N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 febbraio 2015

Ordinanza  del  23  febbraio  2015  del Tribunale   di   Ancona   nel
procedimento penale a carico di Gialletti Marco. 
 
Reati e pene - Reati  tributari  -  Reato  di  omesso  versamento  di
  ritenute certificate - Fatti commessi sino al 17 settembre  2011  -
  Soglie di punibilita'. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.  74  (Nuova  disciplina  dei
  reati in materia di imposte sui redditi e sul  valore  aggiunto,  a
  norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno  1999,  n.  205),  art.
  10-bis, inserito dall'art. 1, comma 414, della  legge  30  dicembre
  2004, n. 311 ("Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
  e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)"). 
(GU n.6 del 8-2-2017 )
 
                         TRIBUNALE DI ANCONA 
                           Sezione penale 
 
    Il tribunale monocratico, nel procedimento di  cui  in  epigrafe,
nei confronti di Gialletti Marco nato a Jesi il 12 luglio  1967,  ivi
residente in via Costa Baldassini n. 5, difeso di  fiducia  dall'avv.
Massimiliano Ricci del foro di Ancona; 
    Vista  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis, decreto legislativo n. 74/2000, sollevata in via  preliminare
dalla difesa dell'imputato, e letta la memoria difensiva  allegata  a
sostegno; 
    Sentito il P.M. che si e' rimesso; 
 
                               Osserva 
 
Rilevanza della questione. 
    La difesa  dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis, decreto legislativo n. 74/2000 per  contrasto  con  l'art.  3
della Costituzione per il trattamento  ingiustificatamente  deteriore
riservato alle condotte ivi punite, rispetto a quello previsto,  fino
al 17 settembre 2011, per i piu' gravi reati di cui agli articoli 4 e
5, decreto legislativo citato e rispetto a  quello  previsto,  sempre
nel medesimo periodo temporale, per il reato di cui all'art.  10-ter,
decreto legislativo n. 74/2000 (cosi' come risultante a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014). 
    Ritiene dunque che l'art. 10-bis, decreto legislativo  cit.  deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui,
con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011,  punisce
l'omesso versamento da parte del sostituto d'imposta  delle  ritenute
certificate rilasciate ai sostituiti, per importi non superiori,  per
ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38. 
    La questione e' rilevante  perche',  nel  presente  procedimento,
l'imputato e' stato citato in giudizio per rispondere  del  reato  di
cui all'art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000 perche' «ometteva
di versare, nei termini previsti per la presentazione  dei  sostituti
d'imposta (e dunque entro il 31 luglio  2008),  ritenute  alla  fonte
certificate relative ad emolumenti erogati nell'anno d'imposta  2007,
per l'ammontare complessivo di Euro 59.565,00. In  Jesi  (AN)  il  31
luglio 2008». 
    Dunque se la  questione  di  costituzionalita',  che  di  seguito
verra' illustrata, venisse accolta l'imputato dovrebbe essere assolto
perche' il fatto contestatogli  non  costituirebbe  piu'  reato.  Non
sussistono, del resto, ragioni per un  proscioglimento  immediato  ex
art. 129 del codice di procedura penale. 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    Per illustrare la non  manifesta  infondatezza  della  questione,
occorre prendere le mosse dalla sentenza della  Corte  costituzionale
n. 80 dell'8 aprile 2014, che ha dichiarato, per violazione dell'art.
3  della  Costituzione,  l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.
10-ter del decreto legislativo n. 74/2000, nella parte  in  cui,  con
riferimento ai fatti commessi sino  al  17  settembre  2011,  punisce
l'omesso  versamento  dell'IVA,  dovuta   in   base   alla   relativa
dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo
d'imposta, ad 103.291,38. 
    Nella sentenza, la Corte evidenzia innanzitutto che la previsione
punitiva di cui all'art.  10-ter  citato  «protegge  l'interesse  del
fisco alla riscossione dell'imposta cosi'  come  autoliquidata  dallo
stesso contribuente», in quanto presupposto della sua applicazione e'
che il soggetto di imposta abbia presentato la dichiarazione  annuale
I.V.A., dalla quale risulti un saldo  debitorio  superiore  a  50.000
Euro, senza che sia seguito il pagamento, entro il termine  previsto,
della somma ivi indicata come dovuta. 
    A fronte di questo, la  Corte  rileva  un  evidente  «difetto  di
coordinamento» tra la soglia di punibilita' del reato de quo e quelle
relative ai reati di cui agli articoli  4  e  5, decreto  legislativo
cit. (prima delle modifiche  legislative  intervenute  nel  settembre
2011), «foriero di  sperequazioni  sanzionatorie  che,  per  la  loro
manifesta irragionevolezza,  rendono  censurabile  l'esercizio  della
discrezionalita'  pure  spettante  al  legislatore  in   materia   di
configurazione delle fattispecie astratte di reato». 
    Ed  invero  l'art.  5, decreto  legislativo  cit.,  inizialmente,
puniva con la reclusione da uno a  tre  anni  l'omessa  presentazione
della dichiarazione annuale dei redditi o I.V.A., al fine di  evadere
dette  imposte,  quando  l'imposta   evasa   fosse   superiore,   con
riferimento a talune delle singole imposte, ad Euro 77.468,53. 
    L'art. 4, decreto legislativo cit., a sua volta,  puniva,  sempre
ab origine, con la medesima pena dell'art. 5, la presentazione di una
dichiarazione dei redditi o I.V.A.  infedele,  al  fine  di  evasione
fiscale, quando l'imposta evasa fosse superiore ad Euro 103.291,38. 
    Questo  comportava,  secondo  il  giudizio   della   Corte,   una
conseguenza palesemente illogica, nel caso in  cui  l'I.V.A.,  dovuta
dal contribuente,  si  situasse  nell'intervallo  tra  la  soglia  di
punibilita' dell'art. 10-ter da un lato e quelle degli articoli 4 e 5
dall'altro, poiche' ne conseguiva un trattamento  deteriore  per  chi
aveva regolarmente presentato una fedele dichiarazione I.V.A.,  senza
versare l'imposta dovuta e autoliquidata, rispetto a  chi  non  aveva
neanche presentato la dichiarazione o l'aveva presentata inveritiera,
senza comunque versare l'imposta. 
    Ed infatti, con riguardo all'art.  5  citato,  nel  caso  in  cui
l'I.V.A. dovuta dal contribuente eccedesse i 50.000  Euro  ma  non  i
77.468,53, «veniva trattato in modo deteriore chi  avesse  presentato
regolarmente la dichiarazione I.V.A., senza versare l'imposta dovuta,
rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione,  evadendo  del
pari  l'imposta.  Nel  primo  caso  il  contribuente  avrebbe  dovuto
rispondere  del  reato  di  omesso  versamento  I.V.A.,   stante   il
superamento della soglia, mentre nel secondo sarebbe  rimasto  esente
da pena, non risultando superata la soglia». 
    E parimenti, nel confronto con l'art. 4 citato, nel caso  in  cui
l'I.V.A. da versare si collocasse tra i 50.000 e i  103.291,38  Euro,
«fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse una
dichiarazione inveritiera (non punibile per mancato superamento della
soglia), rispetto al contribuente che esponesse invece fedelmente  la
propria  situazione  in dichiarazione,  salvo  poi  a   non   versare
l'imposta di cui si era riconosciuto debitore». 
    La Corte osservava  quindi  che  «la  lesione  del  principio  di
uguaglianza  ...   e'   resa manifesta   dal   fatto   che   l'omessa
dichiarazione e  la  dichiarazione  infedele  costituiscono  illeciti
incontestabilmente piu' gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi del  fisco,  rispetto  all'omesso  versamento  dell'IVA:  e
questo nella stessa considerazione del legislatore, come  emerge  dal
raffronto delle rispettive pene edittali». 
    Il  sistema  sopra  delineato  rivelava  dunque  un'irragionevole
disparita' di trattamento, stabilendo  un  trattamento  sanzionatorio
meno favorevole per condotte  «trasparenti»,  in  cui  l'inadempienza
tributaria e' resa palese dallo stesso contribuente ed immediatamente
percepibile per il Fisco, quindi  meno  lesive  degli  interessi  del
fisco stesso rispetto a condotte piu' insidiose (come quelle  di  cui
agli articoli 4 e 5 cit.) poiche' idonee ad ostacolare l'accertamento
dell'evasione. 
    Ed invero,  plausibilmente  proprio  per  far  venire  meno  tale
incongruenza, con decreto-legge n. 138/2011 (convertito in  legge  14
settembre 2011, n. 148) il legislatore e'  intervenuto  riducendo  la
soglia  di  punibilita'  dei  reati  di  omessa  dichiarazione  e  di
dichiarazione infedele, rispettivamente a 30.000 (importo inferiore a
quello  dell'art.  10-ter)  e  a  50.000  (importo  uguale  a  quello
dell'art. 10-ter). «In tal modo», osserva la Corte  «la  distonia  e'
venuta meno». 
    Tali modifiche tuttavia, essendo  di  segno  sfavorevole  al  reo
(all'abbassamento delle soglie corrisponde, infatti,  un  ampliamento
dell'area di rilevanza penale), risultano applicabili ai  soli  fatti
successivi alla data di entrata in vigore  della  relativa  legge  di
conversione (17 settembre 2011). 
    Ne  conseguiva  che  per  i  fatti  precedenti,  la  lesione  del
principio di uguaglianza continuava a sussistere. Da qui la pronuncia
di incostituzionalita' dell'art.  10-ter, decreto  legislativo  cit.,
che, per rimuovere la suddetta  disuguaglianza,  con  riferimento  ai
fatti anteriori al  17  settembre  2011,  ha  elevato  la  soglia  di
punibilita' del reato de qua, allineandola  alla  piu'  alta  fra  le
soglie di punibilita' delle violazioni  in  rapporto  alle  quali  si
manifestava l'irragionevole disparita' di trattamento,  ossia  quella
relativa alla dichiarazione infedele. 
    Premesso tutto questo si  ritiene  che,  per  ragioni  del  tutto
analoghe, la lesione del principio di uguaglianza, sancito  dall'art.
3 della Costituzione, sussista anche con riguardo alla fattispecie di
cui all'art. 10-bis, decreto legislativo cit., sia nel raffronto  con
i reati di cui agli articoli 4 e 5, decreto  legislativo  cit.  nella
formulazione previgente, sia nel raffronto col reato di cui  all'art.
10-ter, decreto legislativo cit., cosi'  come  risultante  a  seguito
della citata sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014. 
    L'art.  10-bis,  decreto  legislativo  n.   74/2000   (introdotto
dall'art. 1, comma 414, legge 30 dicembre 2004, n. 311)  punisce  con
la reclusione da sei mesi a due anni, l'omesso versamento di ritenute
effettuate  e  certificate,  entro  il  termine   previsto   per   la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, per
un ammontare superiore ad € 50.000 per ciascun periodo d'imposta. 
    L'art. 10-ter,  decreto  legislativo  n.  74/2000  (inserito  nel
medesimo decreto dall'art. 35, comma 7, decreto-legge 4 luglio  2006,
n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248),  in  relazione
al  reato  tributario   di   omesso   versamento   I.V.A.,   richiama
testualmente la disposizione dell'art. 10-bis  applicando  la  stessa
soglia  di  punibilita'   (50.000   Euro)   ed   uguale   trattamento
sanzionatorio al contribuente che non versi il debito I.V.A.,  dovuto
in base alla dichiarazione annuale regolarmente presentata, entro  il
termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo  d'imposta
successivo. 
    Come  evidenziato  anche  dalla  S.C.,  a  sezioni   unite,   «la
fattispecie di cui all'art. 10-ter e' modellata esattamente su quella
di cui all'art. 10-bis prevedendo la stessa pena, la stessa soglia di
punibilita' e un  momento  consumativo  del  reato  collegato  ad  un
termine di adempimento ben determinato» e quindi il comportamento del
soggetto  che  non  versa  l'I.V.A.  e'  del  tutto  «assimilato  dal
legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello  del  sostituto
d'imposta che non versa le ritenute risultanti  dalla  certificazione
rilasciata ai sostituiti» (Cass. pen., sez. un., 28  marzo  2013,  n.
37424). 
    Le due fattispecie hanno eguale struttura.  Entrambi  sono  reati
omissivi propri, istantanei e  di  mera  condotta,  con  uguale  bene
giuridico,  l'interesse  dell'Erario  alla  corretta   e   tempestiva
riscossione  delle  somme  dovute  dal   contribuente,   cosi'   come
autoliquidate o certificate  dal  medesimo,  ed  entrambi  richiedono
l'elemento soggettivo del dolo  generico,  diversamente  dalle  altre
fattispecie criminose considerate nel decreto legislativo n. 74/2000,
tra cui l'omessa dichiarazione ex art. 5 e la dichiarazione  infedele
ex art. 4 che richiedono il dolo specifico del  fine  di  evadere  le
imposte. 
    Non pare dubbio dunque che i reati di omessa dichiarazione  (art.
5) e  di  dichiarazione  infedele  (art.  4)  costituiscono  illeciti
incontestabilmente piu' gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi  del  fisco,  non  solo  rispetto   all'omesso   versamento
dell'I.V.A., ma anche rispetto all'omesso versamento  delle  ritenute
certificate dei sostituti d'imposta, e  questo  anche  «nella  stessa
considerazione del  legislatore,  come  emerge  dal  raffronto  delle
rispettive pene edittali». 
    Anche nell'ipotesi dell'art. 10-bis, decreto legislativo cit.  la
condotta del contribuente e' in  qualche  modo  trasparente  (qui  la
somma dovuta all'Erario non e' autoliquidata in  dichiarazione,  come
nel  caso  dell'I.V.A.,  ma  comunque  e'   certificata,   e   quindi
dichiarata, dal sostituto d'imposta ai soggetti sostituiti  e  dunque
facilmente accertabile dal  fisco)  e  di  certo  meno  lesiva  degli
interessi del fisco rispetto alle condotte  piu'  insidiose  (perche'
fraudolente o occulte) previste negli articoli 4 e 5 cit., per cui e'
irragionevole che, per i fatti commessi fino al  17  settembre  2011,
sia operante per il reato ex art.  10-bis, decreto  legislativo  cit.
una soglia di punibilita' piu' bassa rispetto agli altri due reati. 
    Dunque,  le  stesse  ragioni  di  disuguaglianza  che  la   Corte
costituzionale  ha  rilevato  per  le   condotte   punite   ex   art.
10-ter, decreto legislativo cit. si ritiene che valgano parimenti per
le condotte punite ai  sensi  dell'art.  10-bis, decreto  legislativo
cit.,  non  essendo  sufficiente  a  giustificare  la  disparita'  di
trattamento la circostanza che si tratta di debiti fiscali di  natura
diversa (in un caso l'I.V.A. e nell'altro le ritenute effettuate  dai
sostituti d'imposta),  posto  che  in  entrambi  i  casi  l'interesse
tutelato e' quello dell'Erario di ricevere nei termini previsti dalla
legge gli importi dovuti dal soggetto d'imposta. Tuttavia profili  di
disuguaglianza e di  disparita'  di  trattamento  si  rilevano  anche
ponendo a confronto direttamente l'art.  10-bis, decreto  legislativo
cit.  con  l'art.  10-ter, decreto  legislativo   cit.   cosi'   come
modificato dalla Corte costituzionale. 
    Per quanto  gia'  detto  sopra,  il  legislatore  ha  chiaramente
considerato sullo stesso piano di  gravita'  le  due  fattispecie  di
reato e ha inteso punirle nello stesso  modo,  tanto  che,  oltre  ad
avere una stessa struttura, i due reati sono  puniti  con  la  stessa
pena e hanno (o meglio avevano in  origine)  la  medesima  soglia  di
punibilita'. 
    L'intervento  della  Corte  costituzionale,  che,  per  i   fatti
commessi fino al  17  settembre  2011,  ha  innalzato  la  soglia  di
punibilita' del reato ex art. 10-ter (per eliminare la disparita'  di
trattamento, rispetto ai reati ex articoli 4 e 5, decreto legislativo
cit.), ha dunque comportato un evidente  disallineamento  tra  i  due
reati, perche', sempre  limitatamente  ai  fatti  commessi  entro  il
suddetto  limite  temporale,  l'omesso  versamento   delle   ritenute
certificate e' punito gia' se si supera la  soglia  di  50.000  Euro,
mentre l'omesso versamento dell'I.V.A. dichiarata, e' punita solo  se
si supera la soglia, ben piu' rilevante, di 103.291,38 Euro. 
    Vi e' dunque una irragionevole disparita' di trattamento, sebbene
temporalmente limitata, rispetto a condotte di reato che  sono  state
considerate invece dal legislatore del tutto assimilabili  sul  piano
della lesivita' degli interessi del fisco e che pertanto erano  state
parificate  in  tutti   gli   elementi,   compreso   il   trattamento
sanzionatorio. 
    L'irragionevolezza  dell'attuale  assetto  normativo,  si  coglie
ulteriormente nel rilievo che,  per  le  condotte  successive  al  17
settembre 2011,  i  due  reati,  ex  art.  10-bis  e  10-ter, decreto
legislativo n. 74/2000, tornano ad  essere  nuovamente  perfettamente
equivalenti e allineati (con la medesima  soglia  di  punibilita'  di
50.000 Euro). 
    Il che significa  che  il  trattamento  per  chi  commette  fatti
rientranti nelle due norme incriminatrici e' del tutto identico se le
condotte vengono realizzate successivamente  al  17  settembre  2011,
mentre il trattamento di chi commette un fatto ex art. 10-bis  e  chi
un fatto ex art. 10-ter e' significativamente diverso se le  condotte
sono state commesse fino al 17 settembre 2011. E quindi evidente  che
non vi sono  ragioni  che  giustifichino  tale  anomala  e  diseguale
disciplina. 
    Solo un ulteriore  intervento  della  Corte  costituzionale,  che
dichiari    l'illegittimita'    costituzionale    anche     dell'art.
10-bis, decreto legislativo cit., nella parte in cui, con riferimento
ai fatti  commessi  fino  al  17  settembre  2011,  punisce  l'omesso
versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione  rilasciata
ai sostituiti anche per importi non  superiori  ad  Euro  103.291,38,
puo' dunque ricondurre ad equita' il complessivo  sistema  dei  reati
tributari delineato dal decreto legislativo n. 74/2000. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e
23 legge 11 marzo 1953, n. 87 e 159 del codice penale; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  l'art.  3   della
Costituzione, della norma di cui all'art. 10-bis, decreto legislativo
n. 74/2000, nella parte in cui, con  riferimento  ai  fatti  commessi
fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per  importi
non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. 
    Ordina che, a  cura  della  Cancelleria,  l'ordinanza,  letta  in
pubblica  udienza  alla  presenza  delle  parti,  sia  notificata  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  comunicata  al  Presidente
della  Camera  dei  deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 
      Manda alla Cancelleria per gli adempimenti. 
 
        Ancona, 23 febbraio 2015 
 
                         Il G.O.T.: Zampetti