N. 42 SENTENZA 21 - 24 febbraio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Universita'  e  istituzioni   di   alta   cultura   -   Rafforzamento
  dell'internazionalizzazione   degli   atenei    anche    attraverso
  l'attivazione di forme di selezione, insegnamenti e corsi di studio
  svolti in lingua straniera. 
- Legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di  organizzazione
  delle universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'
  delega al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del
  sistema universitario), art. 2, comma 2, lettera l). 
-   
(GU n.9 del 1-3-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Mario
  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2,
lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza del sistema universitario), promosso  dal  Consiglio  di
Stato, sezione sesta giurisdizionale, nel procedimento  vertente  tra
il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca  e  A.
A. ed altri, con ordinanza del 22 gennaio 2015, iscritta al n. 88 del
registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di costituzione di A. A. ed altri, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  20  settembre  2016  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Maria  Agostina  Cabiddu
per A. A. ed altri e l'avvocato dello Stato Federico Basilica per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22 gennaio 2015,  il  Consiglio  di  Stato,
sezione sesta giurisdizionale,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3,  6  e  33  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma  2,  lettera  l),  della  legge  30
dicembre 2010, n. 240  (Norme  in  materia  di  organizzazione  delle
universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'  delega
al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del  sistema
universitario),  «nella   parte   in   cui   consente   l'attivazione
generalizzata ed esclusiva (cioe' con  esclusione  dell'italiano)  di
corsi [di studio universitari] in lingua straniera». 
    La disposizione censurata,  nell'indicare  i  vincoli  e  criteri
direttivi che le universita' devono osservare in sede di modifica dei
propri statuti, prevede il «rafforzamento dell'internazionalizzazione
anche attraverso una maggiore mobilita' dei docenti e degli studenti,
programmi   integrati   di   studio,   iniziative   di   cooperazione
interuniversitaria  per  attivita'  di  studio   e   di   ricerca   e
l'attivazione,  nell'ambito  delle  risorse  umane,   finanziarie   e
strumentali disponibili a legislazione vigente, di  insegnamenti,  di
corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera». 
    Alla luce della predetta previsione,  il  Senato  accademico  del
Politecnico di Milano (delibera del 21 maggio 2012)  ha  ritenuto  di
poter determinare l'attivazione, a partire dall'anno 2014, dei  corsi
di laurea magistrale e di  dottorato  di  ricerca  esclusivamente  in
lingua inglese, sia pur affiancata da un piano per la formazione  dei
docenti e per il sostegno agli studenti. 
    Alcuni docenti dell'ateneo milanese  hanno  proposto  ricorso  al
Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,   ottenendo
l'annullamento del predetto provvedimento amministrativo (sentenza 23
maggio 2013, n. 1348). 
    Contro la decisione del TAR Lombardia hanno proposto  appello  il
Politecnico   di   Milano    e    il    Ministero    dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca. E' in tale sede che il Consiglio di
Stato dubita della  legittimita'  costituzionale  della  disposizione
censurata, ritenendo che essa  legittimi  l'applicazione  che  ne  e'
stata data dal Politecnico  di  Milano,  «giacche'  l'attivazione  di
corso in lingua inglese, nella lettera della norma, non e' soggetta a
limitazioni ne' a condizioni». 
    Il rimettente ritiene che tale conclusione sia  avvalorata  dalla
previsione del paragrafo 31 dell'allegato B al decreto  del  Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca 23  dicembre  2010,
n.  50  (Definizione   delle   linee   generali   d'indirizzo   della
programmazione delle  Universita'  per  il  triennio  2010-2012),  il
quale, in deroga al divieto per le  universita'  di  istituire  nuovi
corsi di studio posto dal precedente paragrafo 30, consente, al  fine
di favorire l'internazionalizzazione delle attivita'  didattiche,  la
possibilita'  di  attivare  corsi  che  ne   prevedano   l'erogazione
«interamente in lingua straniera», sia pure, come ha osservato il TAR
Lombardia, nelle sedi nelle quali sia gia' presente un omologo corso.
Poiche', peraltro, la legge n. 240 del 2010,  successiva  al  decreto
appena ricordato, non contiene una simile condizione,  l'applicazione
datane dal Politecnico sarebbe, sotto quest'aspetto, legittima. 
    1.1.-  Il  Consiglio  di  Stato  ritiene  non  condivisibili   le
considerazioni sulle quali si fonda la  sentenza  impugnata  del  TAR
Lombardia, che ha negato, anzitutto, la  produzione  ad  opera  della
disposizione censurata di un effetto di abrogazione tacita  dell'art.
271 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (Approvazione del testo
unico delle leggi sull'istruzione superiore), il  quale  prevede  che
«la lingua italiana e' la lingua ufficiale dell'insegnamento e  degli
esami  in  tutti  gli  stabilimenti  universitari».  Sul  punto,   la
previsione del regio decreto sarebbe superata dalla possibilita'  ora
riconosciuta di istituire  corsi  in  lingua  diversa  dall'italiano;
cosi' come la  congiunzione  «anche»,  contenuta  nella  disposizione
censurata, non varrebbe a sminuirne la portata innovativa, nel  senso
postulato dal TAR, dato che essa legittima «anche»  l'istituzione  di
corsi in lingua straniera, opzione che appartiene alla libera  scelta
dell'autonomia universitaria, esercitata dal  Politecnico  nel  senso
che si e' detto. 
    1.2.- Dopo aver cosi' ricostruito la disciplina  censurata  -  la
cui applicazione  determinerebbe  l'accoglimento  dell'appello  -  il
Consiglio di Stato manifesta dubbi sulla conformita'  a  Costituzione
della stessa, con riguardo a diversi parametri  costituzionali.  Essa
sarebbe in contrasto con l'art. 3  Cost.,  perche'  non  tiene  conto
delle diversita' esistenti tra gli insegnamenti e in  quanto  non  si
puo' in ogni caso giustificare l'abolizione  integrale  della  lingua
italiana per i corsi considerati; con l'art. 6 Cost.,  dal  quale  si
ricava il principio  di  ufficialita'  della  lingua  italiana,  come
affermato dalla Corte costituzionale (sono richiamate le sentenze  n.
159 del 2009  e  n.  28  del  1982)  e  ribadito  dalla  legislazione
ordinaria (art. 1, comma 1, della legge 15  dicembre  1999,  n.  482,
recante «Norme in materia di tutela delle  minoranze  linguistiche  e
storiche); infine, con l'art. 33 Cost.,  in  quanto  la  possibilita'
riservata agli atenei  di  imporre  l'uso  esclusivo  di  una  lingua
diversa dall'italiano nell'attivita' didattica non sarebbe congruente
con il principio della liberta' di  insegnamento,  compromettendo  la
ivi compresa libera espressione della comunicazione con gli  studenti
attraverso l'eliminazione di qualsiasi diversa  scelta  eventualmente
ritenuta piu' proficua da parte dei professori. 
    2.-  Con  memoria  si  sono  costituiti  i  docenti  universitari
resistenti nel giudizio a quo, i quali hanno rilevato, anzitutto, che
il Consiglio di Stato non avrebbe  sperimentato  la  possibilita'  di
dare al testo legislativo un significato compatibile con i  parametri
costituzionali:  cio'  dovrebbe  implicare  l'inammissibilita'  della
questione. Tuttavia,  il  fatto  che  il  Consiglio  di  Stato  abbia
considerato impossibile ricavare dalla disposizione  censurata  altra
norma se non quella identificata dal Politecnico di  Milano  e  fatta
propria dal Ministero  -  norma  che  consente  alle  universita'  di
fornire tutti i propri corsi in lingua diversa  da  quella  ufficiale
della Repubblica - induce le parti private  a  ritenere  l'intervento
della Corte costituzionale non solo necessario, ma anche urgente,  al
fine di chiarire, in modo vincolante per tutti, quale sia il grado  e
il concetto stesso di  «internazionalizzazione»  compatibile  con  la
Costituzione. 
    2.1.- Nel merito, i docenti  rilevano  che  l'uso  alternativo  o
addirittura esclusivo di una lingua diversa  da  quella  italiana  si
porrebbe non  solo  in  contrasto  con  il  principio  costituzionale
dell'ufficialita' della  lingua  italiana  (peraltro  ribadito  nella
legislazione  ordinaria  e  in  specifica  previsione  dello  Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), ma  anche  con  i  principi  di
ragionevolezza, non  discriminazione  e  proporzionalita'  ricavabili
dall'art. 3 Cost. Tra  l'altro,  la  disposizione  censurata  avrebbe
carattere anche socialmente discriminatorio, in  quanto,  consentendo
alle universita' di prevedere arbitrariamente  barriere  all'accesso,
impedirebbe agli studenti, pure capaci  e  meritevoli,  ma  privi  di
mezzi, di scegliere la sede piu' adatta ai loro progetti di  crescita
professionale e personale. Quanto alla violazione dell'art. 33 Cost.,
la difesa dei resistenti nel giudizio a quo sottolinea come la scelta
di consentire l'attivazione di corsi  in  lingua  diversa  da  quella
ufficiale   incida   sia   sulle   modalita',   sia   sui   contenuti
dell'insegnamento, imponendo peraltro - nell'applicazione datane  dal
Politecnico di Milano -  ai  docenti  che  non  conoscono  la  lingua
inglese, o che non intendano utilizzarla nelle lezioni, di  insegnare
- quale che sia la loro specifica competenza  -  nei  soli  corsi  di
laurea triennale, in violazione del complesso  di  diritti  e  doveri
assunti con l'immissione in ruolo. 
    Cio' che nella memoria di costituzione si  contesta  radicalmente
e', dunque, la «legittimita' di escludere  l'italiano  dalle  proprie
Universita'», la possibilita', affidata ai singoli atenei, di bandire
la nostra lingua da tutti gli insegnamenti,  senza  peraltro  nemmeno
dare seguito alla pure discutibile distinzione tra "scienze  dure"  e
scienze sociali. Con l'ovvia eccezione delle discipline delle  classi
linguistiche, la lingua dell'insegnamento non e' il  fine  bensi'  un
mezzo e, come tale,  non  puo'  essere  ragione  di  discriminazione.
L'obbligo di  insegnare  in  una  lingua  diversa  dall'italiano  non
sarebbe una modalita' di esecuzione della liberta'  di  insegnamento,
ma un vero e proprio  ostacolo  all'esercizio  della  liberta',  alla
diffusione dei contenuti del pensiero che si crea e si  trasmette  al
meglio nella propria lingua materna. Ne' potrebbe a cio'  opporsi  il
principio costituzionale dell'autonomia universitaria, che ha  fra  i
suoi limiti interni proprio la liberta' di  insegnamento,  corollario
imprescindibile della liberta' di arte e scienza. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha prospettato specifiche ragioni di inammissibilita'
delle  questioni.  Il  Consiglio  di  Stato  si  sarebbe  limitato  a
riprodurre acriticamente le deduzioni delle  parti  interessate,  non
avrebbe  assolto  all'onere  di  fornire  idonea  motivazione   sulla
rilevanza  delle  questioni   e,   infine,   non   avrebbe   vagliato
possibilita' alternative di  interpretare  la  disposizione  in  modo
conforme a Costituzione. 
    In particolare, la disposizione censurata  sarebbe  correttamente
formulata in termini generali e astratti al  fine  di  assicurare  il
rispetto delle prerogative, da un lato, del  centro  di  governo  del
sistema universitario - Ministero dell'istruzione, dell'universita' e
della ricerca  (MIUR),  Consiglio  universitario  nazionale  (CUN)  e
Agenzia nazionale di valutazione del sistema  universitario  e  della
ricerca (ANVUR) - sulle  modalita'  di  attuazione  del  processo  di
internazionalizzazione  (della  didattica  e  della  ricerca)   delle
universita' italiane, e, dall'altro, dei  singoli  atenei,  alla  cui
valutazione  discrezionale  l'ordinamento  riconduce  il  potere   di
scegliere le modalita' didattiche piu' opportune  per  assicurare  il
perseguimento della propria  missione  formativa  come  autonomamente
prefigurata a livello statutario. 
    La  scelta  della  lingua  degli  insegnamenti  sarebbe  pertanto
riconducibile  alla  capacita'  di  autodeterminazione  dei   singoli
atenei, sottoposta al controllo degli organi centrali di  governo  in
sede di accreditamento dei diversi corsi. La possibilita' di  erogare
in lingua straniera gli insegnamenti  universitari  sarebbe  soltanto
una  delle  opzioni  applicative   contemplate   dalla   disposizione
censurata  che,  se  fosse  congegnata  in  materia  piu'  stringente
rispetto  all'attuale,  porrebbe  si'  un  problema  di  legittimita'
costituzionale,  comprimendo  le  prerogative  dei  diversi  soggetti
istituzionali competenti ad esprimersi sull'offerta didattica.  Delle
molteplici  opzioni  applicative   astrattamente   consentite   dalla
disposizione  censurata  il  rimettente  non   fa   menzione,   cosi'
palesando, a giudizio della difesa dell'interveniente, il difetto  di
rilevanza delle questioni. 
    3.1.- Nel merito, la difesa  dell'interveniente  sottolinea,  tra
l'altro, che la Costituzione non predicherebbe una sorta di  «riserva
assoluta» di ricorso  alla  lingua  nazionale  per  gli  insegnamenti
universitari e  che,  lungi  dal  minacciare  l'identita'  nazionale,
l'attivazione di corsi di studio in lingua straniera avrebbe lo scopo
di inserire le universita' italiane nella rete degli scambi culturali
internazionali e, quindi,  di  arricchire  e  non  di  impoverire  la
cultura italiana. 
    La   scelta   legislativa   contestata   risponderebbe,   dunque,
all'esigenza di favorire una  formazione  di  taglio  internazionale,
incentivando la mobilita' internazionale degli studenti e accrescendo
le  capacita'  competitive  dei  laureati  in  un  contesto   globale
caratterizzato da una prolungata crisi economica. 
    Quanto ai docenti, la disposizione censurata  non  contrasterebbe
con l'art. 33 Cost., sia perche' questi non possono vantare una sorta
di «diritto al corso», sia perche' l'attivazione di corsi  di  studio
in  lingua  straniera  rappresenterebbe  un  «potente  strumento»  di
attuazione  della  liberta'  di  insegnamento  sancita  proprio   dal
parametro costituzionale evocato dal rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di  Stato,  sezione  sesta  giurisdizionale,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 6 e  33  della  Costituzione,
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  2,
lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza del sistema universitario), «nella parte in cui consente
l'attivazione  generalizzata  ed  esclusiva  (cioe'  con   esclusione
dell'italiano)  di  corsi  [di   studio   universitari]   in   lingua
straniera». 
    La disposizione censurata, nell'indicare i vincoli  e  i  criteri
direttivi che le universita' devono osservare in sede di modifica dei
propri statuti, prevede il «rafforzamento dell'internazionalizzazione
anche attraverso una maggiore mobilita' dei docenti e degli studenti,
programmi   integrati   di   studio,   iniziative   di   cooperazione
interuniversitaria  per  attivita'  di  studio   e   di   ricerca   e
l'attivazione,  nell'ambito  delle  risorse  umane,   finanziarie   e
strumentali disponibili a legislazione vigente,  di  insegnamenti  di
corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera». 
    Dalla predetta disposizione il Politecnico di Milano ha  ricavato
la norma che consentirebbe alle universita' di fornire tutti i propri
corsi in lingua diversa da quella ufficiale della  Repubblica,  cosi'
deliberando l'attivazione, a partire dall'anno  2014,  dei  corsi  di
laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in  lingua
inglese, sia pur affiancata da un piano per la formazione dei docenti
e per il sostegno agli studenti.  La  predetta  delibera  dell'ateneo
milanese e' all'origine del giudizio amministrativo che  ha  condotto
alla   rimessione   delle   presenti   questioni   di    legittimita'
costituzionale. 
    1.1.- La disposizione censurata,  per  come  sopra  interpretata,
violerebbe:  a)   l'art.   3   Cost.,   poiche'   permetterebbe   una
«ingiustificata abolizione integrale  della  lingua  italiana  per  i
corsi considerati», non tenendo peraltro conto delle loro diversita',
«tali  da  postulare,  invece,  per  alcuni  di  essi,  una   diversa
trasmissione del sapere, maggiormente attinente alla tradizione e  ai
valori  della  cultura  italiana,  della  quale  il   linguaggio   e'
espressione»; b) l'art.  6  Cost.,  ponendosi  in  contrasto  con  il
principio dell'ufficialita' della lingua italiana da esso  ricavabile
a contrario; c) l'art. 33 Cost., compromettendo la libera espressione
della  comunicazione  con  gli  studenti,  da  ritenersi   senz'altro
compresa nella liberta' di insegnamento. 
    2.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha  sollevato  diverse
eccezioni di inammissibilita', che occorre esaminare preliminarmente. 
    2.1.- Non possono essere accolte le eccezioni che si  riferiscono
al  difetto  di  motivazione  sulla   rilevanza   e   alla   presunta
riproduzione acritica delle deduzioni delle parti del giudizio a quo. 
    Non puo' condividersi, infatti, il rilievo per cui il  rimettente
non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni per le quali ritiene di
dover  applicare  la  norma  della  cui  legittimita'  costituzionale
dubita,  essendo  sufficiente,  come  piu'   volte   ribadito   nella
giurisprudenza costituzionale,  che  egli  proponga  una  motivazione
plausibile   con   riguardo   alla   rilevanza    della    questione,
riconoscendosi finanche forme implicite di motivazione  al  proposito
«sempreche',  dalla  descrizione  della  fattispecie,  il   carattere
pregiudiziale della  stessa  questione  emerga  con  immediatezza  ed
evidenza» (sentenze n. 120 del 2015, n. 201 del 2014  e  n.  369  del
1996). E' cio' che nella  specie  accade,  anche  per  effetto  della
ricostruzione della disciplina censurata operata dal giudice  a  quo,
la quale, in  ragione  dell'interpretazione  che  questi  ritiene  di
darne, imporrebbe l'accoglimento dell'appello. 
    Ne' puo' condividersi l'assunto per cui nella specie le questioni
sarebbero  motivate  solo  per  relationem,  presentando   senz'altro
l'ordinanza di rimessione quei caratteri di «autosufficienza» che per
costante giurisprudenza sono richiesti ai fini dell'esame nel merito. 
    2.2.-  Del  pari  da  respingere  e'  l'ulteriore  eccezione   di
inammissibilita'  sollevata  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
secondo  la  quale  il  giudice  a  quo  non  avrebbe   vagliato   le
possibilita' alternative di  interpretare  la  disposizione  in  modo
conforme a Costituzione.  Tale  eccezione  potrebbe  ritenersi  fatta
propria persino dalla difesa dei resistenti nel giudizio a  quo,  dal
momento che questi ritengono  che  il  tentativo  di  interpretazione
conforme  a  Costituzione  avrebbe  potuto  essere  fruttuoso,   come
dimostrerebbe   proprio   l'appellata    sentenza    del    Tribunale
amministrativo per la  Lombardia  che  aveva  annullato  la  delibera
dell'ateneo milanese, consentendo dunque al  Consiglio  di  Stato  di
decidere senza interpellare il giudice delle  leggi.  Tuttavia,  sono
proprio i resistenti docenti universitari a precisare  nella  memoria
difensiva la necessita' di  un  intervento  nel  merito  della  Corte
costituzionale, avendo il Consiglio di Stato considerato  impossibile
ricavare dalla disposizione  censurata  altra  norma  se  non  quella
identificata dal Politecnico di Milano e fatta propria dal  Ministero
dell'istruzione, ossia la norma  che  consente  alle  universita'  di
fornire tutti i propri corsi in lingua diversa  da  quella  ufficiale
della Repubblica. 
    Il punto merita di essere considerato con  attenzione,  dovendosi
rilevare che il giudice a quo ha ritenuto, con adeguata  motivazione,
che   la   formulazione   legislativa   rendesse   non   implausibile
l'applicazione datane dal Politecnico di Milano. Sarebbe, dunque,  il
modo stesso in cui  l'enunciato  e'  fraseggiato  -  in  ragione,  in
particolare, della presenza della congiunzione «anche» - a consentire
la predetta applicazione  e  a  impedire  una  soluzione  ermeneutica
conforme a Costituzione. 
    A  fronte  di  adeguata  motivazione   circa   l'impedimento   ad
un'interpretazione     costituzionalmente     compatibile,     dovuto
specificamente al «tenore letterale della disposizione», questa Corte
ha gia' avuto modo di affermare che «la possibilita' di  un'ulteriore
interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto  di
fare propria, non riveste alcun significativo  rilievo  ai  fini  del
rispetto delle regole  del  processo  costituzionale,  in  quanto  la
verifica  dell'esistenza  e  della  legittimita'  di  tale  ulteriore
interpretazione  e'   questione   che   attiene   al   merito   della
controversia, e non alla sua ammissibilita'»  (sentenza  n.  221  del
2015). Si tratta di orientamento ormai  consolidato,  in  virtu'  del
quale puo' ben dirsi che «se l'interpretazione prescelta dal  giudice
rimettente sia da considerare la  sola  persuasiva,  e'  profilo  che
esula dall'ammissibilita' e attiene, per contro, al merito» (sentenze
nn. 95 e 45 del 2016, n. 262 del 2015; nonche', nel  medesimo  senso,
sentenza n. 204 del 2016). 
    Se,  dunque,  «le  leggi  non  si  dichiarano  costituzionalmente
illegittime    perche'    e'    possibile    darne    interpretazioni
incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne)»  (sentenza  n.
356 del  1996),  cio'  non  significa  che,  ove  sia  improbabile  o
difficile    prospettarne    un'interpretazione    costituzionalmente
orientata, la questione non debba essere scrutinata nel merito. Anzi,
tale scrutinio, ricorrendo le predette condizioni,  si  rivela,  come
nella specie, necessario, pure  solo  al  fine  di  stabilire  se  la
soluzione conforme a Costituzione rifiutata  dal  giudice  rimettente
sia invece possibile. 
    3.- Nel merito, le questioni di legittimita'  costituzionale  non
sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono. 
    3.1.- La giurisprudenza di questa Corte ha  gia'  avuto  modo  di
precisare - in relazione al «principio fondamentale» (sentenza n.  88
del 2011) della tutela delle minoranze linguistiche di cui all'art. 6
Cost. - come  la  lingua  sia  «elemento  fondamentale  di  identita'
culturale e [...] mezzo primario di trasmissione dei relativi valori»
(sentenza n. 62 del  1992),  «elemento  di  identita'  individuale  e
collettiva di importanza basilare» (sentenza n. 15  del  1996).  Cio'
che  del  pari  vale  per  l'«unica  lingua  ufficiale»  del  sistema
costituzionale (sentenza n. 28 del 1982) - la lingua  italiana  -  la
cui qualificazione, ricavabile per implicito  dall'art.  6  Cost.  ed
espressamente ribadita nell'art. 1, comma 1, della legge 15  dicembre
1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche
e storiche), oltre che nell'art. 99 dello  Statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige, «non ha evidentemente solo una funzione formale,
ma funge da criterio interpretativo generale»,  teso  a  evitare  che
altre lingue «possano essere  intese  come  alternative  alla  lingua
italiana»  o  comunque  tali  da  porre  quest'ultima  «in  posizione
marginale» (sentenza n. 159 del 2009). 
    La lingua italiana e' dunque, nella sua  ufficialita',  e  quindi
primazia, vettore della cultura e della  tradizione  immanenti  nella
comunita' nazionale, tutelate anche dall'art. 9 Cost. La  progressiva
integrazione  sovranazionale  degli  ordinamenti  e  l'erosione   dei
confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare
senz'altro, sotto molteplici  profili,  tale  funzione  della  lingua
italiana: il plurilinguismo della societa' contemporanea, l'uso d'una
specifica  lingua  in  determinati  ambiti  del  sapere   umano,   la
diffusione a livello globale d'una o piu' lingue sono tutti  fenomeni
che, ormai  penetrati  nella  vita  dell'ordinamento  costituzionale,
affiancano la lingua nazionale nei piu' diversi campi. Tali fenomeni,
tuttavia, non debbono costringere quest'ultima in  una  posizione  di
marginalita': al contrario, e  anzi  proprio  in  virtu'  della  loro
emersione,  il  primato   della   lingua   italiana   non   solo   e'
costituzionalmente indefettibile,  bensi'  -  lungi  dall'essere  una
formale difesa di un retaggio del  passato,  inidonea  a  cogliere  i
mutamenti della modernita' -  diventa  ancor  piu'  decisivo  per  la
perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell'identita' della
Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia  e  di  valorizzazione
dell'italiano come bene culturale in se'. 
    3.2.- La centralita' costituzionalmente necessaria  della  lingua
italiana si coglie particolarmente nella scuola e nelle  universita',
le quali,  nell'ambito  dell'ordinamento  «unitario»  della  pubblica
istruzione   (sentenza   n.   383   del   1998),   sono   i    luoghi
istituzionalmente deputati alla trasmissione  della  conoscenza  «nei
vari rami del sapere» (sentenza n. 7  del  1967)  e  alla  formazione
della persona e del cittadino. In tale  contesto,  il  primato  della
lingua italiana si incontra con altri  principi  costituzionali,  con
essi combinandosi e,  ove  necessario,  bilanciandosi:  il  principio
d'eguaglianza, anche sotto  il  profilo  della  parita'  nell'accesso
all'istruzione, diritto questo che la Repubblica, ai sensi  dell'art.
34, terzo comma, Cost., ha il dovere di garantire, sino ai gradi piu'
alti degli studi, ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi; la
liberta' d'insegnamento, garantita ai  docenti  dall'art.  33,  primo
comma, Cost., la quale, se e' suscettibile di atteggiarsi secondo  le
piu' varie modalita', «rappresenta pur sempre [...] una  prosecuzione
ed una espansione» (sentenza n. 240 del 1974)  della  liberta'  della
scienza  e  dell'arte;  l'autonomia  universitaria,  riconosciuta   e
tutelata dall'art. 33, sesto comma,  Cost.,  che  non  deve  peraltro
essere considerata solo sotto il profilo dell'organizzazione interna,
ma  anche  nel  «rapporto  di  necessaria   reciproca   implicazione»
(sentenza n. 383 del 1998) con i diritti  costituzionali  di  accesso
alle prestazioni. 
    4 .- La disposizione censurata, nell'indicare i vincoli e criteri
direttivi che le universita' devono osservare in sede di modifica dei
propri  statuti,  prevede,  in  particolare,  che  il   rafforzamento
dell'internazionalizzazione  degli  atenei  possa  avvenire   «anche»
attraverso   l'attivazione,   nell'ambito   delle   risorse    umane,
finanziarie e strumentali  disponibili  a  legislazione  vigente,  di
insegnamenti, di corsi di studio e di forme di  selezione  svolti  in
lingua straniera. 
    L'obiettivo dell'internazionalizzazione - che la disposizione  de
qua legittimamente intende perseguire,  consentendo  agli  atenei  di
incrementare la propria vocazione  internazionale,  tanto  proponendo
agli studenti una offerta  formativa  alternativa,  quanto  attirando
discenti dall'estero  -  deve  essere  soddisfatto,  tuttavia,  senza
pregiudicare i  principi  costituzionali  del  primato  della  lingua
italiana, della parita' nell'accesso all'istruzione  universitaria  e
della liberta' d'insegnamento. L'autonomia universitaria riconosciuta
dall'art. 33 Cost., infatti, deve pur sempre svilupparsi «nei  limiti
stabiliti dalle leggi dello  Stato»  e,  prima  ancora,  dai  diversi
principi costituzionali che nell'ambito  dell'istruzione  vengono  in
rilievo. 
    Ove  si  interpretasse  la  disposizione  oggetto  del   presente
giudizio nel senso che agli atenei  sia  consentito  predisporre  una
generale offerta formativa che  contempli  intieri  corsi  di  studio
impartiti esclusivamente in una lingua diversa  dall'italiano,  anche
in settori nei quali l'oggetto stesso dell'insegnamento lo  richieda,
si determinerebbe, senz'altro,  un  illegittimo  sacrificio  di  tali
principi. 
    L'esclusivita'  della  lingua  straniera,  infatti,  innanzitutto
estrometterebbe  integralmente  e   indiscriminatamente   la   lingua
ufficiale della Repubblica dall'insegnamento universitario di intieri
rami del sapere. Le legittime  finalita'  dell'internazionalizzazione
non possono ridurre la lingua italiana, all'interno  dell'universita'
italiana, a una posizione marginale e subordinata, obliterando quella
funzione, che le e' propria, di vettore della storia e dell'identita'
della comunita'  nazionale,  nonche'  il  suo  essere,  di  per  se',
patrimonio culturale da preservare e valorizzare. 
    In secondo luogo, imporrebbe, quale presupposto per l'accesso  ai
corsi, la conoscenza  di  una  lingua  diversa  dall'italiano,  cosi'
impedendo, in assenza di adeguati supporti formativi, a  coloro  che,
pur capaci e meritevoli, non la conoscano affatto, di raggiungere  «i
gradi piu' alti degli studi», se non al costo, tanto  in  termini  di
scelte per la propria formazione  e  il  proprio  futuro,  quanto  in
termini  economici,  di  optare  per  altri  corsi  universitari   o,
addirittura, per altri atenei. 
    In  terzo  luogo,   potrebbe   essere   lesiva   della   liberta'
d'insegnamento,  poiche',  per  un   verso,   verrebbe   a   incidere
significativamente sulle modalita' con cui il  docente  e'  tenuto  a
svolgere la propria  attivita',  sottraendogli  la  scelta  sul  come
comunicare con gli studenti,  indipendentemente  dalla  dimestichezza
ch'egli  stesso  abbia  con  la  lingua  straniera;  per  un   altro,
discriminerebbe  il   docente   all'atto   del   conferimento   degli
insegnamenti, venendo questi necessariamente attribuiti in base a una
competenza - la conoscenza della lingua straniera - che  nulla  ha  a
che vedere con quelle verificate in sede di  reclutamento  e  con  il
sapere specifico che deve essere trasmesso ai discenti. 
    4.1.-  Tuttavia,  della  disposizione  censurata   nel   presente
giudizio  e'  ben  possibile  dare  una  lettura   costituzionalmente
orientata,  tale   da   contemperare   le   esigenze   sottese   alla
internazionalizzazione - voluta dal legislatore  e  perseguibile,  in
attuazione della loro autonomia costituzionalmente  garantita,  dagli
atenei - con i principi di cui agli  artt.  3,  6,  33  e  34  Cost.,
parametro  quest'ultimo  il  quale,   ancorche'   non   evocato   dal
rimettente, e' pertinente allo scrutinio delle odierne  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    Questi principi costituzionali,  se  sono  incompatibili  con  la
possibilita' che intieri corsi di studio siano erogati esclusivamente
in una lingua diversa dall'italiano, nei termini dianzi esposti,  non
precludono certo  la  facolta',  per  gli  atenei  che  lo  ritengano
opportuno, di affiancare  all'erogazione  di  corsi  universitari  in
lingua italiana corsi in lingua straniera,  anche  in  considerazione
della specificita' di determinati  settori  scientifico-disciplinari.
E', questa, una opzione ermeneutica che rientra certamente tra quelle
consentite dal portato semantico dell'art. 2, comma  2,  lettera  l),
della legge n. 240 del 2010 - nel cui testo non compare,  del  resto,
alcun riferimento al carattere di esclusivita' dei  corsi  in  lingua
straniera - e che evita l'insorgere dell'antinomia  normativa  con  i
piu' volte evocati principi costituzionali: una offerta formativa che
preveda che taluni corsi siano tenuti tanto in lingua italiana quanto
in lingua  straniera  non  li  comprime  affatto,  ne'  tantomeno  li
sacrifica,  consentendo,  allo   stesso   tempo,   il   perseguimento
dell'obiettivo dell'internazionalizzazione. 
    4.2.- E' solo il caso di precisare che quanto sinora affermato e'
riferito  soltanto   all'ipotesi   di   intieri   corsi   di   studio
universitari. 
    La  disposizione  qui  scrutinata,  a   dimostrazione   di   come
l'internazionalizzazione sia obiettivo in vario modo perseguibile  e,
comunque  sia,  da  perseguire,  consente  altresi'  l'erogazione  di
singoli insegnamenti in lingua straniera.  Solo  con  un  eccesso  di
formalismo  e  di  severita'  potrebbe  affermarsi  che,  anche   con
riferimento a questi ultimi, i principi costituzionali  di  cui  agli
artt. 3, 6, 33 e  34  Cost.  impongano  agli  atenei  di  erogarli  a
condizione che ve ne sia uno corrispondente in  lingua  italiana.  E'
ragionevole invece che, in considerazione delle peculiarita' e  delle
specificita'  dei  singoli  insegnamenti,  le  universita'   possano,
nell'ambito della propria autonomia,  scegliere  di  attivarli  anche
esclusivamente in lingua straniera. Va da  se'  che,  perche'  questa
facolta' offerta dal legislatore non  diventi  elusiva  dei  principi
costituzionali,   gli   atenei   debbono   farvi   ricorso    secondo
ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza,  cosi'  da  garantire
pur sempre una complessiva offerta formativa che sia  rispettosa  del
primato   della   lingua   italiana,   cosi'   come   del   principio
d'eguaglianza,  del   diritto   all'istruzione   e   della   liberta'
d'insegnamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  non  fondate,  nei  sensi  e  nei  limiti  di  cui   in
motivazione, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2,
comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240  (Norme  in
materia di organizzazione delle universita', di personale  accademico
e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita'
e l'efficienza del sistema universitario), sollevate, in  riferimento
agli artt. 3, 6 e 33 della  Costituzione,  dal  Consiglio  di  Stato,
sezione sesta giurisdizionale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA