N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 dicembre 2016
Ordinanza del 6 dicembre 2016 del Tribunale di Modena nel procedimento civile promosso da S. A. in qualita' di amministratore di sostegno di S. K.. Cittadinanza - Straniero - Acquisto della cittadinanza - Obbligo della prestazione del giuramento di essere fedele alla Repubblica - Previsione dell'obbligo di prestazione del giuramento anche laddove tale adempimento non possa essere prestato da parte di persona affetta da disabilita' a causa di tale condizione patologica. - Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), art. 10; decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572 (Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza), art. 7, comma 1; decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), art. 25, comma 1.(GU n.19 del 10-5-2017 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA Sezione seconda civile Il giudice tutelare sciogliendo la riserva assunta, osserva quanto segue: I. - S. A., amministratore di sostegno (nominato con decreto di questo giudice tutelare in data 14 ottobre 2012) della figlia K. S. (nata in India il 2 settembre 1990 e residente a ............., via ........................ , n. ...), ha richiesto al giudice tutelare di autorizzare la trascrizione del decreto concessivo della cittadinanza a favore della figlia datato 20 luglio 2016, in assenza del prescritto giuramento. Dato che la figlia non sarebbe in grado, ne' in condizioni di prestare tale atto, in quanto affetta da «epilessia parziale con secondaria generalizzazione in attuale buon controllo con terapia anticomiziale - associato ritardo mentale grave in pachigiria focale» (come da documentazione della Commissione per l'accertamento dello stato di invalidita'). La giovane beneficiaria, e' stata ascoltata in udienza, alla presenza del padre-a.d.s. per saggiarne l'idoneita' a prestare il prescritto giuramento. In vero, la persona e' apparsa completamente disorientata nel tempo e nello spazio (dal verbale risulta che la ragazza dice che il giudice «e' Stefano» e non e' in grado di precisare dove si trova, sottoscrive il verbale col nome «Sara») e il padre-a.d.s. ha precisato che K. non sa leggere, ne' scrivere. II. - In diritto, va preliminarmente fornito un rapido quadro normativo della materia. In base all'art. 9, primo comma, lettera f), della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana puo' essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno, allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. L'art. 10, della citata legge n. 91 prevede che: «il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato», mentre l'art. 23, primo comma, legge n. 91/1992 dispone che «le dichiarazioni per l'acquisto [...] della cittadinanza e la prestazione del giuramento previste dalla presente legge sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune dove il dichiarante risiede o intende stabilire la propria residenza, ovvero, in caso di residenza all'estero, davanti all'autorita' diplomatica o consolare del luogo di residenza». A sua volta, l'art. 7, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, dispone che: «il giuramento di cui all'art. 10 della legge deve essere prestato entro sei mesi dalla notifica all'intestatario del decreto di cui agli articoli 7 e 9 della legge». Infine, l'art. 25, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, ord. stato civile, stabilisce che: «l'ufficiale dello stato civile non puo' trascrivere il decreto di concessione della cittadinanza se prima non e' stato prestato il giuramento prescritto dall'art. 10, legge 5 febbraio 1992, n. 91», mentre secondo l'art. 27, del decreto del Presidente della Repubblica citato, «l'acquisto della cittadinanza italiana ha effetto dal giorno successivo a quello in cui e' stato prestato il giuramento, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 10 e 15, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, anche quando la trascrizione del decreto di concessione avviene in data posteriore». Come si vede, per univoche fonti normative, la prestazione dell'atto formale del giuramento viene ritenuto adempimento determinante per l'acquisizione della cittadinanza italiana. In concreto, la dottrina ha sottolineato che il giuramento e' sempre stato, in ogni luogo, diretto a «rafforzare una pronunzia del giurante». Lo stesso, piu' in particolare, «non e' piu' che la forma rafforzata di una promessa, una solennita' supplementare destinata indubbiamente a far riflettere il giurante sulla gravita' dell'atto che sta compiendo, ma che giuridicamente non lo modifica e nulla vi aggiunge». La portata di tale atto si esplica su di un piano prevalentemente morale, in quanto «sospinge, attraverso un vincolo interno, all'osservanza di obblighi e doveri preesistenti», cosicche' il giuramento non rivestirebbe efficacia costitutiva, ma accessoria. III. - Il problema che il ricorso suscita non e' di poco momento; esso consiste nel verificare, a fronte di persona che, a causa dell'infermita' mentale che l'affligge non sia in grado di prestare il prescritto giuramento, in che modo l'ordinamento debba reagire e porsi da un punto di vista sistematico e ricostruttivo, ricercando se sussista una lacuna normativa, ovvero, un contrasto del tessuto normativo rispetto ai parametri costituzionali ed sovranazionali dati. Un primo decreto petroniano (Tribunale di Bologna 9 gennaio 2009, in personaedanno, con nota di Costanzo) ha ritenuto di estendere l'esonero dal giuramento per acquisire la cittadinanza affermando l'applicabilita' all'amministrazione di sostegno, quale effetto ex art. 411 del codice civile, dall'esenzione dal giuramento sulla scorta di parere favorevole espresso dal Consiglio di Stato con riguardo la concessione della cittadinanza all'interdetto senza prestazione di giuramento, in quanto atto personalissimo non delegabile al tutore (C.d.S. 13 marzo 1987, n. 261/85). Altro provvedimento del Tribunale di Mantova (Tribunale di Mantova 2 dicembre 2010) ha semplicemente ritenuto di esentare l'interdetto dalla prestazione del giuramento necessario ad acquisire la cittadinanza, non essendo lo stesso delegabile al tutore. Le soluzioni giuridiche riferite in precedenza non convincono. IV. - Non pare ipotizzabile l'applicazione analogica dell'art. 411 del codice civile, che ammette di estendere all'amministrazione di sostegno «determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato». Nella specie, e' trasparente che la norma codicistica richiamata ammette l'estensione all'amministrazione di sostegno di disposizioni di «legge»; non il contenuto di atti amministrativi, quali sono i pareri espressi dal C.d.S. in sede consultiva. In vero, le soluzioni della quaestio iuris possono essere due, alternative l'una all'altra. Da un canto, secondo una prima prospettiva, potrebbe ipotizzarsi che il giuramento, supponendo un impegno morale ed una partecipazione consapevole alla nuova collettivita' statuale da parte del giurante, con l'assunzione dello status di cittadino, implichi una sua adesione consapevole e cosciente al rispetto dei doveri ed all'esercizio dei diritti che, aderendo a tale collettivita', si assumono alla stregua della formula di giuramento prevista dalla legge («giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato»; art. 10, della legge n. 91 del 1992, la cui formulazione sostanzialmente riproduce quella affidata all'art. 54, primo comma, della Costituzione). In quest'ottica, laddove si richieda per il compimento di tale atto formale il completo discernimento, la cittadinanza non potrebbe essere acquisita da parte di chi difetti di tale capacita' naturale, essendo incapace di comprendere il significato morale e giuridico dell'atto formale da compiere; l'atto del giurare non essendo in ogni caso surrogabile da parte del vicario, stante la sua natura personalissima. E pertanto la cittadinanza, secondo l'ordinamento e, secondo questa prospettiva, non potrebbe essere acquisita dal disabile mentale impossibilitato a giurare ed a comprendere l'impegno morale che con tale atto assume di fronte alla collettivita'. V. - Dall'altro, puo' ipotizzarsi l'insorgenza di questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni normative richiamate in precedenza (art. 10, della legge n. 91 del 1992, art. 7, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 1993, e 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000), in particolare, nella parte in cui le stesse non prevedono deroghe all'obbligo della prestazione del giuramento, quale condizione per l'acquisizione della cittadinanza italiana, in presenza di condizioni personali di infermita' mentale in cui versi il futuro cittadino, impeditive il compimento dell'atto formale in discorso. Da questo punto di vista, dato che, a giudizio della dottrina, il giuramento, avendo natura ancillare e secondaria rispetto al conseguimento della cittadinanza, non avrebbe efficacia costitutiva di essa, potrebbe ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni normative richiamate e che impongono la prestazione del giuramento quale condizione per l'acquisizione della cittadinanza, per violazione di piu' di un parametro costituzionale. In particolare, se la Repubblica riconosce e garantisce i «diritti inviolabili dell'uomo» (art. 2 della Costituzione), non permettere al disabile psichico l'acquisizione di un diritto fondamentale, qual'e' lo status di cittadino (fonte di diritti e doveri pubblicistici), dal momento che non e' in grado della prestazione dell'atto formale del giuramento, significherebbe, alla fin fin fine, non «garantire» tale diritto; escludendo, cosi', l'infermo di mente dalla nuova collettivita' in cui e' nato e si e' formato, solo a causa dell'impedimento determinato dalla sua condizione psichica di natura personale. L'ostacolo personale impedirebbe l'acquisizione del diritto e gli arrecherebbe un considerevole danno. Che dire poi del parametro affidato al capoverso dell'art. 3 della Costituzione? Se e' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che «impedisco il pieno sviluppo della persona umana», non si puo' forse ritenere che l'impossibilita' di prestazione del giuramento per acquisire la cittadinanza, determinato dalla condizione patologica della persona affetta da malattia mentale, non costituisca significativo «ostacolo» all'esplicazione della personalita' dell'individuo, come tale contrastante con tale cruciale previsione programmatica? Se cosi' e', allora, le disposizioni normative in precedenza richiamate, disponenti che il mancato giuramento nei sei mesi successivi alla notifica del decreto di concessione della cittadinanza ne determina inefficacia, paiono contrastare anche con quest'ultimo parametro costituzionale, creando disparita' di trattamento tra cittadini sani e normali, questi ultimi in grado di prestare giuramento, e quanti sani non siano in quanto affetti da disabilita' e che, per effetto della mancata prestazione del giuramento, non possono acquistare lo status civitatis. Tenuto conto di cio', il presente procedimento va sospeso, con remissione degli atti alla Corte costituzionale, dato che la questione di legittimita' costituzionale quivi sollevata sugli articoli 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 12 ottobre 1993 e 25, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, appare rilevante, in questo procedimento dovendosi applicare le disposizioni normative teste' richiamate, e non manifestamente infondata, alla luce della violazione dei parametri fissati dagli articoli 2 e 3, secondo comma, della Costituzione. VI. - Il mancato rispetto del principio di uguaglianza quale diritto fondamentale dell'individuo va rilevato anche con riferimento al quadro legislativo sovranazionale, cui l'ordinamento dello Stato e' tenuto a conformarsi. Infatti, l'art. 18 della Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone disabili, ratificata dall'Italia con la legge n. 18 del 3 marzo 2009 (e quindi legge dello Stato a tutti gli effetti), dispone che: «il diritto alla cittadinanza non puo' essere negato e dunque i disabili hanno il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non possono essere privati della stessa arbitrariamente o a causa della loro disabilita'». Lo scopo della Convenzione e' quella di indurre gli Stati firmatari a promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e le liberta' fondamentali da parte delle persone con disabilita'. La condizione di disabilita' viene individuata nell'esistenza di barriere di diversa natura e tipologia che possano ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nella societa', in condizioni di uguaglianza con gli altri, per le persone che presentano delle durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali. Il testo normativo richiama la Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed e' dotato di portata universale, dato che si rivolge a tutte le persone disabili, indipendentemente dalla nazionalita', e alle quali garantisce il diritto ad un livello di vita adeguato e il diritto alla protezione sociale, rievocando i principi enunciati anche dalla Dichiarazione O.N.U. dei diritti delle persone con ritardo mentale del 1971, della Dichiarazione O.N.U. dei diritti delle persone con disabilita' del 1975, degli articoli 21 («Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunita' europea e del trattato sull'Unione europea e' vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi») e 26 («L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunita'») della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea di Nizza, resa vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009. Si evince, pertanto, che l'Unione e' fondata sul rispetto dell'uguaglianza della dignita' umana, della democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani compresi quelli enunciati dall'art. 67 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea in base ai quali «l'Unione realizza uno spazio di liberta', sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonche' dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri». Da tali principi dell'ordinamento si ricava che la tutela dei diritti umani nell'Unione europea non dipende dal possesso della cittadinanza dell'Unione, che va riconosciuta anche ai cittadini di Paesi terzi. Sotto questo profilo si e' avviato il passaggio da una fase improntata alla salvaguardia dei diritti dei cittadini dell'Unione ad una nuova fase caratterizzata anche dalla tutela della persona in quanto tale. Il punto cruciale riguarda il rapporto intercorrente tra l'iniziativa dell'amministratore ed i bisogni, le aspirazioni, gli interessi del beneficiario straniero ed incapace; nell'ipotesi di totale nonche' effettiva incapacita' di formazione della volonta' consapevole da parte dello straniero disabile, la privazione tout court della capacita' di agire nell'esercizio dell'acquisto della cittadinanza (in quanto atto personalissimo, come tale non delegabile in via surrogatoria all'amministratore di sostegno), appare criticabile almeno per un duplice ordine di ragioni: in primis, tale impostazione lederebbe la legittima aspettativa dello straniero a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, stante il ricorso dei requisiti oggettivi fissati dalla legge; in secundis, si affaccerebbe il rischio, di lasciare lo straniero isolato da quella trama di relazioni di cui, ai fini dello status civitatis, costituisce il principale centro di imputazione di interessi. Come si vede, quindi, anche da questo punto di vista, si dubita della legittimita' costituzionale della trama normativa costituita dalle disposizioni normative che impongono anche al disabile, che ne sia impossibilitato per effetto della patologia mentale che l'affligge, di prestare giuramento quale presupposto per l'acquisto della cittadinanza.
P.Q.M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, 7, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 12 ottobre 1993 e 25, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui prevedono l'obbligo di prestazione del giuramento, quale condizione per l'acquisizione della cittadinanza, anche laddove tale adempimento non possa essere prestato da parte di persona affetta da disabilita' a causa di tale condizione patologica, per violazione degli articoli 2 e 3, secondo comma, della Costituzione e dell'art. 18 della Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone disabili, ratificata dall'Italia con legge n. 18 del 3 marzo 2009, nonche' degli articoli 21 e 26 della Dichiarazione O.N.U. dei diritti delle persone con disabilita' del 1975, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in corso. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, previa notifica alla parte istante, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e con comunicazione dell'ordinanza anche ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Modena, 6 dicembre 2016 Il Giudice Tutelare: Masoni