N. 161 SENTENZA 6 giugno - 11 luglio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia  e  urbanistica  -  Piani  di  lottizzazione   e   di   zona
  convenzionati - Condizioni  per  la  conversione  delle  volumetrie
  destinate  a  servizi  connessi  alla   residenza   in   volumetrie
  residenziali. 
- Legge della  Regione  autonoma  Sardegna  30  giugno  2011,  n.  12
  (Disposizioni nei vari settori di intervento), art. 18, comma 32. 
-   
(GU n.29 del 19-7-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma
32, della legge della Regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12
(Disposizioni nei vari settori di intervento), promosso dal Consiglio
di Stato, sezione quarta, nel  procedimento  vertente  tra  la  Cento
Societa'  Cooperativa  e  il  Comune  di  Villasimius  e  altro,  con
ordinanza del 25  maggio  2015,  iscritta  al  n.  288  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Cento Societa' Cooperativa; 
    udito nell'udienza pubblica del 6 giugno 2017 il Giudice relatore
Daria de Pretis; 
    udito  l'avvocato  Carla  Valentino   per   la   Cento   Societa'
Cooperativa. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 maggio  2015,  il  Consiglio  di  Stato,
sezione quarta, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 18, comma 32, della legge della Regione Sardegna 30  giugno
2011, n.  12  (Disposizioni  nei  vari  settori  di  intervento).  La
disposizione  censurata  prevede  quanto  segue:  «[i]n  deroga  alla
normativa regionale e comunale, nei  piani  di  lottizzazione  e  nei
piani di zona gia' convenzionati e' consentito in tutto  o  in  parte
convertire le volumetrie destinate a servizi connessi alla  residenza
realizzate o  da  realizzare,  di  cui  all'articolo  4  del  decreto
assessoriale  n.  2266/U  del  20  dicembre   1983,   in   volumetrie
residenziali, a condizione che le unita' abitative  cosi'  realizzate
siano cedute a soggetti in  possesso  dei  requisiti  previsti  dalla
legge regionale  30  dicembre  1985,  n.  32  (Fondo  per  l'edilizia
abitativa), o dalla legge regionale n.  3  del  2008  in  materia  di
edilizia agevolata. Tale disposizione si  applica  a  condizione  che
siano state effettuate le cessioni di legge ovvero che esse avvengano
entro sessanta giorni all'entrata in vigore della presente legge.  Lo
strumento attuativo si considera automaticamente variato all'atto del
rilascio del relativo permesso di costruire o di denuncia  di  inizio
di attivita' da parte degli aventi diritto». 
    Il rimettente riferisce che il 10 aprile 1992 la  Cento  Societa'
Cooperativa stipulava con il Comune di Villasimius una convenzione di
lottizzazione, in attuazione  della  quale  realizzava  le  residenze
previste e le opere di urbanizzazione primaria e secondaria  indicate
in convenzione, ma non completava i servizi connessi  alla  residenza
(comunque realizzati in misura superiore al 50%). Il 5 novembre 2011,
la medesima societa' presentava al Comune di Villasimius  istanza  al
fine di ottenere, ai sensi del citato art. 18, comma 32, della  legge
reg.  Sardegna  n.  12  del  2011,  «l'autorizzazione  unica  per  la
realizzazione, nelle aree  destinate  a  "servizi  connessi",  e  non
ancora utilizzate, di un complesso residenziale». 
    Il 18 maggio 2012 lo sportello unico per le attivita'  produttive
(SUAP)  del  Comune  di   Villasimius   rilasciava   l'autorizzazione
richiesta, consentendo quindi il  cambio  di  destinazione  d'uso  da
volumi  destinati  a  «servizi  connessi  alla  residenza»  a  volumi
destinati a  residenza.  In  seguito,  pero',  con  provvedimento  26
novembre 2012, n. 18100, il SUAP del Comune di Villasimius  annullava
d'ufficio l'autorizzazione del 18 maggio 2012. 
    La societa' impugnava tale provvedimento davanti al TAR Sardegna,
che respingeva il ricorso, osservando - stando a quanto riferisce  il
giudice a quo - che ogni modifica delle convenzioni di  lottizzazione
«deve necessariamente  "passare"  [...]  attraverso  una  valutazione
della sua coerenza con l'interesse pubblico sotteso  dallo  strumento
attuativo», e che l'art. 18, comma 32, della legge reg.  Sardegna  n.
12 del 2011 non esclude che la conversione delle volumetrie destinate
a servizi connessi alla  residenza  in  volumetrie  residenziali  sia
preceduta da una valutazione della sua  corrispondenza  all'interesse
pubblico da parte del comune. 
    La societa' cooperativa Cento  proponeva  appello  contro  questa
sentenza.  Nel  giudizio  d'appello  si  costituiva  il   Comune   di
Villasimius  che,   fra   l'altro,   eccepiva   l'incostituzionalita'
dell'art. 18, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2011, nel
caso in cui si volesse ritenere la conversione  delle  volumetrie  un
atto dovuto in base a tale norma. 
    Il  Consiglio  di  Stato  ritiene  esistenti  i  presupposti  per
sollevare questione di costituzionalita' con riferimento all'art. 18,
comma 32, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2011,  «nella  versione
ratione temporis applicabile» (cioe', nel testo modificato  dall'art.
21 della legge regionale 21 novembre 2011, n. 21, recante  «Modifiche
e integrazioni alla  legge  regionale  n.  4  del  2009,  alla  legge
regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e  alla
legge  regionale  n.  22  del  1984,  ed  altre  norme  di  carattere
urbanistico»). 
    Quanto alla rilevanza, il giudice rimettente osserva che la norma
regionale in questione  «ha  costituito  la  base  per  la  pregressa
autorizzazione alla "conversione" dei  volumi  da  "servizi  connessi
alla residenza" in volumetrie residenziali,[...] nonche' la base  per
il successivo annullamento  d'ufficio,  operato  dal  SUAP  [...]  il
quale,   in   forza   di   un'interpretazione   diversa   da   quella
precedentemente adottata, e' giunto alla conclusione che la norma non
e' tale da privare il Comune di  un  apprezzamento  discrezionale  in
relazione agli effetti, in concreto, della pretesa  conversione».  Il
TAR ha recepito questa seconda interpretazione  ma  il  Consiglio  di
Stato ritiene che «il tenore letterale della norma  sia  univoco  nel
consentire una deroga allo standard insediativo previsto dal  decreto
Floris», cioe', dal decreto assessorile 20 dicembre 1983,  n.  2266/U
(Disciplina dei limiti e dei rapporti  relativi  alla  formazione  di
nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei
comuni della Sardegna), che, come riferisce il rimettente, ha fissato
i volumi connessi alla residenza in applicazione  dell'art.  4  della
legge regionale 19 maggio 1981, n. 17 (Norme in materia urbanistica -
Abrogazione delle leggi regionali 28 agosto 1968, n. 40,  e  9  marzo
1976, n. 10; integrazioni alla legge regionale  28  aprile  1978,  n.
30). 
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  Consiglio  di  Stato
ritiene manifestamente infondate due questioni  di  costituzionalita'
sollevate dal Comune di Villasimius  e,  invece,  non  manifestamente
infondata  la  censura  basata  sull'irragionevolezza   della   norma
regionale. Il giudice a quo osserva che «il legislatore regionale  e'
intervenuto su piani attuativi in  regime  di  convenzionamento»;  in
particolare, la norma de qua  avrebbe  inciso  sull'«obbligazione  di
realizzare "servizi connessi alla residenza" (punti di ristoro, studi
professionali, ecc.) incombente sui  lottizzanti,  sostituendola  con
una obbligazione "facoltativa" di tutt'altro impatto  urbanistico  ed
insediativo, senza al contempo imporre ai lottizzanti  l'integrazione
dei servizi pubblici che il maggior carico  antropico  sottende».  In
questo modo, la previsione regionale avrebbe «stravolto il sinallagma
convenzionale, modificando il delicato equilibrio individuato in  via
astratta dalla legge urbanistica e concretamente  fissato  attraverso
l'accordo, cosi' ponendo i comuni, che hanno  interesse  a  mantenere
gli   originari   standard   urbanistici   e   la   qualita'    della
pianificazione,  nella  condizione  di  doversi  far   carico   della
realizzazione delle opere di urbanizzazione  secondaria  "sostituite"
dal legislatore e del potenziamento dei servizi pubblici primari». 
    La norma regionale avrebbe inoltre «eliso  l'affidamento  riposto
dagli  aventi  causa  dal  lottizzante,   circa   l'efficacia   delle
obbligazioni dal medesimo  assunte,  in  primis  quelle  relative  al
carico insediativo ed  alla  presenza  di  strutture  commerciali  di
servizio». 
    Il giudice a quo ammette «la  possibilita'  dell'amministrazione,
ed anche del legislatore ove le  esigenze  siano  di  carattere  piu'
generale, di ripianificare  motivatamente  il  territorio,  anche  in
contrasto  con  eventuali  piani  attuativi  ancora   efficaci»,   ma
stigmatizza la scelta del legislatore regionale di «lasciare in piedi
il  rapporto  convenzionale  modificandone  d'imperio  le  reciproche
obbligazioni  e  con  esse  l'equilibrio  urbanistico  e  finanziario
tracciato  nell'originaria  convenzione».  Nel  caso  di  specie,  la
«quota»  delle   opere   di   urbanizzazione   secondaria,   la   cui
realizzazione spetta al proprietario, sarebbe stata  «paradossalmente
[...] diminuita al crescere dell'entita' degli insediamenti». 
    Secondo il rimettente, sarebbe irragionevole che il privato possa
«optare per un incremento volumetrico a fini residenziali,  abdicando
alla realizzazione  di  quelle  opere  di  urbanizzazione  secondaria
inizialmente posto a suo carico, senza che lo  stesso  debba  neanche
gravarsi, a compensazione, della monetizzazione degli oneri ribaltati
sull'amministrazione». 
    Il giudice a quo prospetta poi, sulla scia  di  quanto  sostenuto
dalla societa' appellante,  un'altra  interpretazione  dell'art.  18,
comma 32, della legge reg. Sardegna n.  12  del  2011.  Secondo  tale
ipotesi ermeneutica, il legislatore regionale  avrebbe  semplicemente
modificato «i parametri urbanistici relativi  al  carico  insediativo
stabilendo una nuova regola che di fatto incide anche sul  fabbisogno
procapite di servizi pubblici, portandolo ad una soglia  piu'  bassa:
in tale  chiave,  diminuendo  lo  standard,  la  maggiore  volumetria
residenziale non genererebbe piu' la necessita', in capo  alla  parte
pubblica,  di  integrare  i   servizi   pubblici,   con   conseguenza
insussistenza di oneri o aggravi  (neanche  per  la  parte  pubblica)
rispetto all'originario equilibrio convenzionale». 
    Il rimettente osserva che, «se fosse questa la  corretta  esegesi
della norma, essa comunque si porrebbe in conflitto con il  principio
di ragionevolezza sotteso all'art.  3  Cost.»,  per  quattro  diverse
ragioni. In primo luogo, «lo standard derogatorio non  interesserebbe
l'intera zona C, ma solo le aree gia' oggetto di  lottizzazione,  con
inversione dell'ordinaria logica urbanistica  che  invece  impone  la
previa definizione regolamentare degli standard ed il loro successivo
recepimento della pianificazione consensuale». In secondo  luogo,  la
norma regionale «avrebbe l'effetto di aumentare il carico insediativo
e diminuire gli standards,  lontano  dalle  citta',  proprio  laddove
invece lo spazio  a  disposizione  e'  maggiore,  lasciandoli  invece
inalterati nelle zone B (ove anche devono essere previsti  i  servizi
connessi  alla  residenza)  ove  i  fenomeni  di  inurbazione  e   le
concentrazioni insediative divorano  spazio».  In  terzo  luogo,  «il
nuovo  standard  rimarrebbe   comunque   nella   disponibilita'   dei
lottizzanti,  a  seconda  che  essi  chiedano  o  non   chiedano   la
"conversione", con conseguenti ripercussioni sull'ordinata e corretta
pianificazione locale, nonche' sull'affidamento dei  residenti  circa
l'originario dimensionamento degli standard». Infine  (e  secondo  il
rimettente «e' probabilmente questo il punto maggiormente  dolente»),
«la modifica  dello  standard  risulterebbe  operante  anche  per  le
convenzioni gia' in corso di esecuzione e finanche gia' eseguite». 
    2.- Con atto depositato il 22 dicembre 2015, si e' costituita nel
presente giudizio la Cento Societa'  Cooperativa,  chiedendo  che  la
questione  di  costituzionalita'  sia  dichiarata   inammissibile   o
infondata. 
    La parte privata osserva che il Consiglio di  Stato  non  avrebbe
tenuto  nella  giusta  considerazione  il  carattere  primario  della
potesta' legislativa  della  Regione  autonoma  Sardegna  in  materia
urbanistica, e precisa che l'art. 18,  comma  32,  della  legge  reg.
Sardegna n. 12 del 2011 non sarebbe irragionevole  perche'  le  norme
legislative possono  derogare  a  piani  urbanistici  e  a  strumenti
attuativi preesistenti (si richiama, a tale proposito, la sentenza n.
46 del 2014 della  Corte  costituzionale).  La  norma  censurata  non
inciderebbe inoltre sull'esecuzione  delle  opere  di  urbanizzazione
secondaria,  poiche'  «nella  disciplina  vigente  le  urbanizzazioni
richieste per l'edilizia abitativa e quelle richieste per  i  servizi
connessi sono esattamente le medesime» (lo stesso dovrebbe dirsi  per
i  servizi  pubblici).  L'erronea  interpretazione   deriverebbe   in
particolare dall'aver  fatto  coincidere  i  «servizi  connessi  alla
residenza» con le opere di urbanizzazione secondaria e con i  servizi
pubblici. 
    Secondo la parte privata, non e' neppure vero che la  conversione
delle volumetrie da «servizi connessi  alla  residenza»  a  residenza
aumenterebbe  il  carico  urbanistico.  Infatti,  il  citato  decreto
assessorile n. 2266/U del 1983 «prevede che le cessioni per i servizi
pubblici e gli standard siano calcolati nel medesimo modo sia per  le
residenze che per i servizi connessi». 
    Quanto alle singole censure mosse alla  norma  in  questione,  la
societa' costituita si sofferma su quelle avanzate dal giudice a  quo
nella seconda prospettiva interpretativa da esso  delineata,  secondo
la  quale  la  norma  regionale  realizzerebbe  una  riduzione  degli
standard urbanistici. 
    La prima censura  (lo  standard  derogatorio  non  interesserebbe
l'intera zona C ma solo le aree gia'  lottizzate)  sarebbe  infondata
perche' la riserva del  20%  dei  volumi  ai  servizi  connessi  alla
residenza sarebbe una peculiarita' del  citato  decreto  assessorile,
«in  parziale  contrasto   con   la   disciplina   nazionale».   Tale
peculiarita' si sarebbe fondata, nel 1983, sulla volonta' di  evitare
"quartieri-dormitorio", privi dei servizi connessi alla residenza, ma
in seguito  i  volumi  destinati  a  servizi  si  sarebbero  rivelati
«eccedenti  il  fabbisogno  reale».  Sarebbe   emersa,   dunque,   la
necessita' di una disciplina meno rigida, avente come riferimento  il
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti  inderogabili  di
densita' edilizia,  di  altezza,  di  distanza  fra  i  fabbricati  e
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, al
verde pubblico o a parcheggi da osservare ai  fini  della  formazione
dei  nuovi  strumenti  urbanistici  o  della  revisione   di   quelli
esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6  agosto  1967,  n.  765),
«che prevede i servizi connessi come meramente eventuali». 
    La norma regionale  censurata,  inoltre,  avrebbe  anticipato  la
riforma urbanistica generale  operata  con  la  legge  della  Regione
autonoma Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la  semplificazione
e il riordino di disposizioni in materia urbanistica  ed  edilizia  e
per il miglioramento del patrimonio edilizio). Dall'art.  7  di  tale
legge risulterebbe infatti che la residenza e i servizi connessi alla
residenza «fanno parte della medesima categoria funzionale» e che  «i
mutamenti di destinazione d'uso all'interno della medesima  categoria
funzionale  sono  sempre  consentiti».  L'art.  18,  comma   32,   si
riferirebbe dunque  «ai  casi  nei  quali  non  c'e'  variazione  dei
rapporti». 
    La seconda censura (la norma  abbasserebbe  lo  standard  lontano
dalle citta', dove c'e' piu' spazio, e  non  nelle  zone  B)  sarebbe
infondata perche' le zone centrali sono afflitte dal  problema  della
«sparizione dei negozi, dei bar, degli uffici». 
    Quanto alla terza  e  alla  quarta  censura  (il  nuovo  standard
rimarrebbe nella disponibilita' dei lottizzanti  e  opererebbe  anche
per le convenzioni gia' in corso di  esecuzione  e  per  quelle  gia'
eseguite), la  societa'  ne  afferma  l'infondatezza  richiamando  la
competenza  primaria  della  Regione  in  materia  di  urbanistica  e
ribadendo che nella disciplina nazionale  e  nell'attuale  disciplina
regionale i servizi connessi alla  residenza  e  le  residenze  fanno
parte della stessa categoria funzionale. 
    In definitiva,  la  norma  regionale  non  sarebbe  irragionevole
perche' il legislatore avrebbe voluto solo consentire il mutamento di
destinazione d'uso nell'ambito di una categoria omogenea,  in  attesa
della nuova legge urbanistica. 
    3.- Il 4 gennaio 2017 la Cento Societa' Cooperativa ha depositato
un'ulteriore    memoria    difensiva,    nella    quale     eccepisce
l'inammissibilita' o la manifesta infondatezza  della  questione  per
non aver il Consiglio di Stato considerato l'art. 3, lett. f),  dello
Statuto speciale della Regione autonoma  Sardegna,  e  per  non  aver
individuato un tertium comparationis. 
    Sotto  il  primo  profilo,  la  norma  regionale  censurata   non
violerebbe  il  limite  costituzionale  della  potesta'   legislativa
primaria della Regione perche' essa sarebbe conforme al d.m. n.  1444
del 1968; non si potrebbe affermare l'irragionevolezza di  una  norma
legislativa  regionale,  frutto  di  competenza  primaria,   per   il
contrasto con un precedente  decreto  assessorile  e,  anzi,  sarebbe
quest'ultimo a collidere con il  d.m.  n.  1444  del  1968,  che  non
prescrive di destinare il 20% dei volumi  ai  servizi  connessi  alla
residenza. La norma regionale, favorendo la conversione  dei  volumi,
limiterebbe il consumo del territorio e la ragionevolezza  di  questa
scelta sarebbe confermata dalla mancata  impugnazione  da  parte  del
Governo. 
    Sotto il secondo profilo, la parte privata osserva che la censura
di irragionevolezza richiederebbe necessariamente l'individuazione di
un tertium comparationis. L'unico tertium implicitamente  individuato
nell'ordinanza sarebbe il decreto assessorile n. 2266/U del 1983,  ma
un atto amministrativo non sarebbe idoneo a fungere da  parametro  di
valutazione  della  costituzionalita'  di  una  legge.  Ne'   sarebbe
possibile fare ricorso alla  cosiddetta  irragionevolezza  estrinseca
perche' si introdurrebbe un «eccessivo soggettivismo  interpretativo»
e, inoltre, non potrebbe essere considerata irragionevole  una  norma
coerente  con  la  disciplina  statale  e  ribadita  dalla  normativa
regionale "a regime" (art. 7 della l. reg. Sardegna n. 8 del 2015). 
    La societa' ripropone poi le  considerazioni  gia'  svolte  nella
memoria  di  costituzione  in  merito  all'esatto  significato  della
disposizione censurata e alla sua ragionevolezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 maggio  2015,  il  Consiglio  di  Stato,
sezione quarta, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 18, comma 32, della legge della Regione  autonoma  Sardegna
30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori di  intervento),
come modificato dall'art. 21 della legge regionale 21 novembre  2011,
n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4  del  2009,
alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n.  28  del
1998 e alla legge regionale  n.  22  del  1984,  ed  altre  norme  di
carattere urbanistico).  La  disposizione  censurata  prevede  quanto
segue: «[i]n deroga alla normativa regionale e comunale, nei piani di
lottizzazione e nei piani di zona gia' convenzionati e' consentito in
tutto o  in  parte  convertire  le  volumetrie  destinate  a  servizi
connessi  alla  residenza  realizzate  o  da   realizzare,   di   cui
all'articolo 4 del decreto assessoriale n.  2266/U  del  20  dicembre
1983,  in  volumetrie  residenziali,  a  condizione  che  le   unita'
abitative cosi' realizzate siano cedute a soggetti  in  possesso  dei
requisiti previsti dalla legge regionale  30  dicembre  1985,  n.  32
(Fondo per l'edilizia abitativa), o dalla legge regionale  n.  3  del
2008 in materia di edilizia agevolata. Tale disposizione si applica a
condizione che siano state effettuate le cessioni di legge ovvero che
esse avvengano entro sessanta  giorni  all'entrata  in  vigore  della
presente legge. Lo strumento attuativo si  considera  automaticamente
variato all'atto del rilascio del relativo permesso di costruire o di
denuncia di inizia di attivita' da parte degli aventi diritto». 
    Il rimettente dubita della conformita' di questa disposizione  al
principio  di  ragionevolezza  sotto  due  profili  in  larga  misura
coincidenti. 
    In  un  primo  senso,  la  norma  interverrebbe  su   una   fonte
convenzionale incidendo  sull'«obbligazione  di  realizzare  "servizi
connessi alla residenza"  (punti  di  ristoro,  studi  professionali,
ecc.) incombente sui lottizzanti, sostituendola con una  obbligazione
"facoltativa" di tutt'altro impatto urbanistico ed insediativo, senza
al  contempo  imporre  ai  lottizzanti  l'integrazione  dei   servizi
pubblici  che  il  maggior  carico  antropico  sottende».  La   norma
regionale avrebbe cosi' «stravolto il sinallagma convenzionale  [...]
ponendo i comuni, che  hanno  interesse  a  mantenere  gli  originari
standard  urbanistici  e  la  qualita'  della  pianificazione,  nella
condizione di doversi far carico della realizzazione delle  opere  di
urbanizzazione  secondaria  "sostituite"  dal   legislatore   e   del
potenziamento dei servizi pubblici primari». 
    In un  secondo  senso,  sarebbe  comunque  in  se'  irragionevole
l'assetto obbligatorio che ne deriva.  Il  privato  potrebbe  infatti
optare per un incremento  della  volumetria  residenziale  «abdicando
alla realizzazione  di  quelle  opere  di  urbanizzazione  secondaria
inizialmente posto a suo carico, senza che lo stesso debba  gravarsi,
a  compensazione,  della   monetizzazione   degli   oneri   ribaltati
sull'amministrazione». 
    In via sostanzialmente subordinata, il giudice  a  quo  prospetta
poi l'irragionevolezza della previsione anche per il caso in  cui  la
si volesse  interpretare  nel  senso  che  il  legislatore  regionale
avrebbe semplicemente  inteso  modificare  «i  parametri  urbanistici
relativi al carico insediativo stabilendo una  nuova  regola  che  di
fatto incide anche sul  fabbisogno  procapite  di  servizi  pubblici,
portandolo ad una soglia piu' bassa: in tale  chiave,  diminuendo  lo
standard, la maggiore volumetria residenziale non genererebbe piu' la
necessita', in capo alla  parte  pubblica,  di  integrare  i  servizi
pubblici, con conseguenza insussistenza  di  oneri  o  aggravi  [...]
rispetto  all'originario  equilibrio  convenzionale».   Anche   cosi'
interpretata, la disposizione si porrebbe comunque in  conflitto  con
il principio di ragionevolezza, per quattro diverse ragioni:  a)  «lo
standard derogatorio non interesserebbe l'intera zona C, ma  solo  le
aree gia' oggetto di  lottizzazione,  con  inversione  dell'ordinaria
logica  urbanistica  che  invece   impone   la   previa   definizione
regolamentare degli standard ed il loro successivo recepimento  della
pianificazione consensuale»; b) la norma regionale «avrebbe l'effetto
di aumentare il carico insediativo e diminuire gli standards, lontano
dalle citta', proprio laddove invece  lo  spazio  a  disposizione  e'
maggiore, lasciandoli invece inalterati nelle  zone  B  [...]  ove  i
fenomeni di inurbazione  e  le  concentrazioni  insediative  divorano
spazio»;  c)   «il   nuovo   standard   rimarrebbe   comunque   nella
disponibilita' dei lottizzanti, a seconda che  essi  chiedano  o  non
chiedano  la  "conversione"»;  d)   «la   modifica   dello   standard
risulterebbe operante anche per  le  convenzioni  gia'  in  corso  di
esecuzione e finanche gia' eseguite». 
    2.- Prima di esaminare le questioni sollevate dal rimettente,  e'
opportuno illustrare brevemente il contesto normativo in cui la norma
censurata si inserisce. 
    Nella Regione Sardegna, che e'  dotata  di  potesta'  legislativa
primaria in materia urbanistica (art. 3,  lettera  f,  dello  Statuto
speciale), gli standard urbanistici per gli insediamenti residenziali
sono stati fissati, sulla base dell'art. 4 della legge  regionale  19
maggio 1981, n. 17 (Norme in materia urbanistica - Abrogazione  delle
leggi regionali 28 agosto 1968,  n.  40,  e  9  marzo  1976,  n.  10;
integrazioni alla legge regionale 28 aprile 1978, n. 30), dall'art. 6
del decreto dell'Assessore regionale degli enti  locali,  finanze  ed
urbanistica 20 dicembre 1983, n. 2266/U (Disciplina dei limiti e  dei
rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti  urbanistici  ed
alla revisione di quelli esistenti nei comuni  della  Sardegna),  sul
modello di quanto previsto nel decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.
1444 (Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di  altezza,  di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765). In particolare, il citato art. 6 richiede,  per
i comuni con piu' di 10.000 abitanti, 18 mq. di  spazi  pubblici  per
abitante. 
    L'art. 4, comma 2, dello stesso decreto assessorile  dispone  che
«[i]l numero degli abitanti presumibilmente  insediabili  e'  dedotto
assumendo,  salvo  diversa  dimostrazione  in   sede   di   strumento
urbanistico comunale: il parametro di 100 mc ad abitante per zone  A,
B e C, dei quali: - 70 mc per la  residenza;  -  20  mc  per  servizi
strettamente connessi con la residenza o per opere di  urbanizzazione
secondaria di iniziativa privata, quali: negozi di prima  necessita',
studi professionali,  bar  e  tavole  calde;  -  10  mc  per  servizi
pubblici». 
    Il decreto assessorile richiede, dunque, la necessaria  presenza,
accanto alla volumetria per la  residenza  e  a  quella  per  servizi
pubblici, di una volumetria per servizi strettamente connessi con  la
residenza (sentenza Consiglio di Stato, sezione quarta, n.  3764  del
2013), e cio' differentemente da quanto  e'  richiesto  invece  dalla
disciplina  statale,  che  prevede  solo  la  possibilita'   di   una
maggiorazione,  per   destinazioni   "connesse",   della   volumetria
residenziale per abitante. In base all'art. 3, comma  3,  del  citato
d.m. n. 1444  del  1968,  infatti,  «si  assume  che,  salvo  diversa
dimostrazione,  ad   ogni   abitante   insediato   o   da   insediare
corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a
circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una  quota
non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per  pieno)  per  le
destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse
con le residenze (negozi di prima necessita', servizi collettivi  per
le abitazioni, studi professionali, ecc.)». 
    Dall'esemplificazione offerta dalle  norme  citate,  regionale  e
statale, si  desume  che  i  servizi  strettamente  connessi  con  la
residenza consistono in opere o  strutture  private  accessorie  alla
residenza e che tali strutture si distinguono da quelle  destinate  a
servizio pubblico o comunque ad uso pubblico, ivi comprese  le  opere
di urbanizzazione primaria e secondaria. Sebbene,  infatti,  con  una
formula che  presenta  qualche  margine  di  ambiguita',  il  decreto
assessorile sardo del 1983 accosti i  servizi  strettamente  connessi
alla residenza alla incerta categoria delle opere  di  urbanizzazione
secondaria di iniziativa privata (art. 4, comma 2, sopra citato),  e'
da escludere che i primi possano essere ricondotti alle seconde,  sia
perche' lo stesso decreto fa poi distinta menzione  della  volumetria
prescritta per  i  vari  servizi  pubblici  («-  10  mc  per  servizi
pubblici»), sia perche' nella normativa generale statale e'  pacifica
la diversa natura delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria
(art. 16, commi 7 e 8, del decreto del Presidente della Repubblica  6
giugno  2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia  edilizia»)  rispetto  alle  «
destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse
con le residenze (negozi di prima necessita', servizi collettivi  per
abitazioni, studi professionali, ecc.)» (art. 3,  comma  3,  d.m.  n.
1444 del 1968). 
    In questo  contesto  e'  intervenuta  la  norma  regionale  sarda
censurata, prevedendo la possibilita', totale o parziale,  nei  piani
di  lottizzazione  e  nei  piani  di  zona  gia'  convenzionati,   di
«convertire le volumetrie destinate a servizi connessi alla residenza
realizzate o da realizzare [...] in  volumetrie  residenziali»,  alla
duplice condizione che le unita'  abitative  cosi'  realizzate  siano
cedute a soggetti in possesso  dei  requisiti  previsti  dalle  leggi
sull'edilizia agevolata e che siano state effettuate le «cessioni  di
legge» relative alle aree destinate alle opere di urbanizzazione. 
    3.- La prima questione sollevata dal rimettente e'  inammissibile
poiche' la motivazione della supposta  irragionevolezza  della  norma
censurata risulta oscura e contraddittoria. 
    Come visto, secondo il giudice a  quo,  la  disposizione  sarebbe
irragionevole perche'  interverrebbe  su  rapporti  convenzionali  in
essere, modificando le reciproche obbligazioni delle parti, e perche'
determinerebbe  un   nuovo   assetto   obbligatorio   intrinsecamente
irragionevole. 
    Il giudice a quo esordisce riconoscendo in astratto  la  pacifica
ammissibilita'  di  interventi  (anche)   legislativi   su   rapporti
convenzionali  in  atto,  ma  continua  poi  negando  che  cio'   sia
legittimamente avvenuto nel caso concreto,  e  offrendo,  a  sostegno
della   sua   valutazione,   argomenti   oscuri   e   contraddittori.
Dall'ordinanza  non  e'  possibile  comprendere,   infatti,   se   il
rimettente imputi alla norma censurata  l'effetto  di  costringere  i
comuni a sostituirsi  al  privato  nella  realizzazione  dei  servizi
connessi o quello di imporre  maggiori  opere  di  urbanizzazione,  o
entrambi. 
    L'oscurita' della motivazione  e'  confermata  dalla  confusione,
ripetuta,  fra  servizi  connessi   alla   residenza   e   opere   di
urbanizzazione  secondaria  (i  comuni  interessati  sarebbero  posti
«nella condizione di doversi far  carico  della  realizzazione  delle
opere di urbanizzazione secondaria "sostituite" dal legislatore»;  la
quota delle opere di urbanizzazione secondaria sarebbe «diminuita  al
crescere  dell'entita'  degli  insediamenti»;   il   nuovo   rapporto
obbligatorio sarebbe irragionevole perche' «il  privato  puo'  optare
per un incremento volumetrico a  fini  residenziali,  abdicando  alla
realizzazione  di   quelle   opere   di   urbanizzazione   secondaria
originariamente poste a suo carico»), in evidente  contrasto  con  la
distinzione, sia concettuale che di disciplina  positiva,  degli  uni
dalle altre, desumibile dal descritto contesto  normativo  statale  e
regionale. 
    Al carattere oscuro e  contraddittorio  della  motivazione  della
questione,   gia'   di   per   se'   sufficiente    a    determinarne
l'inammissibilita' (ex multis, sentenze n. 102 del 2016, n.  247  del
2015, n. 244 del 2011, ordinanza n. 369 del  2006),  si  aggiunge  la
considerazione che l'ordinanza non da' conto ne' delle ragioni per le
quali sussisterebbe il paventato obbligo dei comuni  (o  comunque  la
necessita' per essi) di sostituirsi ai  privati  nella  realizzazione
dei servizi connessi, ne' dei motivi per cui toccherebbe ai comuni di
provvedere a ulteriori opere di urbanizzazione. 
    Quanto alle ragioni del primo supposto  obbligo,  esse  non  sono
desumibili ne' dal sistema generale, ne' dalla  norma  censurata,  la
quale, consentendo la deroga al decreto n. 2266/U del 1983, si limita
a far venir meno la necessaria presenza dei servizi connessi.  Intesa
in questo modo, dunque, la prima questione sollevata e' inammissibile
anche per erroneo presupposto interpretativo (sentenze n.  241  e  n.
153 del 2015, n. 218 del 2014, n. 249 del  2011,  n.  125  del  2009,
ordinanza n. 187 del 2015). 
    Quanto all'asserita necessita'  per  i  comuni  di  realizzare  a
proprie spese le ulteriori opere di urbanizzazione  secondaria,  rese
necessarie dal «maggior carico antropico», il rimettente non fornisce
alcun  elemento  idoneo  a  dimostrare  che  la   conversione   delle
volumetrie consentita dalla norma censurata produrrebbe un aumento di
carico   urbanistico   e   renderebbe   di   conseguenza   necessaria
un'integrazione degli standard. Mentre  un'argomentazione  sul  punto
sarebbe stata necessaria visto che, come ricordato, l'art. 3 del d.m.
n. 1444 del 1968 comprende negli «insediamenti residenziali» anche  i
servizi connessi e,  similmente,  in  base  all'art.  6  del  decreto
assessorile  n.  2266/U  del  1983,  gli   spazi   pubblici   vengono
parametrati  sulla  volumetria   prevista,   non   sulla   volumetria
specificamente residenziale. E  considerato  altresi'  che,  in  base
all'art. 11, comma 1, lettera a), della legge  regionale  11  ottobre
1985,  n.  23  (Norme  in   materia   di   controllo   dell'attivita'
urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e  di  sanatoria  di
insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione  delle
procedure espropriative), come modificato  dall'art.  7  della  legge
regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per  la  semplificazione  e  il
riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per  il
miglioramento  del  patrimonio  edilizio),  i  «servizi  strettamente
connessi alla residenza» sono  compresi  nella  categoria  funzionale
«residenziale» ai fini del mutamento di destinazione d'uso. 
    Poiche' l'aumento di carico urbanistico e' il  presupposto  delle
censure sollevate, la questione risulta  dunque  inammissibile  anche
per carenza di  motivazione  sulla  non  manifesta  infondatezza  (ex
multis, sentenze n. 133 del 2016, n. 120 del 2015 e ordinanze n. 247,
n. 172, n. 93 e n. 33 del 2016 e n. 52 del 2015). 
    4.- Per le ragioni appena esposte e'  da  ritenere  inammissibile
anche  la  questione  sollevata  dal  Consiglio  di  Stato   in   via
subordinata, in relazione a  una  possibile  diversa  interpretazione
della   disposizione   censurata    (prospettata    nel    punto    8
dell'ordinanza), anch'essa basata sulla tesi che la conversione delle
volumetrie comporti un aumento del carico urbanistico. 
    Con  riferimento  alla  stessa  questione,  infine,   l'ordinanza
risulta  lacunosa  per  un  altro  profilo,  attinente  all'interesse
pubblico perseguito dal legislatore  con  la  disposizione  censurata
(cioe' l'interesse delle persone  economicamente  deboli  all'accesso
all'abitazione), interesse che non viene considerato in  alcun  modo,
benche' la sua rilevanza sia gia' stata riconosciuta da questa  Corte
(ad esempio, sentenze n. 404 del 1988  e  n.  49  del  1987).  In  un
giudizio avente come parametro il  principio  di  ragionevolezza,  la
mancata considerazione dell'interesse pubblico perseguito dalla norma
oggetto  di  censura  contribuisce   a   rendere   insufficiente   la
motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art.18,  comma  32,  della  legge  della  Regione
autonoma Sardegna 30  giugno  2011,  n.  12  (Disposizioni  nei  vari
settori di intervento), sollevate, in  riferimento  al  principio  di
ragionevolezza,  dal  Consiglio  di  Stato,   sezione   quarta,   con
l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA