N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2017

Ordinanza del 16 febbraio 2017 della Corte di cassazione sul  ricorso
proposto da Zaina Domenico contro Ministero della giustizia. 
 
Procedimento  civile  -  Equa  riparazione   per   violazione   della
  ragionevole durata del processo - Termine decadenziale di sei  mesi
  per la proposizione della domanda - Decorrenza dal momento  in  cui
  la decisione che conclude il procedimento e' divenuta definitiva. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in  caso
  di violazione del  termine  ragionevole  del  processo  e  modifica
  dell'articolo 375 del codice di procedura  civile),  art.  4,  come
  sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d),  del  decreto-legge  22
  giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti  per  la  crescita  del  Paese),
  convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. 
(GU n.21 del 24-5-2017 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                      Sesta sezione civile - 2 
 
    composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
    dott. Stefano Petitti, Presidente; 
    dott. Lorenzo Orilla, consigliere; 
    dott. Alberto Giusti, consigliere; 
    dott. Antonino Scalisi, consigliere; 
    dott. Mauro Criscuolo, rel. consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
7925-2016 proposto da: 
        Zaina  Domenico,  elettivamente  domiciliato  in  Roma,   via
Illiria, 19, presso  lo  studio  dell'avv.  Rossella  Zaina,  che  lo
rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso; ricorrente; 
    Contro  Ministero  della  giustizia   8018440587,   elettivamente
domiciliato in Roma, via  dei  Portoghesi,  12,  presso  l'Avvocatura
generale dello Stato; controricorrente; 
    avverso il decreto della Corte d'appello di  Perugia,  depositato
il 29 settembre 2015; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
15 dicembre 2016 dal consigliere dott. Mauro Criscuolo; 
 
                           Fatto e diritto 
 
    La  Corte  d'appello  di  Perugia  con  decreto  del  consigliere
delegato del 13  maggio  2015  dichiarava  improponibile  il  ricorso
proposto da Zaina Domenico con il quale era richiesta la condanna del
Ministero della giustizia all'equa  riparazione  per  l'irragionevole
durata del procedimento civile di opposizione  a  decreto  ingiuntivo
svoltosi dinanzi al Giudice di pace di Civitavecchia, in primo grado,
ed in appello dinanzi al  Tribunale  della  medesima  citta'  dal  29
aprile 2006 al 23 ottobre 2014, allorquando il  giudizio  di  appello
veniva cancellato dal  ruolo  con  la  contestuale  dichiarazione  di
estinzione. 
    Osservava il decreto che il ricorso era  stato  presentato  prima
del decorso del termine di riassunzione di cui all'art. 307, comma  1
c.p.c., e che  non  risultava  quindi  che  la  decisione  che  aveva
definito il giudizio fosse irretrattabile, come richiesto dall'art. 4
della legge n. 89/2001. 
    A seguito di opposizione, la Corte  di  appello  in  composizione
collegiale, con decreto del 29 settembre 2015, confermava il  decreto
opposto, rilevando che il giudizio presupposto era iniziato nel 2006,
e quindi prima della modifica di cui all'art. 181  c.p.c.,  ad  opera
del decreto-legge n. 112  del  2008,  cosicche'  non  poteva  trovare
applicazione la previsione normativa sopravvenuta  che  consente,  in
caso di cancellazione della causa dal ruolo per mancata  comparizione
delle parti, anche di adottare il  provvedimento  di  estinzione  del
giudizio. 
    Nella fattispecie quindi il  tribunale  aveva  solo  disposto  la
cancellazione della causa dal ruolo, e  conseguentemente  il  termine
semestrale per la proponibilita' della domanda  di  equo  indennizzo,
non poteva  decorrere  dalla  data  della  cancellazione,  occorrendo
altresi' attendere, ai fini dell'estinzione, il decorso  del  termine
stabilito dall'art. 307 c.p.c. per la eventuale riassunzione. 
    Per la cassazione di questo decreto  la  ricorrente  ha  proposto
ricorso affidato ad un motivo. 
    Il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso. 
    Con l'unico motivo di ricorso si denunzia la violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 181, 307 e 309 c.p.c.,  in  relazione  al
principio della  cd.  apparenza  e  dell'affidamento,  nonche'  della
qualificazione del provvedimento data dal giudice. 
    Si osserva che in realta' il tribunale con il  provvedimento  del
23 ottobre 2014 non si era limitato a disporre la cancellazione della
causa  dal  ruolo,  ma  aveva  altresi'  ordinato  l'estinzione   del
giudizio. 
    Trattasi pertanto di un provvedimento  avente  natura  definitiva
che determina l'estinzione immediata, non apparendo quindi  possibile
invocare la decorrenza altresi' del termine per la riassunzione. 
    A fronte di tale formale contenuto  della  decisione,  i  giudici
chiamati a decidere sull'equo indennizzo non potevano sovrapporre  la
loro valutazione in tema di applicazione della novella dell'art.  181
c.p.c., dovendo avere invece prevalenza la  qualificazione  data  dal
giudice a quo al proprio provvedimento,  ed  all'affidamento  insorto
nelle parti in ragione dello stesso contenuto. 
    Ne  consegue  che,  essendo  stata  dichiarata  l'estinzione,  e'
esclusa la possibilita' della riassunzione, e che quindi  la  domanda
avanzata ex lege n. 89/2001 e' proponibile. 
    Effettivamente deve reputarsi  erronea  la  valutazione  compiuta
dalla Corte d'appello  in  punto  di  pretesa  inapplicabilita'  alla
fattispecie della nuova disciplina di cui all'art. 181  c.p.c.,  come
introdotta  dal  decreto-legge  n.  112  del  2008,  trattandosi   di
considerazioni che, sebbene corrette in  punto  di  diritto,  non  si
confrontano con quello che e' l'effettivo  tenore  del  provvedimento
adottato dal Tribunale di Civitavecchia, il  quale,  facendo  erronea
applicazione delle norme de quibus, non  si  e'  limitato  alla  sola
cancellazione  della  causa  dal  ruolo,  ma  ha  anche   formalmente
dichiarato estinto il giudizio. 
    Tuttavia, e  sebbene  meriti  adesione  l'affermazione  di  parte
ricorrente secondo cui  in  tal  caso  debba  darsi  prevalenza  alla
qualificazione formale del  provvedimento  offerta  dal  giudice  del
giudizio presupposto, non appaiono condivisibili le  conclusioni  che
lo stesso  ricorrente  intende  trarre  dal  fatto  che  siano  state
congiuntamente disposte la cancellazione e l'estinzione del giudizio. 
    Ed, invero deve richiamarsi il costante  orientamento  di  questa
Corte per il quale (cfr. da ultimo Cass. n.  17522/2015)  l'ordinanza
del giudice di estinzione del processo ove adottato dal tribunale  in
composizione monocratica, e' assimilabile alla sentenza del tribunale
che, in composizione collegiale e ai sensi dell'art.  308,  comma  2,
c.p.c., respinge il reclamo  contro  l'ordinanza  di  estinzione  del
giudice istruttore, sicche' ha natura sostanziale di sentenza e  deve
essere impugnato (nella fattispecie decisa dal precedente citato) con
l'appello (conf. Cass. 20631/2011; Cass. n. 22917/2010). 
    Orbene  poiche'  nel  caso  in   esame   il   tribunale   operava
pacificamente come  giudice  monocratico  (trattasi  di  giudizio  di
appello avverso sentenza del giudice di pace),  il  provvedimento  di
estinzione, ancorche' adottato con la forma dell'Ordinanza,  ha,  per
quanto detto, sostanza di sentenza, sicche' la sua  definitivita'  e'
condizionata in ogni caso al decorso del termine previsto per la  sua
impugnazione con ricorso  in  cassazione,  e  cioe',  in  assenza  di
allegazione della sua notifica, del termine lungo di cui all'art. 327
c.p.c. (che ratione temporis e' ancora quello annuale). 
    La  conseguenza   sarebbe   quindi,   previa   correzione   della
motivazione  del  provvedimento  impugnato,   che   dovrebbe   essere
confermata la dichiarazione di improponibilita' del ricorso  proposto
dallo Zaina. 
    Tuttavia deve a tal riguardo ribadirsi quanto  gia'  espresso  da
questa Corte in altri  provvedimenti,  circa  il  fondato  dubbio  di
compatibilita' costituzionale della norma in esame. 
    Effettivamente  deve  reputarsi   che   nel   ritenere   che   la
proponibilita' della domanda di equa riparazione  sia  esclusa  prima
del passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio
presupposto,  la  Corte   territoriale   si   sia   conformata   alla
giurisprudenza di questa Suprema Corte. 
    Sul punto, vale la pena di  ricordare  che  l'originario  tessuto
normativo della legge n. 89 del 2001 (c.d.  legge  Pinto)  ha  subito
significative modifiche ad opera dell'art. 55 del decreto-legge n. 83
del 2012, che ha - tra l'altro - sostituito proprio  l'art.  4  della
legge n. 89 del 2001. 
    Infatti, mentre l'originario testo di  tale  ultima  disposizione
prevedeva che «La domanda di riparazione puo' essere proposta durante
la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione  si  assume
verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi  dal  momento
in cui la  decisione,  che  conclude  il  medesimo  procedimento,  e'
divenuta definitiva», ora - a seguito della riforma del 2012 - l'art.
4 della legge Pinto stabilisce che «La domanda  di  riparazione  puo'
essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal  momento  in
cui  la  decisione  che  conclude   il   procedimento   e'   divenuta
definitiva». 
    Seppure sul piano puramente letterale il nuovo testo non  esclude
espressamente la proponibilita' della  domanda  di  equa  riparazione
durante  la  pendenza  del  giudizio   presupposto,   tuttavia   alla
esclusione di tale  proponibilita'  si  e'  pervenuti  a  seguito  di
un'interpretazione fondata sul criterio sistematico e sull'intenzione
del legislatore; valorizzando il fatto che la  riforma  del  2012  ha
condizionato l'an  e  il  quantum  del  diritto  all'indennizzo  alla
definizione del giudizio, prevedendo anche una serie  di  ipotesi  di
esclusione  del  diritto  all'indennizzo  dipendenti  dalla  condotta
processuale della parte e financo dall'esito del  giudizio  (condanna
del soccombente a norma dell'art. 96 cod. proc. civ.). 
    Si e' cosi'  affermato,  nella  giurisprudenza  di  questa  Corte
suprema costituente ormai «diritto vivente», che,  in  tema  di  equa
riparazione per violazione del  termine  di  ragionevole  durata  del
processo, nel regime introdotto dal decreto-legge 22 giugno 2012,  n.
83, convertito in legge 7 agosto  2012,  n.  134,  la  proponibilita'
della domanda di indennizzo e' preclusa dalla pendenza  del  giudizio
presupposto (Sez. 2, Sentenza n. 19479 del  16  settembre  2014,  Rv.
632159), dovendo ritenersi che il dies a quo,  da  cui  computare  il
termine di sei mesi previsto a pena di decadenza per la  proposizione
della  relativa  domanda,  e'   segnato   dalla   definitivita'   del
provvedimento conclusivo del procedimento nell'ambito  del  quale  la
violazione si assume consumata, definitivita'  che  va  collocata  al
momento  della   scadenza   del   termine   previsto   per   proporre
l'impugnazione ordinaria (Sez. 6 - 1, Sentenza n. 13324 del 26 luglio
2012, Rv. 623537; Sez. 6 - 2, Sentenza n. 21859 del 5 dicembre  2012,
Rv. 624426) ovvero al momento  del  deposito  della  decisione  della
Corte di cassazione che rigetta  o  dichiara  l'inammissibilita'  del
ricorso, determinando cosi' il passaggio in giudicato della  sentenza
impugnata (Sez. 6 - 2, Sentenza n. 21863 del  5  dicembre  2012,  Rv.
624239). 
    La conclusione secondo cui la  proponibilita'  della  domanda  di
indennizzo e' preclusa durante  la  pendenza  del  giudizio  nel  cui
ambito la violazione della ragionevole durata del processo si  assume
essersi verificata e' stata condivisa dalla Corte costituzionale  con
la sentenza 25 febbraio 2014, n. 30. 
    Il giudice delle leggi, nel vagliare la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 55 comma 1 lettera d) del  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 7 agosto 2012, n. 134) in riferimento agli articoli 3,
111,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,   della   Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, ha ritenuto  sussistente  il  denunciato  vulnus  delle
norme costituzionali, come integrate dalle norme della CEDU in  forza
del parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost.  (nella  parte
in cui impone la conformazione della legislazione interna ai  vincoli
derivanti  dagli   obblighi   internazionali),   ritenendo   che   il
differimento della esperibilita' del  ricorso  alla  definizione  del
procedimento  in  cui  il  ritardo   e'   maturato   ne   pregiudichi
l'effettivita' anche alla stregua del parametro di  cui  all'art.  13
CEDU. Ha tuttavia ritenuto che  l'intervento  additivo  invocato  dal
rimettente  -  consistente  sostanzialmente  in  un'estensione  della
fattispecie   relativa   all'indennizzo   conseguente   al   processo
tardivamente concluso a  quella  caratterizzata  dalla  pendenza  del
giudizio  -   non   fosse   ammissibile,   «sia   per   l'inidoneita'
dell'eventuale estensione a garantire l'indennizzo  della  violazione
verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perche'  la
modalita'  dell'indennizzo  non  potrebbe  essere  definita  «a  rime
obbligate»  a  causa  della  pluralita'  di  soluzioni  normative  in
astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata
del processo». 
    La Corte costituzionale, con la richiamata  sentenza  n.  30  del
2014,  ha  pertanto  invitato  il  legislatore  ad  intervenire   per
risolvere, nell'esercizio della discrezionalita' che gli compete,  il
vulnus costituzionale  riscontrato,  concludendo  tuttavia  che  «non
sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in
ordine al problema individuato nella presente pronuncia». 
    A seguito di  tale  pronuncia,  questa  Suprema  Corte  ha  prima
affermato che l'art. 4 della legge n. 89 del 2001 - laddove subordina
la   proponibilita'   della   domanda   di   equa   riparazione   per
l'irragionevole durata di  un  processo  alla  condizione  della  sua
preventiva definizione - non puo' essere disapplicato dal giudice  in
forza della  sentenza  costituzionale  n.  30  del  2014,  da  questa
evincendosi che la norma resta legittima,  sia  pure  ad  tempus,  in
attesa della sua riscrittura da parte del legislatore (Sez.  6  -  2,
Sentenza n. 20463 del 12 ottobre 2015, Rv. 636597);  successivamente,
ha dichiarato manifestamente infondata la questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001, ritenendo  che
il legislatore, con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (art.  1  comma
777), introducendo un sistema di rimedi preventivi diretti a impedire
la stessa formazione del ritardo processuale (articoli 1-bis e  1-ter
della legge Pinto), avesse aderito all'invito rivoltogli dalla  Corte
costituzionale con la richiamata sentenza n. 30 del 2014 (Sez. 6 - 2,
Sentenza n. 13556 del 1° luglio 2016, Rv. 640328). 
    Orbene, il Collegio, come gia' ritenuto in precedenti  occasioni,
dissente da tale ultima decisione e ritiene - invece -  che,  con  la
legge n. 208 del 2015, il legislatore non abbia risolto  il  problema
oggetto del monito rivoltogli dalla Corte costituzionale. 
    Infatti, il sistema di rimedi preventivi introdotto dalla recente
legge del 2015 e' volto  a  prevenire  la  irragionevole  durata  del
processo; esso, tuttavia, non sfiora il problema  della  effettivita'
della tutela indennitaria una volta che  l'irragionevole  durata  del
procedimento si sia verificata, come e' evidenziato dal fatto che  la
nuova normativa ha lasciato inalterato il  testo  dell'art.  4  della
legge n. 89 del 2001 (come sostituito dell'art. 55, comma 1,  lettera
d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83), che detta i termini  di
proponibilita' della domanda di equa riparazione. 
    In particolare, il Collegio ritiene che, anche  a  seguito  della
legge  n.  208  del  2015,  e'  rimasto  irrisolto  il  problema  del
differimento dell'esperibilita'  del  ricorso  alla  definizione  del
procedimento presupposto; problema che presenta perduranti profili di
illegittimita' costituzionale del vigente  testo  dell'art.  4  della
legge n. 89 del 2001 - in rapporto agli articoli 3, 24, 111,  secondo
comma, e 117, primo comma, della Costituzione - nel momento in cui si
risolve nella  definitiva  inammissibilita'  della  domanda  proposta
durante la pendenza del procedimento presupposto, pur  quando,  nelle
more, il provvedimento che ha definito quest'ultimo  sia  passato  in
cosa giudicata. 
    Sul punto, non  va  sottaciuto  che  l'adeguamento  dell'impianto
normativo della legge Pinto alle  norme  costituzionali  e  a  quelle
della CEDU non implica necessariamente la messa  in  discussione  del
principio -  posto  a  base  della  detta  legge  -  per  cui  l'equa
riparazione puo' essere riconosciuta solo a seguito della conclusione
del procedimento presupposto. Anzi, puo' rilevarsi come risultano del
tutto ragionevoli e, per certi versi, costituzionalmente obbligate le
scelte  del  legislatore   di   prevedere   ipotesi   di   esclusione
dell'indennizzo (art. 2, comma 2-quinquies) collegate alla  colpevole
condotta della parte, come  tali  verificabili  solo  avuto  riguardo
all'esito definitivo  del  procedimento;  e  d'altra  parte,  sarebbe
difficile non intravedere una lesione  del  parametro  costituzionale
della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.)  ove
la normativa  relativa  all'equo  indennizzo  dovesse  consentire  la
proposizione di plurime domande  in  corrispondenza  del  numero  dei
gradi o delle fasi del  medesimo  procedimento  presupposto,  con  un
effetto di moltiplicazione delle controversie che  potrebbe  sfociare
persino in quel deprecabile fenomeno che la dottrina definisce «abuso
del processo». 
    Cio', tuttavia, non puo' significare che  la  proposizione  della
domanda di equo  indennizzo  in  pendenza  del  giudizio  presupposto
comporti la definitiva inaccoglibilita' della  pretesa  indennitaria;
essendo in tal caso evidente come l'art. 4  della  legge  n.  89  del
2001,  come  sostituito  dall'art.  55,  comma  1,  lettera  d),  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, come  interpretato  nel  diritto
vivente, risulti difficilmente compatibile con gli  articoli  3,  24,
111,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,   della   Costituzione,
quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo l,  e  13  della
CEDU. 
    In altre parole, la previsione che la domanda di equo  indennizzo
possa validamente proporsi solo dopo il passaggio  in  giudicato  del
provvedimento che  ha  definito  il  giudizio  presupposto  non  puo'
tradursi -  sul  piano  della  legittimita'  costituzionale  -  nella
definitiva inammissibilita' della domanda erroneamente proposta prima
di tale passaggio in giudicato. 
    Nella specie, la ricorrente,  avendo  proposto  domanda  di  equo
indennizzo prima che passasse il giudicato il provvedimento che aveva
definito il giudizio presupposto, si e' vista  precludere  del  tutto
l'accesso  alla  tutela  indennitaria.  Risulta  percio'  sussistente
l'evidenziato vulnus costituzionale e risulta rilevante  la  relativa
questione  di  legittimita'   costituzionale,   che   va   nuovamente
sottoposta al giudice delle leggi, stante il perdurante inadempimento
del legislatore al monito impartito dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 30 del 2014. 
    In definitiva,  va  dichiarata  rilevante  e  non  manifestamente
infondata, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4
della legge 24 marzo 2001, n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma
1, lettera d), del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83  (Misure
urgenti per la crescita del Paese),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1,  comma  1,  della  legge  7  agosto  2012,  n.  134,  in
riferimento agli articoli 3, 24, 111, secondo  comma,  e  117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6,
paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la  legge  4
agosto 1955, n. 848, nella parte in cui condiziona la  proponibilita'
della  domanda  di  equa  riparazione  alla  previa  definizione  del
procedimento presupposto. 
    Ai sensi dell'art. 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  alla
dichiarazione  di  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale, segue  la  sospensione  del
giudizio  e  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte Suprema di Cassazione; 
    Visti gli articoli 134 Cost., e 23 della legge 11 marzo 1953,  n.
87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, e 117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 6, paragrafo 1,
e 13 della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1
della legge 24 marzo 2001, n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma
1, lettera d), del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83  (Misure
urgenti per la crescita del Paese),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134; 
    Dispone la sospensione del presente giudizio; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  del  giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Ordina,  altresi',   che   l'ordinanza   venga   comunicata   dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  Camera  di  consiglio  della  Sesta
Sezione Civile - Sottosezione Seconda, addi' 15 dicembre 2016. 
 
                       Il Presidente: Petitti