N. 87 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 2017
Ordinanza del 19 marzo 2017 della Corte d'appello di Milano nel procedimento civile promosso da Palermo Giuliano contro Consob. Sanzioni amministrative - Modifiche alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) - Disposizioni transitorie e finali - Ambito di applicazione. - Decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 72 (Attuazione della direttiva 2013/36/UE, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, per quanto concerne l'accesso all'attivita' degli enti creditizi e la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento. Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58), art. 6, comma 2.(GU n.25 del 21-6-2017 )
LA CORTE D'APPELLO DI MILANO (Sezione Prima Civile) Nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Alberto Massimo Vigorelli - Presidente; dott. Maria Iole Fontanella - Consigliere; dott. Francesca Fiecconi - Consigliere-relatore; ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione della Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera m) n. 1), della legge 7 ottobre 2014, n. 154 e dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015, nel procedimento R.N.G. 4809/2016 promosso dal sig. Palermo Giuliano contro la Commissione nazionale per le Societa' e la Borsa. Ritenuto in fatto 1. A seguito del procedimento amministrativo n. 36074/2015, avviato dalla Consob con atto di contestazione datato 28 ottobre 2015, e concluso in data 26 settembre 2016, e' emerso che in data 6 febbraio 2014 il sig. Giuliano Palermo aveva inoltrato alla coniuge Ilaria Laureti, una e-mail concernente il «Piano di rafforzamento patrimoniale e di semplificazione della struttura del Gruppo Italcementi», poi reso noto il successivo 6 marzo 2014 con comunicato congiunto di Italcementi S.p.A. e Italmobiliare S.p.A. 2. La Consob notificava quindi al ricorrente, in data 26 settembre 2016, la delibera n. 19659 e il relativo atto di accertamento della violazione dell'art. 187-bis, comma 1, lett. b) TUF. congiuntamente al provvedimento sanzionatorio, irrogando al sig. Palermo una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 100.000,00 della quale veniva contestualmente ingiunto il pagamento, integrata dalla misura interdittiva accessoria, come prevista all'art. 187-quater, comma 1 del TUF, di due mesi di sospensione dall'esercizio dell'attivita', disponendo la pubblicazione, per estratto, della delibera, nel Bollettino della Consob. 3. Nel provvedimento impugnato l'Autorita' osservava che l'informazione privilegiata, della quale il ricorrente era in possesso per aver partecipato alla ideazione del Progetto del Gruppo Italcementi in qualita' di responsabile dell'Ufficio Evaluation and Coordination of M&A and Development Projects nell'ambito della Direzione Piano Strategico di Italcementi, riguardava notizie positive del processo decisionale che aveva condotto all'approvazione del piano in data 6 marzo 2014 ed era stata comunicata ad un soggetto con specifiche competenze in materia finanziaria e al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione, dell'ufficio. 4. Con ricorso ex art. 187-septies, commi 4 e ss., TUF, notificato a mezzo PEC, in data 26 ottobre 2016, il sig. Giuliano Palermo ha proposto opposizione avverso la delibera n. 19659 del 6 luglio 2016 ed il connesso atto di accertamento congiuntamente al provvedimento sanzionatorio. 5. Il ricorrente ha dedotto, in via preliminare, la violazione del termine di durata del procedimento sanzionatorio e, nel merito, l'infondatezza dell'addebito. 6. Sotto il profilo del quantum sanzionatorio, il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015, che esclude l'applicazione dell'art. 39, comma 3, della legge 28 dicembre 2005, n. 262, la quale a sua volta prevede(va) la quintuplicazione delle sanzioni contemplate dal TUF. L'applicazione dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015 infatti avrebbe condotto all'irrogazione della sanzione di € 20.000,00, come previsto testualmente dall'art. 187-bis. comma 1, TUF, in luogo della sanzione quintuplicata di € 100.000,00, irrogata dalla Consob ai sensi dell'art. 39, comma 3, legge 28 dicembre 2005, n. 262. 7. Ad avviso della Consob, tuttavia, all'applicazione del comma 3, dell'art. 6, del decreto legislativo n. 72/2015, osterebbe il disposto del precedente comma 2 del medesimo articolo, laddove si nega l'applicazione retroattiva in mitius delle modifiche introdotte dal medesimo decreto legislativo n. 72/2015 alla Parte V del TUF. II decreto legislativo n. 72/2015 infatti, in attuazione della delega conferita dall'art. 3, comma 1, lettera m), n. 1) della legge 7 ottobre 2014, n. 154, che ha attribuito al Governo il potere di «valutare l'estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui stata commessa la violazione». Quest'ultimo, tuttavia, ha scelto, nella sua discrezionalita', di negare la retroattivita' in mitius ai fini delle modifiche alla parte V del TUF. 8. Alle medesime conclusioni condurrebbe inoltre la generale disposizione contraria alla retroattivita' in mitius dello ius superveniens in materia di sanzioni amministrative, di cui all'art. 1, della legge n. 689/1981. Considerato in diritto 9. Questa Corte ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015, ai sensi del quale «Le modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano alle violazioni commesse dopo l'entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d'Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell'art. 196-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d'Italia continuano ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo». 10. Tale norma costituisce l'attuazione della legge delega n. 154 del 2014 con cui il legislatore ha delegato il Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea. In particolare, l'art. 3, comma 1, lett. m) dispone che il Governo debba: «con riferimento alla disciplina sanzionatoria adottata in attuazione delle lettere i) e l): valutare l'estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui e' stata commessa la violazione». 11. Si sottolinea preliminarmente che le suddette disposizioni sopra letteralmente riportate non menzionano l'art. 187-bis TUF tra le norme da riformulare sotto il profilo delle sanzioni. Si profila, pertanto, in tal senso, un possibile eccesso di delega in violazione dell'art. 77 Cost. 12. A parte il rilievo formale di cui sopra, a questa Corte pare che il Governo, dando attuazione alla legge delega sopra citata, avrebbe dovuto meglio valutare l'opportunita' di estendere il principio del favor rei con riguardo alla disciplina sanzionatoria della fattispecie di «abuso di informazioni privilegiate» in questione, esercitando discrezionalmente un potere che era stato conferito dal legislatore delegante. Pertanto, quanto al merito della questione oggetto di discussione tra le parti del giudizio e inerente alla mancata previsione di una norma che applichi il principio della retroattivita' della lex mitior, si osserva quanto segue. 13. In primo luogo, la rilevanza della questione in relazione al caso in esame emerge sotto il profilo del quantum sanzionatorio, dal momento che l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015, comporterebbe la possibilita' di irrogare, nei confronti del sig. Palermo Giuliano, ove sia ritenuto responsabile dell'illecito, la sanzione minore e piu' mite di € 20.000.00, in luogo di quella maggiore, pari a € 100.000,00. determinata dalla Consob, oltre le sanzioni interdittive. 14. In secondo luogo, la non manifesta infondatezza della questione discende dal rilievo che nella fattispecie in esame, secondo un orientamento consolidato della Corte europea dei diritti dell'uomo, le garanzie di cui alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) si applicano a tutti i precetti di carattere afflittivo a prescindere dalla loro qualificazione come sanzioni penali nell'ordinamento di provenienza. 15. Il riferimento e' in primis alla sentenza Engel c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, ove si legge che «se gli Stati contraenti fossero nella piena discrezionalita' nel classificare un illecito penale quale disciplinare invece che penale, o di perseguire l'autore di un reato misto sul piano disciplinare, piuttosto che sul piano penale, il funzionamento delle clausole fondamentali di cui agli articoli 6 e 7 sarebbe subordinato alla loro sovrana volonta'. Una discrezionalita' cosi' estesa potrebbe condurre a risultati incompatibili con le finalita' e con l'oggetto della Convenzione». Con la sentenza Engel, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha in particolare individuato tre criteri ai fini della qualificazione penale di una sanzione: la classificazione dell'illecito nell'ordinamento nazionale, l'intrinseca natura dell'illecito e la severita' della sanzione applicabile, utilizzati in via alternativa o cumulativa dalla Corte di Strasburgo allo scopo di assicurare la uniforme applicazione di uno standard minimo di garanzie in tutti gli Stati-parte. 16. Nell'ambito dei suddetti criteri, il parametro della classificazione dell'illecito nell'ordinamento nazionale rappresenta soltanto un punto di partenza per l'analisi condotta dalla Corte europea. Il criterio della natura dell'illecito e' invece il piu' elastico, in quanto fa leva su una pluralita' di indici come: a) la cerchia dei destinatari del precetto, che deve rivolgersi alla generalita' dei cittadini, e non inserirsi esclusivamente nella disciplina interna di un gruppo contrassegnato da uno status speciale; b) la finalita' della sanzione comminata dalla norma incriminatrice, che deve avere carattere deterrente e punitivo; c) la qualificazione penalistica prevalente nel panorama degli ordinamenti nazionali; d) il collegamento della sanzione con l'accertamento di una infrazione (con esclusione, quindi, delle mere misure preventive). Infine, il criterio della severita' della sanzione fa riferimento alla gravita' delle conseguenze previste dalla legge; puo' trattarsi, in particolare, di pene detentive, o pene pecuniarie di rilevante entita'. 17. In applicazione dei suddetti criteri, sono state ricondotte alla materia penale alcune significative ipotesi di sanzioni qualificate nell'ordinamento interno conte sanzioni amministrative. All'uopo e' opportuno richiamare la sentenza del 27 settembre 2011, Menarini contro Italia, e la sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri contro Italia, nelle quali la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha ritenuto di natura «penale», ai sensi dell'art. 6 della CEDU, rispettivamente le sanzioni amministrative in materia di concorrenza (art. 15, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 - Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) e le sanzioni amministrative in materia di manipolazione del mercato (art. 187-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). Si tratta quindi di stabilire se la sanzione di cui all'art. 187-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), concernente l'illecito di «abuso di informazioni privilegiate», possa qualificarsi anch'essa come «penale» alla luce dei criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo. Non e' in proposito dirimente il fatto che la fattispecie in esame sia qualificata dal nostro ordinamento quale «sanzione amministrativa», dal momento che i criteri individuati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo possono essere utilizzati sia cumulativamente che alternativamente e che, come sopra precisato, le indicazioni fornite dal diritto interno hanno un valore meramente relativo (Sentenza Corte europea dei diritti dell'uomo, 4 marzo 2014 causa Grande Stevens e altri c. Italia). 18. Sotto il profilo della natura della sanzione, si puo' osservare che essa e' certamente rivolta alla generalita' dei consociati, in chiave di protezione dell'interesse fondamentale alla tutela dei mercati finanziari. La Consob, autorita' amministrativa indipendente, ha lo scopo di garantire la protezione degli investitori e l'efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari. Si tratta quindi di interessi generali della societa', normalmente tutelati dal diritto penale. La sanzione in esame, peraltro, persegue prevalentemente scopi deterrenti e punitivi, come si ricava dalla circostanza che, ai fini della consumazione del fatto illecito di cui alle lettere b) e c) del primo comma dell'art. 187-bis, e' sufficiente rispettivamente che vi sia stata la comunicazione ad altri di informazioni privilegiate al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio ovvero che vi sia stata la raccomandazione o induzione di altri, sulla base di tali informazioni, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a), senza che rilevi in proposito un'eventuale successiva operativita' sugli strumenti finanziari cui inerivano dette informazioni. 19. Per quanto riguarda l'aspetto della gravita' della sanzione suscettibile di essere inflitta, il quantum sanzionatorio astrattamente applicabile risulta dal combinato disposto dell'art. 187-bis, che prevede l'irrogazione di una sanzione pecuniaria che va da € 20.000.00 a € 3.000.000,00, e dell'art. 39, comma 3, della legge n. 262 del 2005, ai sensi del quale: «le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dalla legge 12 agosto 1982, n. 576, e dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che non sono state modificate dalla presente legge, sono quintuplicate». Il comma quinto dell'art. 187-bis prevede inoltre che: «le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole ovvero per l'entita' del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo». La comminazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui sopra comporta, per i soggetti cui sono applicate, anche la perdita temporanea del requisito della onorabilita' richiesto per l'esercizio di funzioni apicali e di controllo all'interno delle societa' di capitali e, ove queste ultime siano quotate in borsa, essi vengono colpiti da un'incapacita' temporanea di amministrare, di dirigere o di controllare societa' quotate in borsa per una durata da due mesi a tre anni. La Consob puo' anche interdire alle societa' quotate, alle societa' di gestione e alle societa' di revisione di avvalersi della collaborazione dell'autore dell'infrazione per una durata massima di tre anni e richiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea dell'interessato dall'esercizio della sua attivita' professionale. 20. Sebbene nel caso in esame la sanzione sia stata applicata nel suo ammontare minimo (€ 100.000,00), l'aspetto penale di una sanzione va valutato con riguardo alla pena massima prevista in astratto, a prescindere dalla sanzione inflitta in concreto (sentenza Engel c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976. § 82 e sentenza Dubus S.A. c. Francia dell'11 giugno 2009, § 37). Dalla natura «penale», ai sensi della CEDU, della sanzione in esame discende, ad avviso di questa Corte d'Appello, l'applicabilita' alla stessa del principio di legalita' penale di cui all'art. 7 della CEDU. Detta norma, secondo l'interpretazione della Corte di Strasburgo, rinvenibile nelle sentenze 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, e del 24 gennaio 2012, Mihai Toma contro Romania, il carattere penale della sanzione non implica che debba vigere solo il principio della irretroattivita' delle leggi penali piu' severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattivita' della legge penale meno severa. Detto principio si traduce nella regola dell'applicazione della legge penale che contempla una pena piu' mite, anche se posteriore alla commissione del reato. 21. Tanto considerato, ad avviso del giudice a quo si profila un'ipotesi di contrasto fra l'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 70/2015 e l'art. 117 della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell'art. 7 CEDU. 22. In particolare, si ritiene che la scelta di non ricorrere al principio della retroattivita' del trattamento sanzionatorio piu' favorevole con riferimento alle sanzioni previste dall'art. 187-bis. del TUE, di natura sostanzialmente penale, ponga un consistente dubbio sulla compatibilita' di detto regime con l'art. 3 Cost. e con i principi uguaglianza e di ragionevolezza. Si richiama in proposito la sentenza n. 393 del 2006, in cui la Corte costituzionale ha chiarito che «il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio retroattivita' della lex mitior - quale emerge dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto comunitario - impone di ritenere che il valore da esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo». 23. In tale pronuncia la Corte costituzionale, in sintesi, ha affermato che, sebbene il principio dell'applicazione retroattiva della lex mitior non sia assoluto, tuttavia la sua deroga deve essere giustificata da gravi motivi di interesse generale (sentenze n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006 Corte cost.), superando a questi fini un vaglio positivo di ragionevolezza, e non un mero vaglio negativo di non manifesta irragionevolezza. Devono cioe' essere positivamente individuati gli interessi superiori, di rango almeno pari a quello del principio in discussione, che ne giustifichino il sacrificio. 24. Orbene, nel caso in esame, non sarebbe ravvisabile alcuna giustificazione, men che meno di rango costituzionale, tale da legittimare il sacrificio del trattamento piu' favorevole previsto dall'art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015. Difatti, nonostante nella legge delega fosse indicata detta possibilita' nella materia de qua, risulta alquanto difficile ravvisare una ratio alla scelta fatta in senso opposto dal legislatore delegato. 25. In materia di sanzioni amministrative, difatti, non sono isolati i casi in cui il legislatore ha previsto la regola della retroattivita' della lex mitior, in deroga al regime generale di irretroattivita' della sanzione amministrativa previsto dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981. Si puo' all'uopo richiamare l'art. 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme di legge in materia valutaria), come inserito dall'art. 1, comma 2, della legge 7 novembre 2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia di sanzioni per le violazioni valutarie); l'art. 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662); l'art. 46 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337); l'art. 3 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica. a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). 26. Nel caso di specie, invero, non puo' nondimeno essere trascurato l'orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, ribadito nella recente sentenza n. 4114/2016, nella quale e' stata espressamente dichiarata l'inapplicabilita' del nuovo regime introdotto dal decreto legislativo n. 72/2015 (sia in punto di fattispecie di illecito che di apparato sanzionatorio) ai fatti commessi antecedentemente alla sua entrata in vigore. La Suprema Corte ha affermato in particolare che: «in materia di intermediazione finanziaria, le modifiche alla parte V del decreto legislativo n. 58 del 1998 apportate dal decreto legislativo n. 72 del 2015 si applicano alle violazioni commesse dopo l'entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l'art. 6 del medesimo decreto legislativo, e non e' possibile ritenere l'applicazione immediata della legge piu' favorevole, atteso che il principio cd. del favor rei, di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum. Ne' tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (Grande Stevens ed altri c/o Italia), secondo la quale l'avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob sui medesimi fatti violerebbe il principio del ne bis in idem, atteso che tali principi vanno considerati nell'ottica del giusto processo, che costituisce l'ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un'eventuale questione di costituzionalita' ai sensi dell'art. 117 Cost. 27. Occorre, d'altra parte rammentare che la stessa Corte costituzionale qui adita e' stata recentemente investita della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede la retroattivita' in mitius nella generale disciplina dell'illecito amministrativo, in relazione agli articoli 3 e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo con riferimento agli articoli 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. In tale occasione, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale, statuendo che «non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestate dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l'affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata,, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattivita' della legge piu' favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative». La Corte costituzionale ha anche precisato che l'applicazione del principio della retroattivita' della lex mitior e' subordinato alla «preventiva valutazione della singola sanzione (qualificala "amministrativa dal diritto interno) come «convenzionalmente penale», alla luce dei cosiddetti criteri Engel (cosi' denominali a partire dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera - 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi e costantemente ripresi dalle successive sentenze in argomento)». Il motivo del rigetto, secondo la medesima Corte, si ricollega alla circostanza che non sia possibile desumere dai principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo un'estensione generalizzata del principio della retroattivita' della legge piu' favorevole con riguardo all'intero sistema delle sanzioni amministrative. 28. Va rimarcato, tuttavia, che la questione qui prospettata non si riferisce alla generalita' delle sanzioni amministrative, ma unicamente a una previsione normativa di carattere certamente afflittivo (secondo i criteri Engel sopra citati), atteso che il presente giudizio ha per oggetto una sanzione pecuniaria qualificabile come penale alla luce dei criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Profilandosi, in tal senso, un contrasto tra la previsione di cui all'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015, che esclude la retroattivita' della normativa piu' favorevole prevista dal successivo comma 3 del medesimo articolo, con gli articoli 3 e 117 della Costituzione, quest'ultima in relazione al parametro interposto dell'art. 7 della CEDU, si ritiene pertanto necessario rimettere alla Corte costituzionale la valutazione della compatibilita' dell'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015 con le norme della Costituzione sopra richiamate, atteso che la scelta operata dal legislatore non appare ragionevole, se solo si fa riferimento alle norme fiscali sopra menzionate. Difatti l'insider trading e' un illecito civile che ha anche rilievo penale: pertanto, non vi sono ragioni per escludere l'applicazione della legge piu' favorevole in tale specifico campo, come e' avvenuto per le violazioni tributarie. 29. E' opportuno rilevare che il denunciato contrasto non potrebbe essere risolto ricorrendo a un'interpretazione conforme alla Convenzione EDU e ai parametri costituzionali, in quanto e' riscontrabile una consolidata giurisprudenza di legittimita' che in piu' occasioni ha ribadito la non applicabilita' del principio della retroattivita' della lex mitior al settore degli illeciti amministrativi. Tale impostazione si fonda sul rifiuto generalizzato di un'applicazione analogica dell'art. 2, secondo comma, codice penale, anche alla luce dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, e sulla considerazione dei casi nei quali opera il principio della retroattivita' della lex mitior come casi settoriali, non estensibili oltre il loro ristretto ambito di applicazione. Si aggiunge, inoltre, che la norma, una volta affermatane la natura sostanzialmente penale, pare in netto contrasto anche con il principio di cui all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il quale stabilisce che «se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve, occorre applicare quest'ultima». 30. Nel caso in esame, pertanto, appare opportuno verificare se una disposizione normativa che, in questa particolare fattispecie, di sicuro rilievo penale, non abbia previsto tale effetto retroattivo, nonostante nella legge delega fosse stata espressamente prevista tale opzione normativa, si ponga o meno in contrasto con i principi costituzionali sopra richiamati e gia' previsti dal legislatore in materie affini.
P.Q.M. La Corte di appello di Milano, sezione prima civile, visto l'art. 6, comma 2 del decreto legislativo n. 72/2015: ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza: a) solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015 nella parte in cui ha modificato le sanzioni di cui all'art. 187-bis TUF in attuazione dell'art. 3, lettera i) e l) della legge delega n. 154/2014, ai sensi dell'art. 77 Cost.; b) solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015 nella parte in cui ha modificato le sanzioni di cui all'art. 187-bis TUF in attuazione dell'art. 3 della legge delega n. 154/2014, escludendo la retroattivita' in mitius della normativa piu' favorevole prevista dall'art. 6, comma 3, decreto legislativo n. 72/2015, in violazione degli articoli 3, 117 Cost.; c) per l'effetto, sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; d) dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, 27 febbraio 2017 Il Presidente: Vigorelli Il Consigliere relatore: Fiecconi