N. 7 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 febbraio 2017

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 2 febbraio 2017 (della Regione Lombardia). 
 
Amministrazione pubblica - Camere di  commercio  -  Attuazione  della
  delega di cui all'art. 10 della  legge  n.  124  del  2015  per  il
  riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  Camere  di
  commercio, industria, artigianato e agricoltura  -  Richiesta  alla
  Corte costituzionale di sollevare davanti  a  se  stessa,  mediante
  autorimessione,  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
  dell'art. 10, comma 2, della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  nella
  parte in cui  prevede  il  parere  anziche'  l'intesa  in  sede  di
  Conferenza  Stato-Regioni  -  Previsione  che  il  Ministro   dello
  sviluppo   economico   provvede   con    proprio    decreto    alla
  rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, all'istituzione
  delle nuove Camere di commercio,  alla  soppressione  delle  Camere
  interessate   dal   processo   di   accorpamento   e   alle   altre
  determinazioni conseguenti ai piani  -  Previsione  che,  entro  il
  termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore  del  decreto
  legislativo impugnato, l'Unioncamere trasmette al  Ministero  dello
  sviluppo  economico  una   proposta   di   rideterminazione   delle
  circoscrizioni territoriali, per ricondurre il  numero  complessivo
  delle Camere di commercio  entro  il  limite  di  60  -  Disciplina
  transitoria - Criteri. 
- Decreto legislativo 25 novembre  2016,  n.  219  (Attuazione  della
  delega di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto  2015,  n.  124,
  per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere  di
  commercio, industria, artigianato e agricoltura), intero  testo,  o
  artt. 1, comma 1, lett. b), n. 2, punto g), e lett. r),  punto  i);
  3, commi 1, lett. f), 4 e 10; e 4. 
(GU n.9 del 1-3-2017 )
    Ricorso della Regione Lombardia (c.f. 80050050154), con  sede  in
Piazza Citta'  di  Lombardia,  1,  Milano  (20124),  in  persona  del
presidente della giunta regionale pro tempore,  on.  Roberto  Maroni,
rappresentato e difeso, in forza di procura a  margine  del  presente
atto ed in virtu'  della  deliberazione  della  giunta  regionale  n.
X/6140 del 23 gennaio 2017, dal prof. avv. Francesco  Saverio  Marini
(c.f.                     MRNFNC73D28H501U;                      PEC:
francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.org;   fax    06.36001570),
presso il cui studio in Roma, Via di Villa Sacchetti,  9,  ha  eletto
domicilio; ricorrente; 
    Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore (c.f. 80188230587),  con  sede  in
Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna, 370, resistente; 
    per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo  25  novembre  2016,  n.
219, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 10 della  legge
7 agosto  2015,  n.  124,  per  il  riordino  delle  funzioni  e  del
funzionamento delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura», pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica
italiana n. 276 del 25 novembre 2016, per violazione  degli  articoli
117, commi 3 e 4, 76 della Costituzione  e  del  principio  di  leale
collaborazione in relazione agli articoli 5, 120 della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con l'art. 10 della legge n. 124 del 2015 («Deleghe al Governo
in materia di riorganizzazione delle amministrazioni  pubbliche»)  le
Camere hanno delegato il Governo  «ad  adottare,  entro  dodici  mesi
dalla data di entrata in vigore  della  presente  legge,  un  decreto
legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e  del
finanziamento delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993,
n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010,  n.
23, e il conseguente riordino  delle  disposizioni  che  regolano  la
relativa materia» (art. 10, comma 1). 
    Fra  i  principi  e  criteri  direttivi  cui  il  Governo  doveva
attenersi nell'esercizio della delega,  l'art.  10,  comma  l  -  con
previsione che finisce, in realta', per perimetrare al contempo anche
l'oggetto della stessa - menziona: 
    a) la determinazione del diritto annuale a carico  delle  imprese
tenuto conto delle disposizioni di cui al  decreto-legge  n.  90  del
2014, conv. con mod. dalla legge n. 114 del 2014; 
    b)  la  ridefinizione  delle  circoscrizioni  territoriali,   con
riduzione, mediante accorpamento, del numero dalle attuali 105 a  non
piu' di 60; 
    c) la ridefinizione dei compiti e delle funzioni, con particolare
riguardo a quelle di pubblicita' legale generale  e  di  settore,  di
semplificazione amministrativa, di tutela del  mercato,  limitando  e
individuando gli ambiti di attivita' nei quali svolgere  la  funzione
di  promozione  del  territorio  e  dell'economia   locale,   nonche'
attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate
dallo Stato e dalle regioni, eliminando  le  duplicazioni  con  altre
amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni  societarie  a
quelle necessarie per lo  svolgimento  delle  funzioni  istituzionali
nonche' per lo svolgimento di attivita' in regime di  concorrenza,  a
tal fine esplicitando  criteri  specifici  e  vincolanti,  eliminando
progressivamente  le  partecipazioni  societarie  non  essenziali   e
gestibili secondo criteri di efficienza da soggetti privati; 
    d)  il  riordino  delle  competenze  relative   alla   tenuta   e
valorizzazione  del  registro  delle  imprese  presso  le  camere  di
commercio, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della
trasparenza del  mercato  e  di  pubblicita'  legale  delle  imprese,
garantendo la continuita' operativa del sistema informativo nazionale
e l'unitarieta' di indirizzo applicativo e interpretativo  attraverso
il ruolo di coordinamento del Ministero dello sviluppo economico; 
    e)  la  definizione  di  standard  nazionali  di  qualita'  delle
prestazioni delle  camere  di  commercio,  in  relazione  a  ciascuna
funzione fondamentale, ai relativi servizi ed  all'utilita'  prodotta
per le imprese, con connessi sistemi di monitoraggio; 
    f) la riduzione del numero dei componenti dei  consigli  e  delle
giunte e riordino della  relativa  disciplina,  compresa  quella  sui
criteri  di  elezione,  sul  limite  ai  mandati  e  sul  trattamento
economico. 
    Circa il procedimento di  formazione,  per  quanto  qui  di  piu'
prossimo  interesse,  l'art.  10,  comma  2,  dispone:  «il   decreto
legislativo di cui al comma 1 e' adottato su  proposta  del  Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delegato per la
semplificazione e la  pubblica  amministrazione  e  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del  parere  della
Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di  Stato,  che  sono
resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di  trasmissione
dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo puo'
comunque procedere». 
    2. In  data  29  settembre  2016,  la  Conferenza  Stato-regioni,
all'esito  del  confronto  con  il  Governo,  assumeva  le   seguenti
determinazioni: «nel prendere atto della  nota  del  Ministero  dello
sviluppo economico del 28  settembre  scorso,  che  ha  comunicato  l
'accoglimento degli emendamenti proposti dalle regioni nn. 1, 2, 6  e
7 e il parziale accoglimento degli emendamenti nn. 3, 5 e 14, esprime
parere favorevole condizionato  all'accoglimento  delle  proposte  di
emendamento nn. 4, 12 e 15» (cfr. parere 16/107/CU12/C11, sub doc. 1,
ult. pag.). 
    3. Con il decreto  legislativo  25  novembre  2016,  n.  219,  il
Governo dava attuazione alla delega di cui all'art. 10 della legge n.
124 del 2015. Nel testo finale  dell'atto  normativo,  tuttavia,  non
risultano  recepiti  gli  emendamenti   indicati   dalla   Conferenza
Stato-regioni   ed   espressamente   configurati   quali   condizioni
necessarie per l'esito positivo del parere. 
    4. Con  la  sentenza  n.  251  del  2016,  codesta  ecc.ma  Corte
dichiarava l'illegittimita' costituzionale  delle  deleghe  contenute
negli articoli 11, 17, 18 e 19 della legge n. 124 del  2015  (per  la
riforma della dirigenza pubblica, della disciplina  del  lavoro  alle
dipendenze della pubblica amministrazione, delle societa' partecipate
e dei servizi pubblici locali di interesse economico generale)  nella
parte in cui prevedono il coinvolgimento regionale  nel  procedimento
di  adozione  del  decreto   delegato,   attraverso   la   Conferenza
Stato-regioni,  nella  forma  del  mero  parere  e  non  dell'intesa:
prescrizione identica a quella contenuta  nell'art.  10,  recante  la
delega per la riforma delle camere di commercio. 
    Nella stessa sentenza, si precisava altresi' che «le pronunce  di
illegittimita' costituzionale, contenute in  questa  decisione,  sono
circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124  del
2015,  oggetto  del  ricorso,  e  non  si  estendono  alle   relative
disposizioni  attuative.   Nel   caso   di   impugnazione   di   tali
disposizioni,  si  dovra'   accertare   l'effettiva   lesione   delle
competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive  che
il Governo riterra' di apprestare al fine di assicurare  il  rispetto
del principio di leale collaborazione». 
    5.  Tutto  cio'  premesso,  la  Regione  Lombardia,  come   sopra
rappresentata e difesa, ritenuta la lesione delle proprie  competenze
costituzionali  per  effetto  della  richiamata  disciplina  statale,
impugna gli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo 25  novembre
2016, n. 219 alla luce dei seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
In limine: sulla legittimazione. 
    In via preliminare, circa  la  sussistenza  della  legittimazione
regionale ad impugnare, e' superfluo ricordare come piu' volte, nella
propria  giurisprudenza,  codesta   ecc.ma   Corte   abbia   ritenuto
ammissibili questioni di  legittimita'  proposte  in  via  principale
dalle regioni, aventi ad oggetto leggi statali  variamente  incidenti
sul sistema delle camere di commercio. 
    In proposito e' opportuno richiamare, fra  le  piu'  recenti,  la
sentenza n. 29 del 2016,  nella  quale  la  Corte  ha  ribadito:  «la
possibilita' per la  regione  di  denunciare  la  legge  statale  per
dedotta violazione di competenze degli enti locali. Questa  Corte  ha
in piu'  occasioni  affermato  (anche  specificatamente  in  tema  di
finanza regionale e locale: sentenza n. 311 del 2012) che "le Regioni
sono legittimate a denunciare la legge statale anche per  la  lesione
delle attribuzioni degli enti locali, [pure] indipendentemente  dalla
prospettazione  della   violazione   della   competenza   legislativa
regionale", perche' "la stretta connessione, in particolare  [..]  in
tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni  regionali  e
quelle delle autonomie locali consente di  ritenere  che  la  lesione
delle competenze locali sia potenzialmente idonea a  determinare  una
vulnerazione delle competenze regionali" (ex  plurimis,  sentenze  n.
220 del 2013, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007,  n.  417  del
2005 e n. 196 del 2004). Tale  prospettazione  dunque  sufficiente  a
rendere  ammissibile  la  questione,  restando  ovviamente  riservata
all'esame del merito la valutazione della sua fondatezza». 
    Ora, pur a non voler considerare le camere di commercio come enti
locali, le quali piu' propriamente  hanno  natura  di  enti  pubblici
dotati di autonomia funzionale (come stabilito dall'art. 1, comma  1,
della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e come confermato dalla  stessa
sentenza n. 29 del 2016), e'  indubbio  che  esse,  per  contenuto  e
ambito spaziale delle  funzioni  esercitate,  operino  in  stretta  e
necessaria sinergia con le  regioni.  Piu'  in  particolare,  risulta
evidente come le camere di commercio fungano per  alcuni  aspetti  da
«strumento»  per  la  regione,  nella  cura  degli  interessi   della
popolazione, nello  sviluppo  del  tessuto  economico-sociale,  nello
svolgimento di tutta una serie di funzioni rientranti nella  potesta'
legislativa  e  amministrativa   regionale   (commercio,   industria,
artigianato,  agricoltura,  istruzione  e  formazione  professionale,
professioni, sostegno all'innovazione per i settori produttivi). 
    Dunque, in piena analogia con quanto avviene per gli enti locali,
l'illegittimita'  delle  norme  statali  in  materia  di  camere   di
commercio  ben  puo'  ridondare  in  una  lesione  della   sfera   di
attribuzione delle regioni, con conseguente legittimazione di  queste
ultime  a  proporre  il  ricorso  in  via  principale.   Nell'odierno
giudizio, peraltro, la  qui  dimostrata  potenziale  ridondanza  puo'
venire in rilievo solo ai fini dell'ammissibilita' relativa  all'art.
76 Cost., giacche' le ulteriori censure sono tutte  svolte  anche  in
relazione ai parametri costituzionali del  Titolo  V  (articoli  117,
commi 3 e 4, e principio di leale collaborazione). La premessa appena
illustrata, dunque, si doveva per semplici ragioni di completezza. 
I. Violazione degli articoli 117, commi 3 e 4,  e  del  principio  di
leale collaborazione di cui agli articoli 5, 120 della Costituzione. 
    1.  L'illegittimita'  delle  disposizioni   gravate   si   coglie
anzitutto in relazione agli articoli 117, commi 3 e 4, e al principio
di leale collaborazione. 
    Il decreto legislativo oggetto dell'odierno gravame, infatti,  e'
stato   adottato   all'esito   di   un   procedimento    nel    quale
l'interlocuzione  fra  Stato  e  regioni,  in  sede   di   Conferenza
Stato-regioni, si e' realizzata nella  forma  (inadeguata)  del  mero
parere, e non gia' attraverso l'intesa: proprio questo secondo,  piu'
penetrante strumento collaborativo sarebbe  stato  pero'  necessario,
considerato il numero e l'intensita' delle competenze regionali  che,
inestricabilmente intrecciate con i titoli competenziali dello Stato,
vengono in rilievo in materia di camere di commercio. 
    In questo senso, appare dirimente la sentenza n.  374  del  2007,
resa da codesta ecc.ma Corte, nella quale pur  rilevando  che:  «alle
camere  di  commercio  sono  attribuiti  dallo  Stato   compiti   che
richiedono di essere  disciplinati  in  maniera  omogenea  in  ambito
nazionale», ha ricordato che «l'art. 38, comma  2,  lettera  c),  del
decreto legislativo n. 112 del 1998 ha stabilito che la disciplina di
tale materia continua ad essere di  competenza  dello  Stato,  previa
intesa in sede di Conferenza Stato-regioni». 
    La Corte ha «piu'  volte  affermato,  allorche'  sia  ravvisabile
un'esigenza di esercizio unitario a livello  statale  di  determinate
funzioni amministrative, che lo  Stato  e'  abilitato  ad  esercitare
anche  la  potesta'  legislativa,  e  cio'  pure  se  tali   funzioni
amministrative  siano   riconducibili   a   materie   di   competenza
legislativa regionale concorrente o residuale (v., tra le  altre,  le
sentenze n. 88 del 2007, n. 383, n. 285, n. 270 e n. 242 del 2005, n.
6 del 2004, n. 303 del 2003). 
    La  Corte  ha  anche  precisato,  pero',  che  in   simili   casi
l'intervento  statale  deve  essere,   tra   l'altro,   proporzionato
all'esigenza di esercizio unitario a livello statale  delle  funzioni
di cui volta per volta si tratta. Sotto questo profilo,  puo'  essere
considerato congruo  il  mantenimento  della  competenza  statale  ad
emanare -  previa  intesa  con  le  regioni  -  norme  relative  alle
modalita' di costituzione dei consigli camerali. E' invece  eccessivo
- in un contesto in cui comunque e' la regione ad esercitare  sia  la
funzione amministrativa relativa alla determinazione del  numero  dei
rappresentanti la cui designazione spetta a  ciascuna  organizzazione
imprenditoriale, sia  quella  di  controllo  e  di  scioglimento  dei
consigli medesimi in caso di gravi e persistenti violazioni di  legge
o di impossibilita' di normale funzionamento (art. 37, comma  3,  del
decreto legislativo n. 112 del 1998) - conservare in capo callo Stato
un rimedio amministrativo avverso  le  determinazioni  dell'autorita'
regionale attuative della disciplina posta a livello nazionale». 
    Questo ampio passaggio induce a ritenere,  da  un  lato,  che  lo
Stato possa  dettare  una  disciplina  uniforme,  almeno  per  taluni
profili, delle camere di commercio;  dall'altro,  che  nel  far  cio'
incontri rilevanti competenze  regionali  concorrenti  o  addirittura
residuali (artigianato, commercio, industria, agricoltura, istruzione
e formazione professionale, professioni, sostegno all'innovazione per
i settori produttivi).  Proprio  il  numero  e  l'«intensita'»  delle
competenze regionali interferenti con  la  materia  delle  camere  di
commercio imponeva lo strumento  dell'intesa  -  come  sancito  nella
sentenza n. 374 del 2007 - anziche'  quello  del  mero  parere:  cio'
giusto l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte secondo cui «il livello
e gli strumenti [della  leale]  collaborazione  possono  naturalmente
essere diversi in relazione al tipo di  interessi  coinvolti  e  alla
natura e all'intensita' delle esigenze  unitarie  che  devono  essere
soddisfatte» (Corte cost., sentenza n. 62 del 2005). 
    2. Nella vicenda oggi all'esame della Corte,  poi,  il  vizio  in
discorso non e' rimasto «quiescente», ma ha dispiegato appieno la sua
portata lesiva: infatti, proprio a causa della  previsione  del  mero
parere, anziche'  dell'intesa,  le  regioni  hanno  visto  del  tutto
disattese talune decisive posizioni espresse in  sede  di  Conferenza
sul merito del decreto, unilateralmente superate dal Governo all'atto
della predisposizione dei contenuti finali. 
    Per dimostrare cio', e' sufficiente evidenziare il contrasto  fra
le posizioni espresse dalle regioni nel parere 16/107/CU12/C11 del 29
settembre 2016 reso in sede di Conferenza unificata  (doc.  1)  e  il
testo finale del decreto legislativo impugnato:  se  infatti  -  come
gia' anticipato - fosse stata ab origine prescritta l'intesa e non il
parere, lo Stato non avrebbe potuto disattendere in modo unilaterale,
immotivato e senza intraprendere  reiterate  trattative  (guarentigie
procedimentali tipiche dell'intesa:  cfr.  da  ultimo  proprio  Corte
costituzionale, sentenza n. 251 del 2016), come invece  e'  avvenuto,
punto di vista regionale. 
    In questa prospettiva,  il  29  settembre  2016,  al  momento  di
rilasciare il parere, la Conferenza delle regioni  cosi'  deliberava:
«nel prendere atto della nota del Ministero dello sviluppo  economico
del 28 settembre  scorso,  che  ha  comunicato  l'accoglimento  degli
emendamenti proposti dalle regioni nn. 1, 2, 6  e  7  e  il  parziale
accoglimento  degli  emendamenti  nn.  3,  5  e  14,  esprime  parere
favorevole   condizionato   all'accoglimento   delle   proposte    di
emendamento nn. 4, 12 e 15» (doc. 1, ult. pag.). 
    Sennonche', le  proposte  di  emendamento  suindicate  non  hanno
trovato affatto accoglimento nel testo finale del decreto. 
    2.1. Piu' in dettaglio, la proposta di emendamento n. 4 era cosi'
formulata: «All'art. 1, comma 1, lettera b), n. 2 dopo la lettera  g)
inserire la seguente: h) attivita' oggetto di accordi  o  convenzioni
con le regioni in materia  di  promozione  dello  sviluppo  economico
locale e di organizzazione  in  ambito  regionale  dei  servizi  alle
imprese. Dette attivita' possono essere finanziate con le risorse  di
cui all'art. 18, comma 1, lettera a), ed ai sensi del  comma  10  del
medesimo articolo, esclusivamente in cofinanziamento. 
 
                             Motivazione 
 
    Occorre  inserire  la  previsione  espressa   dell'esercizio   di
funzioni e compiti relative alla promozione dello sviluppo  economico
locale, sulla base di appositi accordi o convenzioni con le regioni. 
    Oltre  che  di  basilare  importanza  per  lo  svolgimento  delle
relazioni tra le regioni e gli enti camerali,  e'  altresi'  coerente
con il principio di delega che enuclea  «competenze,  anche  delegate
dallo Stato e dalle regioni» e  dai  riferimenti  contenuti  sia  nel
comma 2 dell'art. 5-bis che nella lettera a) del comma 4 dell'art. 18
della legge n. 580/1993, che  conferiscono  loro  dignita'  autonoma»
(cfr. doc. 1, p. 4). La proposta emendativa e' evidentemente connessa
a sfere  di  competenze  e  attribuzioni  regionali  (di  natura  sia
legislativa  che  amministrativa),  essendo  volta  ad   un   miglior
coordinamento  fra  enti  camerali  e  singole  regioni,  sia   nella
promozione dello sviluppo economico locale, sia nell'esercizio  delle
funzioni che le seconde delegano alle prime. 
    Tuttavia, il Governo  non  ne  ha  tenuto  conto:  rispetto  alla
richiesta  regionale  di  esplicitare,  in  una  norma  apposita,  la
possibilita'  di  stipulare  accordi  e   convenzioni   espressamente
dedicate  alla  promozione  dello   sviluppo   economico   locale   e
all'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle  imprese,  il
Governo ha solo modificato, rispetto allo schema  originario,  l'art.
l, comma 1, lettera b), n. 2, punto g, rendendo - a tutto concedere -
esemplificativo e non piu' tassativo (con  la  nuova  formula  «dette
attivita' riguardano, tra l'altro», in luogo della vecchia «attivita'
[...] in particolare negli ambiti della») il catalogo delle attivita'
suscettibili di essere poste a  base  di  una  convenzione.  Piu'  in
dettaglio,  nello  schema  di  decreto  sottoposto  al  parere  della
Conferenza Stato-regioni era previsto: «ferme restando quelle gia' in
corso o da  completare,  attivita'  oggetto  di  convenzione  con  le
regioni ed altri soggetti pubblici e privati,  in  particolare  negli
ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale  e  dei
prodotti,  del  supporto  al  placement  e  all'orientamento,   della
risoluzione alternativa delle controversie. Dette  attivita'  possono
essere finanziate con le risorse di cui all'art. 18, comma 1, lettera
a) esclusivamente  in  cofinanziamento».  Nella  versione  finale  e'
invece  previsto:  «ferme  restando  quelle  gia'  in  corso   o   da
completare, attivita' oggetto di convenzione con le regioni ed  altri
soggetti  pubblici  e  privati  stipulate  compatibilmente   con   la
normativa europea.  Dette  attivita'  riguardano,  tra  l'altro,  gli
ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale  e  dei
prodotti,  del  supporto  al  placement  e  all'orientamento,   della
risoluzione alternativa delle controversie. Le stesse possono  essere
finanziate con le risorse di cui all'art. 18, comma  1,  lettera  a),
esclusivamente  in  cofinanziamento  con   oneri   a   carico   delle
controparti non inferiori al 50%». 
    Tutto cio' e' senz'altro troppo poco per ritenere soddisfatta  la
proposta emendativa regionale. 
    2.2. La proposta di emendamento 12 era cosi' formulata: «all'art.
1, comma 1, lettera r), il n. 8 e' sostituito dal  seguente:  8).  Il
comma 10 e' sostituito  dal  seguente:  "Per  il  cofinanziamento  di
programmi e progetti di interesse strategico condivisi con le regioni
ed aventi per scopo la promozione dello sviluppo economico  locale  e
l'organizzazione in ambito regionale dei  servizi  alle  imprese,  le
camere  di  commercio,   sentite   le   associazioni   di   categoria
maggiormente rappresentative  della  circoscrizione  territoriale  di
competenza, possono aumentare per  gli  esercizi  di  riferimento  la
misura del diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento». 
 
                             Motivazione 
 
    Per le  regioni  e'  importante  poter  continuare  a  sviluppare
progetti in collaborazione con il sistema delle camere di  commercio.
Pertanto, in luogo dell'abrogazione del comma 10 dell'art.  18  della
legge n. 580/1993, se  ne  propone  la  sostituzione  prevedendo  che
l'aumento del diritto annuale  possa  essere  disposto  soltanto  per
cofinanziare progetti condivisi  con  le  regioni  e  di  particolare
interesse strategico» (cfr. doc. 1, p. 7). 
    L'emendamento in parola - esplicitamente riconducibile a sfere di
competenza legislativa e amministrativa delle regioni  e  finalizzato
alla migliore soddisfazione di interessi alla cui cura il livello  di
Governo regionale e' istituzionalmente  preposto  -  ha  trovato  nel
testo finale del decreto solo un parziale ingresso, subendo  peraltro
una torsione di stampo marcatamente centralistico. Infatti, nell'art.
l, comma 1, lettera r), punto i) del decreto legislativo n.  219  del
2016, Governo ha in definitiva previsto che «per il finanziamento  di
programmi e progetti presentati dalla camere di commercio,  condivisi
con le regioni ed aventi  per  scopo  la  promozione  dello  sviluppo
economico e l'organizzazione di servizi  alle  imprese,  il  Ministro
dello sviluppo economico, su richiesta di  Unioncamere,  valutata  la
rilevanza dell'interesse del programma  o  del  progetto  nel  quadro
delle politiche strategiche nazionali,  puo'  autorizzare  l'aumento,
per gli esercizi di riferimento, della  misura  del  diritto  annuale
fino ad un massimo del venti per cento. Il rapporto sui risultati dei
progetti e' inviato al Comitato di cui all'art. 4-bis».  Come  emerge
gia' a prima lettura, rispetto alla proposta emendativa contenuta nel
parere, il  decreto  legislativo  alloca  i  processi  decisionali  a
livello statale,  tanto  che  non  e'  peregrino  affermare  come  la
determinazione finale risulti poi «calata  dall'alto»:  i)  l'aumento
del diritto annuale viene autorizzato  dal  Ministro  dello  sviluppo
economico, e non direttamente dalle camere di commercio,  peraltro  a
titolo di finanziamento e non di cofinanziamento;  ii)  l'aumento  e'
vincolato ad una valutazione, da parte del Ministro, della  rilevanza
dell'interesse  del  programma  o  del  progetto  nel  quadro   delle
politiche strategiche nazionali; iii) il confronto sul  merito  della
proposta avviene a  livello  centrale  fra  Ministro  dello  sviluppo
economico e Unioncamere,  e  non  a  livello  locale  fra  camere  di
commercio e associazioni di  categoria  maggiormente  rappresentative
della circoscrizione territoriale di competenza. 
    2.3. La proposta emendativa n. 15 era cosi' formulata:  «dopo  il
comma 6 dell'art. 4 e' aggiunto il seguente:  "6-bis.  Gli  enti  del
sistema camerale che hanno concluso la procedura di accorpamento  con
le modalita' previste dall'art. 1, comma 5 della legge  n.  580/93  o
che si accorperanno  ai  sensi  dell'art.  3  del  presente  decreto,
modificando  le  precedenti  circoscrizioni   territoriali   mediante
accorpamento di quattro o piu' camere di commercio, non  sono  tenuti
al versamento dei risparmi conseguiti  ai  sensi  delle  disposizioni
relative al contenimento  della  spesa  previste  dalla  legislazione
vigente a  carico  dei  soggetti  inclusi  nell'elenco  dell'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) delle  amministrazioni  pubbliche  di
cui all'art. 1 della legge 31 dicembre  2009,  n.  196  e  successive
modificazioni,   purche'   i   risparmi   dovuti   siano    destinati
all'esercizio delle  funzioni  di  cui  all'art.  2  della  legge  29
dicembre 1993, n. 580 come modificata dal presente decreto». 
 
                             Motivazione 
 
    Al fine di incentivare l'accorpamento delle Camere  di  commercio
in misura maggiore di quanto previsto dall'art. 10, comma 1,  lettera
b) della legge n. 124/2015, si propone di mantenere nei bilanci delle
Camere i risparmi conseguiti in conseguenza  dell'applicazione  delle
disposizioni sul contenimento della spesa. 
    Come e' noto il decreto-legge n. 90/2014  ha  operato  una  forte
riduzione delle entrate delle Camere di commercio, con un taglio  del
diritto annuale rispetto al 2014 del 35% per il  2015,  del  40%  nel
2016 e del 50% per il 2017. 
    Contestualmente, le camere di commercio, le  unioni  regionali  e
l'Unioncamere - inserite nel c.d. elenco Istat -  sono  tenute,  come
altre pubbliche amministrazioni in base alla  normativa  vigente,  ad
operare una serie di risparmi su  diverse  tipologie  di  spesa  e  a
versare l'ammontare risparmiato al bilancio dello Stato. Si tratta in
particolare della normativa, stratificatasi negli  ultimi  anni,  che
impone di conseguire risparmi su incarichi di  studio  e  consulenza,
spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e  spese
di rappresentanza, spese per missioni, spese su autovetture,  consumi
intermedi, etc. Sulla base di questa normativa, il  sistema  camerale
versa annualmente al bilancio dello Stato oltre 38  milioni  di  euro
che con  il  taglio  del  50%  del  diritto  annuale  costituirebbero
annualmente quasi il 10%  del  diritto  riscosso.  Tale  importo  non
sarebbe piu' sostenibile considerato il taglio delle  entrate,  oltre
al fatto che tali somme non genererebbero piu' servizi o iniziative a
vantaggio delle  imprese  ma  verrebbero  versate  direttamente  allo
Stato. Si propone dunque l'esenzione dal versamento per  quegli  Enti
del sistema camerale che hanno concluso la procedura di  accorpamento
con le modalita' previste dall'art. 1, comma 5 della legge n.  580/93
o che si accorperanno ai sensi  dell'art.  3  del  presente  decreto,
modificando  le  precedenti  circoscrizioni   territoriali   mediante
accorpamento di quattro o piu' camere di commercio.  In  questo  modo
non verrebbero meno i risparmi per  le  diverse  tipologie  di  spesa
stabiliti dalle leggi, che sarebbero comunque garantiti dalle Camere,
ma  solo  il  versamento  delle  risorse  al  bilancio  dello  Stato.
L'importo non versato, rimanendo nella disponibilita' delle Camere di
commercio, verrebbe  inoltre  finalizzato  alla  realizzazione  degli
interventi di promozione  del  territorio  e  dell'economia  previste
dalla legge, sulla base delle specifiche esigenze dei territori». 
    Nel testo finale del decreto, pero', lo Stato non ha  accolto  la
proposta  emendativa  regionale,  sebbene  questa  fosse  intimamente
connessa  alla  realizzazione   dell'interesse   delle   regioni   ad
incentivare  la  piu'  razionale  organizzazione  delle   camere   di
commercio e  il  piu'  efficiente  svolgimento  delle  funzioni  loro
spettanti. 
    Infatti,  l'unica  flebile  eco  della  proposta  emendativa  nel
decreto puo' scorgersi - non senza  uno  sforzo  di  immaginazione  -
nell'art. 3, comma 10, la' dove il legislatore nazionale ha  concesso
che «nei riguardi delle unita'  di  personale  soprannumerario  delle
camere di commercio, delle unioni regionali e delle aziende  speciali
che maturino i requisiti per il pensionamento entro  i  successivi  3
anni dall'adozione del decreto di cui al comma 4 si  puo'  procedere,
d'intesa con gli interessati e nei limiti delle  risorse  finanziarie
indicate nel secondo periodo del presente comma, alla risoluzione del
rapporto di lavoro con l'erogazione di un assegno straordinario,  una
tantum in misura corrispondente  al  60%  del  trattamento  economico
individuale, fondamentale ed accessorio,  escluso  il  variabile,  in
godimento cui si aggiungono i contributi ancora  da  versare  per  la
prosecuzione in forma volontaria fino alla maturazione dei  requisiti
suddetti. Le misure previste dal precedente  periodo  sono  concesse,
nel limite complessivo di 20 milioni di euro nel triennio,  a  valere
sulle risorse di un apposito  fondo  istituito  presso  l'Unioncamere
alimentato con i versamenti delle disponibilita'  di  bilancio  degli
enti del sistema camerale nell'ambito  dei  risparmi  conseguiti  per
effetto dell'attuazione del presente decreto, Con uno o piu'  decreti
del Ministro dello sviluppo economico, di concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, sentita l'Unioncamere, e' quantificato
l'ammontare delle risorse che gli enti del  sistema  camerale  devono
versare annualmente al fondo  in  relazione  agli  oneri  annuali  da
sostenere ed e'  determinato  il  riparto  del  fondo  stesso  tra  i
predetti enti per le finalita' del presente comma». 
    Ma e' evidente che non vi e' alcuna sovrapponibilita', e  neppure
consonanza, fra l'esigenza espressa dalle regioni e  la  formulazione
poi accolta dallo Stato: la norma perde ogni finalita'  incentivante,
perche' le somme risparmiate grazie  agli  accorpamenti  non  vengono
lasciate nella disponibilita' delle camere di commercio piu'  solerti
per l'esercizio delle attivita'  istituzionali,  ma  destinate  dallo
Stato alla  risoluzione  del  rapporto  di  lavoro  delle  unita'  di
personale soprannumerario, con conseguente diminuzione  dei  benefici
per il tessuto economico e le attivita' regionali. 
    3. Da tutto quanto sopra esposto appare  evidente  la  fondatezza
delle questioni di legittimita' costituzionale  qui  prospettate.  E'
ora necessario, pero', perimetrare l'ambito di incidenza del vizio in
discorso. 
    Sotto questo profilo, il vizio inficia senza  dubbio  il  decreto
impugnato nella sua interezza, e non solo nelle singole parti in  cui
si  e'  registrata  la  difformita'   fra   posizione   regionale   e
deliberazione statale. Infatti, la Conferenza unificata ha rilasciato
un «parere favorevole condizionato all'accoglimento delle proposte di
emendamento nn. 4, 12 e 15»; ora, posto che - come  dimostrato  -  lo
Stato non ha accolto le proposte emendative, non si e' verificata  la
condizione alla quale la Conferenza ha imprescindibilmente  collegato
il «segno positivo» del  parere.  Dunque,  la  mancata  realizzazione
della  condizione  dedotta  vale  a  configurare   il   parere   reso
sull'intero decreto come parere negativo: per conseguenza, il decreto
legislativo n. 219 del 2016 e' integralmente  illegittimo  alla  luce
del principio di leale collaborazione, in combinato disposto con  gli
articoli 117, comma 3 e 4 Cost., e se  ne  chiede  dunque  a  codesta
ecc.ma Corte il completo annullamento. 
    Nella denegata ipotesi in cui non si accogliesse tale lettura, e'
comunque certo che il vizio affetti almeno i punti non  emendati  dal
Governo in conformita' al parere regionale: e cioe', l'art. 1,  comma
1, lettera b) n. 2, punto g); l'art. 1, comma 1,  lettera  r),  punto
i); l'art. 3, comma 10. Di tali disposizioni non  potra'  che  essere
pronunciata l'illegittimita' costituzionale. 
II. Violazione dell'art. 76 Cost.,  in  combinato  disposto  con  gli
articoli 117, commi 3 e 4, 5 e 120 della Costituzione,  in  relazione
all'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, nella formulazione
risultante all'esito del richiesto intervento sostitutivo della Corte
- Eccesso di delega. 
    1. Il decreto legislativo n. 219 del 2016 viola, altresi', l'art.
76, in combinato disposto con gli articoli 5, 117, commi 3 e 4, e 120
della  Costituzione,   in   quanto   viola   la   norma   interposta,
rappresentata dall'art. 10, comma 2, della legge  n.  124  del  2015,
come  risultante  a  seguito  dell'accoglimento  della  questione  di
incostituzionalita' che in questa sede si chiede alla Corte di  voler
sollevare, in via incidentale, di fronte a se stessa. 
    Per accertare e dichiarare l'illegittimita' costituzionale  della
legge di delega, nella parte in  cui  prescrive  il  parere  anziche'
l'intesa, si  chiede,  infatti,  a  codesta  ecc.ma  Corte  di  voler
sollevare innanzi a se stessa, in via di autoremissione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2, della legge n. 124
del 2015, in relazione all'art. 117, commi 3 e 4, e al  principio  di
leale collaborazione, di cui agli articoli 5 e 120 Cost. Facolta'  di
cui, come noto, codesta Corte dispone,  per  giurisprudenza  pacifica
(cfr., fra molte, Corte costituzionale, ordd. nn. 22 del 1960, 57 del
1961, 73 del 1965, 2 del 1977; sentenze nn. 259 del  1974  e  68  del
1978). 
    La questione cosi' articolata  soddisfa  anzitutto  il  requisito
della rilevanza: nel giudicare sulla legittimita' costituzionale  del
decreto attuativo  alla  luce  dei  parametri  evocati  nel  presente
ricorso, codesta ecc.ma Corte dovra' inevitabilmente  «applicare»  la
legge  di  delega,   nel   senso   di   valutarne   la   legittimita'
costituzionale; tale operazione, in ragione del rapporto  che  unisce
la legge di delega e il decreto  delegato,  si  pone  in  termini  di
necessaria pregiudizialita' rispetto allo scrutinio delle censure che
investono  il  decreto  governativo.  Ove  la  questione  non   fosse
sollevata in via di autoremissione, o quantomeno  risolta  incidenter
tantum,   l'effetto   paradossale   sarebbe   quello    di    rendere
inaggredibili, benche' viziati, tanto la legge di  delega  quanto  il
decreto delegato. 
    Pacifica e' altresi' la non manifesta infondatezza, in quanto  la
previsione, nell'art.  10,  di  un  parere,  anziche'  di  un'intesa,
rappresenta un contrappeso insufficiente, dal punto  di  vista  della
leale collaborazione, a compensare  il  sacrificio  delle  competenze
legislative regionali stabilite dagli articoli  117,  comma  3  e  4,
determinato dal penetrante intervento realizzato dallo Stato  con  il
decreto legislativo n. 219 del 2016. Vizio che dalla legge di  delega
si  propaga,  a  titolo  di  illegittimita'  derivata,   al   decreto
attuativo. 
    Ora, la violazione del principio di leale collaborazione  di  cui
qui  si  discute  e'  integralmente  sovrapponibile  a  quella   gia'
accertata da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 251 del  2016  in
relazione alle deleghe di cui agli articoli 11, 17,  18  e  19  della
legge  n.  124  del  2015:  anche  le  disposizioni  gia'  dichiarate
incostituzionali, infatti, richiedevano il  coinvolgimento  regionale
nella mera forma del parere, laddove - visto il  numero  e  l'entita'
delle competenze regionali coinvolte, il grado  di  compressione  che
esse subiscono  e  il  loro  inestricabile  intreccio  con  i  titoli
competenziali dello Stato - la leale  collaborazione  avrebbe  potuto
trovare  idoneo  veicolo   solo   nel   piu'   penetrante   strumento
dell'intesa. 
    Nella stessa sentenza, peraltro, la Corte ha riconosciuto,  quale
condizione affinche' l'illegittimita' della delega si  ripercuota  in
via derivata sul decreto attuativo, che la  mancata  prescrizione  in
astratto di adeguati strumenti di leale collaborazione si  accompagni
in concreto ad una lesione dell'interesse regionale, sotto  forma  di
mancato rispetto delle posizioni espresse dalle regioni  in  sede  di
Conferenza.  Circostanza   verificatasi   nella   fattispecie,   come
ampiamente illustrato. 
    All'esito  del  richiesto  intervento  di  codesta  ecc.ma  Corte
sull'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, che,  manipolando
la norma, sostituirebbe la prescrizione del parere con quella «a rime
obbligate» dell'intesa, il decreto legislativo oggi gravato  verrebbe
a trovarsi, ex post, in contrasto con la delega e  dunque  anche  con
l'art. 76 Cost. 
    Nell'odierno giudizio sono, infatti, integrati  appieno  tutti  i
presupposti delineati dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  n.
251 del 2016 per far luogo  alla  declaratoria  d'incostituzionalita'
dell'art. 10 della legge di delega,  nonche'  dei  decreti  attuativi
della  legge  n.  124  del  2015:  i)  l'illegittimita'  della  norma
delegante, per la previsione del  parere  anziche'  dell'intesa;  ii)
l'attualizzazione  delle  potenzialita'   lesive   del   vizio,   con
conseguente effettiva lesione delle competenze regionali,  attraverso
la mancata conformazione dello Stato alla  posizione  delle  regioni,
resa possibile proprio dalla previsione del mero parere, e che invece
non si sarebbe potuta verificare ove, come  impone  la  Costituzione,
fosse stata prevista l'intesa. 
III. Con riferimento esclusivo  all'art.  3,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016: ancora sulla violazione  degli  articoli
117, commi 3 e 4, e del principio di leale collaborazione di cui agli
articoli 5, 120 della Costituzione. 
    Un'autonoma violazione del principio di  leale  collaborazione  e
dell'art. 117, commi 3 e 4, che inficia in via originaria il  decreto
legislativo n. 219 del 2016 qui impugnato si riscontra  nell'art.  3,
comma, 4. 
    La disposizione in esame prevede che «il Ministro dello  sviluppo
economico, entro i sessanta giorni successivi al termine  di  cui  al
comma 1, con proprio decreto, sentita la Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, provvede, tenendo conto della proposta di cui al comma  1
[formulata   da    Unioncamere],    alla    rideterminazione    delle
circoscrizioni territoriali, all'istituzione delle  nuove  camere  di
commercio, alla soppressione delle camere interessate dal processo di
accorpamento  e  razionalizzazione  ed  alle   altre   determinazioni
conseguenti ai piani di cui ai commi 2 e 3. Il provvedimento  di  cui
al presente comma e' adottato anche in assenza della proposta di  cui
al comma 1, ove sia trascorso inutilmente il  termine  ivi  previsto,
applicando a tal fine i medesimi criteri previsti nei commi 1, 2, 3». 
    La violazione del principio di leale  collaborazione  ancora  una
volta - non diversamente da quanto si riscontra a monte  nella  legge
di  delega  -  consiste  nella   prescrizione   di   una   forma   di
coinvolgimento   regionale   inidonea   ad   assicurare   la    leale
collaborazione: il mero parere e non l'intesa.  Solo  questo  secondo
strumento, infatti, per tutte le ragioni gia' esposte nel I Motivo  e
come rilevato anche da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 374 del
2007, puo' compensare le regioni della compressione che  l'intervento
dello Stato determina sulle competenze ad esse spettanti nei  settori
considerati, anche in relazione all'articolazione organizzativa delle
camere di commercio sul territorio, che qui viene in rilievo. 
    Peraltro, della necessita' dell'intesa sembra persuaso lo  stesso
legislatore statale, la' dove, all'art. 1,  comma  l  ,  lettera  a),
punto 3, prevede espressamente che: «i consigli di due o piu'  camere
di commercio possono proporre, con delibera  adottata  a  maggioranza
dei  due  terzi  dei  componenti,  l'accorpamento  delle   rispettive
circoscrizioni  stesse.  Con  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  di  Trento  e  Bolzano,  e'
istituita   la   camera   di   commercio   dall'accorpamento    delle
circoscrizioni territoriali». 
    Ora, e' del tutto irragionevole che per la rideterminazione delle
circoscrizioni territoriali basti il  mero  parere  della  Conferenza
Stato-regioni, mentre per istituire le singole  camere  di  commercio
risultanti dall'accorpamento delle circoscrizioni territoriali  serva
l'intesa: cio' in quanto la prima operazione involge ampi margini  di
discrezionalita' e incide in profondita'  sull'assetto  organizzativo
di  enti  che,  per  diversi  profili,  si  pongono  in  rapporto  di
strumentalita' rispetto all'assolvimento di funzioni e alla  cura  di
interessi facenti capo alle regioni; la seconda  operazione,  invece,
ha  natura  meramente  attuativa-esecutiva  di  determinazioni   gia'
assunte. 
    Quindi  -  a  meno  di  non  voler  ritenere  che  vi   sia   una
contraddizione interna alla legge rilevante ex art. 3  Cost.  -  deve
concludersi che nell'art. 3, comma 4, il legislatore sia  incorso  in
un lapsus calami, comunque incostituzionale alla luce dell'art.  117,
commi 3 e 4, e del principio  di  leale  collaborazione,  di  cui  si
chiede a codesta ecc.ma Corte la rimozione. 
IV. Con riferimento esclusivo agli articoli 3, comma 1, lettera f), e
4, del decreto legislativo n. 219 del 2016: violazione  dell'art.  76
Cost. (Eccesso di delega). 
    Il decreto impugnato e' affetto infine, agli articoli 3, comma 1,
lettera f), e 4, da illegittimita' costituzionale anche  per  eccesso
di delega. 
    La disposizione qui richiamata prescrive, fra i  criteri  cui  la
proposta  di  rideterminazione  delle   circoscrizioni   territoriali
presentata da Unioncamere deve attenersi,  la  «necessita'  di  tener
conto degli accorpamenti deliberati alla data di  entrata  in  vigore
della legge 7 agosto 2015, n. 124, nonche' di quelli approvati con  i
decreti di cui all'art. 1, comma 5, della legge 29 dicembre 1993,  n.
580,  e  successive  modificazioni;  questi  ultimi  possono   essere
assoggettati ad ulteriori o diversi accorpamenti  solo  ai  fini  del
rispetto del limite di 60  camere  di  commercio».  Sennonche',  tale
previsione risulta in  contrasto,  letterale  e  inequivocabile,  con
l'art. 10, comma 1, lettera g), della legge delega n. 124  del  2015,
che impone al legislatore delegato la «introduzione di una disciplina
transitoria che tenga conto degli accorpamenti gia'  deliberati  alla
data di entrata in vigore della presente legge». Dal raffronto  delle
due previsioni si evince chiaramente  come  il  legislatore  delegato
fosse vincolato a prevedere una disciplina transitoria  per  tutti  e
soli gli accorpamenti gia' deliberati alla data di entrata in  vigore
della legge n. 124 del 2015 (28  agosto  2015).  Di  tale  disciplina
transitoria, pero', non vi e' traccia nel decreto, che prefigura  una
rideterminazione  gia'  a  regime  della  geografia  camerale,  senza
accompagnarla con misure che opportunamente ne graduino l'attuazione,
come invece prescritto dal Parlamento. 
    Si chiede pertanto a codesta ecc.ma  Corte  di  voler  dichiarare
illegittimi gli articoli 3, comma 1, lettera f), e 4, nella parte  in
cui non prevedono un'apposita disciplina transitoria che  consenta  -
come imposto dalla legge di  delega  -  di  modulare  nel  tempo  gli
effetti connessi alla rideterminazione della geografia  camerale,  di
indubbio rilievo sotto il profilo della  continuita'  delle  funzioni
esercitate e del buon andamento. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia  l'ecc.ma  Corte  costituzionale  adita,  ogni   contraria
istanza eccezione  e  deduzione  disattesa,  accogliere  il  presente
ricorso e per l'effetto: 
        i) in via principale: a) sollevare innanzi a  se  stessa,  in
via di autoremissione, la questione  di  legittimita'  costituzionale
relativa all'art. 10, comma 2, della legge 7  agosto  2015,  n.  124,
nella  parte  in  cui  prescrive  l'acquisizione  del  parere  e  non
dell'intesa  in  sede  di  Conferenza  Stato-regioni,  in   relazione
all'art.  117,  commi  3  e  4  Cost.,  e  al  principio   di   leale
collaborazione, e dichiararne l'illegittimita' costituzionale  per  i
profili  esposti  in  narrativa;  b)   in   ogni   caso,   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli  articoli  1,  2,  3  e  4  del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219,  per  violazione  degli
articoli 117, commi 3 e 4,  e  76  della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione; 
        ii) in via subordinata: a) sollevare innanzi a se stessa,  in
via di autoremissione, la questione  di  legittimita'  costituzionale
relativa all'art. 10, comma 2, della legge 7  agosto  2015,  n.  124,
nella  parte  in  cui  prescrive  l'acquisizione  del  parere  e  non
dell'intesa  in  sede  di  Conferenza  Stato-regioni,  in   relazione
all'art.  117,  commi  3  e  4  Cost.,  e  al  principio   di   leale
collaborazione, e dichiararne l'illegittimita' costituzionale  per  i
profili  esposti  in  narrativa;  b)   in   ogni   caso,   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b),  n.
2, punto g); dell'art. 1, comma 1, lettera r), punto i); dell'art. 3,
commi 4 e 10 del decreto legislativo 25 novembre 2016,  n.  219,  per
violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, 76 della  Costituzione  e
del principio di leale collaborazione di cui  agli  articoli  5,  120
della Costituzione;  dell'art.  4;  nonche'  dell'art.  3,  comma  1,
lettera f) e dell'art. 4, del decreto legislativo n.  219  del  2016,
nella parte in cui non prevedono la «introduzione di  una  disciplina
transitoria che tenga conto degli accorpamenti gia'  deliberati  alla
data di entrata  in  vigore  della  presente  legge»  per  violazione
dell'art. 76, in combinato disposto  con  l'art.  117,  in  relazione
all'art. 10, comma 1, lettera g), della legge delega n. 124 del 2015. 
    Si depositeranno, unitamente al presente ricorso notificato: 
        copia conforme della delibera di giunta regionale  n.  X/6140
del 23 gennaio 2017; 
        doc. 1: parere 16/107/CU12/C11 del 29 settembre 2016 reso  in
sede di Conferenza unificata. 
          Roma, 24 gennaio 2017 
 
                          Prof. avv. Marini