N. 32 SENTENZA 23 novembre 2016- 9 febbraio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Riordino delle Province e Citta' metropolitane  -  Riallocazione  del
  personale - Transito del personale di polizia provinciale nei ruoli
  degli enti locali per lo  svolgimento  delle  funzioni  di  polizia
  municipale. 
- Decreto-legge 19  giugno  2015,  n.  78  (Disposizioni  urgenti  in
  materia  di  enti  territoriali.  Disposizioni  per  garantire   la
  continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di  controllo  del
  territorio. Razionalizzazione delle spese  del  Servizio  sanitario
  nazionale nonche' norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
  industriali) - convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto
  2015, n. 125 - art. 5, commi da 1 a 6. 
-   
(GU n.7 del 15-2-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi da
1 a 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni  urgenti
in materia  di  enti  territoriali.  Disposizioni  per  garantire  la
continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di   controllo   del
territorio. Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario
nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
industriali), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  6  agosto
2015, n. 125, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il
12 ottobre 2015, depositato in cancelleria  il  19  ottobre  2015  ed
iscritto al n. 95 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  novembre  2016  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    uditi l'avvocato Luca Antonini per la Regione Veneto e l'avvocato
dello  Stato  Paolo  Grasso  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2015 e depositato  nella
cancelleria di  questa  Corte  il  successivo  19  ottobre  (registro
ricorsi n. 95 del 2015),  la  Regione  Veneto  ha  promosso,  in  via
principale, questioni di legittimita' costituzionale, fra gli  altri,
dell'art. 5, commi da 1 a 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n.  78
(Disposizioni urgenti in materia di enti  territoriali.  Disposizioni
per garantire la  continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di
controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del  Servizio
sanitario  nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di
emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge  6
agosto 2015, n. 125, per violazione degli artt. 117, terzo  e  quarto
comma, e 118 della  Costituzione,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Carta costituzionale. 
    1.1.- La ricorrente osserva che il citato art.  5  determina  una
«profonda alterazione della  posizione  costituzionalmente  garantita
alle  regioni»,  comprimendone  l'autonomia  legislativa   anche   in
violazione dell'accordo sancito  tra  Stato  e  Regioni  in  sede  di
Conferenza unificata l'11 settembre  2014.  Cio'  perche'  l'articolo
censurato include tra le funzioni da riallocare con legge  regionale,
ai sensi del comma 89 dell'art. 1 della legge 7 aprile  2014,  n.  56
(Disposizioni  sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,  sulle
unione e  fusioni  di  comuni),  anche  quelle  inerenti  la  polizia
provinciale,  mentre  detto  accordo,  al  punto  11,   espressamente
escludeva la  possibilita'  di  adottare  provvedimenti  di  riordino
nell'ambito delle «funzioni  provinciali  nelle  materie  oggetto  di
future riforme, indicate nell'allegato» (in  specie,  in  materia  di
forze di polizia). 
    La Regione rileva che, non essendo intervenuta alcuna riforma, le
disposizioni impugnate si pongono in contrasto con l'impegno  di  cui
al citato accordo dell'11 settembre 2014. 
    1.2.-  La  ricorrente  afferma,  inoltre,  che  le   disposizioni
censurate  violano  l'«autonomia  costituzionalmente  garantita  alla
regione» perche', pur rientrando la materia  «polizia  amministrativa
locale»  nella  competenza  residuale  regionale,  prevedono  in  via
generale che il personale di polizia provinciale transiti  nel  ruolo
degli enti locali  per  lo  svolgimento  delle  funzioni  di  polizia
municipale; perche' in via prioritaria  attribuiscono  agli  enti  di
area vasta e alle citta' metropolitane il compito di  individuare  il
personale di polizia provinciale  necessario  per  l'esercizio  delle
loro funzioni fondamentali; perche' solo in via  residuale  prevedono
che «le regioni riallochino le  funzioni  di  polizia  amministrativa
locale e il relativo personale nell'ambito dei processi  di  riordino
delle  funzioni  provinciali  in  attuazione   di   quanto   previsto
dall'articolo 1, comma  89,  della  legge  7  aprile  2014,  n.  56»;
perche', infine, stabiliscono che il  personale,  il  quale  non  sia
stato  individuato  o  riallocato  entro  il  31  ottobre  2015,  sia
trasferito ai comuni, singoli o associati, per lo  svolgimento  delle
funzioni di polizia municipale. 
    Secondo la Regione Veneto, in tal  modo  il  legislatore  statale
avrebbe ridotto «ad un ruolo ancillare il cui spazio  di  manovra  e'
praticamente    inesistente»    la    funzione     di     allocazione
costituzionalmente garantita alle Regioni - ai sensi degli artt. 117,
terzo e quarto comma, e 118 Cost.  -  nelle  materie  non  rientranti
nelle funzioni fondamentali degli enti locali: cio'  perche',  da  un
lato, e' indicato, al comma 1, l'ambito funzionale cui  il  personale
e' destinato, e, dall'altro, la facolta' regionale di allocazione  e'
subordinata  alle   opzioni   effettuate   da   province   e   citta'
metropolitane. 
    L'impugnato art. 5, rileva ancora la Regione, non rispetta dunque
il dettato costituzionale  ne'  formalmente  -  perche'  «degrada  la
potesta' residuale regionale in  materia  di  polizia  amministrativa
locale» -  ne'  sostanzialmente,  perche'  la  disciplina  introdotta
indebitamente svuota i margini di manovra regionale  e  li  subordina
alla discrezionalita' degli enti locali. 
    Infine, la ricorrente segnala che in data 30 luglio 2015 e' stata
sancita la mancata intesa sul decreto ministeriale diretto a  fissare
le modalita' e le procedure per il transito del personale di  cui  al
censurato art. 5, comma 4, del d.l. n. 78 del 2015. 
    2.- Si e' costituito  in  giudizio,  con  atto  depositato  nella
cancelleria di questa Corte il 17 novembre 2015,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato
infondato. 
    2.1.- Il resistente osserva, innanzitutto, che l'art. 8, comma 1,
lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al  Governo  in
materia di riorganizzazione delle  amministrazioni  pubbliche)  detta
quale principio e  criterio  direttivo  il  «riordino  dei  corpi  di
polizia provinciale, in linea con la definizione  dell'assetto  delle
funzioni di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, escludendo  in  ogni
caso la confluenza nelle Forze di polizia», di  modo  che  l'articolo
impugnato rispetta «perfettamente» quanto stabilito  nell'accordo  in
sede di Conferenza unificata dell'11 settembre  2014,  rappresentando
«una  piena  concretizzazione  per  quanto  riguarda  la  delega   al
Governo». Si precisa, poi, che il contenuto dell'impugnato art. 5 «e'
perfettamente coerente e strettamente aderente  alla  l.  n.  56  del
2014», cosi' come e' conforme alla normativa  relativa  al  personale
contenuta nella legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2015). 
    2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri esclude,  inoltre,
che la normativa  oggetto  d'impugnativa  possa  considerarsi  lesiva
delle competenze regionali perche', ai commi 1 e 2, prevede che siano
gli  enti  di  area  vasta  e  le  citta'   metropolitane   a   dover
prioritariamente  determinare  il  numero  di  addetti  alla  polizia
amministrativa locale necessario per l'esercizio delle loro  funzioni
fondamentali. Trattandosi,  appunto,  di  funzioni  fondamentali,  le
risorse di personale devono prioritariamente essere  assegnate  dallo
Stato a questi enti, ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
p), Cost., «nella misura in cui esse sono necessarie all'esercizio di
tali funzioni». 
    Infine, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che neppure  il
comma 4 del censurato art. 5 - laddove prevede che il personale della
polizia   amministrativa   locale,   in   esubero   all'esito   della
riallocazione delle funzioni non fondamentali operata dalle  Regioni,
sia assegnato ai comuni - sia lesivo del ruolo delle Regioni  stesse,
perche' e' «norma che si limita a dare attuazione, con riferimento  a
detto personale, a quanto previsto dalla l. n. 190 del 2014». 
    3.- In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato una  memoria  con  la  quale  ha
proposto  ulteriori  argomenti  a  sostegno   dell'infondatezza   del
ricorso. 
    3.1.- L'Avvocatura dello Stato rileva, in  primo  luogo,  che  le
disposizioni  impugnate  intendono  ricollocare  il  personale  della
polizia  provinciale,  in  un  quadro  in  cui,  pur  riordinate  dai
legislatori regionali le funzioni di polizia  amministrativa  locale,
sono confermati in capo  alle  Province,  nell'ambito  del  riassetto
delle loro funzioni ai sensi della legge n. 56 del 2014, i servizi di
polizia  provinciale  connessi  allo   svolgimento   delle   funzioni
fondamentali in materia  di  ambiente  e  circolazione  stradale.  Il
transito nei ruoli degli  enti  locali  di  detto  personale  per  lo
svolgimento delle funzioni di polizia municipale e'  previsione  che,
pertanto, dovrebbe ricondursi alla materia «funzioni fondamentali  di
Comuni, Province e Citta' metropolitane» di cui all'art.  117,  comma
2, lettera p), Cost. 
    Il resistente osserva,  poi,  che  la  normativa  censurata  deve
essere collocata «nell'ambito del piu' generale sistema di interventi
del legislatore statale finalizzati al  coordinamento  della  finanza
pubblica»,  attraverso  i  quali  lo  Stato  con  una  disciplina  di
principio puo' imporre, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza
costituzionale, vincoli alle Regioni e agli  enti  locali,  anche  se
inevitabilmente si traducono in limitazioni  indirette  all'autonomia
di spesa. 
    Sotto altro profilo, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
sottolinea come, in ragione  della  natura  del  rapporto  di  lavoro
pubblico del personale interessato,  la  disciplina  impugnata  possa
anche ascriversi  alla  potesta'  legislativa  esclusiva  statale  in
materia di «ordinamento civile»,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost. 
    Viene altresi' messo in evidenza come il censurato art.  5  ponga
in essere, per il personale della polizia provinciale, una disciplina
speciale in tema di mobilita' rispetto  a  quella  generale  prevista
dall'art. 1, commi 423 e seguenti,  della  legge  n.  190  del  2014:
infatti, da un lato, amplia le capacita' di assunzione  di  personale
dell'ente, in deroga ai vigenti divieti; dall'altro,  «comprime  ogni
possibilita' di reperire aliunde nuovo personale, con una  previsione
di ampiezza tale da comprendere qualunque  fattispecie  negoziale  di
acquisizione di prestazioni lavorative». A tale riguardo,  la  difesa
statale richiama plurime decisioni della Corte dei  conti  le  quali,
dopo aver rilevato che il divieto  di  assunzione  «con  qualsivoglia
tipologia contrattuale»  e'  espressione  piu'  volte  adoperata  dal
legislatore, si sono pronunciate  sull'estensione  di  tale  divieto,
ricomprendendovi   ogni   fattispecie   che    sia    sostanzialmente
configurabile come rapporto di lavoro a vantaggio dell'ente  soggetto
alle limitazioni. 
    4.- Ha depositato  una  memoria  illustrativa  anche  la  Regione
Veneto la quale, ritenendo che  le  ragioni  dell'incostituzionalita'
delle disposizioni impugnate siano gia' state «ampiamente illustrate»
nel  ricorso,  ha  replicato  alle  osservazioni  svolte  negli  atti
difensivi dall'Avvocatura dello Stato. 
    4.1.-  Innanzitutto,  la  Regione  ricorrente  afferma   che   la
circostanza per cui l'impugnato art. 5 -  secondo  la  prospettazione
del Presidente del Consiglio dei  ministri  -  sia  coerente  con  la
riforma delle forze di polizia, avviata con la legge n. 124 del 2015,
a nulla rileva con  riferimento  alla  censura  relativa  al  mancato
rispetto dell'accordo dell'11 settembre 2014. La violazione di  detto
accordo si sarebbe verificata «per il fatto stesso che l'adozione del
d.l. n. 78 del 2015 e' avvenuta  prima  dell'approvazione  definitiva
della legge n. 124 del  2015»,  dal  momento  che  lo  Stato  si  era
impegnato a non adottare provvedimenti di riordino  se  non  dopo  la
conclusione della riforma de qua e, dunque, soltanto  successivamente
all'attuazione della delega, poi avvenuta con il decreto  legislativo
19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di  razionalizzazione
delle funzioni di polizia e assorbimento del  Corpo  forestale  dello
Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della  legge  7
agosto  2015,  n.  124,  in   materia   di   riorganizzazione   delle
amministrazioni pubbliche). 
    A tal proposito, osserva la Regione Veneto che, se  e'  vero  che
questa Corte ha piu' volte affermato che, ai fini dello scrutinio  di
legittimita'  degli  atti  legislativi,  le  procedure  in  sede   di
Conferenza unificata rilevano  soltanto  se  la  loro  osservanza  e'
imposta dalla Costituzione (si richiama la sentenza n. 437 del 2001),
cio' e' quanto accade nel caso  di  specie,  incidendo  le  censurate
disposizioni su ambiti competenziali delle  Regioni,  presupposto  la
cui   sussistenza   sarebbe   necessaria,   secondo   la   richiamata
giurisprudenza   costituzionale,   perche'   sia   riscontrabile   la
violazione del principio di leale collaborazione. 
    La ricorrente ritiene, poi,  del  tutto  generica  l'affermazione
dell'Avvocatura dello Stato secondo  cui  la  disciplina  legislativa
impugnata sarebbe coerente sia con  le  disposizioni  riguardanti  il
riordino della polizia provinciale di cui alle leggi n. 124 del  2015
e n. 56 del 2014, sia con quelle relative al personale delle province
di cui alla legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita'  2015).  Cio',
in particolare, perche' l'art. 1, comma 89, della  legge  n.  56  del
2014 prevede che Stato e Regioni riallochino le funzioni  provinciali
non fondamentali «secondo le rispettive competenze». 
    4.2.- La Regione Veneto  contesta,  altresi',  le  argomentazioni
dell'Avvocatura dello Stato secondo cui la disposizione censurata  si
giustificherebbe sulla base delle  competenze  esclusive  statali  in
materia di  «funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane», «coordinamento della finanza pubblica»,  «ordinamento
civile». 
    Sarebbe del tutto improprio il richiamo alla sentenza n. 220  del
2013 di questa Corte per ricondurre l'impugnato art. 5  alla  materia
«funzioni fondamentali di Comuni, Province e  Citta'  metropolitane».
Al contrario, la successiva sentenza n. 22 del 2014 ha stabilito che,
una volta individuate le funzioni fondamentali con legge statale,  la
loro organizzazione spetta alla Regione, quando invece  la  normativa
impugnata  avrebbe  disciplinato  nel  merito  la  materia   «polizia
amministrativa locale», di spettanza regionale. Questa conclusione  -
a dire della ricorrente - non  sarebbe  peraltro  contraddetta  dalle
recenti sentenze n. 202 e n. 159 del 2016  di  questa  Corte:  queste
hanno  si'  riconosciuto  la  legittimita'  dell'intervento   statale
relativo al personale di province e citta' metropolitane, ma  perche'
condotto nel piu' ampio quadro del progetto di  riordino,  mentre  la
censurata  disposizione,  prevedendo  che  il  personale  di  polizia
provinciale transiti nei ruoli degli enti locali per  lo  svolgimento
delle funzioni di polizia municipale, disciplina un ambito  riservato
alla competenza regionale. 
    La Regione ricorrente esclude, poi, che  la  normativa  impugnata
possa ricondursi al «coordinamento della finanza pubblica», attenendo
essa piuttosto «alla disciplina e alla articolazione  delle  funzioni
degli enti locali»; ad  ogni  modo,  lo  Stato  nell'esercizio  della
funzione di coordinamento della finanza  pubblica  potrebbe  soltanto
stabilire un limite complessivo, lasciando agli  enti  locali  «ampia
liberta'  di  allocazione  delle  risorse  tra  i  diversi  ambiti  e
obiettivi di spesa» (sentenza n. 297 del 2009). 
    La Regione Veneto, inoltre, parimente esclude che la disposizione
censurata possa ricondursi allo «ordinamento civile», dal momento che
la  giurisprudenza  costituzionale  ha  affermato  che  vi  rientrano
soltanto gli aspetti privatizzati del  pubblico  impiego,  non  anche
quelli pubblicistico-organizzativi disciplinati invece dall'impugnato
art. 5. 
    4.3.- Infine, la ricorrente ribadisce che, essendo di  competenza
regionale  la  disciplina  delle  funzioni  in  materia  di  «polizia
amministrativa locale», la circostanza per cui gli enti di area vasta
e le citta' metropolitane determinino prioritariamente le risorse  di
personale per l'esercizio delle  loro  funzioni  fondamentali  affida
alle Regioni, contrariamente a quanto obiettato dall'Avvocatura dello
Stato,    un    ruolo    residuale,    violandone    le    competenze
costituzionalmente garantite. 
    Del tutto inconferenti  sarebbero,  poi,  le  delibere  di  varie
sezioni della Corte dei conti richiamate dal Presidente del Consiglio
dei ministri, riguardando esse i divieti di assunzione del  personale
connessi al rispetto del patto di stabilita' interno. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto ha promosso, in via  principale,  questioni
di  legittimita'   costituzionale   di   diverse   disposizioni   del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in  materia
di enti territoriali. Disposizioni per garantire la  continuita'  dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di  rifiuti  e  di  emissioni  industriali),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125. 
    L'esame di questa Corte e' qui limitato alle  questioni  relative
all'art. 5, commi da 1 a 6, del richiamato  decreto-legge,  censurato
per violazione degli artt. 117, terzo e quarto  comma,  e  118  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 della Carta costituzionale. 
    Resta riservata a separate  pronunce  la  decisione  sulle  altre
questioni promosse dalla ricorrente. 
    2.- La Regione Veneto lamenta, innanzitutto,  la  violazione  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.,  poiche'
la normativa censurata sarebbe stata adottata in contrasto con quanto
previsto  nell'accordo  tra  Stato  e  Regioni  sancito  in  sede  di
Conferenza unificata l'11 settembre 2014. Tale accordo stabiliva,  al
punto 11, la sospensione dell'adozione di provvedimenti  di  riordino
in materia di forze di polizia fino al momento dell'entrata in vigore
delle riforme allora in discussione in sede parlamentare; l'impugnato
art. 5, invece, pur non essendo intervenuta alcuna  riforma,  include
tra le funzioni da riallocare con legge regionale  anche  la  polizia
provinciale. 
    La Regione Veneto ritiene, poi, che  le  disposizioni  censurate,
variamente regolando il transito del personale di polizia provinciale
nel  ruolo  degli  enti  locali,  violino  la  competenza   residuale
regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., in materia di
«polizia amministrativa  locale».  In  tal  modo,  esse  lederebbero,
altresi', gli artt.  117,  terzo  comma,  e  118  Cost.,  comprimendo
indebitamente  «la   funzione   di   allocazione   costituzionalmente
garantita alle regioni»: cio' perche', da un lato,  e'  indicato,  al
comma 1, l'ambito  funzionale  cui  il  personale  e'  destinato,  e,
dall'altro, la facolta' regionale di allocazione e' subordinata  alle
opzioni effettuate da province e citta' metropolitane. 
    3.- Le censure formulate dalla ricorrente  con  riferimento  agli
artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. sono inammissibili. 
    3.1.- La Regione Veneto, dopo aver rilevato che  le  disposizioni
di cui all'impugnato art. 5, commi da 1 a 6, debbono ricondursi  alla
materia «polizia amministrativa locale», si limita ad  affermare,  in
modo  apodittico,  che  esse  riducono  la  funzione  di  allocazione
costituzionalmente garantita alle Regioni «ad un ruolo  ancillare  il
cui spazio di manovra e'  praticamente  inesistente».  In  tal  modo,
tuttavia, non sono adeguatamente chiarite le  ragioni  del  contrasto
con i due diversi parametri costituzionali,  peraltro  congiuntamente
evocati, non essendo sufficiente a tal fine la sintetica, e parziale,
illustrazione della disciplina statale cui la ricorrente procede. 
    In relazione agli  artt.  117,  terzo  comma,  e  118  Cost.,  le
motivazioni  addotte  dalla  ricorrente  non  raggiungono,  pertanto,
quella «soglia minima di chiarezza e di completezza» (sentenza n.  64
del 2016) cui e' subordinata l'ammissibilita'  delle  impugnative  in
via principale. Questa Corte ha ripetutamente affermato, infatti, che
«l'esigenza di un'adeguata motivazione a fondamento  della  richiesta
declaratoria di illegittimita'  costituzionale  si  pone  in  termini
perfino  piu'  pregnanti  nei  giudizi  proposti  in  via  principale
rispetto a quelli instaurati in  via  incidentale»  (tra  le  ultime,
sentenza n. 141 del 2016). E' onere  del  ricorrente,  pertanto,  non
solo  individuare   le   disposizioni   impugnate   e   i   parametri
costituzionali dei  quali  si  lamenta  la  violazione,  ma  altresi'
proporre una motivazione che non sia «meramente assertiva»  (sentenza
n. 251 del 2015) e che contenga una «specifica e congrua indicazione»
(sentenza n. 37 del 2016) delle ragioni per le quali  vi  sarebbe  il
contrasto con i parametri evocati. 
    4.- Nel merito, la questione  promossa  in  riferimento  all'art.
117, quarto comma, Cost. non e' fondata. 
    Lo  scrutinio  della  stessa  implica,  alla  luce  del  costante
orientamento di questa Corte, l'individuazione dell'ambito  materiale
al quale vanno ascritte  le  disposizioni  impugnate,  tenendo  conto
della  loro  ratio,  oltre  che  della  finalita'  del  contenuto   e
dell'oggetto della disciplina (ex multis, sentenze n. 175  e  n.  158
del 2016; n. 245 del 2015). 
    4.1.- Le censurate disposizioni si inseriscono  nel  processo  di
riordino delle Province e delle Citta' metropolitane, avviato con  la
legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle citta'  metropolitane,
sulle province, sulle unioni e fusioni  di  comuni),  con  la  quale,
nell'esercizio delle proprie competenze di cui agli artt. 114 e  117,
secondo  comma,  lettera  p),  Cost.,  «il  legislatore   ha   inteso
realizzare una  significativa  riforma  di  sistema  della  geografia
istituzionale della Repubblica» (sentenza n. 50 del 2015). 
    Parallelamente alla nuova disciplina concernente il  riordino  di
detti  enti,  il  legislatore  statale  ha  previsto  misure  dirette
all'individuazione del personale da riallocare (art. 1, commi 47, 48,
92 e 96, della legge n. 56 del  2014),  disciplinandone  altresi'  le
modalita' di trasferimento e ridefinendo le dotazioni organiche (art.
1, commi da 420 a 428, della legge 23 dicembre 2014, n. 190,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2015»). 
    In proposito, questa Corte ha gia' affermato che «non c'e' dubbio
che  la  disciplina  del  personale  costituisca  uno  dei   passaggi
fondamentali della riforma» (sentenza n.  159  del  2016),  da  farsi
rientrare, in termini  generali,  nella  competenza  esclusiva  dello
Stato in materia di «funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e
Citta' metropolitane» (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost.). E'
del tutto evidente, infatti, che  «la  ridefinizione  delle  funzioni
amministrative  spettanti  a  Regioni  ed  enti   locali   non   puo'
prescindere,  per  divenire  effettiva,  dalla  individuazione  delle
corrispondenti risorse di beni, di mezzi finanziari e  di  personale»
(sentenza n. 202 del 2016). 
    4.2.- I commi da 1 a 6 dell'impugnato art. 5 regolano  tutti,  in
vario  modo,  il  trasferimento  di  una  particolare  categoria   di
dipendenti pubblici delle Province, quale il  personale  appartenente
ai Corpi ed ai servizi di polizia  provinciale  di  cui  all'art.  12
della legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull'ordinamento  della
polizia municipale). 
    In particolare, la disciplina dettata  dai  primi  quattro  commi
stabilisce il transito del personale nei  ruoli  degli  enti  locali,
rimettendo  peraltro  agli  enti   di   area   vasta,   alle   citta'
metropolitane  e  alle  stesse  Regioni  l'individuazione   di   quel
personale che, di volta in  volta,  e'  necessario  allo  svolgimento
delle proprie funzioni. 
    I commi 5 e 6 prevedono,  per  un  verso,  che  il  transito  del
personale avvenga «nei limiti della  relativa  dotazione  organica  e
della programmazione triennale», in deroga ai vigenti divieti in tema
di assunzioni; per un altro, impediscono agli enti  locali,  fintanto
che  non  sia  completamente  assorbito  il  personale   di   polizia
provinciale, di reclutarne altro per lo svolgimento  di  funzioni  di
polizia locale. 
    Le censurate disposizioni non sono dirette, pertanto, ad allocare
le  funzioni  nell'ambito  di  una   materia,   quale   la   «polizia
amministrativa locale», che e' di competenza residuale  regionale  ai
sensi di quanto espressamente  previsto,  per  esclusione,  dall'art.
117, secondo comma, lettera h),  Cost.  Allocazione  in  ordine  alla
quale, d'altra parte, la competenza regionale e' espressamente  fatta
salva ai commi 1 e 3. 
    4.3.-  La  normativa  impugnata  deve  essere   ricondotta,   per
converso, non solo  alla  materia  di  competenza  esclusiva  statale
«funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane»  -
trattandosi, come detto, di intervento che si colloca nel processo di
riordino degli enti territoriali avviato con la legge n. 56 del  2014
- ma anche a ulteriori titoli di competenza statale. 
    Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4  del  censurato  art.  5
mirano, infatti, a garantire i  rapporti  di  lavoro  in  essere  del
personale  di  polizia  provinciale,  anche  tenendo   nella   dovuta
considerazione le «competenze professionali che  i  lavoratori  hanno
acquisito nel corso degli anni» (sentenza n.  202  del  2016),  utili
anche presso il nuovo livello di  governo  cui  saranno  allocate  le
relative funzioni. Si tratta, pertanto, di un intervento  legislativo
nell'ambito della competenza statale tesa a promuovere, «nel  settore
del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto  al
lavoro di cui all'art. 4 Cost.» (sentenze n. 202 del 2016  e  n.  388
del 2004), sul quale si fonda la Repubblica italiana (art. 1 Cost.). 
    Le medesime disposizioni sono altresi' riconducibili alla materia
«ordinamento civile» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  l),
Cost. La giurisprudenza di questa Corte, infatti,  ha  ascritto  alla
competenza  residuale  regionale  in   materia   di   ordinamento   e
organizzazione      amministrativa      regionale      i      profili
"pubblicistico-organizzativi"  dell'impiego  pubblico  regionale  (ex
multis, sentenze n. 251 del 2016 e n.  149  del  2012),  riconducendo
invece alla richiamata competenza esclusiva  statale  gli  interventi
legislativi che, al pari di quelli censurati nel  presente  giudizio,
dettano misure relative a rapporti  lavorativi  gia'  in  essere  (ex
multis, sentenze n. 251 e 186 del 2016 e n. 180 del 2015), quali sono
quelle regolanti il trasferimento di personale (sentenze  n.  50  del
2015 e n. 17 del 2014). 
    Le disposizioni di cui ai commi 5  e  6  prevedono  deroghe  alle
limitazioni  vigenti  in  materia  di   spese   per   il   personale,
contestualmente stabilendo un divieto di ulteriori assunzioni fino al
completo assorbimento del  personale  di  polizia  provinciale.  Tali
disposizioni, in tutta evidenza, sono  congiuntamente  dirette  a  un
complessivo  contenimento  della  spesa  per  il  personale   e,   di
conseguenza, devono essere ascritte alla materia «coordinamento della
finanza pubblica» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Trattandosi
di misure transitorie che incidono su un  rilevante  aggregato  della
spesa pubblica quale e' quello per  il  personale,  esse,  come  piu'
volte ha ritenuto questa Corte, non hanno carattere  di  dettaglio  e
intervengono a titolo di principio  fondamentale  della  materia  (ex
multis, sentenze n. 202 del 2016 e n. 218 del 2015), tanto  piu'  nel
contesto del processo di riordino degli enti territoriali avviato con
la legge n. 56 del 2014 (sentenza n. 143 del 2016). 
    5.- Non e' fondata neppure la questione promossa  in  riferimento
al principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Questa Corte ancora di recente ha ribadito il principio,  proprio
in  riferimento  all'accordo  raggiunto  nella  Conferenza  unificata
dell'11 settembre 2014, secondo cui «un accordo non puo' condizionare
l'esercizio della funzione legislativa» (sentenza n. 205  del  2016).
Ad ogni modo, poiche' le disposizioni impugnate devono  tutte  essere
ascritte, come si e' detto, a plurimi titoli di  competenza  statale,
nessuna violazione della leale collaborazione  puo'  essere  imputata
allo Stato, non essendovi  alcuna  competenza  regionale  incisa  (da
ultimo, sentenza n. 251 del 2016). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la decisione sulle altre  questioni
promosse con il medesimo ricorso; 
    1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'  dell'art.
5, commi  da  1  a  6,  del  decreto-legge  19  giugno  2015,  n.  78
(Disposizioni urgenti in materia di enti  territoriali.  Disposizioni
per garantire la  continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di
controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del  Servizio
sanitario  nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di
emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge  6
agosto 2015, n. 125, promosse, in riferimento agli artt.  117,  terzo
comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    2) dichiara non fondate le questioni di legittimita' dell'art. 5,
commi da 1 a 6, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2015,  promosse,
in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost. e  al  principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120  della  Costituzione,  dalla
Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA