N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 agosto 2016

Ordinanza del 23 agosto 2016  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Meloni Giorgia e altri contro Ufficio elettorale centrale
nazionale e altri. 
 
Elezioni - Elezione  dei  membri  del  Parlamento  europeo  spettanti
  all'Italia - Soglia di sbarramento per le  liste  che  non  abbiano
  conseguito sul piano nazionale almeno  il  4  per  cento  dei  voti
  validi espressi. 
- Legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei  membri  del  Parlamento
  europeo spettanti all'Italia), artt. 21, primo comma, n.  1-bis)  e
  n. 2), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art.  1
  della legge 20 febbraio 2009, n. 10, e 22, primo comma. 
(GU n.27 del 5-7-2017 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 10641 del 2015, proposto da Giorgia  Meloni,  Guido
Crosetto, Sergio Antonio  Berlato,  Carlo  Fidanza,  Cristiano  Allam
Magdi, Marco Scurria, Pasquale Maietta,  Giovanni  Alemanno,  Antonio
Iannone, Sandro Pappalardo, Marco Marsilio, Salvatore  Sirigu,  Paola
Frassinetti, Raffaele Speranzon,  Maurizio  Delli  Carri e  Etelwardo
Sigismondi,  rappresentati   e   difesi   dagli   avvocati   Federico
Tedeschini, Elisabetta Rampelli  e  Fabiana  Seghini,  con  domicilio
eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7, 
    contro Ufficio  elettorale  centrale  nazionale,  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri,  Ministero  dell'interno,  Ministero  della
giustizia,  in  persona  del   legale   rappresentante   pro-tempore,
rappresentati e  difesi  per  legge  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12 nei  confronti  di
Forza Italia, Alberto Cirio, Remo Sernagiotto, Alessandra  Mussolini,
Barbara Matera, Salvatore Cicu, rappresentati e difesi  dall'avvocato
Ignazio Abrignani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,
piazza delle Belle Arti, n. 8; 
    Nuovo Centrodestra (Ncd), rappresentato e difeso  dagli  avvocati
Angelo Clarizia e Andrea Gemma, con domicilio  eletto  presso  Angelo
Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2; 
    Partito  Democratico,  Daniele  Viotti   e   Roberto   Gualtieri,
rappresentati e difesi dall'avvocato  Vincenzo  Cerulli  Irelli,  con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Dora,1; 
    Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di  Centro  (UDC),
rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Galoppi, con  domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via Sistina, 42; 
    Nicola Caputo, rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  Antonio
Lambertie Claudio Maria Lamberti, con domicilio eletto presso Antonio
Lamberti in Roma, viale dei Parioli, 67; 
    Lorenzo Fontana, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Tozzi,
domiciliato presso la segreteria della Quinta Sezione  del  Consiglio
di Stato in Roma, p.za Capo di Ferro 13; 
    Michela Giuffrida, Marco Zullo, Piernicola Pedicini, Massimiliano
Salini, Lorenzo Cesa, Movimento 5 Stelle non costituiti in giudizio; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, Sezione II-bis, n. 13214/2015, 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri,  del  Ministro  dell'interno,  dell'Ufficio
elettorale centrale nazionale e di Partito  Democratico  e  di  Forza
Italia e di Nuovo Centrodestra (Ncd)  e  di  Unione  dei  Democratici
Cristiani e Democratici di Centro (Ucd) e  di  Daniele  Viotti  e  di
Nicola Caputo e di Roberto Gualtieri e di Alberto  Cirio  e  di  Remo
Sernagiotto e di Alessandra  Mussolini  e  di  Barbara  Matera  e  di
Salvatore Cicu e di Lorenzo Fontana e di Ministero della giustizia; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2016 il Cons.
Claudio Contessa e  uditi  per  le  parti  gli  avvocati  Tedeschini,
Rampelli, dello Stato Grasso, Maria  Athena  Lorizio  per  delega  di
Cerulli Irelli, Antonio Lamberti, Claudio Maria Lamberti, Sarago' per
delega  di  Abrignani,  Tozzi,  Torrini  per  delega  di  Galoppi,  e
Clarizia; 
 
                                Fatto 
 
Il contesto normativo nazionale rilevante ai fini della decisione. 
    La presente ordinanza di rimessione ha ad oggetto la legittimita'
costituzionale della normativa vigente  relativa  all'elezione  della
delegazione italiana al Parlamento europeo, cioe' la legge 24 gennaio
1979, n. 18, cosi' come modificata dalla legge 20 febbraio  2009,  n.
10 - «Modifiche alla  legge  24  gennaio  1979,  n.  18,  concernente
l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia» -,
nella parte in cui  stabilisce  che  l'Ufficio  elettorale  nazionale
«individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno
il 4 per cento dei voti validi espressi» (art. 21, comma 1, n. 1-bis)
della legge 24 gennaio 1979, n. 18) e «procede al riparto  dei  seggi
tra le liste di cui al numero 1-bis) in base  alla  cifra  elettorale
nazionale di ciascuna lista [...]» (art. 21,  comma  1,  n.  2  della
medesima legge n. 18 del 1979). 
    Il sistema introdotto dalla legge italiana consegue all'esercizio
della facolta', prevista per gli  Stati  membri  dell'Unione  europea
nell'Atto  di  Bruxelles  (Allegato  alla  decisione  del   Consiglio
76/787/CECA, CEE, Euratom del 20 settembre 1976, nel testo risultante
a seguito della decisione del Consiglio 2002/772/CE, Euratom  del  25
giugno 2002 e  del  23  settembre  2002),  di  introdurre  soglie  di
sbarramento nella misura massima del  cinque  per  cento  all'interno
delle rispettive legislazioni nazionali per l'elezione dei membri del
Parlamento europeo. 
I fatti all'origine della controversia e i motivi 
    Con ricorso al Tribunale amministrativo  regionale  del  Lazio  e
iscritto al n. 9609 dell'anno 2014, gli odierni appellanti,  premesso
di aver rivestito la qualita' di  candidati  per  la  lista  Fratelli
d'Italia - Alleanza Nazionale alle elezioni  del  Parlamento  europeo
svoltesi il 25 maggio 2014,  nonche'  di  elettori,  hanno  impugnato
latto di proclamazione dei candidati eletti,  non  avendo  lo  stesso
assegnato alcun seggio alla propria lista, che pure  era  riuscita  a
conseguire a livello nazionale  1.006.513  voti,  pari  al  3,66  per
cento, cosi' ripartiti: 
        - I circoscrizione Italia nord occidentale: 254.453 (3,19%); 
        - II circoscrizione Italia nord orientale: 174.770 (3,07%); 
        - III circoscrizione Italia centrale: 260.792 (4,58%); 
        - IV circoscrizione Italia meridionale: 238.993 (4,15%); 
        - V circoscrizione Italia insulare: 75.029 (3,30%). 
    Gli appellanti hanno lamentato che tale  esito  fosse  gravemente
lesivo del loro diritto di elettorato attivo e passivo,  invocando  a
supporto plurime disposizioni costituzionali e previsioni  sancite  a
livello europeo e hanno chiesto al giudice adito  l'annullamento  del
suddetto provvedimento di proclamazione degli  eletti  ed  una  nuova
ripartizione dei seggi,  senza  fare  applicazione  della  soglia  di
sbarramento al quattro per cento prevista dall'art. 21, comma  1,  n.
1-bis della legge n. 18 del 1979, previa rimessione  della  questione
alla Corte costituzionale  o  alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea. 
    All'interno dell'unico motivo contenuto nel  ricorso  sono  stati
evidenziati  molteplici  profili  di  incostituzionalita',   connessi
all'assunto per cui la legge elettorale italiana  per  il  Parlamento
europeo,  introducendo   una   soglia   di   sbarramento,   lederebbe
l'uguaglianza e le  liberta'  del  diritto  di  elettorato  attivo  e
passivo dei cittadini  italiani  con  conseguente  distorsione  della
rappresentanza in sede europea:  verrebbe  vanificata  la  preferenza
espressa da piu' di un milione di  elettori  per  la  lista  Fratelli
d'Italia - Alleanza nazionale in  occasione  delle  elezioni  del  25
maggio 2014. 
    Quest'ultima, infatti, in mancanza di detta soglia di sbarramento
e stando ai risultati delle  elezioni  avrebbe  ottenuto  almeno  tre
seggi presso il Parlamento europeo ed il vulnus si  sarebbe  ripetuto
anche con l'applicazione del  criterio  dei  resti,  registrando  una
cifra elettorale superiore ai  resti  delle  altre  liste  che  hanno
raggiunto il 4 per cento. 
    Passando all'esame delle singole argomentazioni sviluppate: 
        - per quanto riguarda l'ordinamento costituzionale  italiano,
e' stata sottolineata la violazione del principio  di  partecipazione
democratica (articoli 1, 2 e 49 della Costituzione), del principio di
uguaglianza (art. 3  della  Costituzione)  e  del  principio  fissato
dall'art. 48 della Costituzione, secondo cui «Il voto e' personale ed
eguale, libero e segreto»; 
        - per  quanto  riguarda  l'ordinamento  dell'Unione  europea,
l'accento e' stato posto sugli articoli 10 e 11 della Costituzione  e
sui Trattati, in  particolare,  l'art.  9  del  Trattato  sull'Unione
europea, per il quale «La cittadinanza dell'Unione si  aggiunge  alla
cittadinanza nazionale», e l'art. 10, comma 3 del medesimo  Trattato,
che conferisce a chi ne sia titolare «il diritto di partecipare  alla
vita democratica dell'Unione». 
    Principi  questi  ritenuti  non  compatibili  con   la   facolta'
riconosciuta agli Stati membri dall'Atto di Bruxelles  di  introdurre
soglie di sbarramento nelle legislazioni nazionali per l'elezione dei
parlamentari  europei,  alla  luce,  oltretutto,  delle   innovazioni
apportate dal Trattato di Lisbona entrato  in  vigore  il  giorno  1°
dicembre 2007. 
    A sostegno  della  discriminatorieta'  delle  soglie  elettorali,
verso cui ha optato  il  legislatore  italiano,  e'  intervenuta  una
duplice considerazione. 
    Da un lato, rileverebbe lassegnazione  di  seggi  parlamentari  a
stati con popolazioni di modeste dimensioni,  tra  cui  basti  citare
Malta (416.000 abitanti),  Lussemburgo  (508.000  abitanti)  e  Cipro
(840.000 abitanti), sulla base di  un  numero  di  voti  inferiore  a
quello ottenuto in Italia dalla lista Fratelli  d'Italia  -  Alleanza
nazionale. 
    Dall'altro,  rileverebbe  il  trattamento  riservato  ad   alcune
minoranze linguistiche, che hanno una garanzia  di  elezione  con  un
numero di voti inferiore a quello di  liste  sotto  soglia  ai  sensi
dell'art. 12, commi 8 e 9 della legge  18  del  1979  (in  base  alle
disposizioni appena richiamate «8. Ciascuna delle liste di  candidati
eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi  dalla
minoranza di lingua francese della Valle d'Aosta, di  lingua  tedesca
della Provincia di Bolzano e di  lingua  slovena  del  Friuli-Venezia
Giulia puo' collegarsi,  agli  effetti  dell'assegnazione  dei  seggi
prevista dai successivi articoli 21  e  22,  con  altra  lista  della
stessa  circoscrizione  presentata  da  partito  o  gruppo   politico
presente in tutte le circoscrizioni con lo stesso contrassegno. 9.  A
tale scopo, nella dichiarazione di presentazione  della  lista,  deve
essere indicata la lista  con  la  quale  si  intende  effettuare  il
collegamento. Le dichiarazioni di collegamento fra le  liste  debbono
essere reciproche»). 
    Ai medesimi fini rileverebbe altresi' la previsione dell'art. 22,
commi 2 e 3 della medesima  legge  n.  18  del  1979  (in  base  alle
disposizioni appena richiamate, «2. Quando in una circoscrizione  sia
costituito un gruppo di liste con le modalita' indicate nell'art. 12,
ai  fini  della  assegnazione  dei  seggi  alle  singole  liste   che
compongono il gruppo l'ufficio elettorale circoscrizionale provvede a
disporre  in  un'unica  graduatoria,  secondo  le  rispettive   cifre
individuali, i  candidati  delle  liste  collegate.  Proclama  quindi
eletti, nei limiti dei posti ai quali il gruppo di liste ha  diritto,
i candidati che hanno ottenuto le cifre individuali piu' elevate.  3.
Qualora nessuno dei candidati della lista  di  minoranza  linguistica
collegata sia compreso nella graduatoria dei posti ai quali il gruppo
di liste ha diritto,  l'ultimo  posto  spetta  a  quel  candidato  di
minoranza  linguistica  che  abbia   ottenuto   la   maggiore   cifra
individuale, purche' non inferiore a 50.000»). 
    Veniva,  altresi',  confutata  l'obiezione  che,  proiettando  le
dinamiche nazionali nel contesto europeo, insisteva sull'esigenza  di
evitare  un'eccessiva  frammentazione   partitica   in   nome   della
governabilita' e stabilita'. 
    A tal proposito  si  e'  osservato  che  l'organismo  assembleare
europeo non e' legato da alcun  rapporto  fiduciario  con  il  potere
esecutivo. 
    Inoltre, all'interno del Parlamento europeo i  parlamentari  sono
suddivisi per gruppi politici e non nazionali. Non a caso, la  stessa
legge 24 gennaio 1979, n.  18,  fa  espresso  riferimento  ai  membri
spettanti all'Italia e non ai rappresentanti l'Italia. 
    Una conferma degli spiegati rilievi e' stata  rintracciata  nelle
pronunce della Corte costituzionale tedesca, la quale,  dapprima,  in
data 9 novembre 2011, aveva accolto  due  distinti  ricorsi  volti  a
contestare  la  legittimita'   costituzionale   della   clausola   di
sbarramento del 5 per cento e del sistema delle liste  bloccate,  che
disciplinavano l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
alla Germania, e successivamente, in data  26  febbraio  2014,  aveva
ribadito l'illegittimita' costituzionale della soglia di sbarramento,
che il legislatore nazionale aveva reintrodotto nella  misura  del  3
per cento. 
    In entrambi i casi, quella Corte ha affermato che la  limitazione
della rappresentanza viola i principi di uguaglianza del voto e della
pari opportunita' tra i partiti politici. 
    All'udienza del 27 maggio 2015 il  Tribunale  amministrativo  del
Lazio, con ordinanza n. 7613/2015, sospendeva il giudizio «nelle more
della decisione della  Corte  costituzionale  che  ha  trattenuto  in
decisione la questione di legittimita' costituzionale degli art.  21,
comma 1, n. 1-bis) e 2) della legge n. 18 del 1979,  nella  parte  in
cui introducono nelle consultazioni del Parlamento europeo una soglia
di sbarramento per le liste che  non  abbiano  conseguito  sul  piano
nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi,  analoga  a
quella  sollevata  dai  ricorrenti  in  questa  sede  e  rimessa  dal
Tribunale di Venezia con ordinanza 9 maggio 2014». 
    Con sentenza n. 110 del 15 giugno 2015, la  Corte  costituzionale
ha dichiarato inammissibile la suddetta questione. 
    Con la sentenza n.  13214/2015  (qui  impugnata  in  appello)  il
Tribunale amministrativo del Lazio ha, infine, respinto il ricorso  e
condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio. 
    Con il ricorso in  appello  sono  state  riproposte  le  medesime
contestazioni avverso la previsione del  limite  percentuale  di  cui
all'art. 21, comma 1, n. 1-bis) della legge 24 gennaio  1979,  n.  18
necessario per accedere alla ripartizione dei  seggi  nel  Parlamento
europeo. 
    Le contestazioni e gli argomenti in parola sono stati affidati  a
un unico, complesso motivo di doglianza. 
    Si sono costituiti in giudizio la Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, il Ministro dell'interno e l'Ufficio  elettorale  nazionale
presso la Corte di cassazione i quali hanno concluso nel senso  della
inammissibilita' e/o dell'infondatezza dell'appello. 
    Si e' costituito in giudizio il Movimento politico Forza  Italia,
nonche'  i  signori  Alberto  Cirio,  Remo  Sernagiotto,   Alessandra
Mussolini, Barbara Matera e Salvatore Cicu i quali  hanno  a  propria
volta concluso nel senso della inammissibilita' e/o dell'infondatezza
dell'appello. 
    Si sono costituiti in giudizio i dottori Nicola Caputo e  Lorenzo
Fontana   i   quali   ha   anch'essi   concluso   nel   senso   della
inammissibilita' e/o dell'infondatezza dell'appello. 
    Si sono poi costituiti in giudizio il NCD  (Nuovo  Centrodestra),
il  PD  (partito  Democratico)  e  l'U.D.C.  (Unione  di  Democratici
Cristiani e dei Democratici di Centro), nonche'  l'onorevole  Lorenzo
Cesa   i   quali   hanno   anch'essi   concluso   nel   senso   della
inammissibilita' e/o dell'infondatezza dell'appello. 
    Alla pubblica udienza del 12 maggio  2016  il  ricorso  e'  stato
trattenuto in decisione. 
 
                               Diritto 
 
Aspetti generali della questione 
    1. Giunge alla decisione  del  Collegio  il  ricorso  in  appello
proposto da Giorgia Meloni in qualita' di candidata all'elezione  dei
membri del Parlamento europeo tenutasi il 25 maggio 2014, nonche'  di
elettrice nell'ambito della medesima tornata elettorale (e  da  altri
candidati all'elezione dei membri del Parlamento europeo per la lista
Fratelli d'Italia  -  AN,  nonche'  da  altri  elettori)  avverso  la
sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui  e'
stato respinto il ricorso avverso gli  atti  di  proclamazione  degli
eletti  adottati  all'esito  della  richiamata   tornata   elettorale
(secondo gli appellanti, in particolare, la normativa  nazionale  che
disciplina le  elezioni  al  Parlamento  europeo  risulterebbe  sotto
diversi   aspetti   lesiva   del   pertinente   paradigma   normativo
eurounitario e costituzionale in particolare laddove fissa una soglia
di sbarramento al 4 per cento dei voti validamente espressi). 
    Il Collegio ritiene che la questione sottoposta al  suo  giudizio
non possa essere risolta se  non  previa  sottoposizione  alla  Corte
costituzionale  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
(rilevante e  non  manifestamente  infondata)  in  ordine  ad  alcune
disposizioni primarie rilevanti ai fini della risoluzione  della  res
controversa. 
    In particolare, per le ragioni  che  di  seguito  si  esporranno,
viene fatto di dubitare, in  riferimento  agli  articoli  1,  secondo
comma, 3 e 48, secondo comma della Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 21, primo comma, numeri 1-bis) e  2),  della
legge 24 gennaio 1979, n. 18, (Elezioni  dei  membri  del  Parlamento
europeo spettanti all'Italia), nel testo risultante  dalle  modifiche
introdotte dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla  legge
24 gennaio  1979,  n.  18,  concernente  l'elezione  dei  membri  del
Parlamento europeo spettanti all'Italia), nonche' del successivo art.
22, primo comma per la parte in cui  prevedono,  per  l'elezione  dei
membri del Parlamento europeo spettanti  all'Italia,  una  soglia  di
sbarramento per le liste le quali non abbiano conseguito,  sul  piano
nazionale, almeno il quattro per cento dei voti validamente espressi. 
Circa la rilevanza e circa  i  dedotti  profili  di  inammissibilita'
della questione 
    2. Il Collegio  osserva  in  primo  luogo  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale delle disposizioni dinanzi richiamate sub
1 sia rilevante ai fini della definizione del giudizio atteso: 
        - che gli appellanti hanno allegato (e sul punto  non  vi  e'
contestazione) che la lista Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale ha
riportato, allesito della tornata elettorale per cui e' causa,  nelle
cinque circoscrizioni nazionali, un totale di 1.006.513 voti  validi,
pari al 3,66 per cento circa dei voti validamente espressi; 
        - che la lista in questione si e' quindi  attestata  nel  suo
complesso al di sotto della soglia di  sbarramento  introdotta  dalla
legge n. 10 del 2009, in tal modo non  conseguendo  alcun  seggio  al
Parlamento europeo; 
        - che tuttavia, in  assenza  delle  previsioni  di  cui  alla
richiamata legge n. 10 del 2009 (i.e.: laddove la tornata  elettorale
si fosse svolta sulla base delle previgenti disposizioni di cui  alla
legge  18  del  1979),  la  lista  in  questione   avrebbe   ottenuto
l'attribuzione - sulla base dei voti conseguiti - di alcuni seggi; 
        - che in particolare (e alla luce delle deduzioni svolte alle
pagine da 17 a 19 dell'atto di appello e che non risultano contestate
in atti), laddove si fosse fatta applicazione nel caso di specie  del
sistema  dei  quozienti  interi  e  dei  piu'  alti  resti  (e  senza
applicazione delle soglie di sbarramento della cui  legittimita'  qui
si  discute),  la  lista  elettorale  Fratelli  d'Italia  -  Alleanza
nazionale si sarebbe  vista  attribuire  tre  dei  settantatre  seggi
complessivamente spettanti all'Italia nell'ambito del Parlamento UE; 
        - che, pertanto, la vicenda per cui e' causa non puo'  essere
definita  indipendentemente  dalla  risoluzione  delle  questione  di
legittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  di  legge  la  cui
applicazione ha in concreto impedito alla lista  elettorale  Fratelli
d'Italia - Alleanza nazionale di ottenere l'attribuzione di seggi. 
    2.1. Sempre per cio' che riguarda la rilevanza della questione di
legittimita' costituzionale che qui viene  in  rilievo  (nonche'  per
cio'  che  riguarda  gli  altri  presupposti  e  condizioni  per   la
proposizione della questione),  il  Collegio  osserva  che  la  Corte
costituzionale e' stata gia' investita per due volte dello  scrutinio
di costituzionalita' delle disposizioni di cui qui si discute. 
    Tuttavia nessuna delle due pronunce (ambedue di inammissibilita')
che hanno definito i relativi  giudizi  sembrano  recare  preclusioni
alla proposizione della questione che qui viene sollevata. 
    2.1.1. Per quanto riguarda, in primo luogo, il caso deciso con la
sentenza (di inammissibilita') della Corte costituzionale n. 271  del
2010, si osserva che il  caso  in  questione  risulta  oggettivamente
diverso da quello che qui viene in rilievo e che le statuizioni  rese
dalla Corte costituzionale con  tale  pronuncia  non  incidono  sulla
rilevanza della questione che qui viene sollevata. 
    Si osserva al riguardo: 
        - che, nell'ambito del giudizio definito con la  sentenza  n.
271 del 2010, non solo non veniva in rilievo la questione in se della
legittimita'  costituzionale  dell'introduzione   della   soglia   di
sbarramento di cui alla legge n.  10  del  2009,  ma  addirittura  il
presupposto stesso per la sottoposizione alla Corte  della  questione
di legittimita' costituzionale del riformulato art. 21 della legge n.
18 del 1979 era appunto  rappresentato  dalla  ritenuta  (e  qui  non
condivisa) manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale della disposizione in esame per la  parte  in  cui  la
stessa introduce(va) la piu' volte richiamata soglia di sbarramento; 
        - che, nell'ambito del giudizio definito con la  sentenza  n.
271  del  2010,  si  faceva  invero   questione   della   controversa
legittimita' costituzionale del richiamato art. 21 nella parte in cui
non consente anche alle  liste  escluse  dalla  soglia  nazionale  di
sbarramento di partecipare all'assegnazione dei seggi attribuiti  con
il meccanismo dei resti (si tratta  di  una  questione  evidentemente
diversa da quella che qui rileva,  la  quale  involge  in  radice  la
legittimita'  costituzionale  dell'introduzione  di  una  soglia   di
sbarramento in quanto tale). 
    2.1.2. Per quanto riguarda, poi, il caso deciso con  la  sentenza
(anch'essa di inammissibilita') della Corte costituzionale n. 110 del
2015,  si  osserva  che  il  caso  in  questione  risulta  del   pari
oggettivamente diverso da quello che qui  viene  in  rilievo  e  che,
parimenti, le statuizioni rese dalla Corte  costituzionale  con  tale
pronuncia non incidono sulla rilevanza della questione che qui  viene
sollevata. 
    Si osserva al riguardo: 
        - che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile  la
questione di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal  Tribunale
(ordinario) di Venezia per difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza
della questione. Al riguardo la Corte costituzionale ha osservato che
il mero riferimento  operato  dal  giudice  rimettente  all'interesse
all'accertamento della pienezza del diritto di voto con riguardo alle
future consultazioni per l'elezione  del  Parlamento  europeo,  senza
alcun'altra  specifica  indicazione,  non  puo'  essere   considerato
motivazione sufficiente ne' plausibile dell'esistenza  dell'interesse
ad  agire,  idonea  ai  fini   dell'ammissibilita'   dell'azione   di
legittimita' costituzionale. Al riguardo la Corte  costituzionale  ha
sottolineato che le  vicende  elettorali  relative  all'elezione  dei
membri italiani del Parlamento europeo  possono  (e  debbono)  essere
sottoposte agli ordinari  rimedi  giurisdizionali  (e,  segnatamente,
quelli previsti dagli articoli 130 e 132 Cod. proc.  amm.),  nel  cui
ambito puo' svolgersi ogni  accertamento  relativo  alla  tutela  del
diritto di  voto  nonche'  sollevarsi  incidentalmente  questione  di
costituzionalita' delle norme che lo disciplinano; 
        - che il caso definito con la richiamata sentenza n. 110  del
2015 e' evidentemente diverso da quello che qui rileva. Nel  caso  in
esame, infatti, non solo la questione e' stata sollevata  nell'ambito
di un giudizio proposto dai candidati  direttamente  e  concretamente
lesi dall'applicazione delle disposizioni della cui  legittimita'  si
discute; ma  -  per  di  piu'  -  la  questione  e'  stata  sollevata
nell'ambito di un giudizio ritualmente proposto  dinanzi  al  giudice
munito di giurisdizione e piena potestas decidendi in relazione  alle
posizioni giuridiche e alle pretese che vengono fatte valere. 
    2.2. Ancora per quanto riguarda la rilevanza ai fini del decidere
della  richiamata  questione  di  legittimita'   costituzionale,   il
Collegio osserva che non puo' in alcun  modo  aderirsi  alla  lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 21 della  legge  18  del  1979
proposta dagli appellanti. 
    Essi suggeriscono un'interpretazione della disposizione da ultimo
richiamata secondo cui occorrerebbe comunque ammettere al riparto dei
seggi le liste che (al pari di quella espressa dagli appellanti)  non
abbiano raggiunto la soglia di sbarramento del 4 per  cento,  ma  che
abbiano comunque riportato i maggiori resti. 
    Al  riguardo  ci  si  limita  ad  osservare   che   la   proposta
interpretazione collide in modo insanabile con la  lettera  del  piu'
volte richiamato art. 21, comma 1, n. 2) della legge 18 del  1979  il
quale limita in  modo  testuale  ed  espresso  (e  insuscettibile  di
interpretazioni di sorta) il riparto dei seggi alle sole liste di cui
al precedente n. 1-bis) (i.e.: alle sole liste che  abbiano  superato
la piu' volte richiamata soglia di sbarramento). 
    Pertanto, l'ipotizzata lettura costituzionalmente orientata della
disposizione non puo' essere condivisa e la questione di legittimita'
costituzionale delle disposizioni dinanzi richiamate resta  rilevante
ai fini del decidere. 
    2.3. Il Collegio osserva altresi' che si puo' qui prescindere dai
motivi di appello rivolti avverso l'ordinanza del  primo  giudice  n.
12581 del 2014 con la quale era  stata  ordinata  l'integrazione  del
contraddittorio (cosi' come delle eccezioni di inammissibilita' e  di
infondatezza sollevate in relazione a tali motivi). 
    Al riguardo (e rinviando alla decisione di merito ogni  ulteriore
statuizione sul punto) ci si limita  ad  osservare  che  gli  odierni
appellanti - i quali  avevano  contestato  gia'  in  primo  grado  la
legittimita' della richiamata ordinanza - hanno comunque proceduto ad
integrare il contraddittorio entro il termine a tal fine fissato  del
21 febbraio 2015 (in tal senso la documentazione  versata  agli  atti
del primo grado in data 4 marzo 2015). 
    2.4. Il Collegio osserva poi che  si  puo'  qui  prescindere  dai
motivi  di  appello  con  i  quali  si  e'  censurato  di  fatto   il
comportamento del primo giudice il quale avrebbe impiegato  un  tempo
eccessivo per definire il primo  grado  del  presente  giudizio,  con
conseguente violazione dei principi di concentrazione e celerita' che
necessariamente devono ispirare il rito elettorale. 
    Al riguardo (e rinviando anche in  tal  caso  alla  decisione  di
merito  ogni  ulteriore  statuizione  sul  punto)  ci  si  limita  ad
osservare che il motivo in questione - di cui e' in ogni caso  dubbia
la  stessa  ammissibilita'  -  non  incide  sul  merito   della   res
controversa. 
    2.5. Ancora per cio' che riguarda l'ammissibilita' della  dedotta
questione  di  legittimita'   costituzionale,   deve   escludersi   -
contrariamente a quanto osservato dal Movimento politico Forza Italia
che  tale  questione  (e  con  essa  il  ricorso  in   appello)   sia
inammissibile per carenza del requisito di incidentalita'  per  avere
nella sostanza gli appellanti introdotto una c.d. lis ficta. 
    Al riguardo ci si limita ad  osservare  che,  pur  risultando  la
dedotta questione di costituzionalita' del  tutto  centrale  ai  fini
della definizione della res controversa, non puo' tuttavia affermarsi
che l'eventuale sentenza di accoglimento della  Corte  costituzionale
sia idonea ad esaurire la tutela richiesta (in tal modo  violando  il
generale divieto del ricorso diretto di costituzionalita'). 
    Si osserva sotto tale aspetto: 
        - che vi e' un'apprezzabile diversita'  nei  petita  e  nelle
causae petendi del ricorso principale (nel cui ambito si fa questione
della  legittimita'  dei   verbali   delle   operazioni   dellUfficio
elettorale centrale nazionale e degli  atti  di  proclamazione  degli
eletti) e del richiesto giudizio di costituzionalita' (nel cui ambito
si fa questione della conformita' a Costituzione  della  disposizione
di legge che ha introdotto una soglia di sbarramento del 4 per  cento
nell'ambito del procedimento per l'elezione dei membri  italiani  del
Parlamento europeo); 
        - che, se (per un verso)  e'  vero  che  per  gli  appellanti
qualificatisi quali cittadini elettori l'eventuale vantaggio connesso
all'invocata declaratoria di incostituzionalita' si limiterebbe  alla
sola rimozione delle  disposizioni  censurate  dall'ordinamento,  per
altro verso e' ben diversa  la  posizione  vantata  dagli  appellanti
qualificatisi come candidati  alla  tornata  elettorale  per  cui  e'
causa. E' evidente infatti che tali appellanti aspirino a  conseguire
un'utilita' di carattere mediato (la proclamazione quali eletti e  il
conseguimento del seggio, previa verifica degli ulteriori presupposti
e condizioni) che e' ulteriore e  diversa  rispetto  a  quella  -  di
carattere immediato e diretto - connessa all'invocata rimozione delle
disposizioni sospette di incostituzionalita'. 
    2.6. Ancora, non puo' essere condivisa l'eccezione sollevata  dal
dottor Nicola Caputo e dal dottor Lorenzo Fontana i quali  ipotizzano
l'inammissibilita'   della   dedotta   questione   di    legittimita'
costituzionale per carenza di un interesse concreto ed  attuale  alla
sua proposizione. 
    I dottori Caputo e Fontana (i  quali  richiamano  le  statuizioni
rese dalla Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.  1  del  2014)
osservano che le elezioni che si sono svolte  in  applicazione  delle
disposizioni della cui legittimita' qui si discute rappresenterebbero
un fatto concluso, ragione per  cui  gli  appellanti  non  potrebbero
aspirare - neppure in caso di accoglimento della dedotta questione di
legittimita' costituzionale -  a  un  diverso  esito  della  medesima
consultazione. Il che paleserebbe la carenza di interesse in  capo  a
loro   di   dedurre   la   richiamata   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    L'eccezione  non  puo'  essere  condivisa:  i)  sia  perche'  gli
appellanti aspirano a  un  atto  di  proclamazione  degli  eletti  di
diverso contenuto; ii) sia perche' gli appellanti che sono  cittadini
elettori mirano a conseguire l'utilita' di esprimere il proprio  voto
per le elezioni  dei  membri  italiani  del  Parlamento  europeo  con
modalita'  pienamente  espressive  del  principio  di  legittimazione
democratica; iii) sia - infine - perche' se si  accedesse  alla  tesi
prospettata dai dottori Caputo e Fontana si  perverrebbe  all'effetto
(invero  paradossale)  per  cui  le  disposizioni  che   regolano   i
procedimenti elettorali non  potrebbero  mai  costituire  oggetto  di
questione di costituzionalita' in via incidentale (e cio', in  quanto
una siffatta questione non potrebbe che essere dedotta nella  vigenza
del mandato dei candidati eletti  nella  vigenza  delle  disposizioni
della cui legittimita' si discute, il che comporterebbe la permanente
carenza di un interesse diretto ed attuale a sollevare  una  siffatta
questione). 
    2.7. Sempre per quanto riguarda  l'ammissibilita'  della  dedotta
questione di  costituzionalita',  il  Collegio  osserva  che  la  sua
articolazione  non  implica  la  paventata  invasione   degli   spazi
decisionali riservati all'interpositio legislatoris, ne' postula  una
pronuncia di carattere additivo da parte della Corte costituzionale. 
    Al riguardo ci si limita  ad  osservare  che,  laddove  venissero
espunte dall'ordinamento le parti della novella del 2010  oggetto  di
censura,  il  meccanismo  elettorale  per  le  elezioni  dei   membri
spettanti all'Italia del  Parlamento  europeo  tornerebbe  ad  essere
governato dalle disposizioni di cui alla legge n. 18 del  1979  nella
sua originaria formulazione (i.e.: da un corpus normativo completo ed
autoesecutivo), senza determinare lacune  legislative  di  sorta  che
abbisognino di un  (naturalmente,  pur  sempre  possibile)  ulteriore
intervento del legislatore. 
    2.8. Il dottor Lorenzo Fontana ha poi eccepito l'inammissibilita'
dell'appello per omessa notifica nei propri confronti del ricorso  di
primo grado. 
    L'eccezione in questione appare prima facie non fondata in quanto
l'integrazione del  contraddittorio  processuale  nei  confronti  del
dottor Fontana  (nella  sua  qualita'  di  candidato  eletto  per  il
Parlamento europeo) sembra essere  stata  correttamente  operata  dai
ricorrenti in primo grado in attuazione dellordinanza  del  Tribunale
amministrativo regionale n. 12581/2014 (la quale aveva disposto  tale
integrazione - anche con il mezzo dei pubblici proclami -  in  favore
«di tutti gli eletti  che  non  risultano  essere  stati  ritualmente
chiamati in giudizio con il ricorso introduttivo»). 
    2.9.  Il  Nuovo  Centrodestra  ha   eccepito   l'inammissibilita'
dell'appello in quanto gli appellanti si sarebbero  inammissibilmente
limitati a riproporre i medesimi motivi di diritto gia' sollevati  in
primo grado con l'articolazione di censure  generiche  e  lesive  del
principio di specificita' dei motivi di censura. 
    Il motivo non puo' essere condiviso in quanto l'esame dei  motivi
articolati dagli odierni appellanti in entrambi i gradi del  giudizio
palesa che essi risultino caratterizzati da un sufficiente  grado  di
specificita'. 
    I motivi in questione, pur nella loro linearita',  non  difettano
del requisito della specificita': ed  infatti,  nell'articolare  tali
motivi gli odierni appellanti hanno sic et simpliciter lamentato  che
le elezioni del 2014 per i membri italiani del Parlamento europeo  si
siano svolte sulla base di una disciplina primaria che sembra viziata
sotto numerosi profili di incostituzionalita'. 
    2.10. Neppure puo' essere  condivisa  l'eccezione  sollevata  dal
Nuovo  Centrodestra  secondo  cui  l'appello  in   epigrafe   sarebbe
inammissibile per violazione del divieto di bis in  idem,  stante  la
sentenza di questo  Consiglio  di  Stato  n.  926  del  2015  che  ha
dichiarato  inammissibile  l'appello  n.  232/2015  proposto  avverso
l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 12581
del  2014  che  aveva  disposto  l'integrazione  del  contraddittorio
processuale di primo grado. 
    Il Collegio si limita ad osservare al riguardo che la  richiamata
sentenza di questo Consiglio di Stato n. 926 del 2015 non ha definito
in modo integrale il giudizio di primo grado, ma ha deciso sulla sola
questione  relativa   alla   diretta   impugnabilita'   in   giudizio
dell'ordinanza con cui il primo giudice aveva disposto l'integrazione
del contraddittorio processuale. 
Circa la non manifesta infondatezza 
    3. Nel  merito,  il  Collegio  ritiene  in  primo  luogo  che  le
disposizioni di cui agli articoli 21, comma primo,  n.  1-bis)  e  2)
(per come risultanti dalla novella di cui alla legge 10 del  2009)  e
22, comma primo della legge 18 del 1979 risultino lesivi del generale
principio    del    fondamento    democratico    delle    istituzioni
rappresentative (art.  1,  secondo  comma  della  Costituzione),  del
generale principio  di  ragionevolezza  (tradizionalmente  ricondotto
all'ambito applicativo dell'art. 3 della Costituzione),  nonche'  del
principio di adeguata rappresentativita' del voto di cui all'art.  48
della Costituzione. 
    Con la presente ordinanza  di  rimessione  si  dara'  invero  per
acquisita la conformita' della scelta  operata  dal  legislatore  del
2010 con il pertinente paradigma disciplinare UE (e, in  particolare,
con il richiamato Atto di Bruxelles del 1976 e successive modifiche). 
    Il Collegio ritiene quindi che possa essere  rinviato  al  merito
l'esame degli argomenti con cui gli appellanti dubitano della  stessa
conformita' del richiamato  Atto  di  Bruxelles  con  i  sopravvenuti
principi e disposizioni di cui al Trattato di Lisbona (ratificato  in
Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130). 
    3.1. Non sfugge al Collegio  il  consolidato  orientamento  della
Corte  costituzionale  secondo  cui  l'art.  48  della   Costituzione
sancisce in primo luogo la salvaguardia delle prerogative  del  voto,
non  incidendo  in  modo  diretto  sulla   disciplina   dei   sistemi
elettorali, la quale resta demandata all'interpositio legislatoris  e
la cui disciplina  non  puo'  ordinariamente  costituire  oggetto  di
scrutinio  di  costituzionalita',  se   non   in   caso   di   palese
irragionevolezza. 
    Al  riguardo  il  primo  giudice  ha   correttamente   richiamato
l'orientamento secondo cui la  determinazione  delle  formule  e  dei
sistemi elettorali rappresenta un ambito nel quale si esprime con  un
massimo grado di evidenza «la politicita' della scelta  legislativa»,
la quale  puo'  pertanto  essere  ritenuta  censurabile  in  sede  di
giudizio di  costituzionalita'  solo  quando  risulti  manifestamente
irragionevole  (sul  punto  -  ex  multis  -  Corte   costituzionale,
ordinanza 260 del 2002). 
    Il  Collegio  ritiene  tuttavia  che  le  disposizioni  censurate
comportino una compressione dei principi di  piena  democraticita'  e
pluralismo del sistema rappresentativo che non rinvengono un'adeguata
ratio giustificatrice nel perseguimento di concomitanti finalita'  di
interesse generale e  che,  quindi,  sembrano  travalicare  i  limiti
propri del ragionevole esercizio dell'interpositio legislatoris. 
    3.2. La questione e' stata affrontata (e risolta in senso diverso
da quello  qui  proposto)  dalla  sentenza  di  questo  Consiglio  n.
4786/2011. 
    Qui di seguito si richiameranno le ragioni  che  avevano  indotto
questo  Consiglio  a  dichiarare  la  manifesta  infondatezza   della
questione (in quanto esaustivamente rappresentative delle  ragioni  a
sostegno  della  legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni
introduttive della richiamata soglia di sbarramento) e,  in  seguito,
le ragioni che inducono invece il Collegio a propendere per l'opposta
soluzione. 
    3.2.1. Con la richiamata decisione del  2011  questo  Giudice  di
appello aveva affermato 
        - che l'introduzione ad opera della legge 10 del  2009  della
piu' volte richiamata clausola di sbarramento non colliderebbe con le
coordinate  costituzionali  «in  quanto   persegue   la   ragionevole
finalita' di evitare un'eccessiva frammentazione della rappresentanza
parlamentare attraverso l'esclusione delle forze  politiche  che  non
dimostrino sul campo il possesso di un'adeguata rappresentativita'»; 
        -  che  il  richiamato  meccanismo   rinviene   un   puntuale
fondamento nella decisione  del  Consiglio  76/787  CECA/CEE/EURATOM,
come modificata dalla decisione 25 giugno 2002 e 23  settembre  2002,
2002/772/CE la quale, appunto, riconosce  la  possibilita'  ai  Paesi
membri  di  introdurre  una  soglia   minima   di   sbarramento   per
l'attribuzione dei seggi, entro il limite del cinque  per  cento  dei
suffragi  validamente  espressi,  senza  prevedere  alcun   tipo   di
correttivo a beneficio delle forze politiche che non la raggiungano; 
        - che la normativa  comunitaria,  lungi  dal  considerare  il
principio di proporzionalita' incompatibile con la fissazione di  una
clausola di sbarramento,  considererebbe  l'introduzione  del  quorum
quale correttivo utile onde accrescere  la  stabilita'  degli  organi
elettivi; 
        - che non condurrebbe ad un diverso esito  la  sottolineatura
dei principi di liberta', pluralismo e rappresentativita' democratica
sanciti dal Trattati di Nizza e di Lisbona, «posto che detti  cardini
ordinamentali non toccano in modo specifico la  materiale  elettorale
e, comunque, non ostano ad una scelta normativa tesa a razionalizzare
la rappresentanza parlamentare con l'introduzione di un correttivo al
principio di  proporzionalita'  teso  a  scongiurare  il  rischio  di
dispersione del  voto  e  di  frammentazione  delle  forze  politiche
nazionali»; 
        -  che  la  democraticita'  e  il  pluralismo   del   sistema
rappresentativo  non  sarebbero  lesi  dalla  previsione  di   quorum
elettorali o di limitazioni alla rappresentanza delle forze politiche
concorrenti in una  competizione  elettorale.  Cio',  in  quanto  «il
sistema della proporzionalita' pura [e'] uno  dei  possibili  sistemi
utilizzabili  dal  legislatore,  suscettibile  di   deroga   mediante
temperamenti  alla  fedele  traduzione  in  seggi  dei  consensi  che
favoriscano la governabilita' e la razionalizzazione del consenso»; 
        - che la scelta di  prevedere  detta  soglia  di  sbarramento
nella misura del 4 per cento non inficerebbe  poi  l'eguaglianza  del
diritto di voto di cui e' menzione all'art. 48 della  Costituzione  e
non innescherebbe una disparita'  di  trattamento  dei  candidati  in
contrasto con l'art. 51  della  Costituzione.  Cio',  in  quanto  «la
differenziazione operata tra i candidati e le liste  di  appartenenza
non  e',  infatti,  frutto   di   una   discriminazione   legislativa
aprioristica    ma    rappresenta    la    conseguenza    fisiologica
dell'espressione della volonta' sovrana degli elettori»; 
        - che, in definitiva, «la scelta di  fissare  una  soglia  di
rappresentativita' mir[erebbe] al ragionevole scopo di assicurare  la
presenza in Parlamento europeo di  forze  politiche  che  abbiano  un
ruolo adeguato nel sistema politico nazionale e che, come tali, siano
idonee a concorrere in modo adeguato al processo di formazione  delle
scelte politiche in ambito europeo». 
    3.2.1. Ad avviso del Collegio gli argomenti dinanzi richiamati (i
quali, si ripete, espongono in modo analitico ed esaustivo le ragioni
che  militerebbero   per   la   legittimita'   costituzionale   delle
rinovellate disposizioni di cui agli articoli 21, comma primo, numeri
1-bis) e 2) e 22, comma primo della  legge  18  del  1979)  non  sono
condivisibili. 
    3.3. E' vero che il  piu'  volte  richiamato  Atto  di  Bruxelles
(nella sua  formulazione  attuale)  sembra  legittimare  -  a  talune
condizioni  -  l'introduzione  nell'ambito  delle  leggi   elettorali
nazionali  per  le  elezioni  al  Parlamento  europeo  di  soglie  di
sbarramento, ma cio' non vuol  dire  che  siffatte  previsioni  siano
sempre e comunque legittime, in specie quando  risultino  compressive
dei principi costituzionali in tema di rappresentativita' democratica
senza che a cio' corrisponda lo scopo di perseguire in modo effettivo
valori di pari rilievo. 
    Si osserva, in particolare, che la richiamata  compressione  (che
comunque viene realizzata da disposizioni che  privano  larghe  fasce
dell'elettorato di adeguata rappresentanza - si tratta del  ben  6,08
per cento dei voti validamente espressi nella tornata elettorale  per
cui e' causa -) non puo' dirsi realmente giustificata  dall'obiettivo
di limitare la frammentazione  delle  forze  politiche  e  quindi  di
garantire una maggiore stabilita' agli organi elettivi. 
    E cio' per almeno due ragioni. 
    3.3.1. In primo luogo - come e' stato condivisibilmente osservato
dagli appellanti - il predicato obiettivo di garantire la  stabilita'
degli organi elettivi non si attaglia  al  caso  delle  elezioni  dei
rappresentanti nazionali al Parlamento europeo, stante  l'assenza  di
un vincolo propriamente fiduciario che caratterizza i rapporti fra il
Parlamento e la Commissione europea. 
    Ed infatti, nonostante l'evoluzione degli  ultimi  decenni  abbia
rafforzato  il  ruolo  del  Parlamento  europeo  nella  nomina  della
Commissione,  non  puo'  individuarsi   fra   tali   Istituzioni   la
sussistenza di un vincolo propriamente fiduciario  (ne'  il  voto  di
approvazione di cui all'art. 17 paragrafo 7 del Trattato  sull'Unione
europea e' in alcun modo assimilabile al voto di fiducia  tipicamente
riscontrabile nell'ambito delle forme di Governo parlamentari). 
    Ne consegue che l'addotta giustificazione appare  inconferente  e
comunque incongrua rispetto alla forma di Governo  delle  Istituzioni
europee  e  percio'  che  le  disposizioni  della  cui   legittimita'
costituzionale  si   discute   sembrano   recare   una   compressione
ingiustificata  e  la  sostanziale  esclusione  dalla  rappresentanza
politica di  ampie  fasce  dell'elettorato  senza  che  cio'  risulti
giustificato -  e,  in  qualche  misura,  controbilanciato  -   dalla
predicata finalita' di accrescere per tale via  la  stabilita'  degli
organi elettivi  legati  da  un  vincolo  fiduciario  all'istituzione
parlamentare (la fascia di elettorato coinvolta e' pari al  6,08  per
cento dei voti espressi nella tornata elettorale  del  2014  [per  un
totale di 1.673.780] e al  13,22  dei  voti  espressi  nella  tornata
elettorale del 2009 [per un totale di 4.037.31 voti - in tal senso la
narrativa della sentenza della Corte costituzionale n. 110  del  2015
-]). 
    3.3.2.  Non  e'  inoltre  irrilevante   notare   che   la   Corte
costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht - BVerfG) ha per ben
due volte fra il novembre del 2011 e il febbraio del 2014  dichiarato
la contrarieta'  a  Costituzione  delle  disposizioni  nazionali  che
introducevano una soglia di sbarramento (dapprima nella misura del  5
per cento e successivamente nella  piu'  ridotta  misura  del  3  per
cento) per le elezioni al Parlamento europeo. 
    Il BVerfG ha affermato al  riguardo  che  l'introduzione  di  una
siffatta soglia di sbarramento si pone in contrasto con  il  generale
principio  di  uguaglianza  e  rappresenta  un  ostacolo  a   un'equa
rappresentanza popolare nellelezione del Parlamento  UE  (nell'ambito
di un sistema che, secondo la stessa  Corte  costituzionale  tedesca,
non presenta invero il rischio di un «eccessivo pluralismo»). 
    Naturalmente, la pronuncia del BVerfG non rappresenta di per  se'
un indice  univoco  dell'illegittimita'  costituzionale  nel  diritto
interno delle disposizioni qui oggetto di censura, ma  in  ogni  caso
essa reca importanti e analoghi argomenti in favore della tesi -  qui
condivisa  -  secondo  cui   la   compressione   del   principio   di
rappresentanza   popolare -   il   quale   rinviene    nella    piena
valorizzazione del voto un suo tipico corollario -  non  puo'  essere
ammessa,   in   Paesi   di   simile   concezione   della   democrazia
rappresentativa e comunque  delle  Istituzioni  europee,  se  non  in
presenza di valide  ragioni  giustificatrici  (tale  non  essendo  il
perseguimento  del  preteso  obiettivo  di  stabilita'  degli  organi
elettivi in ambito UE). 
    3.3.3. Vi e' una seconda ragione per cui  alla  compressione  dei
principi costituzionali in  tema  di  rappresentativita'  democratica
realizzata dalle  disposizioni  della  cui  legittimita'  si  discute
(disposizioni   che   introducono   una   soglia    di    sbarramento
particolarmente elevata)  non  corrisponde  lo  scopo  di  perseguire
valori di pari rilievo costituzionale (fra cui quello  di  perseguire
la migliore governabilita' in ambito UE). 
    La ragione in parola puo' essere agevolmente colta  partendo  dal
dato della  diversita'  in  ambito  UE  dei  sistemi  elettorali  per
lelezione dei membri del Parlamento  europeo  e  dal  dato  di  fatto
rappresentato dalla scelta (operata da numerosi Stati membri) di  non
avvalersi della possibilita' da ultimo riconosciuta  dalla  decisione
del Consiglio del 2002 di modifica  della  precedente  decisione  del
Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom. 
    In    particolare,    sussistendo    un    panorama     normativo
comparativamente variegato in ambito UE, la  scelta  del  legislatore
nazionale  di  introdurre  una  soglia  di  sbarramento   in   misura
particolarmente elevata (pari al 4 per cento) 
        - per un verso risulta comprimere in modo immediato e diretto
il piu' volte richiamato  principio  della  piena  rappresentativita'
democratica del voto 
        - ma per altro verso non consente di raggiungere, nell'ambito
nazionale,  il  predicato  obiettivo  della  migliore  governabilita'
(i.e.: il concomitante obiettivo  che  solitamente  viene  richiamato
quale  ragionevole  contraltare   dell'integrale   affermazione   del
principio della piena rappresentativita'). E cio' in quanto la scelta
sul punto operata dal legislatore italiano (per cosi' dire, in  senso
monadologico) non risulta comunque idonea a conseguire il  richiamato
obiettivo, ostandovi le concomitanti legislazioni degli  altri  Stati
membri i quali - decidendo di non introdurre una siffatta  clausola -
finiscono per emulsionare e per rendere inefficace la scelta  in  tal
senso compiuta dal legislatore nazionale. 
    L'orientamento - che qui non e' condiviso - il  quale  giustifica
la richiamata  compressione  in  ragione  del  conseguimento  di  una
migliore governabilita' sembra muovere dal non condivisibile  intento
di traslare sul piano UE ragioni, principi e  metodiche  che  possono
avere una ragione giustificatrice nella scala nazionale e in rapporto
alla forma di Governo  interna,  ma  che  la  perdono  del  tutto  se
ricondotte sulla scala dell'Unione,che e' a ventotto Stati. 
    4. Non puo' essere infine  condiviso  l'argomento  del  Movimento
politico  Forza  Italia  secondo  cui  sussisterebbe  una  insanabile
contraddizione fra (da un lato) la negazione  della  centralita'  del
Parlamento UE nell'ambito del procedimento legislativo eurounitario e
(dall'altro) la  censurata,  mancata  valorizzazione  della  volonta'
dell'elettorato nella sua composizione. 
    In senso contrario, e' nota l'evoluzione dell'ordinamento UE  che
muove  nella  sempre  maggiore  valorizzazione  sia  del  ruolo   del
Parlamento   nel   processo   normativo   UE   (in   tal   senso   la
generalizzazione della c.d. procedura di codecisione che oggi assurge
al rango di procedura decisionale ordinaria ai sensi  degli  articoli
289 294 del TFUE), sia della piena  democraticita'  e  legittimazione
democratica  che  deve  caratterizzarlo  (in  tal  senso  l'art.  14,
paragrafo  2  del  Trattato  sull'Unione  europea,  secondo  cui   il
Parlamento UE «il Parlamento europeo e'  composto  di  rappresentanti
dei cittadini dell'Unione»  e  secondo  cui  «La  rappresentanza  dei
cittadini e' garantita in modo degressivamente proporzionale, con una
soglia minima di sei membri per Stato membro»). 
    5. In definitiva, la scelta normativa tradottasi nelladozione dei
piu' volte richiamati articoli 21 e 22 della legge 18 del 1979 sembra
porsi in contrasto 
        i) con l'art. 1, comma secondo  della  Costituzione,  per  la
parte in cui comporta l'introduzione di disposizioni che limitano  in
modo irragionevole e ingiustificato  il  presidio  di  democraticita'
rappresentato dalla piena valorizzazione del voto; 
        ii) con l'art. 3 della Costituzione,  per  la  parte  in  cui
detta scelta normativa  comporta  un  regolamento  irragionevole  dei
diversi interessi e valori che vengono in  rilievo,  comportando  una
compressione dei principi di piena democraticita'  e  pluralismo  del
sistema  rappresentativo   che   non   rinviene   un'adeguata   ratio
giustificatrice  nel  perseguimento  di  concomitanti  finalita'   di
interesse generale; 
        iii) con l'art. 48,  secondo  comma,  della  Costituzione  (e
segnatamente con il principio di eguaglianza del voto) per  la  parte
in cui  la  ridetta  scelta  normativa  finisce  per  determinare  la
sostanziale esclusione dalla rappresentanza politica di  ampie  fasce
dell'elettorato senza che cio' risulti giustificato - e,  in  qualche
misura, controbilanciato - dalla predicata  finalita'  di  accrescere
per tale via la stabilita' degli organi elettivi legati da un vincolo
fiduciario all'istituzione parlamentare. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (Sezione  Quinta)
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto  con
gli  articoli  1,  secondo  comma,  3  e  48  secondo   comma   della
Costituzione  la  questione  di  legittimita'  costituzionale   degli
articoli 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2) e 22, primo  comma  della
legge 24 gennaio 1979, n. 18 (nel testo introdotto dall'art. 1  della
legge 20 febbraio 2009, n. 10) nella parte in cui prevede: 
        che l'Ufficio elettorale nazionale, ricevuti gli estratti dei
verbali da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali di cui al  n.
2) dell'art. 20 e dopo aver determinato la cifra elettorale nazionale
di ciascuna lista, individua le  liste  che  abbiano  conseguito  sul
piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi; 
        che il riparto dei seggi fra le liste avviene in favore delle
sole liste che abbiano superato sul  piano  nazionale  la  richiamata
soglia di sbarramento del 4 per cento dei voti validamente espressi; 
        che l'ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute da  parte
dell'Ufficio  elettorale  nazionale  le  comunicazioni  di   cui   al
penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i  candidati
in applicazione delle previsioni di cui  al  precedente  art.  21  (e
quindi, con applicazione della richiamata soglia di sbarramento). 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, con gli atti e con la  prova  delle  notificazioni  e
delle comunicazioni prescritte nell'art. 23 della legge dell'11 marzo
1953,  n.  87  (articoli  1  e  2   del   regolamento   della   Corte
costituzionale 16 marzo 1956); 
    Dispone la sospensione del presente giudizio. 
    Spese al definitivo. 
    Manda alla segreteria per ogni adempimento di competenza. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  12
maggio 2016 con l'intervento dei magistrati: 
 
        Giuseppe Severini, Presidente; 
        Claudio Contessa, consigliere, estensore; 
        Fabio Franconiero, consigliere; 
        Raffaele Prosperi, consigliere; 
        Alessandro Maggio, consigliere. 
 
                       Il Presidente: Severini 
 
 
                                                L'estensore: Contessa