N. 98 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 2017
Ordinanza del 5 aprile 2017 della Corte d'appello di Catanzaro nel procedimento penale a carico di M. C.. Processo penale - Revisione delle sentenze di condanna irrevocabili - Mancata previsione che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione siano tali da dimostrare, se accertati, l'esclusione di una circostanza aggravante che abbia negativamente influito sul trattamento sanzionatorio del condannato. - Codice di procedura penale, art. 631.(GU n.28 del 12-7-2017 )
CORTE D'APPELLO DI CATANZARO I Sezione penale La I Sezione penale della Corte d'appello, composta dai magistrati: 1. dott. Fabrizio Cosentino - Presidente; 2. dott.ssa Francesca Garofalo - consigliere; 3. dott. Antonio Saraco - consigliere, nel deliberare sulla richiesta di revisione proposta per M. C. nato a ... il ..., con ricorso iscritto al n. 6/16 REV. della Corte, all'esito dell'udienza camerate odierna, sentite le parti; Osserva e rileva M. C., tramite il proprio difensore e procuratore speciale, propone richiesta di revisione ex art. 630 codice di procedura penale avverso la sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria emessa il 16 aprile 2015, divenuta irrevocabile in data 9 marzo 2016, con la quale veniva definitivamente inflitta la pena di anni sei e mesi otto di reclusione in relazione ai capi C) [esclusa l'aggravante di cui 416-bis, comma 2 c.p.] e P) della rubrica. In primo grado, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria [sentenza 4 giugno 2013, 94 dal nome di una delle imprese posto sotto sequestro], nell'ambito del procedimento 458/2011 RGNR mod. 21 dda, riconosceva colpevole, del reato di associazione di stampo mafioso, per aver preso parte a gruppo di 'ndrangheta denominato «cosca» quale uomo di fiducia di A. N. P. e R. D., con il empito di accompagnare i familiari di quest'ultimo alle visite presso i parenti detenuti, di riscuotere i proventi di attivita' estorsive ed il recupero dei crediti vantata dai sodali detenuti, con l'aggravante della disponibilita' e dell'uso di armi, oltre quale reato fine, di aver tentato di estorcete una somma di denaro ad un imprenditore «non meglio identificato». Il ricorrente osserva di essere stato giudicato con il rito abbreviato, mentre altri soggetti cui veniva contestato lo stesso reato (sempre aderenti alla cosca ) venivano giudicati dal Tribunale di Reggio Calabria in dibattimento, conclusosi con la sentenza n. 606/14. Con tale secondo giudicato, anch'esso divenuto definitivo, per omessa interposizione di impugnazione, veniva ritenuta insussistente l'aggravante di cui al quarto comma dell'art. 416-bis codice penale (pag. 210 della sentenza indicata), Trattandosi di un unico originario procedimento penale, M. chiede rilevarsi il contrasto di giudicati sul capo che concerne l'applicazione della predetta aggravante, con conseguente modificazione della pena. Il P.G. d'udienza ha eccepito che non puo' darsi in tal caso il rimedio della revisione, facendo la norma procedurale espresso riferimento ai casi da cui discende un effetto di totale proscioglimento e non anche a quelli in cui il contrasto riguardi una circostanza aggravante, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, cosi come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimita'. La Corte, nel procedere a valutare preliminarmente l'ammissibilita' del ricorso, ha verificato che e' giurisprudenza costante quella di disattendere la rilevanza di questioni che attengono all'esclusione di un'aggravante: l'art. 631 codice di procedura penale e' del resto chiaro nel limitare il diritto alla revisione a quegli elementi tali da accertare - ove dimostrati - esclusivamente «che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530, o 531». Il diritto vivente esclude pertanto interpretazioni estensive della disposizione che consente l'accesso al rimedio della revisione, limitandone l'ambito di ammissibilita' ai soli casi che determinino la necessita' di procedere ad integrale proscioglimento del condannato [per tutte e da ultimo, con accenno anche al dubbio sulla coerenza sistematica e costituzionale della disposizione limitatrice, Cass. Pen., Sez. I, n. 20470 del 10 febbraio 2015]. Risulterebbe quindi precluso al condannato far valere uno dei presupposti di cui all'art. 630 codice di procedura penale - tra cui e' incluso la mancata conciliazione tra opposti giudicati - per evitare l'applicazione di una circostanza aggravante, estromessa per il medesimo reato da altra sentenza definitiva. Nel caso di specie, si verifica che mentre per altri componenti della medesima cosca di appartenenza, persino posti in posizione apicale, una sentenza esclude la disponibilita' di armi da parte della associazione mafiosa, tale circostanza rimarrebbe addebitata al partecipe, che ha seguito diversa strada giudiziaria, ma che ove fosse stata giudicato in dibattimento assieme ai coimputati, avrebbe ricevuto diverso trattamento. Il risultato contrasta con i valori costituzionali di eguaglianza e parita' di trattamento, diritto alla difesa, finalita' rieducativa della pena, e del giusto processo di cui agli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost. In particolare, la questione appare non manifestamente infondata, in quanto, se ogni condannato ha diritto a provare, in deroga al principio della intangibilita' del giudicato, la propria completa innocenza, laddove una sentenza pronunciata in diverso giudizio contrasti con l'affermazione della propria responsabilita', lede medesimo diritto la mancata possibilita' di ottenere declaratoria sopravvenuta di insussistenza di una circostanza aggravante, ossia di una parte della condotta contestata, che abbia effetto sulla pena, esclusa in fatto da altro giudicato, con efficacia analoga al proscioglimento completo. Trattasi, con evidenza, di due situazioni sostenute da una medesima ratio. Viene quindi leso il criterio della ragionevolezza, insito nel valore di eguaglianza iscritto dai padri costituenti all'art. 3 della nostra Carta fondamentale, che richiede sia offerta identica soluzione a situazioni assolutamente parificabili. Se il condannato puo', sulla base di un contrasto tra giudicati, ottenere una revisione del proprio giudizio di colpevolezza nel suo intero (tertium comparationis), non si vede perche' il medesimo diritto non possa essere riconosciuto al condannato, che intende escludere dal proprio giudizio di responsabilita', una parte - peraltro particolarmente significativa - della condotta, qualificata come aggravamento della pena, in relazione alla quale e' sempre richiesto un grado di colpevolezza (nella specie, il dolo). La rilevata differenza di trattamento giuridico non appare razionalmente giustificata, iscrivendosi oltretutto in un filone largamente riconosciuto di tutela del cittadino da provvedimento di condanna ingiusta, ad ampio spettro, con istituti che vanno dalla riparazione dell'errore giudiziario, alla riparazione della ingiusta detenzione, dal ricorso straordinario per errore materiale o di fatto al giudice di legittimita', alla revisione del giudizio di condanna. Proprio in tema di riparazione dell'errore giudiziario, il giudice delle leggi ha da tempo affermato come l'art. 24 Cost. assuma rilievo preminente, posto che la norma costituzionale «enuncia un principio di altissimo valore etico e sociale, che va riguardato - sotto il profilo giuridico - quale coerente sviluppo del piu' generale principio di tutela dei diritti inviolabili dell'uomo (art. 2) assunto in Costituzione tra quelli che stanno a fondamento dell'intero ordinamento repubblicano» [Corte cost. sentenza 15 gennaio 1969 n. 1]. La norma garantisce al cittadino piena tutela dei propri diritti e del diritto alla difesa, riservando alla legge le sole modalita' di riparazione degli errori giudiziari. E si tratta di diritto inviolabile. Il richiamo al diritto dello Stato di stabilire le modalita' attraverso cui riparare gli errori giudiziari implica che al condannato venga riconosciuto uno strumento di accesso per consentire di rilevare la presenza dell'amore, che non pare ragionevole limitare ai soli casi di cui discende la completa esclusione della condotta riprovevole e non soltanto una frazione della stessa, qualificata come circostanza, in grado di influire sulla pena. Una lettura complessiva delle disposizioni richiamate implica che nessun cittadino puo' essere condannato ad una pena restrittiva della liberta' personale, per un fatto che non sia stato completamente accertato, al di la' di ogni ragionevole dubbio. L'esclusione delle aggravanti dal giudizio di revisione contrasta poi anche con l'art. 27, terzo comma della Costituzione, che richiede trattamenti sanzionatori tesi alla rieducazione del condannato: sapere di dover scontare una (parte di) pena per una circostanza che per altri imputati, per il medesimo reato, e' stata da altro organo giudiziario definitivamente esclusa, appare in conflitto con la finalita' rieducativa, poiche' comporta ai condannato l'evidente percezione di subire una sanzione ingiusta e discriminatoria. Il contrasto con la norma sul giusto processo discende dall'osservare come l'art. 111 riservi ad ogni cittadino accusato di un delitto un giudizio «equo e imparziale»: la percezione di non imparzialita' del giudizio emerge dal contrasto tra opposti giudicati, di cui l'uno esclude la fondatezza dell'altro. Il cittadino avverte, in tal caso che mentre per un suo pari e' stato deciso favorevolmente una determinata questione, nei suoi confronti altro giudice ha adottato una decisione diametralmente opposta, ditalche', ove l'imputato - come nel caso di specie - avesse scelto di essere giudicato insieme agli altri in dibattimento, anziche' dal giudice monocratico dell'abbreviato, avrebbe ricevuto un trattamento piu' favorevole. L'imparzialita', sia pure rilevata ex post non puo' che riflettersi sulla ingiusta condanna per un fatto che altro giudice della Repubblica ha valutato diversamente, sia pure limitatamente ad un determinato aspetto della condotta. Ne' puo' addossarsi al condannato gli effetti della scelta di un percorso processuale, che attiene alle forme del rito e agli atti utilizzabili, ma non anche all'accettazione incondizionata dei risultati probatori. Valga osservare che la ratio dell'istituto della revisione non e' solo quello di tutela del cittadino da condanne ingiuste, ma anche dell'interesse della giustizia a non infliggere inutilmente pene nel caso di decisioni contrastanti, che pongono evidentemente il dubbio sull'accertamento effettuato, oltre che di perseguire parita' di trattamento e decisioni tendenzialmente uniformi negli stessi casi, affrontati da giudici diversi (una giustizia uguale per tutti). La rilevanza della questione discende dall'osservare che, ove la stessa venisse accolta, e ritenuta ammissibile la revisione, M. potrebbe vedersi riconosciuta la possibilita' di ottenere una pena diversa da quella, come calcolata dal primo giudice: pena base, per il reato associativo, minimo della pena di cui al quarto comma, nella versione edittale corrispondente al tempus commissi delicti, nove anni, aumentata di anni uno per la continuazione, ridotta per il rito ad anni sei e mesi otto. Nel caso di esclusione dell'aggravante, il nuovo range edittale non partirebbe piu' dal minimo di anni nove, bensi' da sette anni. Ove accolta l'eccezione di costituzionalita', escludendo l'aggravante della disponibilita' delle armi, e ritenuto fondato il giudizio di revisione in ipotesi di contrasto tra giudicati, il condannato potrebbe vedersi riconosciuta una pena minore. Si pone quindi la questione di intervenire sull'art. 631 codice di procedura penale statuendo contrasto della norma con gli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, nella parte in cui la norma non prevede che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione siano tali da dimostrare, se accertati, l'esclusione di una circostanza aggravante che abbia negativamente influito sul trattamento sanzionatorio del condannato.
P.Q.M. Letti gli articoli 1 legge costituzionale n. 1/1948 e 23 legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' sollevata in relazione all'art. 631 codice di procedura penale, 3, 24, 27 e 111 Costituzione; Manda alla cancelleria per la notifica dell'ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' alla comunicazione della medesima ai presidenti delle due Camere del Parlamento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti di causa alla Corte costituzionale, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazione; Sospende il giudizio in corso dando lettura alle parti in udienza della presente ordinanza. Catanzaro, 5 aprile 2017 Il Presidente estensore: Cosentino