N. 69 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 2016
Ordinanza del 20 dicembre 2016 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Fares Guido Antonio contro Ministero dell'economia e delle finanze. Procedimento civile - Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Termine decadenziale di sei mesi per la proposizione della domanda - Decorrenza dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e' divenuta definitiva. - Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), art. 4, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.(GU n.20 del 17-5-2017 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sesta sezione civile - 2 composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: dott. Stefano Petitti - Presidente; dott. Luigi Giovanni Lombardo - rel. consigliere; dott. Elisa Picaroni - consigliere; dott. Milena Falaschi - consigliere; dott. Luigi Abete - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 16402-2015 proposto da: Fares Guido Antonio, elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli, 2, presso lo studio dell'avvocato Guerino Massimo Oscar Fares, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Andrea Saccucci giusta procura speciale in calce al ricorso; ricorrente; Contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; controricorrente; avverso l'ordinanza della Corte d'appello di Lecce, emessa il 1° dicembre 2014 e depositata l'11 dicembre 2014; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 ottobre 2016 dal consigliere relatore dott. Luigi Giovanni Lombardo; udito l'Avvocato Andrea Saccucci, per il ricorrente, che si riporta agli scritti. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso depositato il 27 dicembre 2013, Fares Guido Antonio chiese alla Corte di appello di Lecce la condanna del Ministero dell'economia e delle finanze a corrispondergli l'equa riparazione per il danno non patrimoniale derivatogli dalla irragionevole durata di un giudizio instaurato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale Puglia in data 17 ottobre 2001 e definito dal Consiglio di Stato con sentenza del 16 maggio 2013. La domanda fu rigettata dal consigliere designato della adita Corte territoriale, con decreto del 18 febbraio 2014. 2. - Avverso tale decisione, il Fares propose opposizione, ai sensi dell'art. 5-ter della legge n. 89 del 2001; ma l'opposizione fu respinta dalla stessa Corte di appello di Lecce in composizione collegiale con ordinanza dell'11 dicembre 2014. Rilevo' la Corte territoriale che, quando era stato proposto il ricorso introduttivo (27 dicembre 2013), la sentenza del Consiglio di Stato non era ancora passata in giudicato, non essendo scaduto il termine per proporre ricorso per cassazione decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza (16 maggio 2013); conseguentemente, non ricorreva la condizione dell'avvenuta definizione del procedimento presupposto, richiesta dall'art. 4 della legge n. 89 del 2001 ai fini della proponibilita' della domanda di equa riparazione. Essendo stata la domanda proposta anzitempo, il ricorso doveva essere rigettato. 3. - Per La Cassazione del decreto che ha deciso sull'opposizione ricorre Fares Guido sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell'economia e delle finanze. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 codice di procedura civile. Considerato in diritto 1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 5 codice di procedura civile - l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte di appello tenuto conto della certificazione rilasciata dalla cancelleria del Consiglio di Stato attestante che la sentenza di appello era passata in giudicato il 27 dicembre 2013, giorno della proposizione del ricorso. Col secondo motivo, si deduce poi - ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - la violazione e la falsa applicazione dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001, per avere la Corte territoriale ritenuto non accoglibile la domanda di equa riparazione proposta prima del passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il giudizio presupposto; si deduce anche l'illegittimita' costituzionale della norma di cui al detto art. 4 della legge n. 89 del 2001 per violazione degli articoli 3, 24, 11 e 117 Cost. e degli articoli 6 e 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ove interpretata nel senso che essa non consente la proposizione della domanda prima che sia disceso il giudicato sulla sentenza che ha definito il giudizio presupposto. 2. - Le censure sono fondate nei termini che seguono. Va premesso che i giudici di merito hanno esattamente ritenuto che le sentenze del Consiglio di Stato divengono definitive, agli effetti dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001 (nel testo introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2102), solo dal momento in cui scadono i termini per proporre ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, rientrando tra tali motivi anche il c.d. eccesso di potere giurisdizionale, vizio che puo' emergere solo con la pubblicazione della decisione (Sez. 6 - 2, Sentenza n. 25714 del 21 dicembre 2015, Rv. 638074). E d'altra parte, la conclusione della Corte territoriale, secondo cui - quando nella specie fu proposta la domanda di equa riparazione - non erano ancora scaduti i termini per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ha definito il giudizio presupposto, non e' stata neppure oggetto di puntuale censura da parte del ricorrente. Nel ritenere poi che la proponibilita' della domanda di equa riparazione e' esclusa prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio presupposto, la Corte territoriale si e' parimenti conformata alla giurisprudenza di questa Suprema Corte. Sul punto, vale la pena di ricordare che l'originario tessuto normativo della legge n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto) ha subito significative modifiche ad opera dell'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, che ha - tra l'altro - sostituito proprio l'art. 4 della legge n. 89 del 2001. Infatti, mentre l'originario testo di tale ultima disposizione prevedeva che «La domanda di riparazione puo' essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, e' divenuta definitiva», ora - a seguito della riforma del 2012 - l'art. 4 della legge Pinto stabilisce che «La domanda di riparazione puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e' divenuta definitiva». Seppure sul piano puramente letterale il nuovo testo non esclude espressamente la proponibilita' della domanda di equa riparazione durante la pendenza del giudizio presupposto, tuttavia alla esclusione di tale proponibilita' si e' pervenuti a seguito di un'interpretazione fondata sul criterio sistematico e sull'intenzione del legislatore; valorizzando il fatto che la riforma del 2012 ha condizionato l'an e il quantum del diritto all'indennizzo alla definizione del giudizio, prevedendo anche una serie di ipotesi di esclusione del diritto all'indennizzo dipendenti dalla condotta processuale della parte e financo dall'esito del giudizio (condanna del soccombente a norma dell'art. 96 codice di procedura civile). Si e' cosi' affermato, nella giurisprudenza di questa Corte suprema costituente ormai «diritto vivente», che, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nel regime introdotto dal decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012 n. 134, la proponibilita' della domanda di indennizzo e' preclusa dalla pendenza del giudizio presupposto (Sez. 2, Sentenza n. 19479 del 16 settembre 2014, Rv. 632159), dovendo ritenersi che il dies a quo, da cui computare il termine di sei mesi previsto a pena di decadenza per la proposizione della relativa domanda, e' segnato dalla definitivita' del provvedimento conclusivo del procedimento nell'ambito del quale la violazione si assume consumata, definitivita' che va collocata al momento della scadenza del termine previsto per proporre l'impugnazione ordinaria (Sez. 6 - 1, Sentenza n. 13324 del 26 luglio 2012, Rv. 623537; Sez. 6 - 2, Sentenza n. 21859 del 5 dicembre 2012, Rv. 624426) ovvero al momento del deposito della decisione della Corte di cassazione che rigetta o dichiara l'inammissibilita' del ricorso, determinando cosi' il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (Sez. 6 - 2, Sentenza n. 21863 del 5 dicembre 2012, Rv. 624239). La conclusione secondo cui la proponibilita' della domanda di indennizzo e' preclusa durante la pendenza del giudizio nel cui ambito la violazione della ragionevole durata del processo si assume essersi verificata e' stata condivisa dalla Corte costituzionale con la sentenza 25 febbraio 2014 n. 30. Il giudice delle leggi, nel vagliare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55, comma 1 lettera d) del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134) in riferimento agli articoli 3, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ha ritenuto sussistente il denunciato vulnus delle norme costituzionali, come integrate dalle norme della CEDU in forza del parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost. (nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali), ritenendo che il differimento della esperibilita' del ricorso alla definizione del procedimento in cui il ritardo e' maturato ne pregiudichi l'effettivita' anche alla stregua del parametro di cui all'art. 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Ha tuttavia ritenuto che l'intervento additivo invocato dal rimettente - consistente sostanzialmente in un'estensione della fattispecie relativa all'indennizzo conseguente al processo tardivamente concluso a quella caratterizzata dalla pendenza del giudizio - non fosse ammissibile, «sia per l'inidoneita' dell'eventuale estensione a garantire l'indennizzo della violazione verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perche' la modalita' dell'indennizzo non potrebbe essere definita «a rime obbligate» a causa della pluralita' di soluzioni normative in astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo». La Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 30 del 2014, ha pertanto invitato il legislatore ad intervenire per risolvere, nell'esercizio della discrezionalita' che gli compete, il vulnus costituzionale riscontrato, concludendo tuttavia che «non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia». A seguito di tale pronuncia, questa Suprema Corte ha prima affermato che l'art. 4 della legge n. 89 del 2001 - laddove subordina la proponibilita' della domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata di un processo alla condizione della sua preventiva definizione - non puo' essere disapplicato dal giudice in forza della sentenza costituzionale n. 30 del 2014, da questa evincendosi che la norma resta legittima, sia pure ad tempus, in attesa della sua riscrittura da parte del legislatore (Sez. 6 -2, Sentenza n. 20463 del 12 ottobre 2015, Rv. 636597); successivamente, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001, ritenendo che il legislatore, con la legge 28 dicembre 2015 n. 208 (art. 1, comma 777), introducendo un sistema di rimedi preventivi diretti a impedire la stessa formazione del ritardo processuale (articoli 1-bis e 1-ter della legge Pinto), avesse aderito all'invito rivoltogli dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 30 del 2014 (Sez. 6 - 2, Sentenza n. 13556 del 1° luglio 2016, Rv. 640328). Orbene, il Collegio dissente da tale ultima decisione e ritiene - invece - che, con la legge n. 208 del 2015, il legislatore non abbia risolto il problema oggetto del monito rivoltogli dalla Corte costituzionale. Infatti, il sistema di rimedi preventivi introdotto dalla recente legge del 2015 e' volto a prevenire la irragionevole durata del processo; esso, tuttavia, non sfiora il problema della effettivita' della tutela indennitaria una volta che l'irragionevole durata del procedimento si sia verificata, come e' evidenziato dal fatto che la nuova normativa ha lasciato inalterato il testo dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001 (come sostituito dell'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83), che detta i termini di proponibilita' della domanda di equa riparazione. In particolare, il Collegio ritiene che, anche a seguito della legge n. 208 del 2015, e' rimasto irrisolto il problema del differimento dell'esperibilita' del ricorso alla definizione del procedimento presupposto; problema che presenta perduranti profili di illegittimita' costituzionale del vigente testo dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001 - in rapporto agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione - nel momento in cui si risolve nella definitiva inammissibilita' della domanda proposta durante la pendenza del procedimento presupposto, pur quando, nelle more, il provvedimento che ha definito quest'ultimo sia passato in cosa giudicata. Sul punto, non va sottaciuto che l'adeguamento dell'impianto normativo della legge Pinto alle norme costituzionali e a quelle della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non implica necessariamente la messa in discussione del principio - posto a base della detta legge - per cui l'equa riparazione puo' essere riconosciuta solo a seguito della conclusione del procedimento presupposto. Anzi, puo' rilevarsi come risultano del tutto ragionevoli e, per certi versi, costituzionalmente obbligate le scelte del legislatore di prevedere ipotesi di esclusione dell'indennizzo (art. 2, comma 2-quinquies) collegate alla colpevole condotta della parte, come tali verificabili solo avuto riguardo all'esito definitivo del procedimento; e d'altra parte, sarebbe difficile non intravedere una lesione del parametro costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) ove la normativa relativa all'equo indennizzo dovesse consentire la proposizione di plurime domande in corrispondenza del numero dei gradi o delle fasi del medesimo procedimento presupposto, con un effetto di moltiplicazione delle controversie che potrebbe sfociare persino in quel deprecabile fenomeno che la dottrina definisce «abuso del processo». Cio', tuttavia, non puo' significare che la proposizione della domanda di equo indennizzo in pendenza del giudizio presupposto comporti la definitiva inaccoglibilita' della pretesa indennitaria; essendo in tal caso evidente come l'art. 4 della legge n. 89 del 2001, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, come interpretato nel diritto vivente, risulti difficilmente compatibile con gli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. In altre parole, la previsione che la domanda di equo indennizzo possa validamente proporsi solo dopo il passaggio in giudicato del provvedimento che ha definito il giudizio presupposto non puo' tradursi - sul piano della legittimita' costituzionale - nella definitiva inammissibilita' della domanda erroneamente proposta prima di tale passaggio in giudicato. Nella specie, il ricorrente, avendo proposto domanda di equo indennizzo prima che passasse il giudicato la sentenza del Consiglio di Stato, si e' visto precludere del tutto l'accesso alla tutela indennitaria. Risulta percio' sussistente l'evidenziato vulnus costituzionale e risulta rilevante la relativa questione di legittimita' costituzionale, che va nuovamente sottoposta al giudice delle leggi, stante il perdurante inadempimento del legislatore al monito impartito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 30 del 2014. 3. - In definitiva, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001 n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, alla dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M. La Corte suprema di cassazione visti gli articoli 134 Cost., e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001 n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134; Dispone la sospensione del presente giudizio; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; Ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai presidenti delle due Camere del Parlamento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile - Sottosezione seconda, addi' 5 ottobre 2016. Il Presidente: Petitti