N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2017

Ordinanza del 20 gennaio 2017 del Tribunale amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto dal Comune di Liveri e altri contro
Ministero dell'interno e altri. 
 
Enti locali - Comuni la cui popolazione rientri in un certo limite  -
  Esercizio  obbligatorio   in   forma   associata   delle   funzioni
  fondamentali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 14, commi 26, 27, 28, 29, 30 e 31. 
Enti  locali  -   Norme   della   Regione   Campania   -   Attuazione
  dell'esercizio  obbligatorio  in  forma  associata  delle  funzioni
  fondamentali previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010 - Disciplina
  delle dimensioni territoriali relativamente a tale esercizio. 
- Legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16  ("Interventi  di
  rilancio e sviluppo dell'economia regionale  nonche'  di  carattere
  ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge  di  stabilita'
  regionale 2014)"), art. 1, commi 110 e 111. 
(GU n.19 del 10-5-2017 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                         (Sezione Prima Ter) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 6695 del 2015, proposto da: 
        Comune di Liveri, Comune di Baia e Latina, Comune di Dragoni,
Comune  di  Teora,  Comune  di  Buonalbergo  e  Associazione  per  la
Sussidiarieta' e la Modernizzazione degli Enti Locali  -  A.S.M.E.L.,
in  persona  dei  rispettivi  legali  rappresentanti   pro   tempore,
rappresentati e difesi dagli avvocati Aldo Sandulli, Stefano Battini,
Benedetto Cimino, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma,
via Fulcieri Paulucci De Calboli, 9; 
    Contro   Ministero   dell'interno,   Prefettura   di   Benevento,
Prefettura di Caserta, Prefettura di Napoli, Prefettura di  Avellino,
in persona dei legali rappresentanti  pro  tempore,  rappresentati  e
difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, con  domicilio
eletto in Roma, via dei Portoghesi 12; 
    nei confronti di  Comune  di  Domicella,  Comune  di  Camigliano,
Comune di Aquilonia, Comune di Foiano di  Valforte,  in  persona  dei
legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio; 
    per l'annullamento: 
    della nota  del  Ministero  dell'interno,  Dipartimento  per  gli
affari interni e territoriali, del 12 gennaio 2015 avente ad  oggetto
l'esercizio  obbligatorio   in   forma   associata   delle   funzioni
fondamentali, mediante unioni o convenzioni, da parte dei comuni; 
    nonche' per l'accertamento negativo dell'obbligo  dei  comuni  di
stipulare una  convenzione  per  l'esercizio  in  forma  associata  o
tramite unione delle proprie funzioni fondamentali ai sensi dell'art.
14, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'interno, dell'U.T.G. - Prefettura di  Benevento,  dell'U.T.G.  -
Prefettura  di  Caserta,  dell'U.T.G.  -  Prefettura  di   Napoli   e
dell'U.T.G. - Prefettura di Avellino; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  25  ottobre  2016  la
dott.ssa Francesca Romano e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. Gli enti ricorrenti, unitamente  all'A.S.M.E.L.,  sono  comuni
campani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti rispetto ai quali
trova applicazione la disciplina, posta dall'art.  14,  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, come successivamente modificato, che, ai commi
da 26 a 31 ha dettato  le  disposizioni  «dirette  ad  assicurare  il
coordinamento della finanza pubblica e il  contenimento  delle  spese
per l'esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni», imponendo ai
comuni di dimensioni minori l'obbligo di  esercizio  associato  delle
funzioni fondamentali, come dalla legge individuate. 
    In Campania tali disposizioni hanno  trovato  attuazione  con  la
legge regionale 7 agosto 2014, n. 16 che, all'art. 1, commi 110 e 11,
ha previsto che la «dimensione territoriale ottimale e  omogenea  per
l'esercizio delle funzioni fondamentali  in  forma  obbligatoriamente
associata» coincida con  i  c.d.  sistemi  territoriali  di  sviluppo
previsti, a fini urbanistici e di coesione territoriale, dalla  legge
regionale  13  ottobre  2008,  n.  13,  rinviando,  per  la  restante
disciplina, alle previsioni del decreto-legge n. 78 del 2010. 
    All'indomani della scadenza del termine  di  adempimento  fissato
dalla normativa statale alla data del 31 dicembre 2014, il  Ministero
dell'interno  ha  emanato  la  circolare  12  gennaio  2015   recante
«Esercizio   obbligatorio   in   forma   associata   delle   funzioni
fondamentali, mediante unioni o convenziono da parte dei comuni», con
la quale ha dettato una prima disciplina attuativa degli obblighi  di
legge, imponendo alle Prefetture di procedere alla ricognizione dello
stato  di  attuazione  della  normativa  e  di  diffidare  i   comuni
inadempimenti, secondo specifiche tempistiche e modalita'. 
    Il termine di scadenza, con legge 27 febbraio  2015,  n.  11,  e'
stato, differito al 31  dicembre  2015,  per  poi  essere  nuovamente
differito, con d. legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito in legge
25 febbraio 2016, n. 21, al 31 dicembre 2016. 
    2. Con il presente ricorso i comuni e  l'associazione  ricorrenti
agiscono, dunque, innanzi a questo giudice per  l'annullamento  della
circolare ministeriale 12 gennaio  2015,  deducendo  che  il  gravato
provvedimento sarebbe affetto  da  illegittimita'  derivata  a  causa
dell'illegittimita' costituzionale della disciplina legislativa sulla
cui base e' stata adottata e per il conseguente accertamento negativo
dell'obbligo di stipulare le convenzioni  per  l'esercizio  in  forma
associata delle proprie funzioni fondamentali. 
    Gli enti ricorrenti ritengono  sussistere  il  loro  interesse  a
ricorrere nonostante l'intervenuta proroga del termine  di  scadenza,
poiche' la suddetta proroga  non  investe  l'attualita'  dell'obbligo
loro imposto, ma solo l'esercizio dei poteri governativi  sostitutivi
e di diffida. 
    3. L'amministrazione dell'Interno si e'  costituita  in  giudizio
eccependo, principalmente, l'inammissibilita' del ricorso per carenza
di interesse dei comuni ricorrenti stante la mancanza di una  lesione
concreta e attuale. 
    4. All'esito della pubblica  udienza  del  16  febbraio  2016  il
collegio  ha  chiesto  documentati  chiarimenti   sulla   fattispecie
controversa alla resistente amministrazione  che  ha  successivamente
provveduto con il deposito documentale del 23 giugno 2016. 
    5. Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2016 la causa e'  passata
in decisione. 
    6. In via preliminare, giova precisare, in punto di rito, che  la
fattispecie  in  esame  rientra  nella  giurisdizione  esclusiva  del
giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera a, n.
2,  c.p.a.,  ipotesi  concernente  la  «formazione,  conclusione   ed
esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi  di  provvedimento
amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni». 
    Il petitum della  presente  controversia  concerne,  infatti,  la
domanda di accertamento dell'obbligo per  i  comuni  con  popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti, di procedere alla costituzione di Unioni
di comuni o di  convenzioni  per  l'esercizio  associato  delle  loro
funzioni fondamentali, e  con  essa,  la  domanda  caducatoria  della
circolare 12 gennaio 2015: l'oggetto di  ambedue  le  domande  verte,
dunque, sull'utilizzo  obbligatorio  dei  «moduli  convenzionali»  da
parte degli enti  locali  ricorrenti,  come  tale,  rientrante  nella
previsione dell'art. 133, comma 1, lettera a, n. 2, c.p.a. 
    2.  Sussiste,  altresi',  l'interesse  e  la   legittimazione   a
ricorrere sia dei comuni ricorrenti, in  quanto  comuni  direttamente
incisi dal gravato provvedimento,  come  sara'  meglio  precisato  di
seguito,  sia  dell'Associazione   per   la   Sussidiarieta'   e   la
Modernizzazione degli Enti Locali (A.S.M.E.L.), associazione  che  ha
tra  le  proprie  finalita'  la  valorizzazione  del  sistema   delle
istituzioni locali, in particolare, dei principi  di  sussidiarieta',
autonomia e decentramento sui quali la questione dibattuta (ovvero la
non obbligatorieta' per i comuni di piccole dimensioni  dell'utilizzo
dei moduli  associativi  previsti)  ha,  indubbiamente,  un'incidenza
immediata; trattasi, altresi', di ente esponenziale spontaneo  dotato
di rappresentativita' degli  interessi  degli  enti  locali  aderenti
rispetto al quale non e' ravvisabile alcuna  posizione  di  conflitto
tra l'interesse in tale sede azionato e quello  afferente  i  singoli
enti consociati. 
    Pertanto, sulla base degli stessi principi  da  ultimo  affermati
dall'Adunanza Plenaria,  nella  decisione  2  novembre  2015,  n.  2,
l'A.S.M.E.L. puo' ritenersi ente legittimato al presente ricorso. 
    3. Questo collegio ritiene pregiudiziale rispetto alla  decisione
sul merito rimettere alla Corte  costituzionale  la  questione  della
legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 26 ss., decreto-legge
n. 78/2010, sollevata  da  parte  ricorrente  nei  propri  motivi  di
ricorso, ricorrendone entrambi i presupposti della rilevanza e  della
non manifesta infondatezza. 
    4. In ordine ai presupposti della rilevanza della  questione,  va
ricordato  come,  secondo  un   principio   enunciato   dalla   Corte
costituzionale fin dalle sue prime pronunce, «la circostanza  che  la
dedotta  incostituzionalita'  di  una  o   piu'   norme   legislative
costituisca l''unico motivo di ricorso innanzi al giudice a  quo  non
impedisce di considerare sussistente il  requisito  della  rilevanza,
ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale  un  petitum
separato  e  distinto  dalla  questione  (o   dalle   questioni)   di
legittimita' costituzionale, sul  quale  il  giudice  rimettente  sia
chiamato a pronunciarsi» (Corte cost. n. 4 del 2000; n. 59 del  1957;
piu' recentemente, Corte costituzionale n. 1 del 2014). 
    Nel caso in esame, tale condizione  e'  soddisfatta,  perche'  il
petitum oggetto del giudizio principale e' costituito dalla pronuncia
di accertamento negativo della sussistenza dell'obbligo, per i comuni
ricorrenti, di associarsi in via  convenzionale,  e  dalla  correlata
pronuncia di annullamento della circolare ministeriale. 
    A tale riguardo occorre,  infatti,  precisare  che  la  circolare
impugnata riveste un contenuto complesso: nella parte in cui richiama
le norme poste dall'art. 14, decreto-legge n. 78/2010,  ha  carattere
meramente ricognitivo della normativa in materia; nella parte in  cui
ordina ai Prefetti, alla scadenza del termine di legge, l'adozione di
un formale atto di diffida, nei confronti degli enti  locali  rimasti
inadempienti, entro un termine perentorio da stabilire  in  relazione
alle specificita'  e  criticita'  rilevate,  ha  un'indubbia  portata
precettiva. 
    Sotto tale profilo, dunque, e' atto immediatamente lesivo  per  i
comuni ricorrenti e, in quanto tale, autonomamente impugnabile. 
    L'attualita'  dell'interesse  a  ricorrere,   peraltro,   permane
nonostante le intervenute proroghe del termine  fissato  dalla  legge
per l'attuazione  dell'obbligo  legale  gravante  sugli  enti  locali
ricorrenti. 
    La scadenza del termine, da ultimo fissata al 31  dicembre  2016,
infatti, non incide sull'attualita' della lesione che non diviene per
cio' solo meramente eventuale, rimanendo comunque certo il momento in
cui la stessa si realizzera'. 
    La circolare gravata, d'altra parte, impone agli enti interessati
precise    attivita'    prodromiche    all'attuazione    dell'obbligo
legislativamente imposto, dunque obblighi attuali  al  momento  della
proposizione del ricorso e tutt'oggi perduranti,  stante  l'imminente
scadenza del termine per l'attuazione finale del disposto  normativo,
con l'avvertimento che, in caso  di  inadempienza,  «e'  previsto  il
potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 8 della legge 5 giugno
2003, n. 131, previo intervento del Prefetto che, decorsi i  termini,
assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro  il  quale
provvedere (comma 31-quater)». 
    Gli enti ricorrenti deducono, quindi,  l'illegittimita'  derivata
della circolare impugnata lamentando l'illegittimita'  costituzionale
della normativa primaria sulla cui base essa e' stata adottata. 
    La questione di costituzionalita' dell'art. 14, comma  26  -  31,
decreto-legge n. 78 del 2010, e', dunque, pregiudiziale rispetto alla
decisione definitiva del presente  ricorso,  risultando  quest'ultima
strettamente dipendente dall'esito del giudizio di costituzionalita'. 
    5. La questione di costituzionalita', oltre  che  rilevante,  non
appare, a questo collegio, manifestamente infondata sotto  i  profili
che saranno di seguito evidenziati. 
    Il quadro normativo di riferimento in materia e' il frutto di una
serie di interventi normativi che si sono cosi' succeduti nel tempo: 
    la legge 5 maggio 2009, n. 42 di «Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della  Costituzione»
ha dettato  all'art.  21  una  prima  elencazione  provvisoria  delle
funzioni rilevanti, per la determinazione dei costi e dei  fabbisogni
standard dei comuni; 
    e' intervenuto, quindi, il decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78
recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria  e
di competitivita' economica», convertito in legge, dall'art. 1, comma
1, legge 30 luglio 2010, n. 122, che all'art.  14,  comma  26  -  31,
successivamente modificato dall'art. 19, decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.
135, ha cosi' statuito: 
    «26.  L'esercizio  delle  funzioni  fondamentali  dei  comuni  e'
obbligatorio per l'ente titolare. 
    27.  Ferme  restando  le  funzioni   di   programmazione   e   di
coordinamento delle regioni, loro  spettanti  nelle  materie  di  cui
all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni
esercitate ai sensi dell'art. 118 della Costituzione,  sono  funzioni
fondamentali dei comuni,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), della Costituzione: 
    a)   organizzazione   generale   dell'amministrazione,   gestione
finanziaria e contabile e controllo; 
    b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse  generale  di
ambito  comunale,  ivi  compresi  i  servizi  di  trasporto  pubblico
comunale; 
    c) catasto, ad eccezione  delle  funzioni  mantenute  allo  Stato
dalla normativa vigente; 
    d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di  ambito  comunale
nonche' la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello
sovracomunale; 
    e) attivita', in ambito comunale, di pianificazione di protezione
civile e di coordinamento dei primi soccorsi; 
    f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta,  avvio
e smaltimento e recupero dei rifiuti  urbani  e  la  riscossione  dei
relativi tributi; 
    g) progettazione  e  gestione  del  sistema  locale  dei  servizi
sociali  ed  erogazione  delle  relative  prestazioni  ai  cittadini,
secondo  quanto  previsto  dall'art.   118,   quarto   comma,   della
Costituzione; 
    h)  edilizia  scolastica  per  la  parte  non   attribuita   alla
competenza delle province,  organizzazione  e  gestione  dei  servizi
scolastici; 
    i) polizia municipale e polizia amministrativa locale; 
    l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti
in materia di  servizi  anagrafici  nonche'  in  materia  di  servizi
elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale; 
    l-bis) i servizi in materia statistica. 
    28. I comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a
3.000  abitanti  se  appartengono  o  sono  appartenuti  a  comunita'
montane, esclusi i comuni il cui  territorio  coincide  integralmente
con quello di una o di piu' isole e il Comune di  Campione  d'Italia,
esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante  unione  di
comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di  cui  al
comma 27, ad esclusione della lettera  l).  Se  l'esercizio  di  tali
funzioni  e'  legato  alle  tecnologie  dell'informazione   e   della
comunicazione, i comuni  le  esercitano  obbligatoriamente  in  forma
associata secondo le modalita' stabilite dal presente articolo, fermo
restando che tali funzioni comprendono la realizzazione e la gestione
di infrastrutture tecnologiche, rete dati, fonia, apparati, di banche
dati, di applicativi software, l'approvvigionamento di licenze per il
software, la formazione  informatica  e  la  consulenza  nel  settore
dell'informatica. 
    28-bis. Per le unioni di cui al comma 28 si applica l'art. 32 del
testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267,  e
successive modificazioni. 
    29. I comuni  non  possono  svolgere  singolarmente  le  funzioni
fondamentali svolte in forma associata. La medesima funzione non puo'
essere svolta da piu' di una forma associativa. 
    30. La regione, nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo  e
quarto, della Costituzione, individua,  previa  concertazione  con  i
comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie  locali,
la dimensione territoriale ottimale e omogenea  per  area  geografica
per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei
comuni delle funzioni fondamentali di cui  al  comma  28,  secondo  i
principi di efficacia, economicita', di  efficienza  e  di  riduzione
delle spese, secondo le forme  associative  previste  dal  comma  28.
Nell'ambito della normativa regionale, i comuni  avviano  l'esercizio
delle funzioni fondamentali  in  forma  associata  entro  il  termine
indicato dalla stessa normativa. 
    31. Il limite demografico minimo delle unioni e delle convenzioni
di cui al presente articolo e' fissato in 10.000 abitanti, ovvero  in
3.000  abitanti  se  i  comuni  appartengono  o  sono  appartenuti  a
comunita' montane, fermo restando che, in tal caso, le unioni  devono
essere formate da almeno  tre  comuni,  e  salvi  il  diverso  limite
demografico ed eventuali deroghe in ragione di particolari condizioni
territoriali, individuati dalla regione. Il  limite  non  si  applica
alle unioni di comuni gia' costituite. 
    31-bis. Le convenzioni di cui al comma  28  hanno  durata  almeno
triennale e alle medesime si applica, in quanto  compatibile,  l'art.
30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Ove alla  scadenza
del predetto  periodo,  non  sia  comprovato,  da  parte  dei  comuni
aderenti, il conseguimento di significativi livelli di  efficacia  ed
efficienza nella gestione, secondo modalita'  stabilite  con  decreto
del Ministro dell'interno, da adottare entro  sei  mesi,  sentita  la
Conferenza Stato-Citta' e autonomie locali, i comuni interessati sono
obbligati  ad  esercitare  le  funzioni  fondamentali  esclusivamente
mediante unione di comuni. 
    31-ter.  I  comuni  interessati  assicurano  l'attuazione   delle
disposizioni di cui al presente articolo: 
    a) entro il 1° gennaio 2013 con  riguardo  ad  almeno  tre  delle
funzioni fondamentali di cui al comma 28; 
    b) entro il 30 settembre 2014,  con  riguardo  ad  ulteriori  tre
delle funzioni fondamentali di cui al comma 27; 
    b-bis) entro il 31 dicembre  2014,  con  riguardo  alle  restanti
funzioni fondamentali di cui al comma 27; 
    31-quater. In caso di decorso dei termini di cui al comma 31-ter,
il prefetto assegna agli  enti  inadempienti  un  termine  perentorio
entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto  termine,  trova
applicazione l'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    31-quinquies. Nell'ambito dei  processi  associativi  di  cui  ai
commi 28 e seguenti, le spese di personale e le facolta' assunzionali
sono  considerate  in  maniera  cumulata  fra  gli  enti   coinvolti,
garantendo forme di compensazione fra gli stessi,  fermi  restando  i
vincoli previsti dalle  vigenti  disposizioni  e  l'invarianza  della
spesa complessivamente considerata.»; 
        e' intervenuta, da ultimo, la legge  7  aprile  2014,  n.  56
recante «Disposizioni sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,
sulle unioni e fusioni di comuni»,  che  all'art.  1,  comma  121  ha
ulteriormente stabilito che: 
          «121. Gli  obblighi  di  esercizio  associato  di  funzioni
comunali derivanti dal comma 28 dell'art.  14  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122, e  successive  modificazioni,  si  applicano  ai
comuni derivanti da fusione entro  i  limiti  stabiliti  dalla  legge
regionale, che puo' fissare una  diversa  decorrenza  o  modularne  i
contenuti. In mancanza  di  diversa  normativa  regionale,  i  comuni
istituiti mediante fusione che raggiungono  una  popolazione  pari  o
superiore a 3.000 abitanti, oppure a 2.000 abitanti se appartenenti o
appartenuti a  comunita'  montane,  e  che  devono  obbligatoriamente
esercitare  le  funzioni  fondamentali  dei  comuni,  secondo  quanto
previsto dal citato comma 28 dell'art.  14,  sono  esentati  da  tale
obbligo per un mandato elettorale»; 
        per  la  Regione  Campania  la  disciplina  delle  dimensioni
territoriali per l'esercizio  del  relativo  obbligo  associativo  e'
stata infine posta, come  gia'  riferito,  dalla  legge  regionale  7
agosto 2014, n. 16. 
    6.  Gli  enti  ricorrenti   impugnano,   quindi,   la   circolare
ministeriale attuativa  dell'obbligo  di  esercizio  associato  delle
funzioni comunali, domandando  altresi'  l'accertamento  negativo  di
tale    obbligo,    per     illegittimita'     derivata     dell'atto
dall'illegittimita' costituzionale della normativa sopra  richiamata,
deducendo: 
        I.  Incostituzionalita'  dell'art.  14,  commi  26  ss.,  del
decreto-legge n. 78 del 2010 per violazione dell'art.  77  Cost.  per
carenza manifesta dei requisiti di necessita' ed urgenza; 
        II. Incostituzionalita'  dell'art.  14,  commi  26  ss.,  del
decreto-legge n. 78 del 2010 per violazione degli articoli 3, 5,  95,
97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost., con riferimento ai principi  di
buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali; per
violazione dell'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento all'art.
3 della Carta europea dell'autonomia  locale;  per  violazione  degli
articoli 3 e 97 per irragionevolezza e contraddittorieta'  intrinseca
ed estrinseca. Incostituzionalita' dell'art.  1,  commi  110  e  111,
legge regionale Campania n. 16 del 2014; 
        III. Incostituzionalita'  per  violazione  o  elusione  delle
procedure previste dall'art. 133 Cost.  per  l'istituzione  di  nuovi
comuni. Violazione degli  articoli  114  e  119  Cost.  in  relazione
all'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali. 
    7. Il collegio ritiene che i dubbi di legittimita' costituzionali
rappresentati da parte ricorrente non siano manifestamente infondati. 
    8. La prima questione sollevata concerne la lamentata carenza dei
presupposti  di  necessita'  e  di   urgenza   per   l'adozione   del
decreto-legge. 
    L'art.  77,  comma  2,  Cost.,  infatti,  dispone  che  «in  casi
straordinari di necessita' e d'urgenza» il Governo e' legittimato  ad
adottare «provvedimenti provvisori con forza di  legge»  destinati  a
perdere efficacia ex tunc ove non convertiti in legge entro  sessanta
giorni dalla loro pubblicazione. 
    La  dottrina  ritiene,  tradizionalmente,   che   la   legge   di
conversione, avente natura  di  legge  sostanziale,  si  sostituisce,
quanto meno per l'avvenire,  al  decreto-legge  convertito;  da  quel
momento,  pertanto,  le  norme  che  questo  aveva   provvisoriamente
introdotte vedono rinnovata la propria fonte che, dunque, non e' piu'
il  provvedimento  governativo  bensi'   la   successiva   legge   di
conversione (cd. novazione della fonte). 
    Sulla base di tale insegnamento si era formato l'indirizzo  della
giurisprudenza  costituzionale   piu'   risalente   che   negava   la
sindacabilita' di ogni vizio  proprio  del  decreto-legge  a  seguito
della legge di conversione,  facendo  leva  sulla  configurazione  di
quest'ultima come forma di novazione (Corte cost. n. 108 del 1986, n.
243 del 1987, nn. 808, 810, 1033, 1035 e 1060 del 1988,  n.  263  del
1994). 
    Tale orientamento, a partire dalla sentenza n. 29  del  1995,  e'
stato dalla Corte costituzionale abbandonato, laddove e'  stata,  per
la  prima  volta,  esclusa  l'efficacia  sanante   della   legge   di
conversione. 
    Nella citata sentenza n. 29 del 1995, la Corte ha  affermato  che
ai sensi dell'art. 77 Cost., «la pre-esistenza di una  situazione  di
fatto comportante la necessita' e  l'urgenza  di  provvedere  tramite
l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di  validita'  costituzionale  dell'adozione
del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di  quel
presupposto configura tanto un vizio di  legittimita'  costituzionale
del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito  delle
possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio
in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima,
nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti
di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in  legge
un atto che non poteva  essere  legittimo  oggetto  di  conversione».
Pertanto,  prosegue  la  sentenza  in  esame,  «non   esiste   alcuna
preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda  all'esame  del
decreto-legge e/o della legge di conversione  sotto  il  profilo  del
rispetto dei requisiti  di  validita'  costituzionale  relativi  alla
pre-esistenza dei presupposti di necessita' e  urgenza,  dal  momento
che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta
una  valutazione  del  tutto  diversa  e,   precisamente,   di   tipo
prettamente politico sia con riguardo al contenuto  della  decisione,
sia con riguardo agli effetti della stessa». 
    Sebbene talune pronunce abbiano in alcuni casi  fatto  riemergere
la tradizionale impostazione dell'efficacia sanante  della  legge  di
conversione (cfr. sentenza n. 419 del 2000; n. 376 del 2001; e n.  16
e  29  del  2002),  tuttavia,  e'  stata  successivamente  pressoche'
costantemente affermata, dal giudice delle leggi, la possibilita' del
sindacato sui presupposti di necessita' e urgenza del decreto-legge -
esercitabile pero' solo nei limiti della loro «evidente  mancanza»  -
anche dopo la conversione in legge (cfr. sentenze n.  341  del  2003;
nn. 6 e 178, 196, 285 e 299 del 2004; nn. 2, 62 e 272 del 2005), fino
ad arrivare alla sentenza n. 171 del 2007, che, per la  prima  volta,
ha dichiarato fondata (e non solamente ammissibile) la  questione  di
incostituzionalita'  della  legge  di  conversione  per  la   carenza
evidente  dei  presupposti   di   necessita'   e   urgenza   rispetto
all'adozione del decreto-legge convertito. 
    Tra le pronunce che ne sono  seguite,  tutte  ormai  confermative
dell'indirizzo favorevole alla  declaratoria  di  incostituzionalita'
della legge di conversione per carenza dei presupposti di  necessita'
e urgenza (cfr. sentenze n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014), merita  di
essere richiamata, in tale sede, la sentenza n. 220 del 2013 che, nel
dichiarare fondate talune questioni  di  legittimita'  costituzionale
rispetto  alle  norme  di  riforma  delle  Province   contenute   nel
decreto-legge n.  95/2012,  ha  reso  importanti  affermazioni  sulla
legittimita' dell'utilizzo del decreto-legge al  fine  di  introdurre
norme ordinamentali in materia di enti locali. 
    «Si deve osservare innanzitutto che l'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), Cost. attribuisce alla competenza  legislativa  esclusiva
dello  Stato  la  disciplina  dei  seguenti   ambiti:   «legislazione
elettorale, organi di Governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane». 
    La citata norma costituzionale indica  le  componenti  essenziali
dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, per loro natura
disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e  rispondenti  ad
esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le  linee
di svolgimento dei principi  costituzionali  nel  processo  attuativo
delineato dal legislatore statale ed integrato da  quelli  regionali.
E' appena il caso di rilevare che si tratta di  norme  ordinamentali,
che non possono essere interamente  condizionate  dalla  contingenza,
sino al punto da costringere il dibattito parlamentare  sulle  stesse
nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'art. 77
Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici
e puntuali, resi  necessari  e  improcrastinabili  dall'insorgere  di
«casi straordinari di necessita' e d'urgenza». 
    Da quanto detto si ricava una prima conseguenza sul  piano  della
legittimita'  costituzionale:  ben  potrebbe   essere   adottata   la
decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni  degli  enti
locali,  su  singoli  aspetti  della  legislazione  elettorale  o  su
specifici profili della struttura  e  composizione  degli  organi  di
Governo, secondo valutazioni di  opportunita'  politica  del  Governo
sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si  ricava  altresi',
in  senso  contrario,  che  la   trasformazione   per   decreto-legge
dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale  territoriale,
previsto e garantito dalla Costituzione, e' incompatibile, sul  piano
logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una
trasformazione radicale dell'intero  sistema,  su  cui  da  tempo  e'
aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e  dottrinali,  e  che
certo non nasce, nella sua interezza  e  complessita',  da  un  «caso
straordinario di necessita' e d'urgenza». 
    I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da  casi
straordinari e sono destinati ad operare immediatamente,  allo  scopo
di dare risposte normative rapide a situazioni  bisognose  di  essere
regolate in modo adatto a  fronteggiare  le  sopravvenute  e  urgenti
necessita'. Per questo motivo,  il  legislatore  ordinario,  con  una
norma di portata generale, ha previsto  che  il  decreto-legge  debba
contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell'attivita' di Governo  e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»).  La  norma
citata, pur non avendo,  sul  piano  formale,  rango  costituzionale,
esprime ed esplicita cio' che deve ritenersi intrinseco  alla  natura
stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in
contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni
destinate ad avere effetti pratici differiti  nel  tempo,  in  quanto
recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla  costruzione
di nuove strutture istituzionali, senza  peraltro  che  i  perseguiti
risparmi di spesa siano, allo  stato,  concretamente  valutabili  ne'
quantificabili,  seppur  in  via   approssimativa.»   (cosi',   Corte
costituzionale n. 220/2013). 
    I principi cosi' affermati appaiono confacenti alle  norme  poste
all'attenzione di questo collegio giudicante in quanto: 
    le norme di cui all'art. 14, comma  26  -  31,  decreto-legge  n.
78/2010 lungi dall'incidere  su  aspetti  particolari  o  su  singole
funzioni degli enti locali,  introducono  una  riforma  ordinamentale
giungendo a: delineare in  via  definitiva  l'elenco  delle  funzioni
fondamentali dei comuni, ai sensi dell'art. 117, comma 2,  lettera  p
(comma  27);  incidere  sull'assetto  organizzativo  dei  comuni  con
popolazione  inferiore  ai  5.000   abitanti   prevedendo,   in   via
definitiva, l'obbligo di esercizio in forma associata delle  funzioni
fondamentali stesse (commi 28 - 31-quinquies); 
    il decreto-legge n. 78 del  2010,  in  parte  qua,  inoltre,  non
appare  trarre  la  propria  legittimazione   dalla   necessita'   di
disciplinare  casi  straordinari,  bensi',  come  gia'  sottolineato,
arriva a dettare un'ordinaria  disciplina  ordinamentale  degli  enti
locali, senza peraltro contenere misure di immediata applicazione; 
    le disposizioni sull'obbligo di  esercizio  associato  non  hanno
trovato, infatti, immediata applicazione, essendo stato previsto, dal
comma 31-ter, in particolare,  un  loro  attuazione  dilazionata  nel
tempo. Tali termini sono stati, inoltre, piu' volte  prorogati,  sino
al termine ultimo del 31 dicembre 2016, fissato dall'art. 4, comma 4,
decreto-legge 30 dicembre  2015,  n.  210,  convertito  in  legge  25
febbraio 2016, n. 21; 
    le   medesime   disposizioni   non   sono   state   adeguatamente
giustificate nemmeno sotto il profilo dei risparmi di  spesa  che  si
sarebbero potuti  ottenere  in  virtu'  dell'intervento  riformatore,
risparmi  che,  nella  specie,  non  risultano   essere   stati   mai
quantificati. A tale riguardo  appare  sufficiente  riportare  taluni
passaggi della relazione tecnica presentata dal Governo alle  Camere,
in cui, con riferimento al testo originario dell'art. 14 del  78  del
2010 si afferma testualmente:  «Commi  25-32.  Razionalizzazione.  Le
disposizioni sono volte a razionalizzare l'esercizio  delle  funzioni
da parte degli enti di piu' piccola dimensione con risparmi  che  non
sono pero' quantificabili»; mentre con riferimento al testo novellato
dall'art. 19 del decreto-legge n. 95 del 2012: «la norma prevede,  in
particolare, l'obbligo dei comuni di modesta  dimensione  demografica
di costituire unioni di comuni. Il trasferimento da parte dei  comuni
delle risorse umane,  connesse  alle  funzioni  gestite  dall'unione,
garantisce l'invarianza della spesa non comportando nuovi o  maggiori
oneri per la finanza pubblica». 
    9.  Pur  ritenendosi  assorbente  la  questione  di  legittimita'
costituzionale di cui al punto precedente,  ove  la  medesima  verra'
ritenuta fondata, il collegio ritiene di sollevare anche le ulteriori
questioni prospettate da parte ricorrente, in  quanto  ritenute,  del
pari, non manifestamente infondate. 
    10. Le norme dell'art. 14, comma 26 - 31 decreto-legge n. 78/2010
appaiono, infatti, a questo collegio porsi altresi' in contrasto  con
gli articoli 3, 5, 95 e 97, 117, comma sesto,  114,  118  Cost.,  con
riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e  tutela
delle autonomie locali;  con  l'art.  117,  comma  primo,  Cost.  con
riferimento all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale. 
    L'esercizio associato delle funzioni comunali e' stato, sin dalla
sua  introduzione,  caratterizzato  dalla   volontarieta'   e   dalla
flessibilita', come e' dato evincere dal capo V  del  titolo  II  del
testo unico enti locali, che nel disciplinare  le  forme  associative
degli enti locali (convenzioni, consorzi, unioni di comuni, esercizio
associato di funzioni e servizi  da  parte  dei  comuni,  accordi  di
programma) prevede la volontarieta' nell'an e  la  flessibilita'  nel
quomodo della scelta delle forme associative alle quali aderire. 
    La normativa de qua sembra ribaltare questo assetto che, per  gli
enti locali di minori dimensioni, da volontario diviene obbligatorio,
da flessibile diviene rigido:  per  i  comuni  di  minori  dimensioni
l'esercizio di tutte le funzioni fondamentali elencate  al  comma  28
dell'art. 14, ad eccezione della tenuta dei registri di stato  civile
e di popolazione e compiti in materia di servizi  anagrafici  nonche'
in materia di servizi elettorali, nell'esercizio  delle  funzioni  di
competenza statale (lett. l), devono obbligatoriamente essere  svolte
in forma associata, con conseguente  obbligo  di  aggregazione  della
relativa organizzazione burocratica. 
    Cio'   comporta   delle   rilevanti   conseguenze   sul   normale
funzionamento del circuito democratico: 
        a)  gli  organi   gestionali   non   sono   piu'   sottoposti
all'indirizzo politico  degli  organi  rappresentativi.  Nell'attuale
ordinamento  degli  enti  locali,  gli  organi  politici  (consiglio,
giunta, sindaco) esercitano la funzione di controllo degli  appararti
burocratici  essenzialmente  tramite  due  strumenti:  il  potere  di
indirizzo politico - amministrativo (emanazione di direttive, piani e
programmi) e il potere di attribuzione degli  incarichi  di  funzione
dirigenziale. 
    Secondo il modello di gestione associata obbligatoria entrambi  i
poteri vengono sottratti agli organi  politici  comunali,  i  singoli
uffici vengono a perdere la loro individualita', dando vita  a  nuovi
uffici co-gestiti da  tutti  i  comuni  associati  e  al  conseguente
accentramento delle funzioni di indirizzo, con vulnus  del  principio
di responsabilita' politica  degli  organi  democraticamente  eletti,
espresso dagli articoli 95 e 97 Cost.  nonche'  dell'autonomia  degli
enti locali coinvolti. 
    Gia' la Corte costituzionale, nella sentenza n. 52 del 1969 aveva
sottolineato  come  «l'emanazione  dei  provvedimenti  amministrativi
demandati alla competenza degli organi rappresentativi del  comune  e
della  provincia  si  lega  con  nesso   inscindibile   all'attivita'
preparatoria ed a quella esecutiva: e non si puo' non riconoscere, in
verita', che la sfera di autonomia sarebbe compromessa se  agli  enti
ai quali essa e' riconosciuta e garantita fosse sottratta  del  tutto
la disponibilita' degli strumenti necessari alla sua esplicazione.» 
    Il  concetto  di  autonomia  locale  quale  diritto  e  capacita'
effettiva di amministrare  la  parte  piu'  importante  degli  affari
pubblici e' stato ancor piu' chiaramente  espresso  nella  cd.  Carta
europea  dell'autonomia  locale,  convenzione   europea   firmata   a
Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con  legge  30
dicembre 1989, n. 439,  come  tale  vincolante,  per  il  legislatore
interno, ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost., che all'art. 3 cosi'
statuisce: «1. Per  autonomia  locale,  s'intende  il  diritto  e  la
capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed
amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro  responsabilita',
e  a  favore  delle  popolazioni,  una  parte  importante  di  affari
pubblici. 2. Tale diritto  e'  esercitato  da  Consigli  e  Assemblee
costituiti da membri eletti a suffragio libero,  segreto,  paritario,
diretto ed universale, in  grado  di  disporre  di  organi  esecutivi
responsabili nei loro confronti»; 
        b) l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni
fondamentali appare, inoltre, comprimere, la  potesta'  regolamentare
dei comuni riconosciuta, dall'art. 117, comma  6  Cost.,  «in  ordine
alla  disciplina  dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle
funzioni loro attribuite». 
    La  Corte  costituzionale   ha   piu'   volte   sottolineato,   a
salvaguardia della posizione di autonomia dei comuni,  la  necessita'
di  chiarire  i  limiti  che  incontra  il  legislatore  nazionale  e
regionale nell'esercizio dei poteri di  coordinamento  dell'esercizio
delle funzioni locali. 
    Nella sentenza n. 229 del 2001, avente ad oggetto  la  disciplina
dell'associazionismo degli enti locali, nella specie delle  comunita'
montane, la Corte afferma  come  deve  senz'altro  riconoscersi  alla
Regione, «nell'esercizio della sua potesta' legislativa esclusiva  di
"ordinamento degli enti locali", il potere di valutare le esigenze di
coordinamento e di esercizio  integrato  delle  funzioni  degli  enti
locali e di prevedere, se del caso,  gli  strumenti  congruenti  allo
scopo, compresa tra questi l'istituzione di  altri  enti  locali  non
necessari [...] Tale potere, peraltro, non e'  assoluto,  l'esercizio
della potesta' legislativa regionale esclusiva  dovendo  essere,  tra
l'altro, «in armonia con la Costituzione,  con  i  principi  generali
dell'ordinamento   giuridico   della   Repubblica,   con   le   norme
fondamentali delle riforme economico-sociali». 
    Tanto  la  concreta  istituzione  quanto  la  soppressione  delle
comunita'   montane   comportano   un'intromissione   nell'originaria
autonomia  organizzativa  e  funzionale   dei   comuni   interessati,
autonomia che e' garantita dagli articoli 5  e  128  Cost.  [...]  Il
coordinamento tra la competenza regionale  esclusiva  in  materia  di
ordinamento degli enti locali e l'originaria posizione costituzionale
di autonomia di questi ultimi comporta - analogamente a quanto questa
Corte gia' ebbe  a  statuire  nella  sentenza  n.  83  del  1997,  in
riferimento a competenze comunali aventi diretto fondamento nell'art.
128 Cost. - che le determinazioni regionali relative alla creazione o
alla  soppressione  delle  comunita'  montane,  per  le   conseguenze
concrete che ne derivano sul modo  di  organizzarsi  e  sul  modo  di
esercitarsi   dell'autonomia   comunale,   debbano    necessariamente
coinvolgere gli stessi comuni interessati, con modalita' che la legge
regionale deve prevedere per assicurare la necessaria efficacia della
partecipazione comunale. 
    Dell'anzidetto principio  di  coinvolgimento  degli  enti  locali
infraregionali nelle determinazioni regionali «di  ordinamento»  sono
espressione tanto l'art. 3 del decreto legislativo n. 112  del  1998,
quanto l'art.  4  del  decreto  legislativo  n.  267  del  2000.  Nel
prevedere che le regioni ad autonomia ordinaria adottino la legge  di
allocazione delle funzioni tra i diversi livelli del Governo locale e
regionale, anche di natura associativa, il legislatore  nazionale  ha
stabilito che le regioni stesse istituiscano strumenti e procedure di
raccordo e concertazione,  anche  permanenti,  con  gli  enti  locali
(commi 2 e 5 dell'art. 3 del decreto legislativo n. 112). Sia  questo
un principio generale dell'ordinamento o una diretta conseguenza  dei
principi risultanti dagli articoli 5 e  128  Cost.,  ovvero  l'una  e
l'altra cosa, la conseguenza comunque  e'  che  tale  principio  vale
anche nei confronti delle determinazioni in materia  di  soppressione
delle comunita' montane assunte dalle regioni ad autonomia  speciale,
nell'esercizio della loro competenza in materia di ordinamento  degli
enti locali.» 
    La necessita' dell'effettiva  partecipazione  degli  enti  locali
nell'esercizio dei poteri legislativi statali e regionali in  materia
di ordinamento degli enti  locali  e'  stata  altresi'  ribadita,  da
ultimo nella sentenza n. 129 del 2016, con cui la Corte ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.   16,   comma   6,   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella  parte
in  cui  non  prevede,  nel  procedimento  di  determinazione   delle
riduzioni del Fondo  sperimentale  di  riequilibrio  da  applicare  a
ciascun comune nell'anno 2013, alcuna forma di  coinvolgimento  degli
enti interessati, ne' l'indicazione di un termine per l'adozione  del
decreto di  natura  non  regolamentare  del  Ministero  dell'interno:
«Nessun dubbio che, come gia' ripetutamente affermato da questa Corte
(sentenze n. 65 e n. 1 del 2016, n. 88 e n. 36 del 2014, n.  376  del
2003), le  politiche  statali  di  riduzione  delle  spese  pubbliche
possano  incidere  anche  sull'autonomia   finanziaria   degli   enti
territoriali; tuttavia, tale incidenza deve,  in  linea  di  massima,
essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento  nella
fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative
dimensioni  quantitative,  e  non  puo'  essere   tale   da   rendere
impossibile lo svolgimento delle funzioni  degli  enti  in  questione
(sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012).». 
    10.1. Per le medesime ragioni e  per  contrasto  con  gli  stessi
parametri costituzionali di cui al punto precedente, appare  altresi'
dubbia, a questo collegio, la legittimita'  costituzionale  dell'art.
1,  comma  110  e  111,  legge  regionale  Campania  n.  16/2014  che
nell'individuare gli ambiti ottimali per l'esercizio  delle  funzioni
fondamentali  ha  fatto   generico   riferimento   ai   cd.   sistemi
territoriali di sviluppo, previsti a loro volta in ambito urbanistico
dalla legge regionale n.  13  del  2008,  senza  in  merito  svolgere
adeguata istruttoria attraverso il  necessario  coinvolgimento  degli
enti locali interessati. 
    11. Infine, non manifestamente infondata appare la  questione  di
legittimita' costituzionale delle norme dell'art. 14,  comma  26  ss,
decreto-legge n. 78/2010 per violazione degli articoli 133, comma  2,
Cost., in relazione all'istituzione di nuovi comuni, e degli articoli
114  e  119  Cost.,  in  relazione  all'autonomia   organizzativa   e
finanziaria degli enti locali. 
    L'art. 133, comma 2, Cost., prevede che «La Regione,  sentite  le
popolazioni interessate, puo' con sue  leggi  istituire  nel  proprio
territorio  nuovi  comuni  e  modificare  le  loro  circoscrizioni  e
denominazioni». 
    Con riferimento alla questione di legittimita' dell'art.  16  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, nella parte in cui ha  previsto
la  possibilita'  (e,  dunque,  non  l'obbligo),  per  i  comuni  con
popolazione inferiore ai  1.000  abitanti,  dell'esercizio  in  forma
associata delle funzioni e dei servizi ad essi  spettanti,  la  Corte
costituzionale, con sentenza n. 44 del 2014, ha escluso il  contrasto
con l'art. 133, comma 2, Cost., della normativa censurata  in  quanto
«detta normativa non prevede  la  fusione  dei  piccoli  Comuni,  con
conseguente modifica delle circoscrizioni territoriali.  In  realta',
diversamente da quanto accade  in  caso  di  fusione,  gli  enti  che
partecipano all'unione non  si  estinguono,  ma  esercitano  le  loro
funzioni amministrative in forma associata». 
    Tali  affermazioni,  tuttavia,  meritano  di  essere   nuovamente
vagliate alla luce del disposto normativo in tale sede censurato. 
    L'esercizio associato imposto come forma obbligatoria  ai  comuni
di dimensioni minori dall'art. 14, comma 28, decreto-legge n. 78/2010
investe, infatti, tutte le funzioni fondamentali come individuate  al
comma 27 del medesimo art. 14, eccezion fatta per le funzioni di  cui
alla lettera l). 
    Sebbene  attraverso  l'esercizio  associato  di  tali   funzioni,
imposto per legge, gli enti  interessati  non  risultino  formalmente
estinti, occorre tuttavia interrogarsi sull'autonomia che,  ai  sensi
degli articoli 114, 117, comma 6, 118 e 119, Cost., residua  in  capo
ai medesimi in termini di: a) potesta' regolamentare; b)  titolarita'
d'esercizio di funzioni proprie o conferite; c) autonomia finanziaria
di entrata e di spesa. 
    Come correttamente osservato da parte ricorrente, l'autonomia  di
un ente territoriale non puo' essere disgiunta dalla  titolarita'  di
un  «nucleo  minimo»  di  attribuzioni  e  delle  correlate  potesta'
regolamentari e finanziarie. Questo nucleo minimo non puo' che essere
rappresentato dalle funzioni fondamentali, per  le  quali  opera  una
riserva costituzionale di esercizio individuale. 
    Le norme del decreto-legge n. 78 del 2010, in tal sede censurate,
hanno disposto la traslazione di tutte queste funzioni ad un soggetto
nuovo o diverso, spogliandone il precedente titolare,  cio'  che,  ai
fini  dell'art.  133,  comma  2  Cost.,  non   appare   distinguibile
dall'estinzione dell'ente locale per fusione o incorporazione. 
    La  mancata  previsione  del  coinvolgimento  delle   popolazioni
interessate, alla stregua del disposto dell'art. 133, comma 2, Cost.,
rende anche sotto tale profilo dubbia la legittimita'  della  riforma
operata dalle norme del decreto-legge n. 78 del 2010. 
    12. Alla luce delle considerazioni che precedono, in conclusione,
appare rilevante e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 26-31,  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica), convertito in legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio  2010,  n.  122,
per i seguenti profili: 
    a) per contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost., in relazione alla
evidente  carenza  dei  presupposti  di  straordinaria  necessita'  e
urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d'urgenza; 
    b) per contrasto con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto,
114, 118 Cost.,  con  riferimento  ai  principi  di  buon  andamento,
differenziazione e tutela  delle  autonomie  locali;  per  violazione
dell'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento  all'art.  3  della
Carta europea dell'autonomia locale; 
    c) per contrasto  con  gli  articoli  133,  comma  2,  Cost.,  in
relazione all'istituzione di nuovi comuni, e con gli articoli  114  e
119 Cost., in relazione  all'autonomia  organizzativa  e  finanziaria
degli enti locali; 
    nonche' la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 110 e 111, legge Regione Campania n. 16 del 2014 per  contrasto
con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost.,  con
riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e  tutela
delle autonomie locali. 
    13. Conseguentemente, ai sensi dell'art. 23, comma  2,  legge  11
marzo 1953,  n.  87,  il  presente  giudizio  e'  sospeso  fino  alla
definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima
Ter), visti gli articoli 1 della legge 9 febbraio 1948  n.  1,  e  23
della legge 11 marzo 1953 n. 87, riservata ogni ulteriore statuizione
sul merito e sulle spese, 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 26-31,  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica), convertito in legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio  2010,  n.  122,
per i seguenti profili: 
    a)  per  contrasto  con  l'art.  77,  secondo  comma,  Cost.,  in
relazione alla evidente  carenza  dei  presupposti  di  straordinaria
necessita' e urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale
d'urgenza; 
    b) per contrasto con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto,
114, 118 Cost.,  con  riferimento  ai  principi  di  buon  andamento,
differenziazione e tutela  delle  autonomie  locali;  per  violazione
dell'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento  all'art.  3  della
Carta europea dell'autonomia locale; 
    c) per contrasto con gli articoli 133, secondo comma,  Cost.,  in
relazione all'istituzione di nuovi comuni, e con gli articoli  114  e
119 Cost., in relazione  all'autonomia  organizzativa  e  finanziaria
degli enti locali; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  110  e  111,  legge
regionale Regione Campania n. 16  del  2014  per  contrasto  con  gli
articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost. 
    Dispone la sospensione parziale del presente  giudizio  e  ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti costituite e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  25
ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Germana Panzironi, Presidente; 
        Alessandro Tomassetti, consigliere; 
        Francesca Romano, referendario, estensore. 
 
                      Il Presidente: Panzironi 
 
 
                                                  L'estensore: Romano