N. 97 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 marzo 2017

Ordinanza del 30 marzo 2017 del Tribunale di Genova nel  procedimento
civile promosso da R. N. contro Prefettura di Genova. 
 
Circolazione stradale - Soggetti  condannati  per  determinati  reati
  (nella specie, reati in  materia  di  stupefacenti)  -  Divieto  di
  conseguire o rinnovare la patente di guida e revoca  della  patente
  di guida posseduta. 
- Decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
  strada), art. 120, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a),
  della legge 15 luglio 2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
  sicurezza pubblica). 
(GU n.28 del 12-7-2017 )
 
                         TRIBUNALE DI GENOVA 
                           Prima sezione  
 
    Il Giudice dott.  Roberto  Braccialini,  nella  causa  R.  contro
Prefettura Genova, 
    Viste le note autorizzate, sentite le parti all'udienza  decorsa,
a scioglimento della riserva ivi assunta, rileva quanto segue. 
$1: le difese introduttive delle parti. 
    Con comparsa notificata in data 6  luglio  2016  il  sig.  N.  R.
conveniva in giudizio presso questo Tribunale la Prefettura di Genova
- in via di riassunzione dopo declinatoria di giurisdizione da  parte
del Tribunale amministrativo regionale Liguria e previa richiesta  di
sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato -  chiedendo,
in via principale,  di  annullare  il  provvedimento  prefettizio  di
revoca della patente di guida disposto nei suoi  confronti  ai  sensi
dell'art. 120 Cod. strada con decreto n. 30947/15/Pat. del 23  luglio
2015;  in  via  subordinata,  di  rinviare  gli  atti  alla  pubblica
amministrazione  competente  al  fine  del  riesame   della   propria
posizione. 
    Riferiva l'attore che  il  citato  provvedimento  prefettizio  di
revoca della patente di guida era stato assunto sul  presupposto  che
egli non  fosse  piu'  in  possesso  dei  requisiti  morali  previsti
dall'art.  120  Cod.  strada  per  mantenere  la  patente  di  guida:
l'esponente era stato condannato con sentenza di  patteggiamento  del
Gup di Genova (n. 1342/2014) per il reato dell'art.  73  comma  1-bis
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 per fatti  avvenuti
nell'aprile del 2010. La  sentenza  di  applicazione  della  sanzione
suddetta  aveva  comminato  una  pena  in  continuazione  con   altra
precedente sentenza di condanna (ovvero  la  n.  476/2012  di  questo
stesso Tribunale) per l'ipotesi delittuosa lieve di cui  all'art.  73
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 quinto comma  e  si
era limitata a statuire un minimo aumento  della  pena  inflitta  con
quella precedente a fronte di un unico episodio  criminoso.  Le  pene
comminate  con  le  due  suddette  condanne  erano   state   entrambe
condizionalmente sospese. 
    Cio' premesso, il R. ripercorreva in maniera analitica i rapporti
tra l'art. 120 del Cod. strada e gli articoli 73  e  74  testo  unico
Stupefacenti,  in  particolare  alla  luce  delle  riforme  normative
intervenute dal 2004 in avanti e tenendo conto della pronuncia  della
Corte  costituzionale  n.  32/2014,  che   avevano   interessato   la
disciplina in questione. 
    Veniva in sintesi osservato che il riferimento operato  dall'art.
120 Cod. strada alle condanne  irrogate  in  base  all'art.  art.  73
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/90   era   stato
introdotto con la legge n. 94/2009, ovvero quando la  fattispecie  in
questione prevedeva  un'unica  figura  di  reato  per  le  violazioni
relative a tutti i tipi di sostanze stupefacenti: vi era infatti  una
tabella unitaria per le droghe «pesanti» e le droghe «leggere» e  per
i fatti di lieve entita' era prevista una circostanza attenuante. 
    La successiva evoluzione normativa aveva  invece  determinato  un
radicale  mutamento  della  disciplina  dell'art.  73   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 309/90, essendo in  particolare  stata
reintrodotta la distinzione tra droghe «pesanti» e droghe «leggere» e
resa autonoma la fattispecie  di  lieve  entita',  con  propria  pena
edittale e senza differenziazione - in tale ipotesi - tra le  diverse
tipologie di sostanze. 
    Sulla base del suddetto mutamento normativo, nonche'  sulla  base
degli  sviluppi  giurisprudenziali  inerenti   la   necessita'   dare
efficacia retroattiva alle disposizioni piu' favorevoli introdotte  e
piu' in generale in merito agli  effetti  in  bonam  partem  derivati
dalla  pronuncia  della  Corte  costituzionale  n.  32/2014,  il   R.
affermava il superamento dell'automatismo previsto dall'art. 120 Cod.
strada  con  riferimento  alle  ipotesi  di  reato  investite   dalle
innovazioni  normative  (droghe  leggere  e  fattispecie   di   lieve
entita'). 
    In particolare l'attore osservava che, venuto meno  il  carattere
unitario della disciplina sanzionatoria penale prevista dall'art.  73
testo unico citato, le  fattispecie  richiamate  non  sarebbero  piu'
espressione di un pari disvalore penale ai fini  della  revoca  della
patente in sede amministrativa. Tale modifica si dovrebbe  riflettere
anche  sull'art.  120  Cod.  strada,  il  quale  dovrebbe   mantenere
l'automatismo della revoca per le sole condanne relative alle  droghe
«pesanti». Diversamente, in caso di condanne per droghe  «leggere»  o
quando  sussista  la  fattispecie  di  lieve   entita',   l'Autorita'
amministrativa sarebbe tenuta ad una valutazione  in  concreto  della
situazione che tenga  conto  anche  della  condotta  successiva  alla
condanna e delle prospettive di reinserimento sociale della persona. 
    Tale soluzione - sempre a detta  dell'attore  -  risulterebbe  in
particolare confermata dalla disciplina di cui  all'art.  75  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/90 laddove,  a  seguito  delle
modifiche   apportate   dalla   legge   n.   79/2014,   le   sanzioni
amministrative collegate all'uso personale  degli  stupefacenti  (tra
cui la sospensione della patente di guida) sono modulate diversamente
a seconda del tipo di sostanza. Cio' dimostrerebbe che  in  relazione
alla  patente  di  guida  le  condanne  per  reati  riguardanti   gli
stupefacenti non  sono  piu'  considerate  dall'ordinamento  come  un
elemento   monolitico,    cui    associare    un'identica    sanzione
amministrativa. 
    Alla luce di queste  argomentazioni,  l'attore  sosteneva  quindi
l'obbligo per la  Prefettura  di  procedere  ad  una  valutazione  in
concreto della propria posizione, considerando in particolare: che  i
fatti commessi risalivano al 2010; che  all'esito  del  giudizio  era
stato concesso il  beneficio  della  sospensione  condizionale  della
pena, sulla  base  di  una  prognosi  positiva  di  astensione  dalla
commissione  di  ulteriori  reati;  che  l'esponente   aveva   svolto
volontariamente sei mesi di lavori socialmente utili e che  dal  2011
aveva tenuto un comportamento immune da  qualsivoglia  censura.  Tali
elementi, secondo il R. escludevano  una  sua  qualche  pericolosita'
sociale  ed  un'indegnita'  morale  ostative  al  mantenimento  della
patente di guida. 
    Gli argomenti esposti dimostravano inoltre - secondo  l'esponente
- la sussistenza del fumus bonis iuris per ottenere in via  cautelare
la sospensione del provvedimento impugnato.  Sospensione  che  veniva
giustificata, quanto al periculum in mora, con il fatto che l'attore,
che gia' in  precedenza  svolgeva  attivita'  artigiana  in  proprio,
avesse  necessita'  della  patente  di  guida  per   poter   svolgere
autonomamente compiti attinenti alla sua attivita'  lavorativa,  come
l'approvvigionamento delle materie e le consegne a  domicilio,  senza
dover ricorrere a  onerose  collaborazioni  esterne;  oltre  che  per
esigenze della vita di relazione ed in particolare  per  esigenze  di
cura dei prossimi congiunti. 
    Si costituiva in giudizio la Prefettura di  Genova  chiedendo  il
rigetto delle domande proposte in base al rilievo che, nonostante gli
interventi legislativi intervenuti sul decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 309/90, e' rimasta  ferma  la  revoca  vincolata  della
patente di guida prevista  dall'art.  120  Cod.  strada  in  caso  di
condanna per alcuno dei reati di cui agli articoli 73  e  74  del  TU
stupefacenti. 
    L'Amministrazione  convenuta,  in  particolare,   contestava   la
fondatezza  dell'interpretazione  «adeguatrice»  dell'art.  120  Cod.
strada fornita dall'attore e negava la possibilita' di configurare  -
a fronte del chiaro tenore della norma predetta - un potere di revoca
discrezionale prefettizio circa la durata della revoca della patente. 
    Si osservava,  inoltre,  che  la  disciplina  specifica  prevista
dall'art. 75 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  309/90  -
volta a regolare il trattamento dell'infrazione amministrativa  della
detenzione per  uso  personale  -  nulla  ha  a  che  vedere  con  il
trattamento sanzionatorio complessivo che discende dalla condanna per
il reato di cui all'art. 73 decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 309/90 e che comunque diverse sono le ragioni  di  sospensione  ex
art. 75 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n.  309/90  e
di revoca ex art. 120 comma 2 Cod. strada dei titoli abilitativi. 
    La Prefettura faceva notare che la circostanza che il legislatore
fosse intervenuto nel 2014 sulla disciplina dell'art. 75 decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90  senza  modificare  l'art.  120
Cod. strada dimostrava, al contrario, la  volonta'  di  mantenere  la
revoca vincolata in caso di condanne per i reati di cui agli articoli
73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90. 
    Infine  la  convenuta  richiamava  alcune  recenti  pronunce  che
avevano  espressamente  escluso   la   ricostruzione   interpretativa
dell'art. 120 Cod. strada fornita da parte  attrice,  confermando  il
carattere «automatico» del provvedimento di revoca ivi previsto. 
    Nel corso del successivo seguito procedimentale - in cui e' stata
affrontata in termini  cautelari  la  richiesta  di  sospensione  del
provvedimento prefettizio,  accolta  dallo  scrivente  e  attualmente
soggetta a reclamo - stata trattata con apposite note autorizzate  la
problematica della compatibilita' costituzionale della  normativa  di
riferimento con i precetti della Carta costituzionale. 
    Nella memoria autorizzata a tali  fini  l'attore  ha  ripreso  le
argomentazioni   gia'   svolte   nel   proprio   atto   introduttivo,
sottolineando come la fornita  lettura  «adeguatrice»  dell'art.  120
Cod.  strada  fosse  la  sola  costituzionalmente  orientata.  Veniva
infatti prospettata dall'esponente una lesione dei  principi  di  cui
agli articoli 3, 16, 25 e  11  della  Costituzione  ove  non  fossero
esclusi dall'ambito di  applicazione  dell'art.  120  Cod.  strada  i
soggetti condannati  ai  sensi  dell'art.  73  comma  5  decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  309/90,  indipendentemente  da  una
valutazione circa l'effettiva pericolosita' sociale  e  la  mancanza,
dei requisiti morali. 
    Inoltre il R. faceva notare come la revoca automatica in caso  di
condanna ai sensi dell'art. 73 comma 5 decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 309/90 si presentasse problematica anche nelle  ipotesi
di concessione della sospensione condizionale della pena e come  tale
beneficio (la cui ratio sembrerebbe  di  per  se'  incompatibile  con
quella dell'art. 120 Cod. strada  e  la  cui  concessione  renderebbe
ancora piu' evidente la  violazione  del  principio  di  uguaglianza)
ponesse sullo stesso piano soggetti destinatari di provvedimenti  del
tutto distinti, sia sotto il profilo della pericolosita' sociale, sia
in considerazione del disvalore della condotta penalmente sanzionata. 
    Infine, la difesa dell'attore prospettava il contrasto  dell'art.
120 Cod. strada con i principi costituzionali  suddetti  anche  nella
parte in cui la norma in questione non esclude dal proprio ambito  di
applicazione  le  sentenze  emesse  a   seguito   di   richieste   di
applicazione pena ex art. 444 del codice di procedura penale,  stante
il disposto dell'art. 445 comma 1-bis del codice di procedura  penale
secondo  cui  «Salvo  quanto  previsto  dall'art.  653,  la  sentenza
prevista dall'art. 444 comma 2, anche quando e' pronunciata  dopo  la
chiusura del dibattimento, non ha  efficacia  nei  giudizi  civili  o
amministrativi» e mancando una disposizione speciale atta a  derogare
a tale regola generale. 
    Nella sua memoria di replica, l'Amministrazione convenuta ha  per
parte sua ribadito le  considerazioni  gia'  svolte  in  merito  alla
natura vincolata dei provvedimenti prefettizi previsti dall'art.  120
del Codice stradale. La Prefettura ha sottolineato come il R. avrebbe
dovuto  considerare,  nella   scelta   del   rito   alternativo   del
patteggiamento, anche le conseguenze in tema di estinzione del  reato
(tra cui le tempistiche  per  ottenere  successivamente  il  rilascio
della patente). 
    Venivano inoltre richiamati recenti precedenti  giurisprudenziali
i quali avevano in sintesi sostenuto che il rinvio indistinto operato
dall'art. 120 Cod. strada all'art. 73 decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/90 riguarda tutte le condotte illecite ivi previste
e, in  base  ad  una  scelta  insindacabile  del  legislatore,  senza
distinzione tra una maggiore o minore  gravita'  delle  stesse.  Cio'
dimostrerebbe  il  chiaro  intento  legislativo  di  penalizzare   la
violazione dell'art. 73 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
309/90 a prescindere dalla gravita' della pena edittale attinente  al
reato commesso a tutela dell'incolumita' della sicurezza pubblica  in
relazione alla circolazione stradale. 
$II: inquadramento normativo e conseguenze applicative. 
    Prima di dare seguito alla questione di costituzionalita', che lo
scrivente ritiene di dover sollevare d'ufficio in via incidentale, si
ritiene utile procedere ad un breve inquadramento della normativa che
nel tempo si e' avvicendata sia in tema di sanzioni per il consumo/lo
smercio  di  stupefacenti,  sia  in  termini  di  requisiti  per   il
conseguimento o il mantenimento della patente di guida. In  un  terzo
passaggio, si esamineranno le conseguenze  delle  condanne  riportate
(ed a tali  fini,  e'  indifferente  che  trattisi  o  meno  di  pene
applicate a richiesta, per l'equiparazione normativa  alle  condanne)
sul titolo abilitativo alla guida. 
a) Modifiche all'art. 73 decreto del Presidente della  Repubblica  n.
309/90. 
    Le modifiche normative che hanno interessato la disciplina  degli
stupefacenti e delle sostanze  psicotrope  possono  essere  riassunte
come segue. 
    Il testo originario dell'art. 73  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  309/90  (cd.  legge  Iervolino-Vassalli,  prima  delle
modifiche apportate dal decreto-legge n. 272/2005,  convertito  dalla
legge n. 49/2006) era caratterizzato da una netta  distinzione  della
risposta sanzionatoria a seconda che i reati  ivi  previsti  avessero
avuto ad oggetto sostanze inserite nelle tabelle I e III (cd. «droghe
pesanti»), ovvero le sostanze inserite nelle tabelle  II  e  IV  (cd.
«droghe leggere»). 
    Anche per i fatti di lieve entita', per cui il comma 5  dell'art.
73 prevedeva una circostanza attenuante ad effetto speciale,  vi  era
una diversa cornice edittale a seconda della  tipologia  di  sostanza
trattata. 
    La   riforma   operata   con   la   cd.   legge   Fini-Giovanardi
(decreto-legge n. 272 del 2005 convertito nella legge n. 49/2006)  ha
previsto solo due tabelle (tabella I unitaria per  droghe  leggere  e
pesanti,  tabella  II  per  medicinali  e  barbiturici  con   effetti
corrispondenti) e, con  riguardo  al  trattamento  sanzionatorio,  ha
introdotto cornici  edittali  unitarie  a  prescindere  dal  tipo  di
sostanza per tutte le condotte di cui all'art. 73,  ivi  compresa  la
fattispecie circostanziata di cui al comma 5. 
    La disciplina  in  materia  di  stupefacenti  ha  successivamente
subito  un  profondo  mutamento  a  seguito  della  declaratoria   di
incostituzionalita' (con la sentenza n. 32/2014) degli articoli 4-bis
e 4-vicies del decreto-legge n. 272/05, quali inserito,  in  sede  di
conversione, nella legge n. 49/2006. Tale pronuncia ha determinato la
«reviviscenza»  dell'art.  73  e  delle   relative   tabelle,   nella
formulazione precedente le modifiche apportate  con  le  disposizioni
caducate. 
    In tale contesto normativo e' infine intervenuto il decreto-legge
n. 36 del 2014, convertito nella legge  n.  79/2014,  a  seguito  del
quale l'assetto  attuale  della  disciplina  prevede  un  trattamento
sanzionatorio differenziato per droghe «pesanti» e droghe  «leggere»,
conformemente   alle   indicazioni   discendenti    dalla    riferita
declaratoria  di  incostituzionalita'.  Inoltre  l'art.  73  comma  5
configura attualmente una fattispecie autonoma di reato, e  non  piu'
una circostanza attenuante ad efficacia  speciale,  con  unificazione
del trattamento sanzionatorio a prescindere dal tipo di sostanza. 
b) Modifiche all'art. 120 Cod. strada. 
    In base alla sua formulazione originaria, uno dei presupposti dei
provvedimenti previsti dall'art.  120  Cod.  strada  era  individuato
nelle condanne alla pena detentiva non inferiore a tre anni,  qualora
l'utilizzazione  del  documento  di  guida   potesse   agevolare   la
commissione di reati della  stessa  natura  per  i  quali  era  stata
inflitta la condanna. 
    La modifica dell'art. 120 Cod. strada,  introdotta  dall'art.  3,
comma 52 legge n. 94/2009, ha eliminato il riferimento alle  sentenze
di  condanna  superiori  ai  tre  anni  e  al  suddetto   «nesso   di
strumentalita'» ed  ha  inserito  nell'elenco  di  soggetti  che  non
possono conseguire la patente di guida (ovvero, ai quali deve  essere
revocata, se ne sono gia' in possesso), oltre i delinquenti abituali,
professionali o per tendenza, anche te persone condannate per i reati
di cui agli artt. 73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica  n.
309/1990,  nonche'  quelle  destinatarie  dei  divieti  di  cui  agli
articoli 75 comma 1 lettera a)  e  75-bis  comma  1  lettera  f)  del
medesimo TU. 
e) Conseguenze applicative. 
    L'art.  120  Cod.  strada  prevede   in   oggi   un   trattamento
differenziato a seconda che la persona non in possesso dei  requisiti
morali richiesti (per quanto qui di interesse, a seguito di  condanna
per il  reato  di  cui  all'art.  73  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  309/90)  sia  destinataria  di  un  provvedimento  di
«diniego al rilascio del titolo abilitativo alla  guida»,  in  quanto
non era mai stata titolare della  patente  di  guida;  oppure  di  un
provvedimento di «revoca  del  titolo  abilitativo  alla  guida»,  in
quanto la condanna sia intervenuta in momento successivo al  rilascio
della patente. 
    Nel primo caso (disciplinato dall'art. 120 comma 1  Cod.  strada)
e' infatti previsto il divieto di  conseguire  la  patente  di  guida
«fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi». 
    La riabilitazione - oltre a  richiedere  di  per  se'  un  vaglio
giudiziario, con i tempi che quest'ultimo gia' di per se'  implica  -
puo' intervenire nei termini di cui all'art. 179 codice  penale,  per
il quale di regola se ne prevede la possibile concessione  decorsi  3
anni dall'estinzione del reato. 
    E' appena il caso di rilevare, a questo proposito, che i  termini
e le modalita' di estinzione dei reati previsti dall'ordinamento sono
molteplici,   con   cio'   determinandosi   ulteriori   profili    di
differenziazione che saranno in appresso considerati. E' possibile, a
titolo esemplificativo, ricordare il caso di una  persona  condannata
con sentenza di «patteggiamento», la quale dovra'  attendere  per  la
riabilitazione 8 anni (5 anni per l'estinzione ai sensi dell'art. 445
comma 2 del codice di procedura penale e 3 anni  per  la  concessione
della riabilitazione), rispetto al caso  del  soggetto  ammesso  alla
sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 168-bis del
codice penale (nei cui limiti edittali rientra  oggi  la  fattispecie
lieve dell'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n.
309/90), il quale potra' ottenere la riabilitazione dopo soli 3  anni
dall'esito positivo della prova: la quale estingue il reato. 
    Regole specifiche sono  poi  dettate  dall'art.  179  del  codice
penale con riguardo ai casi in cui la pena sia stata condizionalmente
sospesa. In particolare il comma 4 della predetta norma prevede  che:
«Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai
sensi dell'art 163 primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al
primo comma [ovvero il  termine  a  partire  dal  quale  puo'  essere
concessa la riabilitazione] decorre dallo stesso  momento  dal  quale
decorre il termine di sospensione della pena». 
    A questo proposito la giurisprudenza e' pacifica nel ritenere che
«in caso di condanna a pena condizionalmente sospesa, per determinare
la decorrenza del termine allo spirare del quale, a  norma  dell'art.
179 c.p., puo' essere presa  in  esame  la  richiesta,  occorre  fare
riferimento al  momento  in  cui  risulta  passata  in  giudicato  la
sentenza di condanna, e non al termine stabilito per l'estinzione del
reato» (tra le molte, Cassaz. Pen. n. 44934/2005; in termini  Cassaz.
Pen. n. 24084/2009). Ed ancora:  «L'istanza  di  riabilitazione  puo'
essere presentata, pur nel caso di condanna a  pena  condizionalmente
sospesa, quando siano  decorsi  almeno  tre  anni  dal  passaggio  in
giudicato della sentenza, senza che occorra attendere il decorso  del
termine di cinque  anni  per  l'operativita'  dell'effetto  estintivo
della pena, correlato alla sospensione condizionale» (cosi',  Cassaz.
Pen. n. 15147/2009). 
    Altra questione riguarda la possibilita' di considerare  inclusa,
nell'inciso «fatti salvi gli effetti di  provvedimenti  riabilitativi
di cui all'art 120 Cod. strada, l'ipotesi contemplata  dall'art.  445
comma 2 codice di procedura penale, in base alla quale: «Il reato  e'
estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non  superiore  ai
due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque
anni, quando la sentenza concerne un delitto,  ovvero  di  due  anni,
quando la  sentenza  concerne  una  contravvenzione,  l'imputato  non
commette un delitto ovvero una contravvenzione della  stessa  indole.
In questo caso si  estingue  ogni  effetto  penale,  e  se  e'  stata
applicata  una  pena   pecuniaria   o   una   sanzione   sostitutiva,
l'applicazione non e' comunque di ostacolo alla  concessione  di  una
successiva sospensione condizionale della pena». 
    In  tale  caso  «l'effetto  riabilitativo»,  al  fine  di   poter
conseguire la patente di guida, si produrrebbe  decorsi  5  anni  dal
passaggio in giudicato  dalla  sentenza,  non  sospesa;  concessa  la
sospensione della pena, sarebbe invece piu' favorevole la  disciplina
specifica dell'art. 179 comma 4 c.p. 
    Nel secondo caso, ovvero in caso di revoca del titolo abilitativo
alla guida (disciplinato dall'art. 120 commi 2 e 3 Cod.  strada),  e'
previsto che possa essere  conseguita  una  nuova  patente  di  guida
semplicemente decorsi 3 anni (si ritiene, dallo stesso  provvedimento
di revoca). 
d) Conseguenze nel caso concreto. 
    Nella vicenda in esame,  bisogna  preliminarmente  ricordare  che
entrambe le condanne applicate al R. sono state emesse e  seguito  di
sentenze di «patteggiamento» ex art.  445  del  codice  di  procedura
penale; entrambe hanno previsto una pena inferiore  ai  due  anni  di
reclusione; entrambe sono state condizionalmente sospese. 
    Per la precisione, il R. e'  stato  condannato  con  sentenza  di
patteggiamento n. 1342/14, (per  fatti  risalenti  ad  aprile  2010),
divenuta irrevocabile in data 12 gennaio 2015 ed il provvedimento  di
revoca della patente e' del 23 luglio 2015:  ai  sensi  dell'art  120
Cod. strada, l'attore potrebbe ottenere una nuova patente decorsi tre
anni dalla revoca, quindi il 23 luglio 2018. Ove ritenuto applicabile
l'art. 179 comma 4 (tre anni dal passaggio in giudicato), il  termine
sarebbe il 12 gennaio 2018. 
$III: le questioni di costituzionalita' gia' sollevate e pendenti. 
    Con ordinanza del 17 dicembre 2015  il  Tribunale  amministrativo
regionale per il Friuli-Venezia Giulia, sul ricorso proposto da  C.G.
contro  Ministero  dell'interno,  ha  prospettato  la  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 120 del decreto legislativo  30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della  strada),  con  provvedimento
pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  1ª  Serie  speciale  -  Corte
costituzionale n. 6 del 10 febbraio 2016. 
    Il   giudice    amministrativo    dubita    della    legittimita'
costituzionale dell'automatismo del ritiro della patente in  presenza
di una condanna per i reati concernenti  gli  stupefacenti,  dopo  le
modifiche all'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
309 del 1990 prodotte sulla base del decreto-legge  n.  36  del  2014
convertito nella legge n. 79 del 2014, con la distinzione  tra  reati
di grave entita' e di modesta entita'. 
    Nello scenario aperto dalla sentenza costituzionale n. 32/2014  e
dalla nuova formulazione della fattispecie di lieve entita'  ex  art.
73 comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/1990,
sembra   al   tribunale   amministrativo   regionale   friulano   che
l'ordinamento  contenga  ora  elementi  sufficienti  a  far  ritenere
incostituzionale il citato automatismo per la violazione dell'art.  3
della Costituzione, in quanto vengono trattate in modo eguale ipotesi
attualmente differenziate dalla legge penale. 
    Secondo il Collegio,  viene  altresi'  violato  l'art.  27  della
Costituzione che mira a una riabilitazione del condannato  e  al  suo
reinserimento  nella  societa',  norma  che  non   puo'   non   avere
ripercussioni  anche  in  sede  di  provvedimenti  amministrativi  in
qualche modo collegati alla vicenda penale stessa. Non avrebbe senso,
infatti, prevedere nell'ambito dell'esecuzione della pena un percorso
riabilitativo per il soggetto condannato e nel contempo non prevedere
che - anche in sede  di  provvedimenti  amministrativi  correlati  si
debba tener conto della possibilita' di intraprendere  tale  percorso
virtuoso. 
    Conclude il tribunale amministrativo regionale che e'  necessario
che l'amministrazione possa tener conto delle circostanze concrete  e
dei comportammo del soggetto coinvolto,  sia  nella  commissione  del
reato sia in momenti successivi,  nonche'  dell'attivita'  lavorativa
svolta dal condannato, in relazione alla quale  il  possesso  di  una
patente di guida puo' risultare essenziale per lo svolgimento  stesso
del lavoro. 
    In data 16 giugno 2016 n. 210 il Tribunale di Genova, sul reclamo
proposto  dal  Ministero   dell'interno   e   dal   Ministero   delle
infrastrutture contro B.D., ha a sua volta sollevato - ritenutane  la
natura  sanzionatoria  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 120 Cod. strada nella parte in cui prevede  la  revoca,  da
parte del prefetto, della patente di guida in caso di condanna per  i
reati di cui  agli  artt.  73  e  74  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/90, con riferimento agli articoli 3, 16, 25  e  111
della Costituzione. 
    In particolare, questo Tribunale  ha  ritenuto  irragionevole  la
previsione di una revoca della patente disposta in via amministrativa
ed automatica per tutti i casi di condanna per i reati  di  cui  agli
articoli 73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/90,
laddove la normativa speciale (art. 85 del medesimo  TU)  prevede  il
potere discrezionale del giudice penale  in  merito  all'applicazione
della - meno grave  -  pena  accessoria  del  ritiro  della  patente,
peraltro con possibilita' di graduarne la durata entro limite di  tre
anni. 
    Alla luce di cio' appare irragionevole che, nei casi  in  cui  il
giudice penale abbia deciso di non applicare la pena  accessoria  del
ritiro  della  patente  (escludendo  in  concreto   una   particolare
pericolosita'    sociale    del    condannato,    un     nesso     di
strumentalita'/occasionalita' tra  la  conduzione  dei  veicoli  e  i
delitti commessi o la possibilita' che il mantenimento della  patente
agevoli la commissione di nuovi reati), la revoca della patente -  di
per se piu' grave del ritiro - intervenga obbligatoriamente  in  ogni
caso, peraltro nella misura fissa di 3 anni. 
    Questi profili di irragionevolezza e di conseguente disparita' di
trattamento rilevano, secondo  l'ordinanza  di  remissione,  sia  per
l'incidenza sulle liberta' tutelate dall'art. 16 della  Costituzione,
sia dal punto di vista della sottrazione del reo al giudice  naturale
e ad un giusto processo, non apparendo rispettosa  di  tali  principi
una  disposizione  normativa  secondo  la  quale  la  previsione   di
un'applicazione automatica di una misura sostanzialmente analoga  (ed
anzi assai piu' afflittiva), da parte di un'autorita' amministrativa,
senza le garanzie  processuali  penali,  si  sovrappone  alla  stessa
decisione penale. 
$IV: nuove questioni di costituzionalita' - Rilevanza e non manifesta
infondatezza. 
    La  rilevanza  della  questione  che  di  seguito  si   prospetta
d'ufficio e' manifesta: in applicazione dell'art.  120  Codice  della
strada l'Autorita' prefettizia ha proceduto a revoca della patente di
guida, di cui il R. era titolare, inibendogli in tal  modo  l'impiego
del proprio veicolo  fino  non  prima  del  febbraio  2018  e  dunque
impedendogli gli spostamenti con  tale  mezzo  di  trasporto  per  le
imprescindibili esigenze di vita, che non possono essere  soddisfatte
solo mediante la rete dei servizi pubblici: attese anche le  concrete
condizioni di vita e professionali dell'attore,  che  di  un  proprio
veicolo ha  necessita'  per  gli  spostamenti  lavorativi  e  per  le
esigenze  famigliari,  come  messo  in  luce  nell'istruttoria  orale
espletata all'udienza del 15  marzo  2017  attraverso  l'esame  della
convivente del R. Costei ha confermato la necessita' dell'impiego  di
veicolo per spostamenti del nucleo famigliare e  del  titolare  della
patente per ragioni di lavoro e  di  salute  proprie  del  R.,  della
convivente stessa (in attesa di un figlio) ed anche della cerchia dei
prossimi congiunti, in particolare per  le  necessita'  di  cura  del
padre dell'attore, periodicamente sottoposto a dialisi. 
    Circa  la  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita',  si  e'  appena  detto  che  gia'   il   Tribunale
amministrativo  regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia  dubita  della
compatibilita' della nuova normativa con gli articoli 3  e  27  della
Carta costituzionale sia per il rigido meccanismo determinativo della
limitazione per la circolazione discendente dalla norma, sia  per  il
contrasto  che  si  determina  con  l'art.  27  della  nostra   Legge
fondamentale rispetto al percorso di risocializzazione del reo. 
    Anche  questo   tribunale,   in   composizione   collegiale,   ha
manifestato perplessita' in riferimento alla diversa modulazione  del
trattamento sanzionatorio in  sede  penale  e  per  le  sue  ricadute
amministrative. 
    E'  opinione   dello   scrivente   che   tutti   i   profili   di
incostituzionalita'  evidenziati  dai  predetti  giudici   remittenti
abbiano appropriato fondamento  e  possano  essere  fatti  propri  da
questo giudice,  che  intende  solo  aggiungere  a  tali  dubbi  gia'
palesati - e prospettare alla Corte - ulteriori coronari sui  profili
di  incompatibilita'  dell'art.  120  in  questione  con  i  principi
costituzionali messi in luce nei  due  richiamati  provvedimenti  dei
Tribunali remittenti, muovendo da una duplice premessa. 
    La prima premessa - cui si accenna  nell'ordinanza  del  Collegio
genovese - e' che, a dispetto della rubrica, le limitazioni  previste
nel  nuovo  testo  dell'art.  120  Codice   strada   e   consistenti,
rispettivamente, nel divieto di accedere all'esame abilitativo per il
rilascio del titolo di guida (per quanti non  muniti  di  patente)  o
nella revoca della stessa  (se  gia'  patentati),  non  costituiscano
«qualita' morali»  ostative  al  rilascio  o  al  mantenimento  della
patente, ma vere e proprie  «sanzioni»  limitative  di  una  liberta'
riconosciuta a livello costituzionale e ancorata  all'art.  16  della
Carta. 
    Se non fossero ritenuti adeguatamente persuasivi  i  rilievi  del
Collegio genovese, sviluppati sulla  precisa  trama  delineata  dalla
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo   (cd.
«Engels' criteria»), allora si  deve  necessariamente  aggiungere  un
argomento di conferma di  tali  assunti,  che  potrebbe  assumere  la
consistenza di una «prova del nove» rispetto all'esatta natura  delle
limitazioni in esame. 
    Non si comprende infatti  come  sia  possibile  che  le  qualita'
morali di un soggetto, condannato per una  determinata  tipologia  di
reati, possano improvvisamente riacquistare la  loro  piena  dignita'
per effetto della  riabilitazione  penale:  l'istituto  previsto  dal
sistema punitivo per la rimozione di tutti gli «effetti penali» delle
condanne. 
    Difficile, se non con artifici verbali  non  compatibili  con  il
giusto  rigore  della  giurisprudenza  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  sui
criteri identificativi  delle  «sanzioni»,  negare  la  reale  natura
afflittivo/sanzionatoria di limitazioni alle patenti  di  guida,  che
vengono rimosse (per i «patentandi») solo ed esclusivamente  con  gli
stessi istituti che riguardano la totale cancellazione degli  effetti
delle  condanne  penali.  Per  questo,  non  puo'  negarsi   che   le
limitazioni qui in discussione  sono  esse  stesse  «effetti  penali»
delle condanne, inflitte da organi amministrativi in esito a condanne
della magistratura penale: delle  quali  condanne,  tali  conseguenze
afflittive seguono il percorso estintivo/riabilitativo. 
    Una precisa conferma di tale impostazione pare ravvisabile  nella
stessa giurisprudenza costituzionale, pur  se  e'  vero  che  diversi
interpreti  trovano  in  quest'ultima  -  ed  in  particolare   nelle
decisioni  collegate  al  venir  meno  delle  cariche  pubbliche  per
determinati reati contro la pubblica amministrazione  -  un'identita'
di «ratio» con il  meccanismo  di  inabilitazione/decadenza  previsto
dall'art. 120 Codice strada, che renderebbe irrilevante i dubbi sotto
palesati. 
    Per vero, nello stesso  compendio  interpretativo  costituzionale
spicca, per la sua pertinenza rispetto  al  caso  qui  in  esame,  la
sentenza n. 281 del 2013 in tema di rapporto tra l'articolo in  esame
e l'applicazione di pena a richiesta. In  essa,  la  Corte  adita  ha
ritenuto l'incostituzionalita'  dell'applicazione  retroattiva  della
novella intervenuta nel  2009  a  fatti  delittuosi  consumati  prima
dell'entrata in vigore della riforma dell'art. 120  Cod.  strada  sul
rilievo  che  il  postulato  di  certezza  e  stabilita'  del  quadro
normativo, che fa da sfondo alla scelta dell'imputato,  precluda  che
successive modifiche legislative vengano ad alterare in pejus effetti
salienti dell'accordo suggellato con la sentenza di patteggiamento. 
    E'  tuttavia  difficile  non  leggere,  in  tale  pronuncia,   il
riconoscimento  implicito   del   presupposto   di   base   di   ogni
argomentazione censoria relativa all'art. 120 Cod. strada:  il  fatto
cioe'  che  si  stia  discutendo  proprio  di   «sanzioni»   o   pene
«aggiuntive», piu' che di «rinunce», che il reo non poteva immaginare
che sarebbero state applicate retroattivamente, nel momento stesso in
cui andava a negoziare la pena principale con la parte pubblica. 
    La   seconda   premessa   da   cui   muovere   e'   la   relativa
insindacabilita' della decisione politica di aggiungere  sanzioni  di
tipo civile alla  commissione  di  determinate  tipologie  di  reati,
anch'essa esplicitata nell'ordinanza del Tribunale di Genova. 
    Da tale angolo visuale, secondo questo remittente, le tesi  della
parte attrice circa  l'automatica  obliterazione  dell'art.  120  del
Codice della strada per effetto del travagliato iter normativo che ha
riguardato le sanzioni in  materia  di  stupefacenti,  ricordato  nei
precedenti paragrafi; ovvero la questione subordinata di legittimita'
costituzionale perche' la norma  in  discussione  non  sarebbe  stata
modificata, dopo la diversificazione del trattamento sanzionatorio in
base  alle  diverse  qualita'  degli  stupefacenti,  ovvero  per   la
trasformazione dell'illecito attenuato in titolo autonomo  di  reato,
non sembrano avere spazio di accoglimento. 
    La disposizione introdotta nel 2009 e non piu' modificata dopo la
recente revisione del TU 309 del 1990 continua a sanzionare, ai  fini
del rilascio o della revoca delle patenti di guida, non solo i  fatti
delittuosi, piu' o meno gravi,  ma  anche  il  consumo  personale  di
stupefacenti che, non punibile penalmente, rimane pero' produttivo di
conseguenze limitative di una certa consistenza. 
    Da tale rilievo, discende che e' possibile ricostruire  una  (non
illegittima) determinazione del legislatore, anche dopo il  2009,  di
conservare un'appendice sanzionatoria riguardante i titoli  di  guida
per  tutte   le   situazioni   antigiuridiche   che   comportano   la
manipolazione degli stupefacenti. Questa appendice sanzionatoria pare
insindacabile allo scrivente,  salvo  che  il  piu'  incisivo  quadro
punitivo discendente  dall'art.  120  in  questione  determini  esiti
irrazionali e non compatibili  con  il  quadro  costituzionale  delle
liberta' fondamentali e della parita' di trattamento. 
    Ad integrazione dei profili  di  incostituzionalita'  evidenziati
dal Giudice amministrativo, ed alla puntuale sottolineatura da  parte
del   Collegio    genovese    circa    l'irragionevole    «rigidita'»
dell'inabilitazione  amministrativa   rispetto   all'evoluzione   del
precetto penale ed alle concrete statuizioni assunte in sede  penale,
possono aggiungersi le seguenti considerazioni. 
    Se - si diceva  poc'anzi  -  non  e'  censurabile  la  scelta  di
aggravare il trattamento sanzionatorio per tutti i reati  concernenti
gli stupefacenti, meno comprensibile e' che la disposizione censurata
realizzi effetti penalizzanti diversi, come durata  applicativa,  nei
confronti di soggetti condannati  per  lo  stesso  titolo  di  reato,
introducendo  una  significativa  diversificazione  sanzionatoria   a
seconda della precedente titolarita' o meno del  titolo  abilitativo,
come pure a seconda dei diversi percorsi processuali prescelti. 
    Non si vede infatti  come  le  qualita'  morali  di  un  soggetto
possano essere modificate da accidenti che non riguardano  per  nulla
la caratura morale del condannato, ma che si atteggiano  a  variabili
del tutto estranee alla condotta dequalificante. 
    In  primo  luogo,  e'  percepibile  la  differenza  che  riguarda
condannati gia' titolari di abilitazione alla guida e condannati  che
ancora  debbano  sostenere  l'esame  abilitativo.  Non  si  comprende
perche' i primi possano essere ammessi al nuovo esame di guida per il
semplice decorso di un triennio dalla  revoca  amministrativa  (cosi'
pare da intendersi l'inciso del terzo comma: «La persona destinataria
del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non puo' conseguire una
nuova patente prima che siano trascorsi  almeno  tre  anni»);  mentre
secondi debbano  munirsi  del  provvedimento  riabilitativo  in  sede
penale che pertanto, salvo i casi di sospensione  condizionale  della
pena sotto esaminati, sara' decisamente piu' lungo per questa seconda
categoria di condannati i quali, in base al combinato disposto  degli
articoli 178 e 179  cod.  penale,  dovranno  aggiungere  un  triennio
(uguale alla durata della revoca predetta) all'espiazione della  pena
principale riportata. 
    In  tale  prospettiva,  si  realizza  quindi  una  disparita'  di
trattamento che non ha la minima giustificazione con la tipologia  di
condanna comminata o con le qualita' morali  dei  condannati:  questi
ultimi, in una logica punitiva razionale, se condannati per lo stesso
fatto/reato,  dovrebbero  quindi  patire  le   medesime   conseguenze
sanzionatorie  derivanti  dall'identico  delitto  e  dal  conseguente
medesimo discredito morale. 
    La revoca o inibitoria all'esame di guida, senza  modulazione  di
durata  e  senza  sospensione,  realizza  poi  un  autentico  macigno
difficilmente valicabile sul percorso  riabilitativo  dei  condannati
per fatti  di  stupefacenti  che  abbiano  fruito  della  sospensione
condizionale della pena. Piu'  precisamente,  si  realizza  in  prima
battuta un apprezzabile «vulnus» all'impianto  strutturale  dell'art.
27 della Costituzione, e poi una seconda  disparita'  di  trattamento
con le altre persone condannate per altre  tipologia  delittuose  che
abbiano anch'esse fruito del medesimo istituto penale premiale, prima
sospensivo e poi estintivo. 
    Per un primo aspetto, l'impossibilita' di spostamenti con proprio
veicolo  si   pone   come   ostacolo   alla   piena   e   progressiva
risocializzazione del soggetto, ritenuto non ulteriormente pericoloso
dal  giudice  penale,  realizzando  in  tal  modo  l'unica   sanzione
realmente applicata in presenza  di  sospensione  condizionale  della
pena (e nemmeno dal giudice  penale),  con  il  concreto  rischio  di
pregiudicare le relazioni  personali  e  lavorative  che  fungono  da
adeguata «controspinta»  rispetto  alla  progettazione  di  attivita'
illecite. 
    Sul   secondo   versante   considerato,   esempio   paradigmatico
dell'irragionevole trattamento  sanzionatorio  piu'  sfavorevole  che
viene riservato ai soli condannati per fatti di stupefacenti, cui sia
stata sospesa la pena, e' dato dal  confronto  tra  l'art.  120  Cod.
strada e la regola dell'art. 166 codice penale, la quale  fa  divieto
di  procedere  a  dichiarazioni  di   decadenza   di   autorizzazioni
amministrative per chi  fruisca  di  sospensione  condizionale  della
pena. Si tratta, con tutta evidenza, di  una  disposizione  in  tutto
coerente con la funzione rieducativa della pena  e  con  il  percorso
socio riabilitativo delineato dall'art.  163  codice  penale  per  le
condanne meno gravi. 
    Tale percorso, pero', per effetto della  novella  del  2009,  non
trova applicazione per i  soli  reati  previsti  dall'art.  120  Cod.
strada, il che si stenta a comprendere perche': a) e' dubbio  che  le
qualita' morali di una persona condannata per violazione del  TU  309
del 1990 siano piu' riprovevoli di' quelle dei condannati a pene  per
fatti  di  maggiore  allarme  sociale,  compresi  i  delitti   contro
l'incolumita' personale; b) nella misura in cui si e' deciso  di  non
far scontare la sanzione principale ai condannati a pene lievi  entro
il biennio di pena detentiva in concreto comminata, non vi, e' alcuna
differenza  in  termini  di  pericolosita'  sociale  tra  condannati,
articolata per titolo di reato; c) se il legislatore ha  previsto  la
sospensione della pena principale e  di  quelle  accessorie,  non  si
comprende  perche'  debbano  sopravvivere  i  soli   effetti   penali
sfavorevoli  relativi  alla  patente  senza  che  il  giudice   possa
concretamente graduarne - quando non disapplicarne ex  art.  166  del
codice penale - gli altri effetti limitativi. 
    La   disposizione   in   esame   introduce   quindi   anche   una
diversificazione degli esiti delle condanne penali tra condannati per
fatti di reato collegati al TU n. 309/1990, cui sia  stata  applicata
la sospensione condizionale della pena, e tutti gli altri  condannati
con sanzione principale di uguale durata ed  ugualmente  sospesa.  Di
tale incongrua distinzione e' chiara la portata negativa rispetto, al
principio-cardine della funzione riabilitativa della pena, nonche' la
valenza discriminatoria e contrastante con le finalita' dell'art.  27
Costituzione, quali rese pratiche e concrete sul terreno esecutivo  -
dall'art. 166 c.p. 
    Da  ultimo,  contingenze  del  tutto  imprevedibili  incidono  in
concreto sulla materiale  durata  delle  inabilitazioni  in  esame  a
seconda della celerita' decisionale e  del  carico  di  lavoro  delle
strutture amministrative o dei tribunali  di  sorveglianza  coinvolti
nella  gestione  delle  sanzioni   in   esame.   Cosi',   di   fronte
all'apparente «vantaggio» che hanno i condannati con pena sospesa cui
sia stata revocata la patente, dato  che  per  essi  e'  previsto  un
termine triennale di durata della revoca, sta l'incognita  dei  tempi
prefettizi  nell'applicazione  della  revoca  stessa.   Per   contro,
all'apparente miglior trattamento riservato ai «patendandi» con  pena
sospesa,  che  lucrano  l'effetto  estintivo  dopo  un  triennio  dal
giudicato  e  da   tale   momento   possono   avanzare   istanza   di
riabilitazione al Tribunale  di  sorveglianza,  sta  l'incognita  dei
tempi decisionali di questi ultimi, prima  di  ottenere  la  completa
rimozione degli effetti penali. 
    E' quindi facilmente immaginabile la situazione di un «patentato»
e  di  un  «patentando»  che,  condannati  per  la  medesima  vicenda
delittuosa  ad  identica  pena  per  violazione   del   testo   unico
Stupefacenti  e  ritenuti  entrambi  meritevoli   della   sospensione
condizionale,   vedano    nei    fatti    diversamente    commisurata
l'inabilitazione  discendente  dall'art.  120  Cod.  strada  per   le
casualita' applicative appena evidenziate: le  quali  non  riflettono
minimamente  un  diverso  disvalore  delle  condotte  apprezzate  dal
giudice penale e tanto meno una  diversa  qualificazione  morale  dei
condannati. 
    Conclusivamente,  stanti   i   profili   di   contrarieta'   alle
disposizioni costituzioni evidenziate dalle due richiamate  ordinanze
di rimessione ante citate e gli ulteriori spunti censori  evidenziati
con  il  presente  provvedimento,  vengono  di  seguito  adottate  le
statuizioni richieste dall'art. 23 legge  n.  53  del  1957  e  dalla
delibera 16  marzo  1956  per  la  sospensione  del  procedimento  in
epigrafe e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per  il
vaglio di conformita' dell'art. 120 Codice della strada  ai  precetti
costituzionali  sopra  evidenziati,  con  le  modalita'  di  cui   al
dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  (proposta  in  via  incidentale)  della
disposizione dell'art. 120 Codice della strada, nel testo  modificato
con legge n. 94 del 2009, nella parte in cui: 
        1) non consente una valutazione  discrezionale  della  durata
dell'inibitoria  o  revoca  del  titolo   abilitativo   alla   guida,
commisurata alla  gravita'  dei  fatti  per  cui  e'  stata  inflitta
condanna e delle pene in concreto comminate; 
        2) prevede l'applicazione delle limitazioni al rilascio o uso
del titolo abilitativo alla guida anche nei confronti dei  condannati
per l'art. 73 TU n. 309/90 a cui sia stata applicata  la  sospensione
condizionale della pena, determinando  ingiustificata  disparita'  di
trattamento rispetto ad ogni altra categoria di condannati  con  pena
sospesa; 
        3)  prevede  diversa  decorrenza  e  durata  del  divieto  di
conseguimento  della  patente,  o  della  durata  della  revoca,  tra
condannati per fatti  di  stupefacenti  che  richiedano  l'ammissione
all'esame abilitativo e condannati gia' titolari di patente di guida; 
        4)  prevede  diversa  decorrenza  e  durata  del  divieto  di
conseguimento  della  patente,  o  della  durata  della  revoca,  tra
condannati  per  fatti  di  stupefacenti  (con  pena   sospesa)   che
richiedano l'ammissione all'esame abilitativo, e condannati (con pena
sospesa) gia' titolari di patente di guida; 
    Dispone conseguentemente: 
        la sospensione del presente procedimento fino alla  pronuncia
della Corte costituzionale; 
        la  notificazione  dell'odierna  ordinanza  alle  parti   del
giudizio ed alla Presidenza del Consiglio del ministri; 
        la comunicazione del  presente  provvedimento  ai  Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; 
        la trasmissione degli atti, una volta completate notifiche  e
comunicazioni, alla cancelleria della Corte costituzionale in Roma. 
 
          Genova, 30 marzo 2017 
 
                   Il Giudice u. des.: Braccialini