Segretariato generale della giustizia amministrativa. 
 
Processo  amministrativo  -  Sentenze  dei  tribunali  amministrativi
  regionali e del Consiglio di Stato - Casi di revocazione. 
- Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo
  44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per
  il riordino del  processo  amministrativo),  art.  106;  codice  di
  procedura civile, artt. 395 e 396. 
(GU n.4 del 25-1-2017 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
                       in sede giurisdizionale 
                          (Sezione Quarta) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  3542  del  2015,  proposto  dai   signori   Daria
Portoghese, Nicola Portoghese, Andrea  Portoghese,  Danila  Norlasso,
rappresentati  e  difesi  dall'avvocato  Pietro  Troianiello   codice
fiscale TRNPTR72A04B963F, con domicilio eletto presso il  suo  studio
in Roma, via della Giuliana, n. 58; 
    contro  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,   Segretariato
generale della giustizia amministrativa  in  persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti in carica, tutti  rappresentati  e  difesi  per
legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui  uffici  in
Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati; 
    per la revocazione  della  sentenza  del  Consiglio  di  Stato  -
Sezione IV - n. 2986 del 16 agosto 2008. 
    Visto il ricorso per revocazione e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri e del Segretariato  Generale  della  giustizia
amministrativa; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  3  novembre  2016  il
consigliere Fabio Taormina e uditi l'avvocato Pietro  Troianelli  per
la parte ricorrente e l'avvocato dello Stato  Gaetana  Natale  (nella
fase preliminare) per l'amministrazione resistente; 
 
                                Fatto 
 
    1. Con la decisione impugnata per revocazione n. 2968/2008 questa
Quarta Sezione del Consiglio  di  Stato  ha  accolto  il  ricorso  in
appello n. 3277 del 2008, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei
ministri nei confronti  di  Guadagno  Sabato,  Minichini  Ferdinando,
Portoghese Filippo avverso la sentenza del  tribunale  amministrativo
regionale della Campania - Sezione staccata di Salerno -  28  gennaio
2008, n. 93 resa in sede di ottemperanza. 
    2.  La  risalente   vicenda   processuale   puo'   essere   cosi'
sintetizzata. 
        a) con la  sentenza  12  marzo  1996,  n.  175  il  Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno,
in accoglimento del ricorso proposto da  Guadagno  Sabato,  Minichini
Ferdinando, Portoghese Filippo aveva  riconosciuto  fondata  la  loro
pretesa all'allineamento  stipendiale  previsto  dall'art.  1,  della
legge 8 agosto 1991, n. 265, il quale richiamava l'art. 4,  comma  3,
decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, convertito  nella  legge  20
novembre 1982, n. 869; il tribunale  amministrativo  regionale  aveva
quindi dichiarato il diritto degli stessi a  conseguire  il  medesimo
allineamento stipendiale «con riferimento alla retribuzione percepita
dai  consiglieri  di  Stato   G.   G.   e   S.   B.   ,   condannando
l'amministrazione intimata al pagamento delle somme spettanti a  tale
titolo, incrementate con gli accessori di legge»; 
        b) la sentenza era stata impugnata  dall'Amministrazione,  ma
l'appello era stato dichiarato inammissibile dal Consiglio  di  Stato
(Sez. IV) con decisione 22 maggio  2006,  n.  3017,  per  inesistenza
della notificazione; 
        c) gli originarii ricorrenti, vittoriosi in sede  cognitoria,
avevano  proposto  ricorso  in  ottemperanza,  e   l'Amministrazione,
costituendosi in giudizio, aveva sostenuto che l'adempimento invocato
era ormai precluso per effetto dell'art. 50, della legge 23  dicembre
2000, n. 388; 
        d)  il  tribunale  amministrativo   regionale   aveva   pero'
disatteso detta tesi, e con la sentenza n. 2968/2008 aveva accolto il
ricorso  in  ottemperanza  ed  aveva   ordinato   all'Amministrazione
intimata di provvedere  a  dare  compiuta  esecuzione  alla  sentenza
cognitoria 12 marzo 1996, n. 175; 
        e) con il  ricorso  n.  3277  del  2008,  la  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri  aveva  proposto   appello   avverso   detta
decisione, sostenendone la erroneita': la  tesi  di  fondo  sostenuta
dalla  difesa  erariale  era  quella   secondo   cui   il   tribunale
amministrativo  regionale  non  aveva  colto  che   la   disposizione
preclusiva di cui all'art. 50, della legge 23 dicembre 2000,  n.  388
era intervenuta prima che si fosse formato il giudicato sulla pretesa
sollevata in sede cognitoria e, quindi, detta  disposizione  spiegava
effetto in detto processo; in tesi, cio' era sufficiente ad  impedire
la valida (e fruttuosa) instaurazione del rito dell'ottemperanza; per
altro verso, la sentenza del tribunale amministrativo regionale della
Campania 28 gennaio 2008, n. 93 resa  in  sede  di  ottemperanza  era
certamente  appellabile,  in  quanto  non  recava  misure   meramente
attuative del giudicato, ma risolveva questioni «nuove» che vertevano
sulla  possibilita'  di  attribuire  il  diritto  vantato   a   parte
ricorrente in ottemperanza; 
        f)  con  la  sentenza  gravata  con  l'odierna   impugnazione
revocatoria,  la  Sezione   ha   dichiarato   ammissibile   l'appello
dell'Amministrazione e lo ha accolto riformando la sentenza di  prime
cure. 
    3. Con il gravame revocatorio  chiamato  in  decisione  la  parte
privata originaria ricorrente in ottemperanza rimasta soccombente  ha
dedotto che: 
        a) essa si era rivolta alla Corte di Strasburgo, evidenziando
che a cagione di non chiare e non  legittime  disposizioni  di  legge
emanate  dallo  Stato  italiano  era  stato  ad  essa   precluso   il
conseguimento di un  beneficio  che  rientrava  nella  categoria  dei
diritti quesiti; 
        b) cio' in base a disposizioni irragionevoli, e penalizzanti,
per di piu' spieganti portata retroattiva, ed incidenti  su  sentenze
rese da Autorita' giurisdizionali; 
        c) la Corte di Strasburgo, Seconda Sezione  con  la  sentenza
del 1° luglio 2014 resa sul ricorso n.  61820/08  aveva  riconosciuto
fondate le doglianze dedotte, liquidandole un indennizzo; 
        d) cio' che era  importante  precisare,  pero',  era  che  il
dictum della Corte di Strasburgo riconosceva la condotta  illegittima
complessiva dello Stato Italiano; 
        e) in virtu'  della  sentenza  della  Sezione  impugnata  per
revocazione recante n. 2968/2008, la parte originaria  ricorrente  in
ottemperanza si era vista preclusa la  possibilita'  di  ottenere  il
bene della vita cui (fondatamente, secondo la  Corte  di  Strasburgo)
aspirava. 
    3.1. Armonicamente con tali premesse, la parte odierna ricorrente
in revocazione ha quindi sostenuto che: 
        a) in via ermeneutica era ben  possibile  revocare  la  detta
sentenza della Sezione n. 2968/2008, sebbene l'art.  106  del  c.p.a.
non  recasse  espressa  menzione  di  tale  «caso»  di   impugnazione
revocatoria; 
        b) in via subordinata, comunque, sulla  falsariga  di  quanto
disposto dalla ordinanza dell'Adunanza Plenaria di  questo  Consiglio
di  Stato  n.  2/2015,  si  sarebbe  dovuta  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 106 del c.p.a., nella parte  in
cui non contemplava, tra le ipotesi di revocabilita'  della  sentenza
regiudicata,  quella  riposante  nel  contrasto   di   una   sentenza
regiudicata con una successiva pronuncia della Cedu. 
    4. In  data  4  giugno  2015  l'intimata  amministrazione  si  e'
costituita con atto di stile. 
    5.  In  data  25  gennaio  2016  l'intimata  amministrazione   ha
depositato una articolata memoria, chiedendo la reiezione del ricorso
in revocazione, deducendo che: 
        a) la revocanda sentenza del Consiglio di  Stato  n.  2986/98
con la quale era stato  respinto  il  ricorso  per  l'esecuzione  del
giudicato  formatosi  sulla  sentenza  del  tribunale  amministrativo
regionale Salerno n. 175/1996 (che aveva accolto il ricorso  proposto
dal dott. Portoghese unitamente ad  altri  magistrati)  per  ottenere
l'allineamento stipendiale previsto dall'art. 1 legge 265/1991 - c.d.
galleggiamento) era motivata sulla base della ritenuta applicabilita'
alla fattispecie (quale evento normativo ostativo all'esecuzione  del
giudicato  formatosi  sulla  sentenza  n.  175/1996)   del   disposto
dell'art. 50 comma 4 L. 388/2000, che aveva disposto  la  perdita  di
efficacia delle decisioni delle autorita' giurisdizionali comportanti
provvedimenti di allineamento stipendiale; 
        b) in particolare, la revocanda sentenza, dopo aver dato atto
della ininfluenza di tale norma sulle sole situazioni gia' coperte da
giudicato, aveva ritenuto che nella specie il giudicato formale sulla
sentenza n. 175/1996 del tribunale amministrativo  regionale  Salerno
si fosse formato solo nel  2006,  sicche'  la  fattispecie  in  esame
doveva ricadere nel disposto del richiamato art.  50  comma  4  legge
388/2000; 
        c) la parte odierna ricorrente in revocazione aveva  proposto
ricorso alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo che, con la sentenza
del 1° luglio 2014, aveva riconosciuto la violazione dell'art. 6 par.
1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali ed aveva accordato al dott.  Portoghese
la  somma  di  euro  95.000  (maggiorata  di  interessi)  quale  equa
soddisfazione per «perdita di chance» in  riferimento  all'esito  del
giudizio sul quale aveva influito l'art. 50 comma 4 legge 388/2000 (a
fronte della maggior somma di curo 532.951 euro richiesta): la  somma
liquidata si riferiva al periodo fino 31 dicembre  2008  mentre,  con
riferimento al periodo successivo  al  2008,  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo aveva rilevato che l'ammontare  delle  perdite  era
necessariamente ipotetico, dipendente soprattutto  da  parametri  non
conosciuti, ed aveva rimesso tali questioni all'eventuale  esame  del
giudice nazionale; 
        c) la richiesta di revocazione era inammissibile in quanto: 
          I) la invocata richiesta (avanzata  M  via  principale)  di
provvedere  ad  una  «lettura  costituzionalmente   orientata   degli
articoli 106 c.p.a., 395 e  396  c.p.c.»  (che  tale  fattispecie  di
revocazione non prevedono) collideva con la tesi  -  che  costituisce
jus receptum - per cui il contrasto  della  norma  nazionale  con  la
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo puo' essere dichiarato solo
previa declaratoria di incostituzionalita' della norma  nazionale  da
parte del Giudice delle leggi (ex plurimis, Corte  costituzionale  n.
348 e 349/2007); 
          II) quanto alla tesi - avanzata in via subordinata -  volta
a sollecitare il  Collegio  a  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale delle richiamate norme nazionali (sulla  falsariga  di
quanto disposto da Cons. Stato, Ad.Plen. ord.n. 2 del 4 marzo  2015),
essa era inammissibile ed infondata per difetto di rilevanza; 
          III) cio' in relazione alla circostanza  che  dalla  citata
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo dell'1 luglio 2014
non poteva trarsi il convincimento  che  l'odierna  parte  impugnante
avesse conseguito un diritto ad  ottenere  l'adeguamento  stipendiale
richiesto; 
          IV) al contrario di quanto sostenuto da  parte  impugnante,
la Corte europea dei diritti dell'uomo  aveva  espressamente  escluso
che il «danno» dovuto a titolo di «equa soddisfazione» potesse essere
commisurato all'importo delle differenze  stipendiali  e  retributive
richieste respingendo la tesi volta ad ottenere una liquidazione  del
danno in misura «piena» e riconoscendo solo un danno da  «perdita  di
chance»: non considerando, quindi, «certo»  e  scontato  l'esito  del
giudizio durante il quale era intervenuta la norma interpretativa  di
cui all'art. 50 comma 4 legge 388/2000; 
          V) il punto dal quale doveva muoversi, quindi,  era  quello
secondo cui la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva ritenuto non
gia' «certo» ma solo «possibile» e «verosimile» che  il  giudizio  di
ottemperanza (in ipotetica assenza della norma interpretativa di' cui
all'art. 50 comma 4 legge 388/2000), si sarebbe  potuto  chiudere  in
senso favorevole alla parte odierna  ricorrente  in  revocazione:  ed
infatti essa aveva liquidato soltanto la chance; 
        d) ed una volta escluso il  diritto  al  conseguimento  delle
differenze   retributive   connesse   al    richiesto    allineamento
stipendiale,  non  residuava  alcuna  ragione   di   procedere   alla
«riapertura» del processo di ottemperanza definito con  la  revocanda
sentenza in quanto: 
          I) con riferimento al  periodo  anteriore  al  31  dicembre
2008, la riapertura del giudizio di  ottemperanza  sarebbe  stata  in
contrasto con quanto stabilito dalla stessa Corte EDU; 
          II) quanto al  periodo  successivo  al  31  dicembre  2008,
risultando dalla sentenza della Corte EDU, che per tale  periodo  non
erano  stati  prodotti  «i  relativi  documenti  giustificativi»,  la
«riapertura» del giudizio di ottemperanza non  avrebbe  avuto  alcuna
utilita' in quanto il giudizio rimesso dalla Corte  alla  «competenza
dei giudici nazionali» non avrebbe  potuto  avere  ad  oggetto,  come
preteso da parte impugnante «le differenze retributive, ed ogni altra
indennita' e remunerazione, indennita' di  buonuscita  e  trattamento
pensionistico)»; 
        e) sotto «il profilo processuale, poi, anche  la  subordinata
richiesta   di   proposizione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale era inutile in quanto.. 
          I) la Corte costituzionale, ove  eventualmente  adita,  non
avrebbe potuto procedere ad emettere una sentenza additiva  ampliando
le ipotesi di revocazione, ma avrebbe dovuto rimettere  la  questione
al Legislatore; 
          II) il riconoscimento delle pretese di parte impugnante era
condizionato  dalla  eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'
dell'art. 50 comma 4 legge 388/2000 (ma la Corte  costituzionale  con
la sentenza del 15 luglio 2005, n. 282 si  era  gia'  pronunciata  in
passato sulla medesima questione, affermando l'immunita' da  vizi  di
costituzionalita' della norma richiamata); 
        f) anche con riguardo alla fase rescissoria, la  impugnazione
era infondata in quanto: 
          I) la pretesa della odierna  parte  impugnante  era  quella
volta ad ottenere che all'art. 50  comma  4  legge  388/2000  venisse
attribuita portata non retroattiva; 
          II) senonche' la Corte costituzionale con la  sentenza  del
15 luglio 2005, n.  282  si  era  gia'  pronunciata  anche  su  detta
questione, riconoscendo la natura interpretativa  della  disposizione
succitata finalizzata a risolvere i dubbi interpretativi connessi  al
tenore (non chiaro) dell'art. 2 comma 4 del d.L. n. 331/1992; 
          III) per via interpretativa, quindi, il Giudice del  merito
giammai avrebbe potuto accedere ad  una  tesi  diversa,  come  invece
preteso da parte impugnante, che,  in  conclusione  aspirava  ad  una
(impossibile) «revisione» in  via  ermeneutica  della  portata  della
citata disposizione. 
    6.  In  data  4  febbraio  2016  l'odierna  parte  impugnante  ha
depositato  una  memoria  di  replica  ribadendo  le   proprie   tesi
difensive. 
    7. Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2016 la causa  e'  stata
rinviata a data da destinarsi a cagione  della  incompatibilita'  del
Presidente del Collegio. 
    8. Alla pubblica udienza del 26 maggio 2016  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione ed e' stata emessa l'ordinanza collegiale  n.
2640/2016 (da intendersi integralmente richiamata  e  trascritta  nel
presente elaborato) con la quale e' stato  disposto  il  differimento
della trattazione della causa al fine di  consentire  alle  parti  di
esprimersi compiutamente in ordine alla rilevanza di due questioni di
costituzionalita' attualmente pendenti. 
    9.  In  data  11  ottobre  2016  l'odierna  parte  impugnante  ha
depositato  una  ulteriore  memoria  ripercorrendo,  anche  sotto  il
profilo  cronologico,  la  risalente  vicenda   processuale   ed   ha
sottolineato che: 
        a) la sentenza del 1° luglio 2014  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo (punto 40) aveva rimesso ai  Giudici  nazionali  la
competenza a pronunciarsi sui danni patiti e patiendi: 
        b) entrambe le  questioni  attualmente  rimesse  al  giudizio
della Corte costituzionale dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio
di Stato con le ordinanze collegiali n. 2 del 4 marzo 2015 e n. 7 del
14 luglio 2015 erano rilevanti per la decisione della odierna causa; 
        c) la  «lettura»  della  sentenza  della  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo  del  1°  luglio  2014  prospettata  dalla  difesa
erariale era erronea e fuorviante. 
    4. Alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2016 la causa  e'
stata trattenuta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Osserva il Collegio che con la recente ordinanza n. 2/2015 (da
intendersi integralmente richiamata  e  trascritta  in  questa  sede)
l'Adunanza  Plenaria  di  questo  Consiglio  di  Stato  ha  sollevato
questione di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  106  del
Codice del processo amministrativo (L. n. 104/2010) e 395 e  396  del
Codice processuale civile, in relazione agli articoli 117 co. 1,  111
e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono un  diverso
caso di revocazione della sentenza quando  cio'  sia  necessario,  ai
sensi dell'art. 46, par. 1, della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  per  conformarsi  ad  una
sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    1.1. Nella detta ordinanza - pienamente condivisa dal Collegio  -
e' stato precisato che la questione era rilevante in  detto  giudizio
in quanto dalla soluzione della stessa dipendeva l'ammissibilita' del
ricorso per revocazione proposto e che  per  giurisprudenza  costante
della stessa Corte costituzionale e delle Sezioni Unite  della  Corte
di  Cassazione  l'unico  Giudice  nazionale  deputato  a   dichiarare
l'eventuale contrasto della norma nazionale con il diritto Edu era il
Giudice delle Leggi (cfr Corte costituzionale, sentenze n. 348  e  n.
349 del 2007). 
    1.2. La situazione e' perfettamente traslabile  alla  fattispecie
dedotta all'odierno scrutinio del Collegio: come dedotto nella  parte
in fatto del presente elaborato, l'unico motivo di revocazione riposa
sull'asserito contrasto della regiudicata sentenza con il  successivo
dictum della Corte Edu. 
    Soltanto  eventualmente  ritenuto  ammissibile  il  ricorso   per
revocazione proposto nella fase rescindente, si potra' valutare se vi
siano i presupposti per  la  revocazione  della  sentenza  di  questa
Sezione  n.  2968/2008  ed   ancora   successivamente,   nella   fase
rescissoria, se, nel merito la  richiesta  di  parte  impugnante  sia
accoglibile. 
    Infatti,  ogni  questione  attinente  all'interpretazione   della
sentenza Edu e, poi, delle norme sostanziali  invocate  riguarda  una
eventuale fase successiva dell'iter logico  di'  decisione  che  deve
seguire questo Collegio. 
    2. Deve parimenti rilevarsi  che  con  la  recente  ordinanza  n.
7/2015 l'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha  sollevato
la questione di costituzionalita' dell'art. 50, comma 4, penultimo  e
ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, nl.  388  («Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge finanziaria 2001»), nella parte in cui tale norma, sancendo  la
portata retroattiva dell'abrogazione dell'art. 4, nono  comma,  della
legge 6 agosto 1984, n. 425,  prevede  che  detta  abrogazione  possa
travolgere anche posizioni  individuali  gia'  riconosciute  mediante
decisioni definitive su ricorsi straordinari. 
    2.1. A tale  ultimo  proposito  si  osserva  che  trattasi  della
medesima norma invocata nell'odierno giudizio (rectius:  sulla  quale
si e' fondata la revocanda decisione, avversata dalla  odierna  parte
impugnante) ed il Collegio non puo'  fare  a  meno  di  esprimere  il
convincimento per cui la tesi della difesa erariale secondo la  quale
si tratterebbe di  questione  irrilevante  sia  solo  apoditticamente
prospettata e non accoglibile. 
    2.2. Senonche', in disparte il giudizio di  rilevanza,  cio'  che
impedisce al  Collegio  di  accogliere  l'istanza  di  parte  odierna
ricorrente in ottemperanza e di sollevare nel  presente  giudizio  la
medesima questione di  legittimita'  costituzionale  sollevata  nella
ordinanza n. 7/2015 dell'Adunanza Plenaria  di  questo  Consiglio  di
Stato e' una considerazione di tipo strettamente  processuale  legata
alle peculiarita' della impugnazione straordinaria proposta. 
    2.2.1.  Invero,  come  e'  noto,  l'impugnazione  revocatoria  si
struttura  in  due  fasi  distinte  seppure  collegate:   alla   fase
rescindente puo' seguire la fase rescissoria, ma soltanto laddove  la
prima fase si concluda positivamente per l'impugnante. 
    Invero la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
nella ordinanza n. 7/2015 dell'Adunanza Plenaria di questo  Consiglio
di Stato  avrebbe  rilevanza  soltanto  laddove  la  prima  fase  del
giudizio si concludesse con l'accoglimento del  petitum  rescissorio:
se per avventura quest'ultimo fosse respinto o inammissibile, non  vi
sarebbe alcuna utilita' nel sollevare la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 50, comma  4,  penultimo  e  ultimo  periodo
della legge 23 dicembre 2000, nl. 388 in quanto la sentenza revocanda
non sarebbe suscettibile di alcuna modifica. 
    2.2.2. Da quanto  esposto,  discende  la  impossibilita'  per  il
Collegio di accogliere detta richiesta: soltanto laddove il  giudizio
sulla costituzionalita' degli articoli 106 del  Codice  del  processo
amministrativo (L. n. 104/2010) e 395 e 396  del  Codice  processuale
civile si concludesse positivamente per la parte odierna  impugnante,
e laddove a seguito del successivo vaglio del Collegio  si  giungesse
alla revocazione della impugnata  sentenza,  potrebbe,  poi  in  sede
rescissoria essere esaminata, in termini di rilevanza e non manifesta
infondatezza, l'ulteriore questione di costituzionalita'  prospettata
da parte impugnante sulla scorta delle considerazioni contenute nella
ordinanza n. 7/2015 dell'Adunanza Plenaria  di  questo  Consiglio  di
Stato. 
    2.3. Per quanto suesposto, la richiesta di sollevare la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 50,  comma  4,  penultimo  e
ultimo periodo della legge  23  dicembre  2000,  nl.  388  dichiarata
inammissibile per difetto di attuale rilevanza della medesima. 
    3. Come prima accennato,  per  le  ragioni  gia'  chiarite  nella
ordinanza n. 2/2015 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non
puo' essere condivisa la prospettazione avanzata  in  via  principale
dalla odierna parte impugnante (cfr. Corte  costituzionale,  sentenze
n. 348 e n. 349 del 2007 e n. 80  dell'11  marzo  2011)  secondo  cui
sarebbe possibile - a legislazione vigente - procedere a revocare, la
decisione  nazionale  regiudicata  in  quanto  confliggente  con  una
sentenza resa dalla Corte Edu; e va  al  contempo  rilevato  che  non
risulta che la Corte costituzionale  si  sia  pronunciata  su  alcuna
delle  questioni  sollevate  dalla  citata  ordinanza   dell'Adunanza
Plenaria  n.  2/2015;  occorre  quindi  adesso   interrogarsi   sulle
conseguenze della pendenza  di  tale  giudizio  di  costituzionalita'
(certamente rilevante nell'odierno giudizio, siccome  prima  esposto)
sull'odierna impugnazione per revocazione. 
    3.1. Come  e'  noto,  in  astratto  sono  possibili  due  opzioni
ermeneutiche. 
    La prima di  esse  imporrebbe  che  anche  nell'odierno  giudizio
venisse sollevata la, questione di costituzionalita', gia'  sollevata
dall'Adunanza   Plenaria;   la   seconda,   consentirebbe   la   c.d.
«sospensione impropria» dell'odierno giudizio, in attesa che la Corte
costituzionale   si   pronunci   sulla   (identica)   questione    di
costituzionalita' gia' rimessale. 
    3.2. In passato, come e' noto, la Suprema Corte di Cassazione  in
due diversi  precedenti  ha  stabilito  che  si  possa  ricorrere  in
Cassazione impugnando l'ordinanza  che  ha  sospeso  il  giudizio  in
relazione alla pendenza di questione di  costituzionalita'  sollevata
in un altro processo, dovendo in tal caso il giudice, qualora ritenga
rilevante la questione, investire a sua volta la Corte costituzionale
(Cass. Civ. Sez. II, 24 novembre 2006, n. 24946), La Suprema Corte di
Cassazione in detta occasione ha definito «abnorme  il  provvedimento
di sospensione del giudizio non accompagnato dalla rituale rimessione
della  questione  alla  Corte  costituzionale,  prevedendosi,   quale
rimedio, l'immediato ricorso in Cassazione» (Cass. Pen. Sez. III,  23
marzo 1982, in Giustizia Penale, 1983, pag. 273),  evidentemente  nel
caso di specie ai sensi dell'art. 111 Cost.. 
    Tale  risalente  impostazione  del  Giudice  della  nomofilachia,
quindi, imporrebbe sempre e comunque di privilegiare il primo approdo
e, quindi, imporrebbe che questo Collegio, con ordinanza,  investisse
la  Consulta  della  medesima  questione  di  costituzionalita'  gia'
rimessa dall'Adunanza Plenaria. 
    3.2.1 La problematica e' stata affrontata e  risolta  in  termini
difformi in una  recente  Ordinanza  dell'Adunanza  Plenaria  (la  n.
28/2014). 
    Ivi, e' stato chiarito che: 
        1)  nel  processo  amministrativo,  secondo  un   consolidato
indirizzo (cfr., fra le tante, ordinanza Sez. V, 27  settembre  2011,
n. 5387; Sez. IV, il luglio 2002, n. 3926), trova  ingresso  la  c.d.
sospensione impropria del giudizio principale per la  pendenza  della
questione di legittimita' costituzionale di una norma, applicabile in
tale procedimento, ma sollevata in una diversa causa; 
        2) non si rinviene,  infatti,  nel  sistema  della  giustizia
amministrativa (arg. ex articoli 79 e 80, c.p.a.) una norma che vieti
una tale ipotesi di sospensione (cfr.  Cass.,  Sez.  un.,  16  aprile
2012, n. 5943),  ne'  si  profila  una  lesione  del  contraddittorio
allorquando (come nel caso di specie), le parti,  rese  edotte  della
pendenza della questione di legittimita' costituzionale, non facciano
richiesta di  poter  interloquire  davanti  al  giudice  delle  leggi
sollecitando una formale rimessione della  questione;  tale  esegesi,
inoltre,  e'  conforme  sia  al  principio  di  economia  dei   mezzi
processuali sia a quello di  ragionevole  durata  del  processo  (che
assumono un particolare rilievo nel processo  amministrativo  in  cui
vengono in gioco interessi pubblici),  in  quanto,  da  un  lato,  si
evitano agli uffici, alle parti ed alla medesima Corte costituzionale
dispendiosi adempimenti correlati alla rimessione della questione  di
costituzionalita', dall'altro, si previene il rischio  di  prolungare
la durata del giudizio di costituzionalita' (e di riflesso di  quelli
a quo). 
    3.3. Il Collegio condivide e fa proprio il detto divisamento, non
ritenendo che vi siano ragioni per discostarsene  e  potrebbe  quindi
sospendere il giudizio sino alla data di pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale dell'ultimo provvedimento della  Corte  costituzionale  che
definira' il giudizio relativo alla questione rimessa al  vaglio  del
Giudice delle leggi dalla  ordinanza  n.  2/2015  resa  dall'Adunanza
Plenaria di questo Consiglio di Stato. 
    3.4. Senonche', la parte odierna  ricorrente  in  revocazione  ha
fatto presente (nel corso della discussione  tenutasi  alla  pubblica
udienza del 26 maggio 2016 ed ancora in data  odierna)  di  avere  un
espresso interesse a che venga  sollevata  nell'odierno  giudizio  la
questione di costituzionalita'  gia'  pendente  giusta  ordinanza  n.
2/2015 resa dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato. 
    3.4.1. Cio' in quanto in ipotesi di c.d. «sospensione  impropria»
resterebbe mutilato il proprio diritto a prendere parte  al  giudizio
di costituzionalita' investente le norme suddette. 
    3.4.2. Armonicamente con quanto  gia'  rilevata  dalla  decisione
dell'Adunanza Plenaria  n.  28/2014  ritiene  il  Collegio  che  tale
diritto  di  parte  ricorrente  in  revocazione  sia  meritevole   di
protezione. 
    4. Ribadita  quindi  la  rilevanza  nell'odierno  giudizio  della
questione rimessa al giudizio del Giudice delle leggi dalla ordinanza
n. 2/2015 resa dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio  di  Stato,
tenuto conto che al  considerando  n.  39  la  sentenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo ha testualmente  stabilito  che  «senza
dover supporre quale sarebbe  stato  l'esito  del  processo  in  caso
contrario,  la  Corte  non  ritiene  irragionevole  pensare  che  gli
interessati abbiano subito una reale perdita di chance (si vedano, in
particolare, Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri, sopra  citata,  §
79; Lecarpentier c. Francia, n. 67847/01, 14  febbraio  2006,  §  61;
Arras e altri c. Italia n. 17972/07, 14 febbraio  2012  §  88).  Essa
tiene a sottolineare che, nel  caso  di  specie,  la  giurisprudenza,
prima dell'adozione  della  legge  contestata,  era  favorevole  alla
posizione dei ricorrenti. Cosi', se  non  si  fosse  prodotta  alcuna
violazione, la situazione dei ricorrenti sarebbe stata verosimilmente
diversa, dal momento che sarebbe stato possibile riconoscere loro  il
diritto all'adeguamento dello stipendio. Pertanto, la  Corte  ritiene
che in violazione della Convenzione constatata  nel  caso  di  specie
possa aver causato ai ricorrenti un danno materiale.» e condiviso  il
giudizio di non manifesta infondatezza  delle  questioni  prospettate
nella citata ordinanza n. 2/2015 in quanto, non  contemplando  tra  i
casi di revocazione quella che si renda necessaria per conformarsi ad
una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo, le
norme processuali surrichiamate appaiono in contrasto con  l'art.  46
CEDU che, invece, sancisce tale obbligo per  gli  Stati  aderenti  ed
integralmente richiamate  le  considerazioni  in  diritto  illustrate
nella ordinanza suddetta,  da  ritenersi  integralmente  ritrascritte
nella presente ordinanza  collegiale,  si  ritiene  che  il  presente
giudizio debba essere sospeso e gli atti vadano trasmessi alla  Corte
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (Sezione  Quarta)
non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,  visti  gli
articoli 134 Cost., art. 1 della l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art.
23 della l. 11 marzo 1953 n. 87: 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita' degli  articoli  106  del  Codice  del
processo amministrativo (L. n. 104/2010)  e  395  e  396  del  Codice
processuale civile, in relazione agli articoli 117 co. 1,  111  e  24
della Costituzione, nella parte in cui non prevedono un diverso  caso
di revocazione della sentenza quando cio' sia  necessario,  ai  sensi
dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
e delle  liberta'  fondamentali,  per  conformarsi  ad  una  sentenza
definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo; 
        b) respinge, allo stato, per difetto di attuale rilevanza  la
questione di costituzionalita' dell'art. 50,  comma  4,  penultimo  e
ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, nl.  388  («Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge finanziaria 2001») in relazione agli  articoli  3,  97  e  117,
primo comma, della Costituzione,  nella  parte  in  cui  tale  norma,
sancendo la portata retroattiva dell'abrogazione  dell'art.  4,  nono
comma,  della  legge  6  agosto  1984,  n.  425,  prevede  che  detta
abrogazione  possa  travolgere  anche  posizioni   individuali   gia'
riconosciute mediante decisioni definitive su ricorsi straordinari. 
    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina   la
immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che a cura  della  Segreteria  dell'Adunanza  Plenaria  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, nel merito ed in ordine alle spese. 
    Cosi' deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  3
novembre 2016 con l'intervento dei magistrati: 
    Filippo Patroni Griffi, Presidente; 
    Fabio Taormina, consigliere, Estensore; 
    Vincenzo Lopilato, consigliere; 
    Giuseppe Castiglia, consigliere; 
    Nicola D'Angelo, consigliere. 
 
                    Il Presidente: Patroni Griffi 
 
 
                                                 L'estensore:Taormina