N. 68 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 2017
Ordinanza del 20 dicembre 2016 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Andreozzi Ernesto e altri contro Ministero dell'economia e delle finanze. Procedimento civile - Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Termine decadenziale di sei mesi per la proposizione della domanda - Decorrenza dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e' divenuta definitiva. - Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), art. 4, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.(GU n.20 del 17-5-2017 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sesta sezione civile - 2 Composta dagli ill.mi signori magistrati: dott. Stefano Petitti - Presidente; dott. Luigi Giovanni Lombardo - rel. consigliere; dott. Elisa Picaroni - consigliere; dott. Milena Falaschi - consigliere; dott. Luigi Abete - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria, sul ricorso 16529-2015 proposto da: Dominici Giancarlo, Riccardi Giuliana, Seriani Ruggero, Mei Manuela, Venuti Elisabetta, Virdis Paola, Paciucci Giuseppe, Frazzica Concetta, Taburchi Tiziana, Pennino Silvia, Calcatelli Mauro, D'Alessio Bruna, De Gennaro Paolo, Fidanza Anna Maria, Montalbetti Dario, Montalbetti Donatella, Bucci Annamaria, De Sario Annarita, Ricci Antonio, Tontoli Giuseppe, De Angelis Massimo, Palmato Antonio, Benedetti Carlo, Curcio Sergio, De Carolis Isabella, Faucio Nunzio, Delfino Carmela, Tessarolo Ivana, Vincentini Evelina, Musso Cinzia, Troiano Michele, Puleio Domenico, Barcherini Luisa, Cammarata Filippo, Castellani Cristina, Maurizi Riccardo, Del Gaudio Paola, Galoppi Elena, Mattei Lorella, Montano Antonio, Nanni Gianni, Fonsdituri Domenichella, Trabucco Antonio, Ranucci Luigi, Aversano Anna Marina, Cerasi Elena, Cordovani Giuliana, Fiore Anna Maria, Andreozzi Ernesto, Fidani Gabriella, Ruggiero Salvatore, Liti Sandro, Valeri Ivana, Recano Pasquale, Pinna Maria Antonietta, Di Mattia Daniela, Muzi Roberto, Vittori Fernanda, Anselmi Maria, Testa Orietta, Odoacre Maria, Pugliese Antonia, elettivamente domiciliati in Roma, piazza della Liberta' n. 20, presso lo studio dell'avvocato Michele Rosario Luca Lioi, che li rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all'avvocato Stefano Viti, giuste procure in calce al ricorso; ricorrenti; Contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; controricorrente; Avverso il decreto n. 1651/2014 della Corte d'appello di Perugia, emesso il 13 ottobre 2014 e depositato il 15 dicembre 2014; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 ottobre 2016 dal consigliere relatore dott. Luigi Giovanni Lombardo; Udito l'Avvocato Stefano Viti, per i ricorrenti, che si riporta agli scritti. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso depositato il 19 giugno 2013, Andreozzi Ernesto e gli altri ricorrenti di cui in epigrafe chiesero alla Corte di appello di Perugia la condanna del Ministero dell'economia e delle finanze a corrispondere loro l'equa riparazione per il danno non patrimoniale ad essi derivato dalla irragionevole durata di un giudizio instaurato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale Lazio in data 13 marzo 1997 e definito con decreto di perenzione del 14 gennaio 2013. La domanda fu dichiarata inammissibile dal consigliere designato della adita Corte territoriale, con decreto del 7 luglio 2013. 2. - Avverso tale decisione, l'Andreozzi e gli altri ricorrenti proposero opposizione ai sensi dell'art. 5-ter della legge n. 89 del 2001; ma l'opposizione fu respinta dalla stessa Corte di appello di Perugia in composizione collegiale con ordinanza del 15 dicembre 2014. Rilevo' la Corte territoriale che, quando era stato proposto il ricorso introduttivo (19 giugno 2013), il detto decreto di perenzione del giudizio amministrativo non era ancora divenuto definitivo, non essendo scaduto il termine di 180 giorni (decorrente dalla comunicazione del provvedimento) entro il quale i ricorrenti avrebbero potuto dichiarare di avere interesse alla trattazione della causa ed ottenere la revoca del decreto; conseguentemente, non ricorreva la condizione dell'avvenuta definizione del giudizio presupposto, richiesta dall'art. 4 della legge n. 89 del 2001 ai fini della proponibilita' della domanda di equa riparazione. Essendo stata la domanda proposta anzitempo, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile. 3. - Per La Cassazione del decreto che ha deciso sull'opposizione ricorrono Andreozzi Ernesto e le altre persone di cui in epigrafe sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso il Ministero della economia e delle finanze. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 del codice di procedura civile; Considerato in diritto 1. - Vanno innanzitutto esaminati il primo e il sesto motivo di ricorso, che pongono questioni di diritto logicamente prioritarie rispetto alle questioni sottoposte con gli altri motivi di ricorso. Col primo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001, per avere la Corte territoriale ritenuto non accoglibile la domanda di equa riparazione proposta prima che fosse divenuto definitivo il decreto di perenzione del giudizio presupposto; si deduce che erroneamente la Corte di Appello avrebbe ritenuto che l'art. 4 legge n. 89/2001 individui un termine prima del quale la proposizione della domanda di equa riparazione non sarebbe consentita. Col sesto motivo, si deduce poi l'illegittimita' costituzionale della norma di cui al detto art. 4 della legge n. 89 del 2001 per violazione degli articoli 11, 24, 97, 111, 113 e della Costituzione e dell'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ove interpretata nel senso che essa sanziona con l'inammissibilita' la domanda di equa riparazione proposta prima che sia divenuto definitivo il provvedimento che ha concluso il giudizio presupposto. 2. Le censure sono fondate nei limiti che seguono. Va innanzitutto escluso che i giudici di merito abbiano errato nel ritenere che la domanda di equa riparazione non e' proponibile prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio presupposto, essendosi essi - cosi' decidendo - conformati alla giurisprudenza di questa Suprema Corte. Sul punto, vale la pena di ricordare che l'originario tessuto normativo della legge n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto) ha subito significative modifiche ad opera dell'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, che ha - tra l'altro - sostituito proprio l'art. 4 della legge n. 89 del 2001. Infatti, mentre l'originario testo di tale ultima disposizione prevedeva che «La domanda di riparazione puo' essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, e' divenuta definitiva», ora - a seguito della riforma del 2012 - l'art. 4 della legge Pinto stabilisce che «La domanda di riparazione puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e' divenuta definitiva». Seppure sul piano puramente letterale il nuovo testo non esclude espressamente la proponibilita' della domanda di equa riparazione durante la pendenza del giudizio presupposto, tuttavia alla esclusione di tale proponibilita' si e' pervenuti a seguito di un'interpretazione fondata sul criterio sistematico e sull'intenzione del legislatore; valorizzando il fatto che la riforma del 2012 ha condizionato l'an e il quantum del diritto all'indennizzo alla definizione del giudizio, prevedendo anche una serie di ipotesi di esclusione del diritto all'indennizzo dipendenti dalla condotta processuale della parte e financo dall'esito del giudizio (condanna del soccombente a norma dell'art. 96 codice di procedura civile). Si e' cosi' affermato, nella giurisprudenza di questa Corte suprema costituente ormai «diritto vivente», che, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nel regime introdotto dal decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012 n. 134, la proponibilita' della domanda di indennizzo e' preclusa dalla pendenza del giudizio presupposto (Sez. 2, sentenza n. 19479 del 16 settembre 2014, Rv. 632159), dovendo ritenersi che il dies a quo, da cui computare il termine di sei mesi previsto a pena di decadenza per la proposizione della relativa domanda, e' segnato dalla definitivita' del provvedimento conclusivo del procedimento nell'ambito del quale la violazione si assume consumata, definitivita' che va collocata al momento della scadenza del termine previsto per proporre l'impugnazione ordinaria (Sez. 6 - 1, sentenza n. 13324 del 26 luglio 2012, Rv. 623537; Sez. 6 - 2, sentenza n. 21859 del 5 dicembre 2012, Rv. 624426) ovvero al momento del deposito della decisione della Corte di cassazione che rigetta o dichiara l'inammissibilita' del ricorso, determinando cosi' il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (Sez. 6 - 2, sentenza n. 21863 del 5 dicembre 2012, Rv. 624239). La conclusione secondo cui la proponibilita' della domanda di indennizzo e' preclusa durante la pendenza del giudizio nel cui ambito la violazione della ragionevole durata del processo si assume essersi verificata e' stata condivisa dalla Corte costituzionale con la sentenza 25 febbraio 2014 n. 30. Il giudice delle leggi, nel vagliare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55 comma 1 lettera d) del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134) in riferimento agli articoli 3, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ha ritenuto sussistente il denunciato vulnus delle norme costituzionali, come integrate dalle norme della Corte europea dei diritti dell'uomo in forza del parametro costituzionale di cui all'art. 117 della Costituzione (nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali), ritenendo che il differimento della esperibilita' del ricorso alla definizione del procedimento in cui il ritardo e' maturato ne pregiudichi l'effettivita' anche alla stregua del parametro di cui all'art. 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Ha tuttavia ritenuto che l'intervento additivo invocato dal rimettente - consistente sostanzialmente in un'estensione della fattispecie relativa all'indennizzo conseguente al processo tardivamente concluso a quella caratterizzata dalla pendenza del giudizio - non fosse ammissibile, «sia per l'inidoneita' dell'eventuale estensione a garantire l'indennizzo della violazione verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perche' la modalita' dell'indennizzo non potrebbe essere definita «a rime obbligate» a causa della pluralita' di soluzioni normative in astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo». La Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 30 del 2014, ha pertanto invitato il legislatore ad intervenire per risolvere, nell'esercizio della discrezionalita' che gli compete, il vulnus costituzionale riscontrato, concludendo tuttavia che «non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia». A seguito di tale pronuncia, questa Suprema Corte ha prima affermato che l'art. 4 della legge n. 89 del 2001 - laddove subordina la proponibilita' della domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata di un processo alla condizione della sua preventiva definizione - non puo' essere disapplicato dal giudice in forza della sentenza costituzionale n. 30 del 2014, da questa evincendosi che la norma resta legittima, sia pure ad tempus, in attesa della sua riscrittura da parte del legislatore (Sez. 6 -2, sentenza n. 20463 del 12 ottobre 2015, Rv. 636597); successivamente, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001, ritenendo che il legislatore, con la legge 28 dicembre 2015 n. 208 (art. 1 comma 777), introducendo un sistema di rimedi preventivi diretti a impedire la stessa formazione del ritardo processuale (articoli 1-bis e 1-ter della legge Pinto), avesse aderito all'invito rivoltogli dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 30 del 2014 (Sez. 6 - 2, sentenza n. 13556 del 1° luglio 2016, Rv. 640328). Orbene, il Collegio dissente da tale ultima decisione e ritiene - invece - che, con la legge n. 208 del 2015, il legislatore non abbia risolto il problema oggetto del monito rivoltogli dalla Corte costituzionale. Infatti, il sistema di rimedi preventivi introdotto dalla recente legge del 2015 e' volto a prevenire la irragionevole durata del processo; esso, tuttavia, non sfiora il problema della effettivita' della tutela indennitaria una volta che l'irragionevole durata del procedimento si sia verificata, come e' evidenziato dal fatto che la nuova normativa ha lasciato inalterato il testo dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001 (come sostituito dell'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83), che detta i termini di proponibilita' della domanda di equa riparazione. In particolare, il Collegio ritiene che, anche a seguito della legge n. 208 del 2015, e' rimasto irrisolto il problema del differimento dell'esperibilita' del ricorso alla definizione del procedimento presupposto; problema che presenta perduranti profili di illegittimita' costituzionale del vigente testo dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001 - in rapporto agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione - nel momento in cui si risolve nella definitiva inammissibilita' della domanda proposta durante la pendenza del procedimento presupposto, pur quando, nelle more, il provvedimento che ha definito quest'ultimo sia passato in cosa giudicata. Sul punto, non va sottaciuto che l'adeguamento dell'impianto normativo della legge Pinto alle norme costituzionali e a quelle della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non implica necessariamente la messa in discussione del principio - posto a base della detta legge - per cui l'equa riparazione puo' essere riconosciuta solo a seguito della conclusione del procedimento presupposto. Anzi, puo' rilevarsi come risultano del tutto ragionevoli e, per certi versi, costituzionalmente obbligate le scelte del legislatore di prevedere ipotesi di esclusione dell'indennizzo (art. 2, comma 2-quinquies) collegate alla colpevole condotta della parte, come tali verificabili solo avuto riguardo all'esito definitivo del procedimento; e d'altra parte, sarebbe difficile non intravedere una lesione del parametro costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, della Costituzione) ove la normativa relativa all'equo indennizzo dovesse consentire la proposizione di plurime domande in corrispondenza del numero dei gradi o delle fasi del medesimo procedimento presupposto, con un effetto di moltiplicazione delle controversie che potrebbe sfociare persino in quel deprecabile fenomeno che la dottrina definisce «abuso del processo». Cio', tuttavia, non puo' significare che la proposizione della domanda di equo indennizzo in pendenza del giudizio presupposto comporti la definitiva inaccoglibilita' della pretesa indennitaria; essendo in tal caso evidente come l'art. 4 della legge n. 89 del 2001, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, come interpretato nel diritto vivente, risulti difficilmente compatibile con gli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. In altre parole, la previsione che la domanda di equo indennizzo possa validamente proporsi solo dopo il passaggio in giudicato del provvedimento che ha definito il giudizio presupposto non puo' tradursi - sul piano della legittimita' costituzionale - nella definitiva inammissibilita' della domanda erroneamente proposta prima di tale passaggio in giudicato. Nella specie, i ricorrenti, avendo proposto domanda di equo indennizzo prima che divenisse definitivo il decreto di perenzione del giudizio amministrativo, si sono visti precludere del tutto l'accesso alla tutela indennitaria. Risulta percio' sussistente l'evidenziato vulnus costituzionale e risulta rilevante la relativa questione di legittimita' costituzionale, che va nuovamente sottoposta al giudice delle leggi, stante il perdurante inadempimento del legislatore al monito impartito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 30 del 2014. 3. - In definitiva, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001 n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, alla dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M. La Corte suprema di cassazione, visti gli articoli 134 della Costituzione, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001 n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134; Dispone la sospensione del presente giudizio; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; Ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile - Sottosezione seconda, addi' 5 ottobre 2016. Il Presidente: Petitti