N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2017
Ordinanza del 20 gennaio 2017 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto dal Comune di Liveri e altri contro Ministero dell'interno e altri. Enti locali - Comuni la cui popolazione rientri in un certo limite - Esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, commi 26, 27, 28, 29, 30 e 31. Enti locali - Norme della Regione Campania - Attuazione dell'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010 - Disciplina delle dimensioni territoriali relativamente a tale esercizio. - Legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 ("Interventi di rilancio e sviluppo dell'economia regionale nonche' di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilita' regionale 2014)"), art. 1, commi 110 e 111.(GU n.19 del 10-5-2017 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Prima Ter) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 6695 del 2015, proposto da: Comune di Liveri, Comune di Baia e Latina, Comune di Dragoni, Comune di Teora, Comune di Buonalbergo e Associazione per la Sussidiarieta' e la Modernizzazione degli Enti Locali - A.S.M.E.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Aldo Sandulli, Stefano Battini, Benedetto Cimino, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Fulcieri Paulucci De Calboli, 9; Contro Ministero dell'interno, Prefettura di Benevento, Prefettura di Caserta, Prefettura di Napoli, Prefettura di Avellino, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi 12; nei confronti di Comune di Domicella, Comune di Camigliano, Comune di Aquilonia, Comune di Foiano di Valforte, in persona dei legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio; per l'annullamento: della nota del Ministero dell'interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, del 12 gennaio 2015 avente ad oggetto l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unioni o convenzioni, da parte dei comuni; nonche' per l'accertamento negativo dell'obbligo dei comuni di stipulare una convenzione per l'esercizio in forma associata o tramite unione delle proprie funzioni fondamentali ai sensi dell'art. 14, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno, dell'U.T.G. - Prefettura di Benevento, dell'U.T.G. - Prefettura di Caserta, dell'U.T.G. - Prefettura di Napoli e dell'U.T.G. - Prefettura di Avellino; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2016 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. Gli enti ricorrenti, unitamente all'A.S.M.E.L., sono comuni campani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti rispetto ai quali trova applicazione la disciplina, posta dall'art. 14, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, come successivamente modificato, che, ai commi da 26 a 31 ha dettato le disposizioni «dirette ad assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l'esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni», imponendo ai comuni di dimensioni minori l'obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali, come dalla legge individuate. In Campania tali disposizioni hanno trovato attuazione con la legge regionale 7 agosto 2014, n. 16 che, all'art. 1, commi 110 e 11, ha previsto che la «dimensione territoriale ottimale e omogenea per l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma obbligatoriamente associata» coincida con i c.d. sistemi territoriali di sviluppo previsti, a fini urbanistici e di coesione territoriale, dalla legge regionale 13 ottobre 2008, n. 13, rinviando, per la restante disciplina, alle previsioni del decreto-legge n. 78 del 2010. All'indomani della scadenza del termine di adempimento fissato dalla normativa statale alla data del 31 dicembre 2014, il Ministero dell'interno ha emanato la circolare 12 gennaio 2015 recante «Esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unioni o convenziono da parte dei comuni», con la quale ha dettato una prima disciplina attuativa degli obblighi di legge, imponendo alle Prefetture di procedere alla ricognizione dello stato di attuazione della normativa e di diffidare i comuni inadempimenti, secondo specifiche tempistiche e modalita'. Il termine di scadenza, con legge 27 febbraio 2015, n. 11, e' stato, differito al 31 dicembre 2015, per poi essere nuovamente differito, con d. legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito in legge 25 febbraio 2016, n. 21, al 31 dicembre 2016. 2. Con il presente ricorso i comuni e l'associazione ricorrenti agiscono, dunque, innanzi a questo giudice per l'annullamento della circolare ministeriale 12 gennaio 2015, deducendo che il gravato provvedimento sarebbe affetto da illegittimita' derivata a causa dell'illegittimita' costituzionale della disciplina legislativa sulla cui base e' stata adottata e per il conseguente accertamento negativo dell'obbligo di stipulare le convenzioni per l'esercizio in forma associata delle proprie funzioni fondamentali. Gli enti ricorrenti ritengono sussistere il loro interesse a ricorrere nonostante l'intervenuta proroga del termine di scadenza, poiche' la suddetta proroga non investe l'attualita' dell'obbligo loro imposto, ma solo l'esercizio dei poteri governativi sostitutivi e di diffida. 3. L'amministrazione dell'Interno si e' costituita in giudizio eccependo, principalmente, l'inammissibilita' del ricorso per carenza di interesse dei comuni ricorrenti stante la mancanza di una lesione concreta e attuale. 4. All'esito della pubblica udienza del 16 febbraio 2016 il collegio ha chiesto documentati chiarimenti sulla fattispecie controversa alla resistente amministrazione che ha successivamente provveduto con il deposito documentale del 23 giugno 2016. 5. Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2016 la causa e' passata in decisione. 6. In via preliminare, giova precisare, in punto di rito, che la fattispecie in esame rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera a, n. 2, c.p.a., ipotesi concernente la «formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni». Il petitum della presente controversia concerne, infatti, la domanda di accertamento dell'obbligo per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, di procedere alla costituzione di Unioni di comuni o di convenzioni per l'esercizio associato delle loro funzioni fondamentali, e con essa, la domanda caducatoria della circolare 12 gennaio 2015: l'oggetto di ambedue le domande verte, dunque, sull'utilizzo obbligatorio dei «moduli convenzionali» da parte degli enti locali ricorrenti, come tale, rientrante nella previsione dell'art. 133, comma 1, lettera a, n. 2, c.p.a. 2. Sussiste, altresi', l'interesse e la legittimazione a ricorrere sia dei comuni ricorrenti, in quanto comuni direttamente incisi dal gravato provvedimento, come sara' meglio precisato di seguito, sia dell'Associazione per la Sussidiarieta' e la Modernizzazione degli Enti Locali (A.S.M.E.L.), associazione che ha tra le proprie finalita' la valorizzazione del sistema delle istituzioni locali, in particolare, dei principi di sussidiarieta', autonomia e decentramento sui quali la questione dibattuta (ovvero la non obbligatorieta' per i comuni di piccole dimensioni dell'utilizzo dei moduli associativi previsti) ha, indubbiamente, un'incidenza immediata; trattasi, altresi', di ente esponenziale spontaneo dotato di rappresentativita' degli interessi degli enti locali aderenti rispetto al quale non e' ravvisabile alcuna posizione di conflitto tra l'interesse in tale sede azionato e quello afferente i singoli enti consociati. Pertanto, sulla base degli stessi principi da ultimo affermati dall'Adunanza Plenaria, nella decisione 2 novembre 2015, n. 2, l'A.S.M.E.L. puo' ritenersi ente legittimato al presente ricorso. 3. Questo collegio ritiene pregiudiziale rispetto alla decisione sul merito rimettere alla Corte costituzionale la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 26 ss., decreto-legge n. 78/2010, sollevata da parte ricorrente nei propri motivi di ricorso, ricorrendone entrambi i presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza. 4. In ordine ai presupposti della rilevanza della questione, va ricordato come, secondo un principio enunciato dalla Corte costituzionale fin dalle sue prime pronunce, «la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l''unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimita' costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (Corte cost. n. 4 del 2000; n. 59 del 1957; piu' recentemente, Corte costituzionale n. 1 del 2014). Nel caso in esame, tale condizione e' soddisfatta, perche' il petitum oggetto del giudizio principale e' costituito dalla pronuncia di accertamento negativo della sussistenza dell'obbligo, per i comuni ricorrenti, di associarsi in via convenzionale, e dalla correlata pronuncia di annullamento della circolare ministeriale. A tale riguardo occorre, infatti, precisare che la circolare impugnata riveste un contenuto complesso: nella parte in cui richiama le norme poste dall'art. 14, decreto-legge n. 78/2010, ha carattere meramente ricognitivo della normativa in materia; nella parte in cui ordina ai Prefetti, alla scadenza del termine di legge, l'adozione di un formale atto di diffida, nei confronti degli enti locali rimasti inadempienti, entro un termine perentorio da stabilire in relazione alle specificita' e criticita' rilevate, ha un'indubbia portata precettiva. Sotto tale profilo, dunque, e' atto immediatamente lesivo per i comuni ricorrenti e, in quanto tale, autonomamente impugnabile. L'attualita' dell'interesse a ricorrere, peraltro, permane nonostante le intervenute proroghe del termine fissato dalla legge per l'attuazione dell'obbligo legale gravante sugli enti locali ricorrenti. La scadenza del termine, da ultimo fissata al 31 dicembre 2016, infatti, non incide sull'attualita' della lesione che non diviene per cio' solo meramente eventuale, rimanendo comunque certo il momento in cui la stessa si realizzera'. La circolare gravata, d'altra parte, impone agli enti interessati precise attivita' prodromiche all'attuazione dell'obbligo legislativamente imposto, dunque obblighi attuali al momento della proposizione del ricorso e tutt'oggi perduranti, stante l'imminente scadenza del termine per l'attuazione finale del disposto normativo, con l'avvertimento che, in caso di inadempienza, «e' previsto il potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, previo intervento del Prefetto che, decorsi i termini, assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere (comma 31-quater)». Gli enti ricorrenti deducono, quindi, l'illegittimita' derivata della circolare impugnata lamentando l'illegittimita' costituzionale della normativa primaria sulla cui base essa e' stata adottata. La questione di costituzionalita' dell'art. 14, comma 26 - 31, decreto-legge n. 78 del 2010, e', dunque, pregiudiziale rispetto alla decisione definitiva del presente ricorso, risultando quest'ultima strettamente dipendente dall'esito del giudizio di costituzionalita'. 5. La questione di costituzionalita', oltre che rilevante, non appare, a questo collegio, manifestamente infondata sotto i profili che saranno di seguito evidenziati. Il quadro normativo di riferimento in materia e' il frutto di una serie di interventi normativi che si sono cosi' succeduti nel tempo: la legge 5 maggio 2009, n. 42 di «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione» ha dettato all'art. 21 una prima elencazione provvisoria delle funzioni rilevanti, per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard dei comuni; e' intervenuto, quindi, il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», convertito in legge, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122, che all'art. 14, comma 26 - 31, successivamente modificato dall'art. 19, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha cosi' statuito: «26. L'esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni e' obbligatorio per l'ente titolare. 27. Ferme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo; b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale; c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente; d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonche' la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale; e) attivita', in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi; f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi; g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'art. 118, quarto comma, della Costituzione; h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici; i) polizia municipale e polizia amministrativa locale; l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonche' in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale; l-bis) i servizi in materia statistica. 28. I comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunita' montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di piu' isole e il Comune di Campione d'Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di cui al comma 27, ad esclusione della lettera l). Se l'esercizio di tali funzioni e' legato alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, i comuni le esercitano obbligatoriamente in forma associata secondo le modalita' stabilite dal presente articolo, fermo restando che tali funzioni comprendono la realizzazione e la gestione di infrastrutture tecnologiche, rete dati, fonia, apparati, di banche dati, di applicativi software, l'approvvigionamento di licenze per il software, la formazione informatica e la consulenza nel settore dell'informatica. 28-bis. Per le unioni di cui al comma 28 si applica l'art. 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. 29. I comuni non possono svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata. La medesima funzione non puo' essere svolta da piu' di una forma associativa. 30. La regione, nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individua, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni delle funzioni fondamentali di cui al comma 28, secondo i principi di efficacia, economicita', di efficienza e di riduzione delle spese, secondo le forme associative previste dal comma 28. Nell'ambito della normativa regionale, i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa. 31. Il limite demografico minimo delle unioni e delle convenzioni di cui al presente articolo e' fissato in 10.000 abitanti, ovvero in 3.000 abitanti se i comuni appartengono o sono appartenuti a comunita' montane, fermo restando che, in tal caso, le unioni devono essere formate da almeno tre comuni, e salvi il diverso limite demografico ed eventuali deroghe in ragione di particolari condizioni territoriali, individuati dalla regione. Il limite non si applica alle unioni di comuni gia' costituite. 31-bis. Le convenzioni di cui al comma 28 hanno durata almeno triennale e alle medesime si applica, in quanto compatibile, l'art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Ove alla scadenza del predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, secondo modalita' stabilite con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sei mesi, sentita la Conferenza Stato-Citta' e autonomie locali, i comuni interessati sono obbligati ad esercitare le funzioni fondamentali esclusivamente mediante unione di comuni. 31-ter. I comuni interessati assicurano l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo: a) entro il 1° gennaio 2013 con riguardo ad almeno tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 28; b) entro il 30 settembre 2014, con riguardo ad ulteriori tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 27; b-bis) entro il 31 dicembre 2014, con riguardo alle restanti funzioni fondamentali di cui al comma 27; 31-quater. In caso di decorso dei termini di cui al comma 31-ter, il prefetto assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, trova applicazione l'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 31-quinquies. Nell'ambito dei processi associativi di cui ai commi 28 e seguenti, le spese di personale e le facolta' assunzionali sono considerate in maniera cumulata fra gli enti coinvolti, garantendo forme di compensazione fra gli stessi, fermi restando i vincoli previsti dalle vigenti disposizioni e l'invarianza della spesa complessivamente considerata.»; e' intervenuta, da ultimo, la legge 7 aprile 2014, n. 56 recante «Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», che all'art. 1, comma 121 ha ulteriormente stabilito che: «121. Gli obblighi di esercizio associato di funzioni comunali derivanti dal comma 28 dell'art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, si applicano ai comuni derivanti da fusione entro i limiti stabiliti dalla legge regionale, che puo' fissare una diversa decorrenza o modularne i contenuti. In mancanza di diversa normativa regionale, i comuni istituiti mediante fusione che raggiungono una popolazione pari o superiore a 3.000 abitanti, oppure a 2.000 abitanti se appartenenti o appartenuti a comunita' montane, e che devono obbligatoriamente esercitare le funzioni fondamentali dei comuni, secondo quanto previsto dal citato comma 28 dell'art. 14, sono esentati da tale obbligo per un mandato elettorale»; per la Regione Campania la disciplina delle dimensioni territoriali per l'esercizio del relativo obbligo associativo e' stata infine posta, come gia' riferito, dalla legge regionale 7 agosto 2014, n. 16. 6. Gli enti ricorrenti impugnano, quindi, la circolare ministeriale attuativa dell'obbligo di esercizio associato delle funzioni comunali, domandando altresi' l'accertamento negativo di tale obbligo, per illegittimita' derivata dell'atto dall'illegittimita' costituzionale della normativa sopra richiamata, deducendo: I. Incostituzionalita' dell'art. 14, commi 26 ss., del decreto-legge n. 78 del 2010 per violazione dell'art. 77 Cost. per carenza manifesta dei requisiti di necessita' ed urgenza; II. Incostituzionalita' dell'art. 14, commi 26 ss., del decreto-legge n. 78 del 2010 per violazione degli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost., con riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali; per violazione dell'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale; per violazione degli articoli 3 e 97 per irragionevolezza e contraddittorieta' intrinseca ed estrinseca. Incostituzionalita' dell'art. 1, commi 110 e 111, legge regionale Campania n. 16 del 2014; III. Incostituzionalita' per violazione o elusione delle procedure previste dall'art. 133 Cost. per l'istituzione di nuovi comuni. Violazione degli articoli 114 e 119 Cost. in relazione all'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali. 7. Il collegio ritiene che i dubbi di legittimita' costituzionali rappresentati da parte ricorrente non siano manifestamente infondati. 8. La prima questione sollevata concerne la lamentata carenza dei presupposti di necessita' e di urgenza per l'adozione del decreto-legge. L'art. 77, comma 2, Cost., infatti, dispone che «in casi straordinari di necessita' e d'urgenza» il Governo e' legittimato ad adottare «provvedimenti provvisori con forza di legge» destinati a perdere efficacia ex tunc ove non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. La dottrina ritiene, tradizionalmente, che la legge di conversione, avente natura di legge sostanziale, si sostituisce, quanto meno per l'avvenire, al decreto-legge convertito; da quel momento, pertanto, le norme che questo aveva provvisoriamente introdotte vedono rinnovata la propria fonte che, dunque, non e' piu' il provvedimento governativo bensi' la successiva legge di conversione (cd. novazione della fonte). Sulla base di tale insegnamento si era formato l'indirizzo della giurisprudenza costituzionale piu' risalente che negava la sindacabilita' di ogni vizio proprio del decreto-legge a seguito della legge di conversione, facendo leva sulla configurazione di quest'ultima come forma di novazione (Corte cost. n. 108 del 1986, n. 243 del 1987, nn. 808, 810, 1033, 1035 e 1060 del 1988, n. 263 del 1994). Tale orientamento, a partire dalla sentenza n. 29 del 1995, e' stato dalla Corte costituzionale abbandonato, laddove e' stata, per la prima volta, esclusa l'efficacia sanante della legge di conversione. Nella citata sentenza n. 29 del 1995, la Corte ha affermato che ai sensi dell'art. 77 Cost., «la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione». Pertanto, prosegue la sentenza in esame, «non esiste alcuna preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validita' costituzionale relativi alla pre-esistenza dei presupposti di necessita' e urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa». Sebbene talune pronunce abbiano in alcuni casi fatto riemergere la tradizionale impostazione dell'efficacia sanante della legge di conversione (cfr. sentenza n. 419 del 2000; n. 376 del 2001; e n. 16 e 29 del 2002), tuttavia, e' stata successivamente pressoche' costantemente affermata, dal giudice delle leggi, la possibilita' del sindacato sui presupposti di necessita' e urgenza del decreto-legge - esercitabile pero' solo nei limiti della loro «evidente mancanza» - anche dopo la conversione in legge (cfr. sentenze n. 341 del 2003; nn. 6 e 178, 196, 285 e 299 del 2004; nn. 2, 62 e 272 del 2005), fino ad arrivare alla sentenza n. 171 del 2007, che, per la prima volta, ha dichiarato fondata (e non solamente ammissibile) la questione di incostituzionalita' della legge di conversione per la carenza evidente dei presupposti di necessita' e urgenza rispetto all'adozione del decreto-legge convertito. Tra le pronunce che ne sono seguite, tutte ormai confermative dell'indirizzo favorevole alla declaratoria di incostituzionalita' della legge di conversione per carenza dei presupposti di necessita' e urgenza (cfr. sentenze n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014), merita di essere richiamata, in tale sede, la sentenza n. 220 del 2013 che, nel dichiarare fondate talune questioni di legittimita' costituzionale rispetto alle norme di riforma delle Province contenute nel decreto-legge n. 95/2012, ha reso importanti affermazioni sulla legittimita' dell'utilizzo del decreto-legge al fine di introdurre norme ordinamentali in materia di enti locali. «Si deve osservare innanzitutto che l'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dei seguenti ambiti: «legislazione elettorale, organi di Governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». La citata norma costituzionale indica le componenti essenziali dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, per loro natura disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei principi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali. E' appena il caso di rilevare che si tratta di norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di «casi straordinari di necessita' e d'urgenza». Da quanto detto si ricava una prima conseguenza sul piano della legittimita' costituzionale: ben potrebbe essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di Governo, secondo valutazioni di opportunita' politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresi', in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, e' incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell'intero sistema, su cui da tempo e' aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessita', da un «caso straordinario di necessita' e d'urgenza». I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessita'. Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»). La norma citata, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita cio' che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla costruzione di nuove strutture istituzionali, senza peraltro che i perseguiti risparmi di spesa siano, allo stato, concretamente valutabili ne' quantificabili, seppur in via approssimativa.» (cosi', Corte costituzionale n. 220/2013). I principi cosi' affermati appaiono confacenti alle norme poste all'attenzione di questo collegio giudicante in quanto: le norme di cui all'art. 14, comma 26 - 31, decreto-legge n. 78/2010 lungi dall'incidere su aspetti particolari o su singole funzioni degli enti locali, introducono una riforma ordinamentale giungendo a: delineare in via definitiva l'elenco delle funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera p (comma 27); incidere sull'assetto organizzativo dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti prevedendo, in via definitiva, l'obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali stesse (commi 28 - 31-quinquies); il decreto-legge n. 78 del 2010, in parte qua, inoltre, non appare trarre la propria legittimazione dalla necessita' di disciplinare casi straordinari, bensi', come gia' sottolineato, arriva a dettare un'ordinaria disciplina ordinamentale degli enti locali, senza peraltro contenere misure di immediata applicazione; le disposizioni sull'obbligo di esercizio associato non hanno trovato, infatti, immediata applicazione, essendo stato previsto, dal comma 31-ter, in particolare, un loro attuazione dilazionata nel tempo. Tali termini sono stati, inoltre, piu' volte prorogati, sino al termine ultimo del 31 dicembre 2016, fissato dall'art. 4, comma 4, decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito in legge 25 febbraio 2016, n. 21; le medesime disposizioni non sono state adeguatamente giustificate nemmeno sotto il profilo dei risparmi di spesa che si sarebbero potuti ottenere in virtu' dell'intervento riformatore, risparmi che, nella specie, non risultano essere stati mai quantificati. A tale riguardo appare sufficiente riportare taluni passaggi della relazione tecnica presentata dal Governo alle Camere, in cui, con riferimento al testo originario dell'art. 14 del 78 del 2010 si afferma testualmente: «Commi 25-32. Razionalizzazione. Le disposizioni sono volte a razionalizzare l'esercizio delle funzioni da parte degli enti di piu' piccola dimensione con risparmi che non sono pero' quantificabili»; mentre con riferimento al testo novellato dall'art. 19 del decreto-legge n. 95 del 2012: «la norma prevede, in particolare, l'obbligo dei comuni di modesta dimensione demografica di costituire unioni di comuni. Il trasferimento da parte dei comuni delle risorse umane, connesse alle funzioni gestite dall'unione, garantisce l'invarianza della spesa non comportando nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». 9. Pur ritenendosi assorbente la questione di legittimita' costituzionale di cui al punto precedente, ove la medesima verra' ritenuta fondata, il collegio ritiene di sollevare anche le ulteriori questioni prospettate da parte ricorrente, in quanto ritenute, del pari, non manifestamente infondate. 10. Le norme dell'art. 14, comma 26 - 31 decreto-legge n. 78/2010 appaiono, infatti, a questo collegio porsi altresi' in contrasto con gli articoli 3, 5, 95 e 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost., con riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali; con l'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale. L'esercizio associato delle funzioni comunali e' stato, sin dalla sua introduzione, caratterizzato dalla volontarieta' e dalla flessibilita', come e' dato evincere dal capo V del titolo II del testo unico enti locali, che nel disciplinare le forme associative degli enti locali (convenzioni, consorzi, unioni di comuni, esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni, accordi di programma) prevede la volontarieta' nell'an e la flessibilita' nel quomodo della scelta delle forme associative alle quali aderire. La normativa de qua sembra ribaltare questo assetto che, per gli enti locali di minori dimensioni, da volontario diviene obbligatorio, da flessibile diviene rigido: per i comuni di minori dimensioni l'esercizio di tutte le funzioni fondamentali elencate al comma 28 dell'art. 14, ad eccezione della tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonche' in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale (lett. l), devono obbligatoriamente essere svolte in forma associata, con conseguente obbligo di aggregazione della relativa organizzazione burocratica. Cio' comporta delle rilevanti conseguenze sul normale funzionamento del circuito democratico: a) gli organi gestionali non sono piu' sottoposti all'indirizzo politico degli organi rappresentativi. Nell'attuale ordinamento degli enti locali, gli organi politici (consiglio, giunta, sindaco) esercitano la funzione di controllo degli appararti burocratici essenzialmente tramite due strumenti: il potere di indirizzo politico - amministrativo (emanazione di direttive, piani e programmi) e il potere di attribuzione degli incarichi di funzione dirigenziale. Secondo il modello di gestione associata obbligatoria entrambi i poteri vengono sottratti agli organi politici comunali, i singoli uffici vengono a perdere la loro individualita', dando vita a nuovi uffici co-gestiti da tutti i comuni associati e al conseguente accentramento delle funzioni di indirizzo, con vulnus del principio di responsabilita' politica degli organi democraticamente eletti, espresso dagli articoli 95 e 97 Cost. nonche' dell'autonomia degli enti locali coinvolti. Gia' la Corte costituzionale, nella sentenza n. 52 del 1969 aveva sottolineato come «l'emanazione dei provvedimenti amministrativi demandati alla competenza degli organi rappresentativi del comune e della provincia si lega con nesso inscindibile all'attivita' preparatoria ed a quella esecutiva: e non si puo' non riconoscere, in verita', che la sfera di autonomia sarebbe compromessa se agli enti ai quali essa e' riconosciuta e garantita fosse sottratta del tutto la disponibilita' degli strumenti necessari alla sua esplicazione.» Il concetto di autonomia locale quale diritto e capacita' effettiva di amministrare la parte piu' importante degli affari pubblici e' stato ancor piu' chiaramente espresso nella cd. Carta europea dell'autonomia locale, convenzione europea firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439, come tale vincolante, per il legislatore interno, ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost., che all'art. 3 cosi' statuisce: «1. Per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici. 2. Tale diritto e' esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti»; b) l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali appare, inoltre, comprimere, la potesta' regolamentare dei comuni riconosciuta, dall'art. 117, comma 6 Cost., «in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite». La Corte costituzionale ha piu' volte sottolineato, a salvaguardia della posizione di autonomia dei comuni, la necessita' di chiarire i limiti che incontra il legislatore nazionale e regionale nell'esercizio dei poteri di coordinamento dell'esercizio delle funzioni locali. Nella sentenza n. 229 del 2001, avente ad oggetto la disciplina dell'associazionismo degli enti locali, nella specie delle comunita' montane, la Corte afferma come deve senz'altro riconoscersi alla Regione, «nell'esercizio della sua potesta' legislativa esclusiva di "ordinamento degli enti locali", il potere di valutare le esigenze di coordinamento e di esercizio integrato delle funzioni degli enti locali e di prevedere, se del caso, gli strumenti congruenti allo scopo, compresa tra questi l'istituzione di altri enti locali non necessari [...] Tale potere, peraltro, non e' assoluto, l'esercizio della potesta' legislativa regionale esclusiva dovendo essere, tra l'altro, «in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali». Tanto la concreta istituzione quanto la soppressione delle comunita' montane comportano un'intromissione nell'originaria autonomia organizzativa e funzionale dei comuni interessati, autonomia che e' garantita dagli articoli 5 e 128 Cost. [...] Il coordinamento tra la competenza regionale esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e l'originaria posizione costituzionale di autonomia di questi ultimi comporta - analogamente a quanto questa Corte gia' ebbe a statuire nella sentenza n. 83 del 1997, in riferimento a competenze comunali aventi diretto fondamento nell'art. 128 Cost. - che le determinazioni regionali relative alla creazione o alla soppressione delle comunita' montane, per le conseguenze concrete che ne derivano sul modo di organizzarsi e sul modo di esercitarsi dell'autonomia comunale, debbano necessariamente coinvolgere gli stessi comuni interessati, con modalita' che la legge regionale deve prevedere per assicurare la necessaria efficacia della partecipazione comunale. Dell'anzidetto principio di coinvolgimento degli enti locali infraregionali nelle determinazioni regionali «di ordinamento» sono espressione tanto l'art. 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998, quanto l'art. 4 del decreto legislativo n. 267 del 2000. Nel prevedere che le regioni ad autonomia ordinaria adottino la legge di allocazione delle funzioni tra i diversi livelli del Governo locale e regionale, anche di natura associativa, il legislatore nazionale ha stabilito che le regioni stesse istituiscano strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, con gli enti locali (commi 2 e 5 dell'art. 3 del decreto legislativo n. 112). Sia questo un principio generale dell'ordinamento o una diretta conseguenza dei principi risultanti dagli articoli 5 e 128 Cost., ovvero l'una e l'altra cosa, la conseguenza comunque e' che tale principio vale anche nei confronti delle determinazioni in materia di soppressione delle comunita' montane assunte dalle regioni ad autonomia speciale, nell'esercizio della loro competenza in materia di ordinamento degli enti locali.» La necessita' dell'effettiva partecipazione degli enti locali nell'esercizio dei poteri legislativi statali e regionali in materia di ordinamento degli enti locali e' stata altresi' ribadita, da ultimo nella sentenza n. 129 del 2016, con cui la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell'anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, ne' l'indicazione di un termine per l'adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno: «Nessun dubbio che, come gia' ripetutamente affermato da questa Corte (sentenze n. 65 e n. 1 del 2016, n. 88 e n. 36 del 2014, n. 376 del 2003), le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull'autonomia finanziaria degli enti territoriali; tuttavia, tale incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non puo' essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione (sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012).». 10.1. Per le medesime ragioni e per contrasto con gli stessi parametri costituzionali di cui al punto precedente, appare altresi' dubbia, a questo collegio, la legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 110 e 111, legge regionale Campania n. 16/2014 che nell'individuare gli ambiti ottimali per l'esercizio delle funzioni fondamentali ha fatto generico riferimento ai cd. sistemi territoriali di sviluppo, previsti a loro volta in ambito urbanistico dalla legge regionale n. 13 del 2008, senza in merito svolgere adeguata istruttoria attraverso il necessario coinvolgimento degli enti locali interessati. 11. Infine, non manifestamente infondata appare la questione di legittimita' costituzionale delle norme dell'art. 14, comma 26 ss, decreto-legge n. 78/2010 per violazione degli articoli 133, comma 2, Cost., in relazione all'istituzione di nuovi comuni, e degli articoli 114 e 119 Cost., in relazione all'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali. L'art. 133, comma 2, Cost., prevede che «La Regione, sentite le popolazioni interessate, puo' con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni». Con riferimento alla questione di legittimita' dell'art. 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, nella parte in cui ha previsto la possibilita' (e, dunque, non l'obbligo), per i comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti, dell'esercizio in forma associata delle funzioni e dei servizi ad essi spettanti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 44 del 2014, ha escluso il contrasto con l'art. 133, comma 2, Cost., della normativa censurata in quanto «detta normativa non prevede la fusione dei piccoli Comuni, con conseguente modifica delle circoscrizioni territoriali. In realta', diversamente da quanto accade in caso di fusione, gli enti che partecipano all'unione non si estinguono, ma esercitano le loro funzioni amministrative in forma associata». Tali affermazioni, tuttavia, meritano di essere nuovamente vagliate alla luce del disposto normativo in tale sede censurato. L'esercizio associato imposto come forma obbligatoria ai comuni di dimensioni minori dall'art. 14, comma 28, decreto-legge n. 78/2010 investe, infatti, tutte le funzioni fondamentali come individuate al comma 27 del medesimo art. 14, eccezion fatta per le funzioni di cui alla lettera l). Sebbene attraverso l'esercizio associato di tali funzioni, imposto per legge, gli enti interessati non risultino formalmente estinti, occorre tuttavia interrogarsi sull'autonomia che, ai sensi degli articoli 114, 117, comma 6, 118 e 119, Cost., residua in capo ai medesimi in termini di: a) potesta' regolamentare; b) titolarita' d'esercizio di funzioni proprie o conferite; c) autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Come correttamente osservato da parte ricorrente, l'autonomia di un ente territoriale non puo' essere disgiunta dalla titolarita' di un «nucleo minimo» di attribuzioni e delle correlate potesta' regolamentari e finanziarie. Questo nucleo minimo non puo' che essere rappresentato dalle funzioni fondamentali, per le quali opera una riserva costituzionale di esercizio individuale. Le norme del decreto-legge n. 78 del 2010, in tal sede censurate, hanno disposto la traslazione di tutte queste funzioni ad un soggetto nuovo o diverso, spogliandone il precedente titolare, cio' che, ai fini dell'art. 133, comma 2 Cost., non appare distinguibile dall'estinzione dell'ente locale per fusione o incorporazione. La mancata previsione del coinvolgimento delle popolazioni interessate, alla stregua del disposto dell'art. 133, comma 2, Cost., rende anche sotto tale profilo dubbia la legittimita' della riforma operata dalle norme del decreto-legge n. 78 del 2010. 12. Alla luce delle considerazioni che precedono, in conclusione, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 26-31, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122, per i seguenti profili: a) per contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost., in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessita' e urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d'urgenza; b) per contrasto con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost., con riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali; per violazione dell'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale; c) per contrasto con gli articoli 133, comma 2, Cost., in relazione all'istituzione di nuovi comuni, e con gli articoli 114 e 119 Cost., in relazione all'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali; nonche' la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 110 e 111, legge Regione Campania n. 16 del 2014 per contrasto con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost., con riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali. 13. Conseguentemente, ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), visti gli articoli 1 della legge 9 febbraio 1948 n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, riservata ogni ulteriore statuizione sul merito e sulle spese, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 26-31, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122, per i seguenti profili: a) per contrasto con l'art. 77, secondo comma, Cost., in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessita' e urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d'urgenza; b) per contrasto con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost., con riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali; per violazione dell'art. 117, comma primo, Cost. con riferimento all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale; c) per contrasto con gli articoli 133, secondo comma, Cost., in relazione all'istituzione di nuovi comuni, e con gli articoli 114 e 119 Cost., in relazione all'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 110 e 111, legge regionale Regione Campania n. 16 del 2014 per contrasto con gli articoli 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 Cost. Dispone la sospensione parziale del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati: Germana Panzironi, Presidente; Alessandro Tomassetti, consigliere; Francesca Romano, referendario, estensore. Il Presidente: Panzironi L'estensore: Romano