N. 169 SENTENZA 21 marzo - 12 luglio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni varie per il contenimento e la  razionalizzazione  della
  spesa sanitaria (rinegoziazione dei contratti in essere, recesso  o
  conferma,  con  conseguente  adozione  di  misure  alternative   di
  riduzione della spesa; determinazione,  con  decreto  ministeriale,
  delle  condizioni  di   erogabilita'   e   delle   indicazioni   di
  appropriatezza  prescrittiva  delle   prestazioni   di   assistenza
  specialistica ambulatoriale; informazione,  controllo,  sanzioni  e
  responsabilita' mediche connesse all'erogazione delle  prestazioni;
  obbligo per le Regioni o gli enti del Servizio sanitario  nazionale
  di ridefinire i  tetti  di  spesa  annui  degli  erogatori  privati
  accreditati  delle  prestazioni  di  specialistica   ambulatoriale;
  riduzione del  livello  di  finanziamento  del  Servizio  sanitario
  nazionale, a cui concorre lo Stato). 
- Decreto-legge 19  giugno  2015,  n.  78  (Disposizioni  urgenti  in
  materia  di  enti  territoriali.  Disposizioni  per  garantire   la
  continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di  controllo  del
  territorio. Razionalizzazione delle spese  del  Servizio  sanitario
  nazionale nonche' norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
  industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto
  2015, n. 125, artt. 9-bis; 9-ter, commi 1, lettere a) e b),  2,  3,
  4, 5, 8 e 9; 9-quater, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7; e 9-septies,  commi
  1 e 2. 
-   
(GU n.29 del 19-7-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  9-bis;
9-ter, commi 1, lettere a) e b), 2, 3, 4, 5, 8 e 9;  9-quater,  commi
1, 2, 4, 5, 6 e 7; e 9-septies, commi 1 e  2,  del  decreto-legge  19
giugno  2015,  n.  78  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di   enti
territoriali.  Disposizioni  per   garantire   la   continuita'   dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di  rifiuti  e  di  emissioni  industriali),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2015,  n.  125,
promossi con ricorsi della Regione Veneto e  della  Regione  Liguria,
notificati rispettivamente il 12 e il 13 ottobre 2015, depositati  in
cancelleria il 19 ed il 21 ottobre 2015 e iscritti ai nn. 95 e 97 del
registro ricorsi 2015. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2017 il Giudice relatore
Aldo Carosi; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini, Andrea Manzi ed Ezio Zanon  per
la Regione Veneto, Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Liguria,  e
l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al numero 95 del registro ricorsi  2015,
la Regione  Veneto  ha  impugnato  tra  gli  altri  l'art.  7,  comma
9-quinquies; l'art. 9-bis; l'art. 9-ter, commi l, 2, 3, 4, 5, 8 e  9;
l'art. 9-quater, commi l, 2, 4, 5, 6 e 7; l'art. 9-septies, commi l e
2, del decreto-legge 19 giugno 2015,  n.  78,  recante  «Disposizioni
urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni  per  garantire
la continuita' dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di  controllo  del
territorio. Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario
nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
industriali», convertito, con modificazioni,  dalla  legge  6  agosto
2015, n. 125, per violazione degli artt.  3,  5,  32,  117,  terzo  e
quarto comma, 118, 119 della Costituzione, nonche' del  principio  di
leale collaborazione di cui all'art.120 Cost., nonche'  dell'art.  5,
lettera  g),  della  legge  costituzionale  20  aprile  2012,  n.   4
(Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale). 
    1.1.- La  ricorrente,  come  premessa  comune  alle  impugnative,
espone che gli artt. 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-septies del  d.l.  n.
78 del 2015, introdurrebbero una serie di tagli lineari  sulla  spesa
sanitaria, senza alcuna considerazione ne' dei costi standard di  cui
agli articoli da 25 a 32 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68
(Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni  standard  nel  settore  sanitario),  ne'  dei
livelli di spesa delle Regioni  virtuose  che  hanno  gia'  raggiunto
elevati livelli di efficienza nella  gestione  della  sanita',  senza
tenere in alcun conto la forte disomogeneita'  che  caratterizzerebbe
il sistema della sanita' regionale italiana. 
    Inoltre,  secondo  la  ricorrente,   le   suddette   disposizioni
manterrebbero a  carico  delle  Regioni  l'obbligo  di  garantire  il
finanziamento dei livelli essenziali  di  assistenza  (LEA),  la  cui
determinazione  risalirebbe   al   2001,   essendo   ancora   mancata
l'attuazione dell'art. 5 del decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un piu' alto livello di tutela della salute) che ne aveva prevista la
revisione entro il 31  dicembre  2012.  Sarebbe  evidente  quindi  lo
scollamento che si realizza tra un livello di finanziamento che viene
pesantemente e  permanentemente  ridotto  e  una  determinazione  dei
livelli essenziali che non e' stata rivista da parte dello Stato. 
    Tanto produrrebbe, secondo la Regione ricorrente, la  violazione,
«per irragionevolezza e difetto di proporzionalita', anche del  comma
secondo dell'art. 117 Cost. e dell'art. 32 Cost.», compromettendo  la
possibilita' di garantire i livelli essenziali in materia di  diritto
alla salute, nonche' ridonderebbe anche sull'autonomia costituzionale
garantita alle Regioni dagli artt. 117, terzo e quarto comma,  118  e
119 Cost. 
    La  Regione  cita  le  conclusioni  del  documento  finale  delle
Commissioni riunite V e XII  della  Camera  dei  deputati,  approvato
nell'ambito dell'«Indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della
salute tra nuove  esigenze  del  sistema  sanitario  e  obiettivi  di
finanza pubblica», del  4  giugno  2014  e  la  Relazione  della  12a
commissione permanente Igiene e Sanita' del Senato della  Repubblica,
sullo  "Stato  e  prospettive  del  Servizio   sanitario   nazionale,
nell'ottica della sostenibilita' del sistema  e  della  garanzia  dei
principi di universalita', solidarieta' ed equita'",  del  23  giugno
2015 dove, nelle considerazioni conclusive, si precisa - tra  l'altro
- che «la  Commissione  ritiene  che  non  sia  piu'  rinviabile  una
revisione dei LEA» (punto 25.4), e  si  evidenzia  altresi'  che  «la
Commissione ritiene che, nei prossimi anni, il  sistema  non  sia  in
grado  di  sopportare  ulteriori  restrizioni  finanziarie,  pena  un
ulteriore peggioramento della  risposta  ai  bisogni  di  salute  dei
cittadini e  un  deterioramento  delle  condizioni  di  lavoro  degli
operatori. Eventuali  margini  di  miglioramento,  sempre  possibili,
possono essere perseguiti solo attraverso una attenta selezione degli
interventi  di  riqualificazione  dell'assistenza,   soprattutto   in
termini di appropriatezza clinica e  organizzativa,  evitando  azioni
finalizzate al mero contenimento della  spesa,  nella  consapevolezza
che i risparmi conseguibili devono essere destinati allo sviluppo  di
quei servizi  ad  oggi  ancora  fortemente  carenti,  in  particolare
nell'assistenza territoriale anche  in  relazione  all'aumento  delle
patologie cronico- degenerative» (punto 25.1). 
    La ricorrente richiama altresi' la delibera del 29 dicembre  2014
della  Corte  dei  conti,  recante  la  «Relazione   sulla   gestione
finanziaria  per  l'esercizio  2013  degli  enti  territoriali»,  che
avrebbe precisato che alle Autonomie territoriali e' stato richiesto,
nelle manovre degli ultimi  anni,  «uno  sforzo  di  risanamento  non
proporzionato all'entita' delle risorse gestibili dalle  stesse»,  in
base a scelte andate «a vantaggio degli altri comparti amministrativi
che compongono il conto economico consolidato  delle  Amministrazioni
pubbliche».  Ed  ha  quindi  auspicato  che  «futuri  interventi   di
contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in
grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali
delle prestazioni nonche' delle  funzioni  fondamentali  inerenti  ai
diritti civili e sociali». 
    Diversamente, secondo la Regione Veneto, lo Stato, piuttosto  che
assumersi la responsabilita' di una riduzione dei LEA a  seguito  del
venir  meno  delle  risorse  disponibili,  avrebbe  preferito  invece
lasciare, da un lato, formalmente invariati  i  LEA,  e,  dall'altro,
introdurre un sistema di tagli lineari, in cio' venendo  meno  ad  un
corretto esercizio di quella funzione di coordinamento della  finanza
pubblica che e' invece richiesto dall'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Espone ulteriormente la ricorrente che l'art. 9-bis pretenderebbe
di stabilire  l'applicazione  dei  successivi  articoli  da  9-ter  a
9-octies  in  attuazione  delle  intese  sancite   dalla   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano del 26 febbraio 2015 e del  2  luglio
2015, assunte in attuazione della dell'art. l, comma 398, lettera c),
della legge 23 dicembre 2014 n. 190,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2015)». 
    Al riguardo, la Regione Veneto evidenzia che in quelle  sedi  non
avrebbe espresso  il  proprio  consenso,  ma  avrebbe  instaurato  un
contenzioso costituzionale (e' richiamato il ricorso iscritto al reg.
ric. n. 31 del 2015, in seguito definito  con  sentenza  n.  141  del
2016), denunciando la evidente forzatura in  cui  le  Regioni  stesse
sarebbero state costrette, in quanto  sarebbe  mancato  un  effettivo
percorso di leale collaborazione e di autocoordinamento. 
    Infatti, secondo la ricorrente, in base all'art. 46, comma 6, del
decreto-legge  24  aprile  2014  n.  66  (Misure   urgenti   per   la
competitivita' e la giustizia  sociale),  cosi  come  modificato  dal
citato art. l, comma 398, lettera c), della legge n.  190  del  2014,
alle Regioni,  in  realta',  sarebbe  stata  proposta  un'alternativa
impossibile rispetto a quella di subire un taglio  del  finanziamento
della sanita'. Esse, infatti, in base a quanto previsto dal  suddetto
comma 6, avrebbero potuto evitarlo solo accettando  un  taglio  sulla
spesa extra sanitaria pari a 3.452 milioni di euro. 
    Secondo la ricorrente,  se  le  Regioni  non  avessero  raggiunto
l'intesa, la ripartizione del taglio sarebbe  stato  determinato  dal
Governo, incidendo, secondo quanto recita l'ultimo periodo del citato
art. 46 comma 6, anche  sulle  «risorse  destinate  al  finanziamento
corrente del Servizio  sanitario  nazionale»  e  determinato  tenendo
conto, non dei costi standard di cui al d.lgs. n. 68 del 2011, ma del
prodotto interno lordo (PIL) regionale e della popolazione residente,
e quindi a tutto discapito  dei  sistemi  regionali  piu'  efficienti
(quali sarebbero quelli  delle  Regioni  Emilia  Romagna,  Lombardia,
Veneto, Toscana). 
    Non sarebbe stata quindi lasciata alternativa all'intesa. 
    1.2.- Tanto premesso, la Regione Veneto impugna l'art. 9-ter  del
d.l. n. 78  del  2015  (Razionalizzazione  della  spesa  per  beni  e
servizi, dispositivi medici e farmaci) laddove stabilisce,  al  comma
l, lettera a), che per l'acquisto dei beni  e  servizi  di  cui  alla
tabella A allegata  al  medesimo  decreto,  «gli  enti  del  Servizio
sanitario  nazionale  sono  tenuti  a  proporre  ai   fornitori   una
rinegoziazione dei contratti in essere che abbia l'effetto di ridurre
i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di  acquisto,  rispetto  a
quelli contenuti nei contratti in essere, e senza che  cio'  comporti
una modifica della durata del contratto, al fine  di  conseguire  una
riduzione su base annua del 5 per cento del  valore  complessivo  dei
contratti in essere». 
    1.2.1.- Secondo la ricorrente tale disposizione,  anche  nel  suo
raccordo attuativo con i commi 4 e  5,  imporrebbe  alle  Regioni  di
disporre  un  taglio  lineare  delle  forniture,  in  violazione  dei
principi di ragionevolezza e proporzionalita'  espressi  dall'art.  3
Cost., dal momento che, prescindendo da ogni definizione di  standard
di efficienza, sarebbe  messa  a  rischio  la  garanzia  dei  servizi
sanitari (in violazione dell'art. 32 Cost.) e dei LEA,  imponendo  la
suddetta rinegoziazione anche agli enti del  Servizio  sanitario  che
gia' abbiano raggiunto elevati livelli di  efficienza  e  un  elevato
rapporto tra qualita' e prezzo nelle forniture, e con il principio di
buon andamento della pubblica amministrazione, nel combinato disposto
degli  artt.  3  e  97  Cost.   Detti   vizi   di   costituzionalita'
ridonderebbero sulle competenze regionali  di  cui  agli  artt.  117,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., dal momento che  inciderebbero
indebitamente  sulle   determinazioni   regionali   in   materia   di
organizzazione sanitaria, anche autonomamente considerate. 
    1.2.2.-  La  disposizione   impugnata   costituirebbe   poi   una
previsione di dettaglio,  sicche'  non  potrebbe  trovare  fondamento
nella potesta' legislativa concorrente dello Stato.  Essa  quindi  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 5, 117, secondo, terzo  e  quarto
comma, Cost., con riguardo sia al corretto esercizio  della  funzione
statale di coordinamento della finanza pubblica e alla  garanzia  dei
LEA, sia alla competenza regionale in materia di tutela della  salute
e organizzazione dei sistemi sanitari, nonche' con gli  artt.  118  e
119 Cost. 
    1.2.3.-  Sarebbe  inoltre   violato   il   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost.,  dal  momento  che  nessuna
forma di intesa e' prevista al riguardo. 
    1.3.- La ricorrente impugna poi il medesimo art. 9-ter, comma  l,
alla lettera b), anche nel suo raccordo attuativo con i commi 8 e  9,
laddove esso obbligherebbe parimenti in via generale e indiscriminata
gli enti del Servizio sanitario nazionale (da ora anche SSN),  ovvero
senza la preventiva definizione di standard di efficienza da assumere
a parametro, a proporre, ai fornitori  di  dispositivi  medici,  «una
rinegoziazione dei contratti in essere che abbia l'effetto di ridurre
i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di  acquisto,  rispetto  a
quelli contenuti nei contratti in essere,  senza  che  cio'  comporti
modifica della durata del contratto stesso». 
    1.4.- Con riguardo ai successivi commi 2 e 3  del  medesimo  art.
9-ter, espone la Regione Veneto che l'art. 9-ter,  comma  2,  prevede
che le «disposizioni di cui alla lettera a) del comma l si  applicano
anche ai contratti per acquisti dei beni  e  servizi  previsti  dalle
concessioni di lavori pubblici,  dalla  finanza  di  progetto,  dalla
locazione  finanziaria  di  opere  pubbliche  e  dal   contratto   di
disponibilita' di cui, rispettivamente, agli articoli 142 e seguenti,
153, 160- bis e 160-ter» del codice di cui al decreto legislativo  12
aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e  forniture  in  attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e
2004/18/CE). 
    L'art.  9-ter,  comma  3,  nel  declinare  l'applicazione   delle
disposizioni di cui alla lettera b) del comma l,  confermerebbe  poi,
secondo  la   ricorrente,   l'irragionevolezza   delle   disposizioni
impugnate e si dimostrerebbe esso stesso  irragionevole  dal  momento
che  pur  prevedendo  che  il  Ministero  della   salute   metta   «a
disposizione delle regioni i prezzi unitari  dei  dispositivi  medici
presenti nel sistema informativo  sanitario»  non  ne  trarrebbe  poi
alcuna  conseguenza,  poiche'  non  farebbe  discendere   da   questa
indicazione  alcuna  deroga  all'obbligo  comunque  generalizzato  di
rinegoziazione, che resterebbe immutato. 
    Pertanto, secondo la Regione  Veneto,  dovrebbero  estendersi  ai
detti commi  2  e  3  dell'art.  9-ter  cit.  gli  stessi  motivi  di
incostituzionalita' gia' enunciati con riferimento all'art. 1,  comma
l, lettera a), ivi compresa l'identica ripercussione sulle competenze
regionali, in merito alla violazione degli artt. 3, 5, 32,  97,  117,
secondo, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost., dal momento  che
tali disposizioni stabilirebbero,  con  una  norma  che  non  sarebbe
definibile di principio, un obbligo del tutto analogo di praticare un
taglio meramente percentuale della spesa nei rispettivi settori senza
alcuna indicazione di adeguati  parametri  di  riferimento  idonei  a
distinguere all'interno della stessa,  quella  efficiente  da  quella
inefficiente. 
    1.5.-    L'art.    9-quater    (Riduzione    delle    prestazioni
inappropriate), al comma l, prevede  che  con  decreto  del  Ministro
della salute, «previa intesa in sede di Conferenza permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di  Bolzano»  (da  ora,  anche:  Conferenza   Stato-Regioni),   siano
individuate  le  condizioni  di  erogabilita'  e  le  indicazioni  di
appropriatezza   prescrittiva   delle   prestazioni   di   assistenza
specialistica ambulatoriale. Al comma 2  si  stabilisce  poi  che  le
prestazioni erogate al di  fuori  delle  condizioni  di  erogabilita'
previste dal decreto ministeriale di cui al comma  l  sono  a  totale
carico dell'assistito; al  comma  4  si  prevede  che  gli  enti  del
Servizio sanitario nazionale  effettuano  i  controlli  necessari  ad
assicurare che la prescrizione delle prestazioni  sia  conforme  alle
condizioni e alle indicazioni del suddetto decreto  ministeriale.  Al
comma 5 si dispone poi che in caso di comportamento prescrittivo  non
conforme alle  condizioni  e  alle  indicazioni  di  cui  al  decreto
ministeriale, l'ente adotti nei confronti del medico prescrittore una
riduzione del trattamento economico accessorio e  nei  confronti  del
medico  convenzionato  con  il  Servizio  sanitario  nazionale,   una
riduzione delle quote variabili dell'accordo collettivo nazionale  di
lavoro e dell'accordo integrativo  regionale.  Il  comma  6,  infine,
prevede che la mancata adozione,  da  parte  dell'ente  del  Servizio
sanitario nazionale, dei provvedimenti di  competenza  nei  confronti
del medico prescrittore comporti  la  responsabilita'  del  direttore
generale e sia valutata ai fini della  verifica  del  rispetto  degli
obiettivi assegnati al medesimo dalla Regione. 
    Tali disposizioni, secondo la ricorrente, sarebbero lesive  della
garanzia del diritto costituzionale  alla  salute  e  invasive  delle
competenze regionali, in quanto, da un lato stabilirebbero un  regime
gravemente  sanzionatorio  per  i  medici  del   servizio   sanitario
regionale, ma, dall'altro, non compenserebbero questa previsione  con
una adeguata revisione del regime di responsabilita' civile e  penale
degli stessi, non ancora adeguatamente affrontata dal legislatore. 
    Secondo la Regione  Veneto  la  modalita'  adottata  dalla  norma
impugnata  per  risolvere  il  problema  dei  costi  generati   dalla
cosiddetta medicina difensiva  apparirebbe  lesiva  dei  principi  di
proporzionalita'  e  ragionevolezza:   rimettendo   ad   un   decreto
ministeriale la definizione di cio' che debba ritenersi appropriato o
meno, determinerebbe una grave incertezza prodotta dalla  pretesa  di
sostituire la valutazione  del  medico  del  caso  concreto  con  una
complicata  interpretazione  frutto   di   un   sistema   burocratico
generalizzato. 
    Tali disposizioni, secondo la  Regione  ricorrente,  violerebbero
pertanto il principio di proporzionalita' e di buon andamento di  cui
agli artt. 3, 32 e 97 Cost., sia sotto il profilo  della  connessione
razionale  tra  i  mezzi  predisposti  e  i  fini  che  si  intendono
perseguire, addirittura con il rischio di aggravamento  del  problema
economico complessivo, sia sotto  il  profilo  della  verifica  della
necessita', in quanto la soluzione  prescelta  non  consentirebbe  di
ottenere l'obiettivo prefissato con il minor sacrificio possibile  di
altri   diritti   costituzionalmente   protetti.   Tali    violazioni
ridonderebbero poi in una lesione delle competenze costituzionalmente
assegnate  alla  Regione  in  tema   di   tutela   della   salute   e
organizzazione del sistema sanitario ai sensi degli artt. 117,  terzo
e quarto comma, e 118 Cost., anche autonomamente considerati. 
    Inoltre, prosegue la ricorrente, sarebbe altresi' violato  l'art.
117, terzo comma, Cost. laddove si  stabilisce,  nell'art.  9-quater,
comma l, che le condizioni di erogabilita' sono definite con un  mero
decreto ministeriale (e' richiamata la sentenza n. 125 del 2015). 
    1.6.- L'art. 9-quater, comma 7, impone che le Regioni o gli  enti
del Servizio sanitario nazionale ridefiniscano i tetti di spesa annui
degli   erogatori   privati   accreditati   delle   prestazioni    di
specialistica  ambulatoriale   e,   per   l'anno   2015   obbliga   a
rideterminare il valore dei relativi contratti «in modo da ridurre la
spesa per l'assistenza specialistica ambulatoriale complessiva  annua
da  privato  accreditato,  di  almeno  l'l  per  cento   del   valore
complessivo della relativa spesa consuntivata per l'anno 2014». 
    Secondo la Regione Veneto anche in  questo  caso,  stabilendo  un
obbligo di riduzione della spesa in modo generale  e  indiscriminato,
senza alcuna istruttoria e senza il riferimento di alcuno standard di
efficienza  utilizzabile  come  parametro,  detta   disposizione   si
porrebbe  in  contrasto  con   i   principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' ex art. 3 Cost.,  nonche'  con  gli  artt.  5,  117,
secondo e terzo comma, Cost. riguardo  al  corretto  esercizio  della
funzione statale di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e  alla
garanzia dei LEA, nonche' con gli artt. 118 e 119  Cost.,  e  con  il
principio di buon andamento della  Pubblica  Amministrazione  di  cui
agli  artt.  32  e  97  Cost.,  la  cui  lesione  ridonderebbe  sulle
competenze  costituzionali  garantite  alla  Regione  in  materia  di
organizzazione sanitaria indebitamente compromesse.  Sarebbe  inoltre
violato il principio di leale  collaborazione  di  cui  all'art.  120
Cost., in quanto nessuna forma di intesa viene prevista al riguardo. 
    1.7.-  L'art.  9-septies   (Rideterminazione   del   livello   di
finanziamento del Servizio sanitario nazionale) al comma l stabilisce
che: «1.  Ai  fini  del  conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica di cui all'articolo 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile
2014, n. 66, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  23  giugno
2014, n. 89, e successive modificazioni, e in  attuazione  di  quanto
stabilito dalla lettera  «E»  dell'intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  in  data  26  febbraio  2015  e
dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  in
data 2 luglio 2015, nonche' dagli articoli da 9-bis a  9-sexsies  del
presente decreto, il livello del finanziamento del Servizio sanitario
nazionale a cui concorre lo Stato, come  stabilito  dall'articolo  l,
comma 556, della l. n. 190 del 2014, e' ridotto dell'importo di 2.352
milioni di euro a decorrere dal 2015». 
    Secondo la Regione Veneto la suddetta disposizione ridurrebbe  in
via permanente, senza quindi alcuna limitazione temporale, il livello
del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre  lo
Stato, nella misura di 2.352 milioni di euro a  decorrere  dal  2015.
Tale disposizione, si prosegue, costituisce l'esito  finale  previsto
dalle disposizioni e  dal  procedimento  introdotto,  modificando  il
comma 6 dell'art. 46 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66  (Misure
urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale),  dall'art.  l,
comma 398, lettera c), della legge n. 190 del 2014. 
    Il   "taglio"   si   realizzerebbe   principalmente    attraverso
l'applicazione delle misure di riduzione della  spesa  imposte  dagli
articoli da 9-ter a 9-quinquies dello stesso d.l. n. 78 del 2015  che
costituirebbero una misura meramente lineare, in percentuale rispetto
alla  spesa  storica,  e  quindi  con   modalita'   generalizzate   e
indiscriminate. 
    Secondo la ricorrente non sarebbe quindi previsto nessun adeguato
criterio di razionalizzazione della distribuzione di tale  riduzione,
che pertanto si presterebbe a incidere in modo  indiscriminato  tanto
sulle realta' efficienti, dove  minima  sarebbe  la  possibilita'  di
razionalizzazione della spesa, quanto su  quelle  inefficienti,  dove
invece vi sarebbe una elevata possibilita' di razionalizzazione. Tale
misura inoltre  prescinderebbe  completamente  dall'applicazione  del
criterio dei costi standard. 
    Rammenta la  Regione  Veneto  che  la  Corte  ha  gia'  affermato
l'incostituzionalita'  di  misure  restrittive  in  riferimento  alle
Regioni ordinarie, alle Province ed ai Comuni che non  indicavano  un
termine finale di operativita' (sentenze n. 79 del 2014 e n. 193  del
2012). 
    Nel caso di specie, diversamente, le  norme  impugnate  sarebbero
costituite da un  insieme  di  tagli  meramente  lineari  alla  spesa
sanitaria,  senza  che  sia  definito  alcun  criterio  effettivo  di
sostanziale riforma del comparto, e da misure  che  assumerebbero  un
carattere permanente. 
    Di qui, secondo la ricorrente, deriverebbe il contrasto  con  gli
articoli 3, 5, 32, 97 Cost., che ridonderebbe in una violazione delle
competenze regionali indebitamente compresse  di  cui  agli  articoli
117,  secondo,  terzo  e  quarto  comma,  118  e  119  Cost.,   anche
autonomamente considerati, e del principio di leale collaborazione di
cui all'art. 120 Cost. 
    Infine, secondo la Regione Veneto, oltre che con i parametri gia'
invocati, la norma impugnata si  porrebbe  in  contrasto  con  quanto
dispongono l'art. 5, lett. g), della legge cost.  n.  l  del  2012  e
l'art.  11  (Concorso  dello  Stato  al  finanziamento  dei   livelli
essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo
o al verificarsi di eventi eccezionali) della legge 24 dicembre 2012,
n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del  pareggio  di
bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione),
in quanto tali disposizioni  rafforzerebbero,  perlomeno  in  via  di
principio e pur nella dinamica dell'equilibrio di bilancio, l'impegno
della Repubblica nella garanzia dei livelli essenziali,  riconosciuti
come imprescindibile livello di garanzia dei principi fondamentali di
eguaglianza  e  solidarieta',  mentre  la   disposizione   impugnata,
producendo una riduzione del finanziamento  del  servizio  sanitario,
non terrebbe in alcuna  considerazione  il  problema  della  adeguata
garanzia dei LEA. 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, deducendo l'infondatezza del ricorso. 
    2.1.- Sostiene il Presidente del Consiglio dei ministri che tutti
gli argomenti svolti dalla ricorrente,  considerati  separatamente  e
nel loro insieme, sarebbero «del  tutto  irrilevanti  ai  fini  della
affermata illegittimita' delle norme  impugnate,  attenendo  tutte  a
considerazioni e valutazioni di carattere politico, non congruenti ai
fini  della  denunciata  illegittimita'  costituzionale  delle  norme
richiamate». 
    Dal punto di vista della  supposta  ed  eventuale  illegittimita'
costituzionale, quello  che  rileverebbe  sarebbe  piuttosto  che  la
riduzione delle risorse assegnate alle Regioni per il 2015 sia  stata
a sua volta oggetto di intese  sancite  tra  Stato  e  Regioni  nelle
Conferenze Stato-Regioni del 26 febbraio e del  2  luglio  2015.  Non
avrebbe quindi nessuna rilevanza che, come  sostiene  la  ricorrente,
questa intesa sia stata, sia pure per mera ipotesi, obbligata per  le
Regioni,  perche'  messe  di  fronte  a  un'alternativa  che  avrebbe
comportato  una  riduzione  molto  superiore  per  la   spesa   extra
sanitaria. 
    Cio' che conta, si prosegue, sarebbe invece che le Regioni  hanno
sancito l'intesa, e per di piu', come riconosce la stessa ricorrente,
lo abbiano fatto compiendo una scelta  consapevole  e  ragionata  tra
diverse  alternative  possibili,  specificamente  individuate   dallo
Stato. 
    Evidenzia la difesa statale inoltre che, con  le  intese  del  26
febbraio e del 2  luglio  2015,  le  Regioni  avrebbero  mostrato  di
accettare e condividere la scelta fatta dallo Stato, facendosi  cosi'
anch'esse carico della necessita' di contenere la spesa pubblica. 
    Pertanto, in presenza dell'elemento formale e  sostanziale  delle
intese sancite, che caratterizza le modalita' con le quali sono state
decise le riduzioni di risorse per l'anno 2015, verrebbero «con tutta
evidenza  a  cadere  le  considerazioni,  in  prevalenza  di   natura
meramente politica,  svolte  con  riferimento  ai  lavori  di  alcune
Commissioni Parlamentari e alla richiamata deliberazione della  Corte
dei Conti». 
    Osserva inoltre la difesa erariale che, nel  caso  in  esame,  si
tratterebbe di una riduzione di risorse rispetto  a  quanto  previsto
per il 2015 dal  Patto  per  la  salute  2014-2016,  approvato  dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e Bolzano il 10  luglio  2014,  riduzione
che riguarda la spesa sanitaria regionale nel  suo  complesso  e  non
singole specifiche attivita' oggetto di tagli lineari. 
    2.2.- Con riguardo alle censure rivolte all'art. 9-ter, comma  1,
lettera a), commi 4 e 5, del d.l. n. 78 del 2015, osserva  la  difesa
erariale che l'obiettivo imposto dall'art. 9-ter,  comma  1,  lettera
a), sarebbe quello di ottenere la riduzione, su base annua, del 5 per
cento complessivo dei contratti in essere.  Pertanto,  gli  enti  del
Servizio sanitario nazionale disporrebbero di ampio margine di scelta
per conseguire la riduzione degli oneri contrattuali, fermo  restando
soltanto che la riduzione complessiva della spesa su base annua debba
essere non inferiore al  5  per  cento  del  valore  complessivo  dei
contratti in essere. Non  vi  sarebbe  ragione,  dunque,  secondo  il
Presidente del Consiglio dei ministri, di invocare i tagli lineari  o
la  compressione  dell'autonomia  regionale  di  organizzazione   dei
servizi, che diversamente resterebbe del  tutto  affidata  a  ciascun
ente del Servizio sanitario nazionale, fermo  il  raggiungimento  del
predetto risultato. Inoltre, l'obiettivo che l'ente deve  raggiungere
sarebbe quello della riduzione complessiva della spesa su base annua,
e non necessariamente rispetto a ciascun singolo contratto. 
    2.3.- Con  riguardo  all'asserita  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 9-ter, comma 1, lettera b), e dei successivi commi 2, 3,  8
e 9 del d.l. n. 78 del 2015, osserva il Presidente del Consiglio  dei
ministri che le norme impugnate si basano tutte sulla previsione  che
il  Ministero  della  salute  individui  con  decreto,   sentita   la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e Bolzano, le condizioni di  erogabilita'
e di appropriatezza delle  prestazioni  di  assistenza  specialistica
ambulatoriale. 
    Evidenzia che l'art. 9-quater, comma 5, prevede che, in  caso  di
comportamento del personale medico non conforme alle indicazioni  del
decreto di cui al comma 1, l'ente richieda al medico prescrittore  le
ragioni  della  mancata  osservanza  delle  predette  indicazioni   e
prescrizioni. Solo nel caso di «mancata  risposta  o  giustificazioni
insufficiente»,  l'ente  deve  adottare  i   provvedimenti   di   sua
competenza. 
    Sarebbe quindi del tutto evidente che  il  decreto  del  Ministro
fissa  condizioni  e  modalita'  che  non  saranno   in   ogni   caso
strettamente vincolanti per  il  medico.  Questi,  infatti,  potrebbe
sempre adottare  un  comportamento  prescrittivo  non  conforme  alle
condizioni e alle indicazioni di cui al decreto  ministeriale.  Cio',
ovviamente, sempre che  sussistano  giustificazioni  sufficienti  che
consentano al medico di  dare  esauriente  e  soddisfacente  risposta
all'ente nei momento in cui questo, come e' tenuto a fare in base  al
comma 5, gli chieda conto del suo comportamento. Solo nel caso in cui
le risposte del  medico  manchino  e  le  ragioni  e  giustificazioni
addotte siano considerate insufficienti, l'ente  potra'  procedere  a
comminare le sanzioni previste.  Conclusivamente,  comportamenti  del
medico difformi da quelli stabiliti nel decreto ministeriale  saranno
pertanto tollerati ogni volta  che  questi  si  fondino  su  cause  e
giustificazioni adeguate, ovviamente con riferimento al caso trattato
e alle specifiche esigenze di cura che questo puo' presentare. 
    Non  ci  si  troverebbe  di  fronte  quindi  ad  una  ipotesi  di
irragionevolezza o  di  mancanza  di  proporzionalita',  ne'  sarebbe
sostenibile che la  norma  leda  l'autonomia  e  responsabilita'  del
medico. 
    2.3.1.- Infine, quanto alla censura che la  norma,  imperniandosi
tutta  sul  decreto  ministeriale  di  cui  al  punto  1,   lederebbe
l'autonomia  regionale  perche'  andrebbe  ben   oltre   i   principi
fondamentali, osserva innanzitutto il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri che la Corte Costituzionale avrebbe piu' volte affermato  la
legittimita', ex  art.  119  Cost.,  di  misure,  anche  a  carattere
prescrittivo, quando sia in gioco la tenuta finanziaria del sistema. 
    In secondo luogo rileva che, nel  caso  in  questione,  tutta  la
normativa  esaminata,  altro  non  sarebbe  che  l'attuazione  di  un
principio fondamentale, non  esplicitato  ma  chiaramente  sotteso  a
tutto il complesso normativo: quello di adottare criteri  adeguati  a
contenere la spesa sanitaria anche  sotto  il  profilo  di  eventuali
prestazioni mediche non necessarie.  Principio  questo  che,  proprio
perche' fondato piu' sull'art. 119  Cost.,  come  interpretato  dalla
Corte Costituzionale, che non  sull'art.  117,  comma  terzo,  Cost.,
sarebbe in questo caso del tutto rispettato. 
    2.4.- Con riferimento poi alla specifica  censura  diretta  verso
l'art. 9-quater, comma 7, osserva la difesa erariale che i motivi  di
doglianza sono analoghi  a  quelli  di  cui  al  punto  precedente  e
consistono essenzialmente nel fatto che  esso  recherebbe  dei  tagli
lineari e che si imporrebbe un obbligo di riduzione della spesa senza
alcuna istruttoria e senza riferimento agli standard di efficienza. 
    Anche  in  questo  caso,  tuttavia,  secondo  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri il ricorso sarebbe del tutto infondato. 
    Si osserva innanzi tutto che la richiesta di riduzione  di  spesa
nulla  avrebbe  a  che  vedere  col  concetto   di   tagli   lineari.
Secondariamente,  si  evidenzia  che  l'ente  dovrebbe   in   effetti
ridefinire i tetti di spesa annui per questo tipo di  assistenza,  ma
si tratterebbe di tetti finalizzati comunque a ottenere una riduzione
complessiva della spesa pari all'uno per cento dell'anno  precedente.
Di conseguenza, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri,  le
modalita' con le quali ciascun ente sanitario decidera' di operare ai
fini di ottenere tale risultato dovranno necessariamente  muovere  da
una prima fase di generalizzata richiesta a tutti gli  erogatori  del
servizio di una rinegoziazione dei  rispettivi  contratti.  Tuttavia,
potranno essere  adottali  modalita'  e  criteri  anche  notevolmente
diversi da ente a  ente,  purche'  sia  garantito  il  raggiungimento
complessivo della riduzione dell'l per cento annuo. 
    2.5.- Infine, con riguardo alla impugnazione dell'art. 9-septies,
commi 1 e 2, osserva la difesa statale che le  motivazioni  contenute
nel prosieguo del ricorso riguardano in realta' unicamente  il  comma
l. 
    Deduce in proposito il Presidente del Consiglio dei ministri  che
non ci si troverebbe di fronte a tagli lineari, ma si tratterebbe  di
una riduzione del livello del finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale, come esattamente recita il comma 1 dell'art. 9-septies. 
    Rammenta che tale disposizione riproduce il contenuto  delle  due
intese del 26 febbraio e del 2 luglio 2015, con le quali  le  Regioni
hanno formalizzato il loro  consenso  con  lo  strumento  dell'intesa
previsto dalla disciplina in  materia  e  dunque  dotate  del  valore
giuridico proprio di questi atti. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  sostiene  che   la
contestata riduzione e' relativa al finanziamento previsto dal  Patto
per la salute rispetto al 2015, mentre  il  Patto  stesso  ha  durata
triennale e puo' essere modificato, di intesa tra Stato e Regioni, di
anno in anno. Sarebbe dunque del tutto evidente che la  riduzione  di
cui al comma 1, anche se prevista a decorrere dal 2015, riguarderebbe
solo il 2015. Spetterebbe  quindi  alla  legge  di  stabilita'  2016,
sentite le Regioni in Conferenza permanente e  acquisitane  l'intesa,
definire se il livello di contributo dello Stato sara' pari a  quello
previsto nel Piano delle salute per il 2016 o sara' anch'esso ridotto
(o aumentato) ed in che misura. 
    3.- In vista dell'udienza pubblica hanno depositato  memorie  sia
la Regione Veneto che il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.1.- La Regione  Veneto,  in  replica  alla  deduzione  erariale
secondo la quale nel ricorso sarebbero state  introdotte  motivazioni
di ordine politico, obietta che la ricorrente  ha  inteso  sottoporre
alla Corte la questione se il legislatore sia libero di  ignorare  le
priorita' costituzionali, destinando le risorse (disponibili altrove)
ad  obiettivi  che  la  Costituzione  non  impone  e   possa   dunque
sacrificare diritti fondamentali - come  quelli  che  attengono  alla
sanita' - ad interessi di natura diversa (e' richiamata  la  sentenza
n. 275 del 2016). 
    Ne', secondo la ricorrente, potrebbe valere a discrimine l'intesa
raggiunta, che di fatto sarebbe da  ritenersi  imposta:  in  mancanza
d'intesa lo Stato, infatti,  avrebbe  esercitato  il  proprio  potere
sostitutivo,  utilizzandolo,  per  di  piu'  con  criteri  sussidiari
penalizzanti per le Regioni virtuose nella spesa sanitaria ma con  un
Pil elevato: in  sostanza  le  Regioni  non  avrebbero  avuto  alcuna
possibilita' di evitare il taglio imposto  dallo  Stato  sulla  spesa
sanitaria. 
    In merito alla dedotta  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
9-ter, comma l, lettera a), e dei commi 4 e 5  del  d.l.  n.  78  del
2015, evidenzia la Regione Veneto che tali disposizioni si  correlano
direttamente alla riduzione del concorso statale al finanziamento del
Fondo sanitario disposta dall'art. 9-septies,  cui  sono  funzionali.
Tale  disposizione  riconoscerebbe  discrezionalita'  in  capo   alle
Regioni unicamente nella scelta tra la riduzione dei  prezzi  unitari
di fornitura e quella dei volumi di acquisto. 
    Ne deriverebbe quindi che la violazione degli artt. 3 e 97  Cost.
si  ripercuoterebbe  sull'autonomia  legislativa,   organizzativa   e
amministrativa costituzionalmente  riconosciuta  alla  Regione  dagli
artt. 117, terzo comma, 118  e  119  Cost.,  incidendo  indebitamente
sulle  determinazioni  regionali  in   materia   di   «organizzazione
sanitaria», costrette ad una misura di razionamento della  spesa  che
non risponderebbe ad un criterio di efficientamento della stessa, non
avendo previsto, il legislatore statale,  alcun  parametro  utile  al
riguardo, limitandosi piuttosto a imporre una dettagliata  misura  di
razionamento delle forniture. 
    Con riguardo ai commi 4 e 5 dell'art. 9-ter del d.l.  n.  78  del
2015, osserva la ricorrente che se da un lato  e'  pur  vero  che  il
comma 4 in questione prevede una facolta' e non un obbligo di recesso
in capo agli enti del Servizio sanitario nazionale,  dall'altro  esso
deve essere letto  in  combinato  disposto  con  il  successivo  art.
9-septies. Quest'ultimo dispone una riduzione permanente del concorso
statale al finanziamento del Fondo sanitario, di cui le riduzioni del
valore  complessivo  dei  contratti  in  essere   rappresenterebbero,
evidentemente, il logico presupposto, non lasciando alcuno spazio  di
manovra se non quello di rinegoziare tali contratti, con  inevitabili
ripercussioni sull'autonomia regionale in materia  di  organizzazione
sanitaria. 
    Con riguardo alle censure rivolte all'articolo  9-ter,  comma  l,
lettera b), commi 2, 3, 8 e 9 del d.l. n. 78 del  2015,  osserva  che
nessuna considerazione sostanziale sarebbe stata svolta dalla memoria
di costituzione dell'Avvocatura dello Stato. Secondo la ricorrente si
tratterebbe di un complesso normativo che introduce una  disposizione
di dettaglio nell'ambito della competenza concorrente in  materia  di
tutela della salute;  che  non  lascia  alcuno  spazio  significativo
all'autonomia regionale, a differenza di quanto dovrebbero  prevedere
le norme statali di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  e  che
risulta  altresi'  privo  del  requisito  della  transitorieta'.   Si
tratterebbe di  una  misura  di  razionamento  della  spesa  che  non
risponderebbe a un criterio  di  efficientamento  della  stessa,  dal
momento che le norme impugnate, pur prevedendo che il Ministero della
salute metta a  disposizione  delle  Regioni  i  prezzi  unitari  dei
dispositivi medici presenti nel sistema informativo sanitario, non ne
trarrebbe  poi  alcuna  conseguenza  operativa  rispetto  all'obbligo
comunque generalizzato di rinegoziazione  che  grava  indistintamente
sulle Regioni. 
    In relazione all'impugnativa dell'art. 9-quater, commi l,  2,  4,
5, 6 e 7 del d.l. n. 78 del 2015, obietta la Regione  Veneto  che  la
struttura delle disposizioni impugnate,  sottoponendo  il  medico  al
rischio  sanzionatorio  qualora   si   discosti   dalle   indicazioni
dell'emanando  decreto   ministeriale,   determinerebbe   una   grave
alterazione del rapporto tra  medico  e  paziente  ed  esporrebbe  il
sistema  sanitario  regionale  a  un  pesante   vulnus   al   diritto
costituzionale  alla  salute.  Sarebbe  invece  rimessa   alla   mera
discrezionalita'  amministrativa  il   giudizio   sulla   sufficiente
motivazione fornita dal medico nel discostarsi  da  quanto  stabilito
nel predetto d.m. (e quindi sulla punibilita' dello stesso).  Proprio
l'argomentazione  dell'Avvocatura  dello   Stato   confermerebbe   la
suddetta   violazione,   dimostrando    che    l'adeguatezza    delle
giustificazioni, la valutazione del caso trattato e delle  specifiche
esigenze  di  cura  sarebbero  infatti  rimesse  dalle   disposizioni
impugnate, e quindi, in  ultima  battuta,  all'ente  -  ed  alla  sua
struttura burocratica - e non piu' al medico. 
    Richiama altresi' quanto affermato dalla Corte secondo  la  quale
«in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la
autonomia e la responsabilita' del medico, che, con il  consenso  del
paziente, opera le necessarie scelte professionali (sentenze  n.  338
del 2003 e n. 282 del 2002)», (sentenza n. 151 del  2009,  punto  6.1
del Considerato in diritto; in senso conforme anche sentenza  n.  162
del  2014).  Questa  relazione  tra  medico  e  paziente,  che  viene
normalmente descritta in termini di "alleanza  terapeutica",  avrebbe
necessariamente   una   connotazione   irripetibile   e   focalizzata
imprescindibilmente  sulla  tutela  della  salute:  «la  nozione   di
patologia, anche psichica, la sua incidenza sul diritto alla salute e
l'esistenza  di  pratiche  terapeutiche  idonee  a  tutelarlo   vanno
accertate alla luce delle valutazioni riservate alla scienza  medica,
ferma la necessita' di verificare che la relativa scelta non si ponga
in contrasto con interessi di pari rango» (sentenza n. 162 del  2014,
punto 7 del Considerato in diritto). Inoltre, le  scelte  relative  a
tutti i trattamenti medici, salvo il necessario  consenso  informato,
devono essere lasciate «alla discrezionalita' del medico, che  e'  il
depositario del sapere tecnico del caso concreto»  (sentenza  n.  151
del 2009, punto 5.2, del Considerato in diritto). Le norme censurate,
al contrario, avocherebbero a  scelte  gia'  effettuate  in  sede  di
decretazione ministeriale, la discrezionalita'  che  dovrebbe  essere
propria  della   decisione   medica,   impedendole   di   svilupparsi
linearmente  all'interno  della  relazione  con  il  paziente.   Esse
trasformerebbero dunque un approccio  che  la  Corte  prescrive  come
indispensabilmente concreto, perche'  focalizzato  sulla  salute  del
paziente, in una disciplina generale dominata  da  preoccupazioni  di
natura meramente finanziaria. 
    Tali violazioni ridonderebbero in  una  lesione,  anche  diretta,
delle competenze costituzionalmente assegnate alla Regione in tema di
tutela della salute e organizzazione del sistema sanitario  ai  sensi
degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dal  momento  che
si impongono agli enti del servizio sanitario regionale,  a  presidio
degli   interessi   finanziari   statali,   una   serie   di   azioni
amministrative che non solo incidono sull'"alleanza terapeutica"  tra
medico e paziente ma che espongono altresi' le strutture regionali  a
richieste di  risarcimento,  compromettendo  l'impegno  regionale  ad
erogare un servizio sanitario a favore della tutela della salute. 
    Con riferimento alle censure mosse nel ricorso riguardo  all'art.
9-quater, comma  7,  evidenzia  la  ricorrente  che  la  disposizione
impugnata, ricollegandosi  alla  riduzione  permanente  del  concorso
statale al livello di finanziamento del Servizio sanitario  nazionale
stabilita dal comma l dell'art. 9-septies, introdurrebbe  una  misura
altrettanto permanente di riduzione  (pari  per  l'anno  2015  almeno
all'l per cento della spesa consuntivata per l'anno 2014) della spesa
regionale  relativa  agli   erogatori   privati   accreditati   delle
prestazioni   di   specialistica    ambulatoriale.    Essa    inoltre
prescinderebbe da ogni istruttoria  sui  livelli  regionali  di  tale
spesa al fine di verificare la appropriatezza della stessa  e  dunque
non considererebbe i forti divari regionali esistenti al riguardo. La
Regione si troverebbe costretta a dover rinegoziare i  contratti  con
gli erogatori privati accreditati delle prestazioni di  specialistica
ambulatoriale. 
    Con riferimento  alle  disposizioni  censurate  di  cui  all'art.
9-septies, osserva che le misure censurate  hanno,  per  struttura  e
tono normativo, un'applicazione che si estenderebbe  indefinitamente:
non si evincerebbe affatto dal testo normativo che esse si applichino
solo per il 2015. Ognuna delle disposizioni di riduzione della  spesa
richiamate dalla disposizione impugnata avrebbe quindi  un  carattere
non transitorio. 
    Inoltre, la norma impugnata farebbe riferimento al  «livello  del
finanziamento del Servizio sanitario  nazionale  a  cui  concorre  lo
Stato, come stabilito dall'articolo l,  comma  556,  della  legge  23
dicembre 2014, n.  190».  Essa  non  sarebbe  quindi  relativa,  come
sostiene l'Avvocatura dello Stato, solo all'anno 2015,  ma  perlomeno
concernerebbe anche il livello di finanziamento dell'anno  2016,  dal
momento che il citato art. l, comma 556, riguardava non solo il 2015,
ma anche il 2016. La riduzione del  Fondo  sanitario  disposta  dalla
norma  impugnata,  poi,  continuerebbe  ad  esplicare  effetti:  essa
avrebbe investito la determinazione del Fondo sanitario per il  2016,
il 2017, il 2018 e il 2019, dal momento che con l'art. l, comma  392,
della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2017  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2017-2019), lo Stato avrebbe  rideterminano  unilateralmente
l'ammontare del suddetto Fondo in 113.000  milioni  di  euro  per  il
2017, 114.000 milioni di euro per il 2018 e 115.000 milioni  di  euro
per il 2019. 
    In merito all'obiezione erariale che in questo  caso  non  ci  si
troverebbe di fronte a tagli lineari, ma a una riduzione del  livello
di finanziamento del Servizio sanitario  nazionale,  come  recita  il
comma l dell'art. 9-septies, e che  tale  disposizione  riproduce  il
contenuto delle due intese del 26  febbraio  e  del  2  luglio  2015,
replica la Regione Veneto di non ignorare che nella sentenza  n.  141
del  2016  la  Corte  Costituzionale  ha  rilevato  che  il   mancato
inserimento,  nella   disposizione   censurata,   di   un   esplicito
riferimento  ai  costi  ed  ai  fabbisogni  standard  regionali,  non
consente di desumere ostacoli all'impiego anche di tali  criteri  per
la  distribuzione  della  riduzione  di  spesa:  anzi,   proprio   la
necessaria considerazione delle risorse  destinate  al  finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale ben  puo'  consentire  alle
Regioni, gia' in sede di  autocoordinamento,  ed  eventualmente  allo
Stato, in sede di intervento sussidiario, di tenere conto dei costi e
dei fabbisogni standard regionali, in modo da onerare maggiormente le
Regioni  caratterizzate  da  una  "spesa   inefficiente".   Tuttavia,
rispetto a tali precisazioni, obietta la ricorrente che  il  criterio
dei costi standard, seppure previsto dagli  artt.  da  25  a  32  del
d.lgs. n. 68 del 2011 per la determinazione e il  riparto  del  fondo
sanitario nazionale, non ha ricevuto alcuna  considerazione;  inoltre
osserva che il criterio sussidiario stabilito dallo Stato, in caso di
mancata intesa, penalizza le Regioni con un  PIL  piu'  elevato,  che
coincidono  con  quelle  piu'  efficienti  (le   cosiddette   Regioni
benchmark) che  avrebbero  interesse  all'applicazione  del  suddetto
criterio dei costi standard. 
    Sarebbe,  quindi,  proprio  in  riferimento   alle   affermazioni
contenute nella  sentenza  n.  141  del  2016,  che  si  porrebbe  la
questione se sia legittimo per lo Stato  prescindere  definitivamente
dai costi standard, posto che di fatto non sono stati utilizzati  ne'
come criterio principale, ne' come criterio sussidiario, evitando  di
«onerare  maggiormente  le  Regioni  caratterizzate  da   una   spesa
inefficiente», nel momento in cui dispone, con la norma impugnata, la
riduzione del finanziamento del Fondo sanitario nazionale. 
    3.2.- Il Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  nella  propria
memoria, osserva che  le  disposizioni  legislative  impugnate  dalla
Regione ricorrente sono volte a razionalizzare e a rendere efficiente
la  spesa  prevista  per  il   Servizio   sanitario   nazionale.   Si
tratterebbe,   in    particolare,    di    disposizioni    introdotte
nell'ordinamento  dal  legislatore  statale  a  seguito  dell'accordo
raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni del 10 luglio 2014 (ove
e' stata siglata l'intesa sul  nuovo  Patto  per  la  salute  per  il
triennio 2014-2016), e a seguito  altresi'  delle  successive  intese
sancite tra Stato  e  Regioni  nelle  Conferenze  permanenti  del  26
febbraio e del 2 luglio 2015. 
    Fa presente che proprio l'art. 26  del  d.lgs.  n.  68  del  2011
avrebbe precisato che, dal 2013,  la  determinazione  del  fabbisogno
sanitario nazionale standard e' fissata tramite intesa,  in  coerenza
con il quadro macroeconomico complessivo del Paese e nel rispetto dei
vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti  dall'Italia  in
sede comunitaria. Ne conseguirebbe  che,  a  fronte  di  sopravvenute
esigenze di finanza pubblica, il Governo  potrebbe  rideterminare  il
livello di  finanziamento  a  copertura  dei  livelli  essenziali  di
assistenza,  da  erogarsi  in   condizioni   di   efficienza   e   di
appropriatezza, cosi' come previsto anche  dall'art.  1  del  decreto
legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina
in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre
1992, n. 421). 
    In tale ottica, anche  il  Patto  per  la  salute  per  gli  anni
2014-2016, siglato dal Governo e dalle Regioni il 10 luglio 2014, nel
definire il livello di finanziamento del SSN  del  predetto  triennio
(rispettivamente pari a 109.928, 112.062 e 115.444 milioni di  euro),
all'art.  1,  comma  1,  dispone  che  il  summenzionato  livello  e'
stabilito «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie  in
relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica  e  a
variazioni del quadro macro economico». 
    In proposito, rammenta che gia' la  l.  n.  190  del  2014  aveva
recepito alcune delle misure contenute nella suddetta  intesa,  e  in
particolare all'art. 1, comma  398,  ha  richiesto  alle  Regioni  di
fornire un contributo alla finanza pubblica pari a  4,2  miliardi  di
euro, rimettendo alle stesse l'onere di  individuare  gli  ambiti  di
spesa e i relativi importi da recepire con successiva intesa  sancita
dalla Conferenza Stato-Regioni. Tale intesa e' intervenuta in data 26
febbraio 2015 e con essa le Regioni hanno indicato in  2.352  milioni
di euro il contributo che il settore sanitario  avrebbe  fornito,  in
applicazione di quanto previsto dal succitato comma 398  della  legge
di stabilita' 2015. Segnatamente, il punto  «E»  dell'intesa  del  26
febbraio 2015 ha rinviato ad un successivo  accordo  l'individuazione
di misure di  razionalizzazione  della  spesa  sanitaria,  prevedendo
inoltre la possibilita'  per  le  Regioni  di  attuare  anche  misure
alternative di contenimento dei costi. 
    Ne consegue, quindi, che sarebbero  state  le  stesse  Regioni  a
chiedere al Governo di individuare misure di razionalizzazione  della
spesa al  fine  di  offrire  loro  strumenti  piu'  efficaci  per  il
contenimento dei costi, tali da rendere sostenibile la riduzione  del
livello di finanziamento. La successiva intesa contenente tali misure
di razionalizzazione della spesa e' stata raggiunta il 2 luglio  2015
e  le  misure  concordate  sono  state  recepite  dalle  disposizioni
impugnate dalle ricorrenti. 
    Secondo la difesa erariale, pertanto, le  norme  impugnate  dalla
Regione ricorrente sarebbero state precedute da accordi  pattizi,  ai
quali la stessa Regione non si e' sottratta, non risultando avere mai
espresso in sede istituzionale il suo esplicito dissenso. 
    Inoltre, non  sarebbero  fondate  le  argomentazioni  addotte  in
merito ad una presunta violazione, da parte del legislatore  statale,
della normativa sui  costi  standard  e  di  applicazione  di  "tagli
lineari". Ed invero, questi ultimi si configurano come una  riduzione
del finanziamento da ripartire tra le Regioni secondo il criterio dei
costi standard in relazione ai costi delle Regioni  "di  riferimento"
(benchmark), come individuate dalla procedura del  richiamato  d.lgs.
n.   68   del   2011.    Del    resto,    a    fronte    dell'impatto
economico-finanziario delle misure introdotte dal decreto-legge n. 78
del  2015,  la  corrispondente  rideterminazione   del   livello   di
finanziamento ordinario non potrebbe che ripartirsi con  il  medesimo
meccanismo di  ripartizione  del  fabbisogno  sanitario,  individuato
dagli artt. 25-30  del  citato  d.lgs.  n.  68  del  2011.  Cio'  sul
presupposto che, in presenza di una rideterminazione del  livello  di
finanziamento, nelle Regioni permangono altri spazi  per  ottimizzare
il  sistema   sanitario   regionale,   pur   avendo   gia'   adottato
autonomamente misure di controllo della spesa. 
    Con riguardo alla rinegoziazione dei  contratti  di  acquisto  di
beni e servizi e dei dispositivi medici prevista dagli artt. 9-ter  e
9-quater, comma  7,  del  d.l.  78  del  2015,  ove  si  prevede  una
rinegoziazione dei contratti in  essere  con  gli  erogatori  privati
accreditati  delle  prestazioni  specialistiche   ambulatoriali,   il
Presidente del Consiglio dei ministri fa  presente  che  tali  misure
rappresentano una leva per il contenimento dei costi, richiesta dalle
Regioni in sede di accordo pattizio e che  esse  non  si  configurano
come un obbligo al quale le Regioni  devono  adempiere,  dal  momento
che, stante la previsione di cui  all'art.  9-septies,  comma  2,  le
stesse potrebbero conseguire risparmi anche  con  misure  alternative
rispetto a  quella  in  argomento,  purche'  di  effetto  finanziario
equivalente. 
    Il legislatore statale, dunque, non escluderebbe affatto  che  la
riduzione avvenga prevedendo tagli maggiori proprio nei contratti  in
cui la spesa sia risultata improduttiva,  eventualmente  evitando  di
coinvolgere in modo rilevante, e nella medesima misura,  i  contratti
in cui la spesa si sia rivelata, al contrario, efficiente. 
    Inoltre,  per  quanto  riguarda  specificamente  la  disposizione
dettata dall'art. 9-ter, comma 1, lettera b), osserva  il  Presidente
del Consiglio dei ministri che essa  non  produce  una  modifica  del
vigente tetto di spesa  per  i  dispositivi  medici,  ma  offre  alle
Regioni un ulteriore strumento per rispettarlo, in considerazione del
fatto che la relativa spesa registrata nel 2014 supera tale tetto  di
spesa, a livello nazionale, dello 0,8  per  cento.  Al  riguardo,  si
precisa, la predetta  disposizione  prevede  altresi'  che  il  tetto
regionale  venga  normalizzato  per  tenere   conto   della   diversa
composizione  pubblico-privata  dell'offerta  a  livello   regionale,
proprio per  valutare  piu'  correttamente  la  spesa  sostenuta  sul
territorio regionale. 
    Con riguardo alla censura  mossa  all'art.  9-quater,  la  difesa
erariale ne contesta l'ammissibilita' in quanto non illustrerebbe  in
modo puntuale per quali  motivi  le  disposizioni  statali  impugnate
contrastino con gli artt. 3, 5, 32, 97, 117, secondo, terzo e  quarto
comma, 118, 119  e  120  Cost.,  di  cui  la  ricorrente  assumerebbe
apoditticamente la  violazione,  limitandosi  a  paventare  ipotetici
rischi, la cui valutazione pero' sfugge al controllo di  legittimita'
della   Corte   costituzionale,   essendo   rimessa   all'ambito   di
discrezionalita' di competenza  esclusiva  del  legislatore  statale.
Secondo la difesa erariale non  apparirebbe  ne'  irragionevole,  ne'
discriminatoria, la scelta di quest'ultimo di rimettere al  dicastero
competente  l'individuazione  dei  casi  e  dei  modi  di  erogazione
appropriata   delle   prestazioni   di    assistenza    specialistica
ambulatoriale, al di fuori dei quali i relativi oneri  economici  non
possono essere posti a carico  del  SSN  senza  un'adeguata  apposita
giustificazione da parte del medico prescrittore. 
    D'altronde,  si  osserva  ulteriormente  che  le  condizioni   di
erogabilita' delle  prestazioni  sanitarie,  poiche'  attengono  alla
materia dei  livelli  essenziali  di  assistenza,  appartengono  alla
competenza del livello centrale e,  in  considerazione  della  natura
squisitamente tecnico-scientifica delle relative indicazioni (essendo
l'efficacia  dei  percorsi  di   cura   stabilita   sulla   base   di
sperimentazioni cliniche e delle evidenze scientifiche), non  possono
essere  influenzate  da  valutazioni   di   ordine   politico   delle
amministrazioni regionali, ne' dalla considerazione che  il  connesso
onere economico ricada  sul  SSN  ovvero  sugli  utenti.  Il  settore
interessato dall'intervento del legislatore statale sarebbe non  solo
quello della tutela della salute, ma altresi' quello  afferente  alla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su  tutto  il
territorio nazionale». Materia, quest'ultima, che l'art. 117, secondo
comma,  lettera  m),  Cost.,  riserva  alla  competenza   legislativa
esclusiva dello Stato. 
    Infine, con riguardo all'impugnazione dell'art. 9-septies,  commi
1 e 2, del d.l. n. 78 del 2015, la difesa statale obietta che  ci  si
troverebbe di fronte non gia' a tagli lineari ma a una riduzione  del
livello del finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale,  come
esattamente recita l'art. 9-septies, comma 1. Ne' avrebbe alcun senso
invocare il mancato rispetto dell'applicazione  dei  costi  standard,
anche  con  riguardo  alla  denunciata  mancanza   delle   necessarie
procedure di leale collaborazione. Rammenta in proposito  che  questa
disposizione riproduce il contenuto delle due intese del 26  febbraio
e del 2 luglio 2015, con le quali le Regioni hanno  sancito  il  loro
consenso nella forma piu' alta prevista dalla normativa in materia, e
cioe' con l'Intesa. 
    4.- La Regione  Liguria,  con  ricorso  iscritto  al  n.  97  del
registro ricorsi del 2015, ha impugnato l'art 9-septies, commi 1 e 2,
del d.l. n. 78 del 2015, deducendo la violazione degli artt. artt. 3,
32, 77, 97, 117, secondo e terzo comma, 118, 119, e del principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Premette la ricorrente che l'art. 9-septies, comma l, del d.l. n.
78 del 2015, riduce la spesa sanitaria, a partire  dall'esercizio  in
corso, in misura fissa (2.352 milioni di euro) ed in via  definitiva,
reiterando annualmente il "taglio"  delle  risorse  senza  limite  di
tempo. 
    Tale riduzione del finanziamento del SSN  sarebbe  funzionale  al
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'articolo
46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014  e  sarebbe  coordinata  con  le
misure  di  risparmio  e  di  contenimento  della   spesa   sanitaria
disciplinate negli articoli da 9-bis a 9-sexsies richiamati. 
    La   Regione   Liguria   subirebbe   una   riduzione   di   circa
sessantacinque milioni di  euro,  che  non  troverebbe  capienza  nei
risparmi  presumibilmente  conseguibili  attraverso  le   misure   di
contenimento della spesa previste  dalle  disposizioni  di  cui  agli
artt. da 9-bis a 9-sexies, ed i cui  effetti  potranno  eventualmente
percepirsi nell'ambito delle annualita' successive  al  2015,  tenuto
conto delle tempistiche necessarie per la loro effettiva attuazione. 
    Pertanto, sostiene la ricorrente che l'art. 9-septies, commi 1  e
2, del d.l. n. 78 del  2015,  arrecherebbe  un  vulnus  alla  propria
autonomia finanziaria,  specie  sotto  il  profilo  della  violazione
dell'art. 119, primo e quarto comma, Cost., anzitutto nella parte  in
cui dispone una forte riduzione del finanziamento del SSN con effetto
immediato e destinato ad incidere sull'esercizio in corso, senza che,
peraltro, tale  riduzione  possa  realisticamente  essere  affrontata
attraverso le misure di razionalizzazione e risparmio previste  dagli
artt. da 9-bis a 9-sexies del medesimo d.l. n. 78 del 2015, anch'essi
inseriti in sede di conversione. 
    Si tratterebbe, secondo la ricorrente, per lo piu' di  misure  di
non immediata  applicazione,  subordinate  alla  previa  adozione  di
decreti ministeriali e di ulteriori  intese  in  sede  di  Conferenza
Stato-Regioni. Esse pertanto sarebbero destinate a  produrre  effetti
"a regime", prevedibilmente, negli  esercizi  successivi,  con  grave
pregiudizio per l'organizzazione e il  buon  andamento  del  servizio
sanitario regionale, della  garanzia  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  e  del  principio  di  integrale   finanziamento   delle
funzioni. Risulterebbe pertanto immediatamente compressa  l'autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione in materia di
tutela  della  salute,  in  contrasto  con  il  principio  di   leale
collaborazione che avrebbe quanto meno imposto di  attendere  l'avvio
della fase di attuazione dei  nuovi  meccanismi  di  risparmio  e  di
contenimento della spesa, al fine di mitigare  l'impatto  del  taglio
sull'organizzazione del sistema sanitario. 
    Evidenzia, al riguardo, la Regione Liguria,  che  tale  riduzione
interviene  in  una  fase  assai  avanzata  della  programmazione   e
pianificazione sanitaria, senza  che  i  meccanismi  di  contenimento
della spesa previsti dagli artt. da 9-bis a 9-sexsies del d.l. n.  78
del 2015 possano immediatamente produrre i propri effetti, tanto piu'
in presenza di ulteriori disposizioni che aggraverebbero i costi  del
servizio sanitario. 
    Piu' nel dettaglio, la  Regione  Liguria  subira'  una  riduzione
delle risorse da dedicare agli screening ed alle altre  attivita'  di
prevenzione stimabile, sulla base delle percentuali sopra  descritte,
in circa 3 milioni di euro. Sulla parte distrettuale - che include la
medicina di base, la farmaceutica, la  specialistica  e  l'assistenza
territoriale - sono stimabili minori risorse per 33 milioni di  euro,
a fronte di costi  in  notevole  incremento  relativamente  ai  nuovi
farmaci oncologici  ed  antiepatite.  Infine,  anche  le  risorse  da
destinare all'assistenza ospedaliera (degenza, day  hospital,  pronto
soccorso), secondo la ricorrente subiranno una riduzione stimabile in
circa 30 milioni di euro. 
    Tale riduzione non soltanto non sarebbe compensata  dalle  misure
di risparmio introdotte  contestualmente  al  taglio  contestato,  ma
sarebbe addirittura aggravata  dall'incremento  dei  costi  derivante
dall'art. 1, comma 593, della l. n. 190 del  2014,  che  ha  previsto
l'istituzione di un fondo per l'acquisto di medicinali innovativi che
ammonta ad euro 500 milioni per l'anno 2015, fondo che - si ritiene -
sarebbe tuttavia insufficiente  rispetto  alla  spesa  effettivamente
sostenuta. Per quanto concerne la Regione Liguria il maggior costo  a
carico del proprio bilancio potrebbe essere stimato in  38,2  milioni
di euro. 
    Da quanto esposto si avrebbe conferma, secondo la ricorrente, che
il taglio disposto  dalla  previsione  censurata  interferirebbe  non
soltanto con l'autonomia finanziaria delle Regioni e con  l'esercizio
delle rispettive competenze legislative ed amministrative,  ma  anche
con l'effettiva capacita' del  sistema  sanitario  di  assicurare  un
adeguato livello di  tutela  del  fondamentale  diritto  alla  salute
presidiato  dall'art.  32  Cost.   Richiama   in   merito   documenti
parlamentari e della Corte dei conti. 
    Secondo  la  ricorrente,  pertanto,  la  complessiva   disciplina
produrrebbe  un  taglio  secco  e  lineare  del  finanziamento   solo
apparentemente compensato da risparmi attendibili e certi, scaricando
sulle Regioni la responsabilita' per la garanzia dei LEA  ipotizzando
«misure alternative», ma in realta' aggiuntive, per conseguire  -  «a
tutti i costi», e anche in caso  di  dimostrata  inadeguatezza  degli
strumenti di cui agli articoli da 9-bis a 9-sexies del d.l. n. 78 del
2015 - l'obiettivo economico-finanziario. 
    Richiama inoltre la ricorrente ampia giurisprudenza  della  Corte
sulla necessita' che anche in presenza di misure di razionalizzazione
e contenimento della spesa le autonomie possano continuare a disporre
di risorse finanziarie non inadeguate alle proprie funzioni. 
    Secondo la ricorrente violerebbe, in particolare, il principio di
ragionevolezza e di leale cooperazione, oltre  che  il  diritto  alla
salute, il fatto che  il  legislatore,  nel  disporre  il  taglio  in
contestazione, si sia totalmente disinteressato della  necessita'  di
assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza,  sebbene
tale necessita' era stata fatta espressamente salva  anche  dall'art.
l, comma 398, della legge n. 190 del 2014,  disposizione  (richiamata
anche nelle intese raggiunte in  sede  di  conferenza  Stato-Regioni)
modificativa dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014. 
    Non risulterebbe secondo la ricorrente, che,  nell'introdurre  il
taglio disposto dall'art. 9-septies, comma l,  del  d.l.  n.  78  del
2015, il legislatore non abbia compiuto  alcuna  verifica  in  merito
alla possibilita'  per  le  Regioni  di  rispettare  i  predetti  LEA
all'esito del taglio operato. 
    4.1.- La Regione Liguria impugna l'art. 9-septies, commi l  e  2,
del d.l. n. 78 del 2015, deducendo la violazione degli artt.  3,  32,
97, 117, secondo e terzo comma, 118, 119, e del  principio  di  leale
collaborazione ex art.  120  Cost.,  anche  sotto  il  profilo  della
lesione  dell'autonomia  finanziaria  regionale  per  violazione  del
principio di temporaneita' della disciplina statale di  coordinamento
della finanza pubblica e di contenimento della  spesa  regionale,  in
quanto  le  disposizioni  impugnate  introdurrebbero  una  misura  di
riduzione del finanziamento del SSN stabilita una volta per  tutte  e
senza limite di tempo «a decorrere dal 2015». 
    Secondo la Regione, la disciplina impugnata non consentirebbe  di
stabilire un termine finale, ne' di essere interpretata alla  stregua
di una disciplina transitoria. Richiama la pronuncia n. 79 del  2014,
nella quale si ribadisce che «questa Corte ha ripetutamente affermato
che e' consentito al legislatore statale imporre limiti alla spesa di
enti  pubblici  regionali,  che  si  configurano  quali  principi  di
"coordinamento della finanza pubblica", anche nel  caso  in  cui  gli
"obiettivi di riequilibrio della medesima" tocchino singole  voci  di
spesa a condizione che: tali obiettivi consistano in un "contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente", in  quanto
dette voci corrispondano ad un "importante aggregato della  spesa  di
parte corrente", come nel caso delle spese per il personale (sentenze
n. 287 del 2013 e n.  169  del  2007);  il  citato  contenimento  sia
comunque "transitorio",  in  quanto  necessario  a  fronteggiare  una
situazione contingente, e  non  siano  previsti  "in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi"
(sentenze n. 23 e n. 22 del 2014; n. 236, n. 229 e n. 205  del  2013;
n. 193 del 2012; n. 169 del 2007)». 
    Sotto il profilo in esame, l'art. 9-septies,  oltre  a  risultare
incompatibile  con  i   principi   precisati   dalla   giurisprudenza
costituzionale, sarebbe affetto  da  profili  di  irrazionalita',  in
riferimento anche all'art. 3 Cost., posto  che  la  stessa  riduzione
sembrerebbe destinata  ad  essere  applicata  anche  alle  annualita'
successive al 2016, per le quali il livello del finanziamento del SSN
non e' ancora stato fissato. 
    Quanto precede dovrebbe indurre ad interpretare in modo  conforme
a Costituzione l'art.  9-septies,  nella  parte  in  cui  include  la
locuzione «a decorrere dal 2015», posto che  non  si  comprende  come
possa razionalmente ipotizzarsi una riduzione in misura fissa  (2.352
milioni di euro) di una grandezza (il livello del  finanziamento  del
SSN a cui concorre lo Stato) non ancora stabilita,  ne'  conoscibile,
per quanto concerne gli anni successivi al 2016. 
    La Regione Liguria impugna ulteriormente l'art. 9-septies,  commi
1 e 2, del d.l. n. 78 del 2015, per violazione degli  artt.  3,  117,
119, e del principio di leale collaborazione ex art.  120  Cost.,  in
relazione alla legge n. 42 del 2009, al d.lgs. n. 68 del 2011  ed  al
Patto per la salute 2014-2016. 
    Detto articolo violerebbe  i  parametri  costituzionali  invocati
anche in relazione alla legge  n.  42  del  2009  -  con  particolare
riferimento all'art. 2, comma 6, e 8 - ed agli artt. da 25 a  30  del
d.lgs. n. 68 del 2011, che individuano  quale  criterio  fondamentale
per la razionalizzazione e il  contenimento  della  spesa  sanitaria,
oltre che di riparto del fondo sanitario nazionale, quello dei  costi
e dei fabbisogni standard. 
    Osserva la  ricorrente  che  -  in  base  alla  normativa  teste'
richiamata - il  finanziamento  del  sistema  sanitario  deve  essere
assicurato sulla base dei costi e dei fabbisogni  standard,  i  quali
sono, a loro volta, calcolati  nella  prospettiva  di  assicurare  il
conseguimento dei livelli essenziali di assistenza. 
    Rispetto a tale sistema, la previsione di un taglio lineare quale
quello  disposto  dalla  disposizione  censurata  per  la  ricorrente
sarebbe assolutamente irragionevole, in  quanto  esso  prescinderebbe
completamente  non  soltanto  dalla  considerazione  dell'adeguatezza
delle risorse rispetto al  conseguimento  dei  citati  obiettivi,  ma
anche dalle regole di finanziamento adottate in attuazione  dell'art.
119 Cost. 
    In  altri  termini,  si  prosegue,  mentre  i  LEA   resterebbero
invariati, per effetto del censurato taglio,  le  Regioni  vedrebbero
diminuite le risorse disponibili per il loro perseguimento. 
    Secondo la ricorrente tale intervento inserirebbe, in  tal  modo,
un  elemento  di   intrinseca   irragionevolezza   nel   sistema   di
finanziamento del SSN, allontanandosi dal  percorso  tracciato  dalla
Costituzione e dalle disposizioni di questa attuative  per  inseguire
unicamente contingenti logiche di risparmio. 
    Sotto il profilo della violazione dell'art. 120,  secondo  comma,
Cost. e del principio di leale collaborazione, evidenzia  inoltre  la
ricorrente che nel Patto  per  la  salute  2014-2016  si  sottolinea,
all'art. l, comma 2, la necessita'  di  rivedere  e  riqualificare  i
criteri  di  cui  all'art.  27  del  d.lgs.  n.  68  del  2011  sulla
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard  regionali,  e  si
afferma che «la revisione dei criteri non puo' mettere in discussione
il principio dei costi standard». 
    Al  successivo  comma  3,  si  prevede  che  «nell'ambito   delle
disponibilita' di cui al comma 1», con DPCM adottato d'intesa con  la
Conferenza Stato-Regioni, «si provvede, entro il  31  dicembre  2014,
all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, in attuazione
dei principi di equita', innovazione ed appropriatezza e nel rispetto
degli equilibri programmati della finanza pubblica», ma, si  obietta,
tale aggiornamento non sarebbe ancora avvenuto. 
    Di fondamentale rilievo sarebbe poi quanto convenuto al comma  4,
dove si legge che «[i]  risparmi  derivanti  dall'applicazione  delle
misure contenute  nel  Patto  rimangono  nella  disponibilita'  delle
singole regioni per finalita' sanitarie», e che «si conviene altresi'
che  eventuali  risparmi  nella  gestione  del   servizio   sanitario
nazionale effettuati dalle  regioni  rimangano  nella  disponibilita'
delle regioni stesse per finalita' sanitarie». 
    Osserva  in  proposito  la  Regione  Liguria  che  la  disciplina
contenuta nell'art.  9-septies  del  d.l.  n.  78  del  2015  sarebbe
improntata ad una logica del  tutto  differente,  che  prescinderebbe
totalmente dal percorso di convergenza  ai  costi  ed  ai  fabbisogni
standard sanitari per riproporre un modello di mero taglio lineare di
finanziamento del SSN. Richiama la sentenza n. 273 del 2013,  secondo
la quale (seppure con  riferimento  al  finanziamento  del  trasporto
pubblico locale) «il mancato completamento della transizione ai costi
e fabbisogni standard, funzionale  ad  assicurare  gli  obiettivi  di
servizio e il sistema di perequazione,  non  consente,  a  tutt'oggi,
l'integrale  applicazione  degli  strumenti  di  finanziamento  delle
funzioni regionali previsti dall'art. 119 Cost.». 
    Il  meccanismo  legislativo  censurato,  inoltre,  a  fronte   di
risparmi   previsti   come   conseguenza    (attesa    o    presunta)
dell'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli da 9-bis  a
9-sexsies,  prevederebbe,  anziche'  l'acquisizione   delle   risorse
risparmiate al bilancio della sanita' regionale,  una  corrispondente
riduzione delle risorse finanziarie destinate  al  finanziamento  del
SSN, ponendosi in violazione del Patto per la salute 2014-2016 e  del
principio di leale collaborazione. 
    4.2.-  La  ricorrente  deduce   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2015, nel  testo
introdotto dalla legge n. 125 del 2015, anche  per  violazione  degli
artt.  77,  117,  119,  120  Cost.   e   del   principio   di   leale
collaborazione. 
    Evidenzia   che   la   disciplina   impugnata   (introdotta   con
"maxiemendamento" votato a seguito  della  posizione,  da  parte  del
Governo, della questione di fiducia)  sarebbe  del  tutto  eterogenea
rispetto al contenuto originario del d.l. n. 78 del  2015,  cosicche'
sarebbe evidente  il  difetto  di  omogeneita',  e  quindi  di  nesso
funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle impugnate,
introdotte dalla legge di conversione (si  richiama  al  riguardo  la
sentenza n. 32 del 2014). 
    Secondo la ricorrente sarebbe sintomatica la circostanza che,  in
sede di conversione, sia stato modificato il titolo del decreto-legge
oggetto di conversione, che in precedenza era  del  seguente  tenore:
«Disposizioni urgenti in materia di  enti  territoriali».  Alla  fine
dell'Allegato alla legge di conversione, si stabilisce che «al titolo
del  decreto-legge  sono  aggiunti,  in  fine,  i  seguenti  periodi:
"Disposizioni  per  garantire  la  continuita'  dei  dispositivi   di
sicurezza e di  controllo  del  territorio.  Razionalizzazione  delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme  in  materia  di
rifiuti e di emissioni industriali"». 
    4.3.-  La  ricorrente   deduce   ulteriormente   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 9-septies del d.l. n. 78 del 2015, nel testo
introdotto dalla legge n. 125 del 2015, per violazione degli artt. 3,
97, 117, commi 3 e 4, 118 e  119  Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione,  in  quanto  la  disposizione  censurata  inciderebbe
retroattivamente sugli impegni di spesa gia'  assunti  dalla  Regione
Liguria  in  relazione  al  corrente  anno,   producendo,   altresi',
un'irragionevole  alterazione  della  programmazione  di  spesa  gia'
operata, costringendo la Regione ad introdurre svariati correttivi in
corso  di  annualita',  al  fine   di   tentare   di   allineare   la
programmazione  della  spesa  sanitaria  per  l'anno  corrente   alla
contestata riduzione retroattiva del finanziamento statale. 
    La disposizione censurata  produrrebbe  quindi  una  lesione  del
principio  di  affidamento  delle  Regioni   e   del   principio   di
proporzionalita' di cui agli artt.  3  e  97  Cost.,  ed  inciderebbe
illegittimamente sulle competenze legislative e amministrative  delle
Regioni in materia di sanita' previste dagli artt. 117, commi 3 e  4,
e 118 Cost., compromettendo, altresi', irragionevolmente  l'autonomia
finanziaria riconosciuta alle Regioni dall'art. 119 Cost. 
    4.4.- Infine, la Regione Liguria  impugna  l'art.  9-septies  del
d.l. n. 78 del 2015, nel testo introdotto  dalla  legge  n.  125  del
2015, anche in relazione all'art. l, comma  398,  lettera  c),  della
legge n. 190 del 2014, per violazione dell'art. 119 Cost. 
    Espone la ricorrente che l'art. l, comma 398, lettera  c),  della
legge n. 190 del 2014 ha modificato l'art. 46, comma 6, del  d.l.  n.
66 del 2014, inserendovi la previsione secondo cui  «[p]er  gli  anni
2015-2018 il contributo delle regioni a statuto ordinario, di cui  al
primo periodo, e' incrementato di 3.452  milioni  di  euro  annui  in
ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti, nel rispetto
dei livelli essenziali di assistenza, in  sede  di  autocoordinamento
delle  regioni  da  recepire  con  intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015. A  seguito
della predetta intesa sono rideterminati i livelli  di  finanziamento
degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse
da parte dello Stato. In assenza di tale  intesa  entro  il  predetto
termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto  previsto  al  secondo
periodo, considerando anche le  risorse  destinate  al  finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale». 
    Nel caso di assenza di intesa entro il  termine  del  31  gennaio
2015 gli importi in questione - giusto  il  disposto  del  richiamato
secondo periodo dell'art. 46, comma 6 - dovranno essere «assegnati ad
ambiti di  spesa  ed  attribuiti  alle  singole  regioni  e  Province
autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto  del  Pil  e  della
popolazione residente» e, in siffatta ipotesi,  il  taglio  comprende
anche la spesa sanitaria. 
    Tale previsione - i  cui  effetti  sull'autonomia  finanziaria  e
sull'esercizio  delle  competenze  regionali  si  concretizzerebbero,
secondo la ricorrente, a seguito dell'introduzione delle disposizioni
censurate  nella  presente  sede  -   risulterebbe   illegittima   ed
irragionevole per violazione dei parametri di cui in rubrica. 
    Il criterio prefigurato dall'art. l, comma 398, lettera c), della
legge n. 190  del  2014  per  il  riparto  del  taglio  in  questione
realizzerebbe pertanto un effetto perequativo implicito sulla  scorta
di un criterio che non  troverebbe  alcuna  copertura  costituzionale
nell'ambito dell'art. 119 Cost. 
    Nel caso di specie, il criterio di riparto  del  taglio  disposto
dalle  disposizioni  censurate   (PIL   e   popolazione   residente),
produrrebbe un effetto perequativo in violazione dei criteri previsti
dall'art.  119  Cost.,  che  fa,  invece,  riferimento  alla  «minore
capacita' fiscale per abitante». 
    5.- Si e' costituito anche in questo giudizio il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Osserva  la  difesa  erariale  che  la  riduzione  delle  risorse
assegnate alle Regioni per il 2015  (indiscutibilmente  significativa
rispetto a quanto previsto dal Piano  per  la  salute  2014-2016)  e'
stata a sua volta oggetto di intese sancite tra Stato e Regioni nelle
Conferenze del 26 febbraio e del  2  luglio  2015.  Ne',  secondo  la
difesa erariale, potrebbe assumere  rilievo  la  circostanza  che  la
ricorrente non abbia approvato le previsioni  contenute  nell'intesa,
dal momento che la Conferenza l'avrebbe comunque  sancita  attraverso
una scelta consapevole e ragionata tra diverse alternative possibili,
specificamente individuate dallo Stato. 
    Non  sarebbe  dunque  possibile  sostenere   che   le   impugnate
disposizioni non sarebbero espressione  di  leale  collaborazione  da
parte dello Stato, in quanto, con le intese del 26 febbraio e  del  2
luglio 2015, le Regioni avrebbero mostrato di accettare e condividere
la scelta fatta dallo Stato, facendosi cosi' anch'esse  carico  della
necessita'  di  contenere  la  spesa  pubblica,  anche  mediante   la
riduzione delle risorse previste, per l'anno 2015, dal Patto  per  la
salute. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri obietta inoltre che, nel
caso in esame, si tratta di  una  riduzione  di  risorse  rispetto  a
quanto previsto per il 2015 dal Patto per la  salute  2014-2016,  che
riguarda la spesa sanitaria regionale nel suo complesso e non singole
specifiche attivita' oggetto di tagli  lineari.  Ed  infatti,  se  le
misure contenute negli articoli da 9-bis a 9-sexies del provvedimento
in esame sono finalizzate  a  conseguire  i  concordati  risparmi  di
spesa,  il  comma  2  consentirebbe  alle   Regioni   di   conseguire
l'obiettivo di risparmio anche adottando misure alternative. 
    Le Regioni avrebbero pertanto la possibilita' di  provvedere,  in
piena autonomia, a differenziare le misure  necessarie,  non  essendo
previsti strumenti e modalita' specifiche per il perseguimento  degli
obiettivi di contenimento della spesa. 
    In relazione  alla  asserita  mancanza  di  un  limite  temporale
definito di durata della misura restrittiva, osserva,  al  contrario,
il Presidente del Consiglio dei ministri che  la  misura  prevede  la
riduzione del livello  del  finanziamento  dello  Stato  al  Servizio
sanitario nazionale per il 2015. Anche se il Patto per la  salute  ha
durata triennale, esso potrebbe quindi essere modificato,  di  intesa
tra Stato e Regioni, di anno in anno: spettera' quindi alla legge  di
stabilita' 2016, sentite le Regioni  in  Conferenza  Stato-Regioni  e
acquisitane l'intesa, definire se  il  livello  di  contributo  dello
Stato sara' pari a quello previsto nel Piano delle salute per il 2016
o se sara' modificato (ed in quale misura). 
    Quanto alla eccepita violazione dell'art. 77 Cost., evidenzia  la
difesa erariale che, nelle premesse del d.l. n. 78  del  2015,  viene
esplicitata «la necessita' e urgenza di specificare ed assicurare  il
contributo alla finanza pubblica da parte  degli  enti  territoriali,
come sancito nell'Intesa raggiunta in sede di  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano nella riunione del  26  febbraio  2015».  A  tale
ambito andrebbe, pertanto, ricondotta  la  normativa  in  materia  di
razionalizzazione della spesa sanitaria, seppur ampiamente modificata
in sede parlamentare e contenuta agli articoli 9-bis e  seguenti  del
d.l. n. 78 del 2015. 
    Secondo  la  Presidenza  del   Consiglio   dei   ministri   anche
l'ulteriore motivo di ricorso - con il quale si sostiene che le norme
impugnate inciderebbero in  misura  significativa  sull'esercizio  in
corso, imponendo una revisione e correzione di impegni  gia'  assunti
con grave nocumento per l'organizzazione  del  servizio  sanitario  -
sarebbe infondato, alla luce della gia' esposta considerazione  circa
l'avvenuta intesa tra Stato e Regioni. 
    Osserva inoltre che i richiamati artt. da 9-bis  a  9-sexies  del
d.l. n. 78 del 2015 sarebbero finalizzati  a  conseguire  consistenti
risparmi in ambito  sanitario  cosi'  come  concordati  tra  Stato  e
Regioni (sono richiamate le intesa del  26  febbraio  2015  e  del  2
luglio 2015), al  fine  di  salvaguardare  i  livelli  essenziali  di
assistenza. 
    Rammenta   che   le   regole   e   le   modalita'   volte    alla
razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria e alla  riduzione
delle  spese  territoriali   costituiscono   piena   attuazione   del
coordinamento della finanza pubblica, di cui agli artt. 117, comma 3,
e 119, comma 2, Cost. 
    Infine, osserva la difesa erariale che l'ultimo motivo di ricorso
sarebbe in realta' diretto contro l'art. l, comma  398,  lettera  c),
della  legge  n.  190   del   2014,   sicche'   sarebbe   chiaramente
inammissibile in quanto la presunta lesivita'  di  tale  disposizione
dovrebbe farsi risalire al momento della sua entrata  in  vigore.  Ne
conseguirebbe che l'omessa  impugnazione  di  tale  disposizione  non
consentirebbe in questa sede di poter formulare la censura dedotta. 
    6.- Sia la Regione Liguria che la Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri hanno presentato memorie in vista dell'udienza pubblica. 
    6.1.- Espone la ricorrente che in dipendenza  della  ripartizione
del  "taglio"  censurato,  la  Regione  Liguria  avrebbe  subito  una
consistente   riduzione   della   contribuzione   statale   al   SSN,
dettagliandone le conseguenze subite sul Servizio sanitario regionale
(SSR). 
    Su tale taglio si sarebbe poi successivamente innestata la  legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», che, all'art l, comma 568, ha previsto che «[i]l livello  del
finanziamento  del  fabbisogno  sanitario  nazionale   standard   cui
concorre lo Stato, come stabilito dall'articolo l, commi 167  e  556,
della legge 23 dicembre 2014,  n.  190,  e  dall'articolo  9-septies,
comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125,  e'  rideterminato,
per l'anno 2016, in 111.000 milioni di euro [...]». 
    Tale somma e' stata ripartita tra le Regioni con l'intesa  n.  62
della Conferenza Stato-Regioni del 14 aprile 2016. 
    Conseguentemente, la riduzione complessiva per  l'anno  2016  del
fondo sanitario nazionale, rispetto a quanto originariamente previsto
dalla legge n. l90 del 2014, ammonta a 4.444 milioni di euro e  tanto
comporterebbe per la Regione Liguria una contrazione di  124  milioni
di euro, sulla base della quota di  accesso  al  fondo  di  cui  alla
citata intesa Conferenza Stato Regioni n. 62 del 2016. 
    Pertanto, tale riduzione verrebbe ad incidere in modo diretto  su
tutte e tre le macro aree di assistenza sanitaria,  riconducibili  ai
LEA. 
    Secondo la Regione, inoltre, i nuovi LEA approvati con  la  nuova
intesa tra Stato e Regioni del 7 settembre  2016  avente  ad  oggetto
«Intesa, ai sensi dell'art. 115,  comma  1,  lett.  a),  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sulla proposta del Ministero della
salute di deliberazione CIPE concernente il riparto  tra  le  Regioni
delle disponibilita' finanziarie per il Servizio sanitario  nazionale
per l'anno 2016», comporteranno maggiori costi per il SSN, stimati in
circa 880 milioni di euro. Sostiene difatti la ricorrente che saranno
destinati ad aumentare i costi relativi all'assistenza  distrettuale,
in  particolare  per  l'inserimento  di  nuove  protesi,  e  per   la
prevenzione, a causa dell'introduzione di nuovi vaccini  e  di  nuovi
screening. 
    Il taglio disposto dalla previsione censurata al comma l  sarebbe
destinato  dunque  a  interferire  non   soltanto   con   l'autonomia
finanziaria  delle  Regioni  e  con  l'esercizio   delle   rispettive
competenze legislative ed amministrative, ma  anche  con  l'effettiva
capacita' del sistema sanitario di assicurare un adeguato livello  di
tutela del fondamentale diritto alla salute presidiato  dall'art.  32
Cost. 
    Contesta inoltre la ricorrente quanto  affermato  dal  Presidente
del Consiglio dei ministri, secondo  cui  la  Regione,  nelle  intese
richiamate, avrebbe mostrato di accettare  e  condividere  la  scelta
fatta dallo Stato, in quanto  la  stessa  non  avrebbe  approvato  le
previsioni contenute in esse. 
    Evidenzia la ricorrente  che  il  punto  focale  della  lamentata
violazione del principio di  leale  collaborazione  risiederebbe  nel
fatto che il taglio alla  spesa  sanitaria  e'  stato  disposto,  con
effetto immediato e destinato ad incidere  sull'esercizio  in  corso,
prima che si fosse dato avvio alla fase attuativa dei  meccanismi  di
risparmio di spesa individuati dai citati artt. da 9-bis a  9-sexies.
Il sistema esitato dalla  Conferenza  Stato-Regioni  aveva  previsto,
invece, una attuazione progressiva del quadro di risparmio  di  spesa
sanitaria. 
    Diversamente, si prosegue, tale programma  sarebbe  stato  invece
radicalmente disatteso dallo Stato con l'art. 9-septies del  d.l.  n.
78 del 2015, che avrebbe dato corso al taglio lineare contestato, con
efficacia  immediata,   svuotando   di   significato   il   paradigma
concertativo delineato dagli artt. da 9-bis a 9-sexies. 
    Con riguardo alla mancanza di un termine fissato per la riduzione
del finanziamento, osserva la Regione Liguria che  le  considerazioni
svolte dall'Avvocatura  dello  Stato  tenderebbero  a  confermare  la
lettura costituzionalmente orientata della norma  in  questione  gia'
proposta  nel  ricorso  introduttivo   del   presente   giudizio   di
costituzionalita'. 
    Lamenta  che  il  taglio  "lineare"  non  rispetta  il   criterio
fondamentale per la razionalizzazione e il contenimento  della  spesa
sanitaria, oltre che di riparto del fondo sanitario nazionale, quello
dei costi e dei fabbisogni standard, calcolati nella  prospettiva  di
assicurare il conseguimento dei livelli essenziali di assistenza. 
    Nondimeno, secondo la medesima  Regione,  la  pretermissione  dei
costi standard potrebbe ritenersi giustificata dal fatto che le norme
impugnate avrebbero recepito quanto deciso nelle intese, in quanto la
medesima non avrebbe aderito alle proposte formulate all'esito  delle
richiamate conferenze, e comunque osserva che,  posto  che  i  "costi
standard"   costituirebbero   un   riferimento   oggettivo   per   la
razionalizzazione della spesa pubblica, di applicazione generale e di
fonte normativa (vengono richiamati gli artt. 2, comma 6, e 8,  della
legge n. 42 del 2009 e gli artt. da 25 a 30  del  d.lgs.  n.  68  del
2011), essi non  potrebbero  essere  superabili  in  sede  di  intesa
Stato-Regioni. 
    Infine, sebbene la Regione Liguria affermi di essere a conoscenza
che questa Corte, con le sentenze n. 65 del 2016 e n. 141  del  2016,
ha  dichiarato  l'infondatezza  della   questione   di   legittimita'
costituzionale  promossa  con  riferimento  all'art.  l,  comma  398,
lettera c), della legge n. 190 del  2014,  intervenuto  a  modificare
l'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014,  rileva  che  il  vaglio
della citata disposizione passi  attraverso  l'impugnativa  dell'art.
9-septies del d.l. n. 78 del 2015. 
    Il fulcro della censura e dell'impugnazione resterebbe quindi  il
taglio lineare alla spesa sanitaria operata dal citato art. 9-septies
in se' considerato e  con  riferimento  alla  modalita'  con  cui  si
realizza, ossia l'imputazione dello stesso su ogni  singola  Regione,
in applicazione del meccanismo sostanzialmente perequativo introdotto
dall'art. l, comma 398, lettera c), della legge n. 190 del 2014,  nel
comma 6 dell'art. 46 del d.l. n.  66  del  2014,  ed  operante  nella
fattispecie in forza del  richiamo  realizzato  dall'art.  9-septies,
comma l, del d.l. n. 78 del 2015. 
    6.2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  nella  memoria
depositata, rammenta  che  la  disciplina  relativa  al  livello  del
finanziamento del SSN e' stata condivisa negli ultimi  quindici  anni
tra Stato e Regioni, che hanno sottoscritto specifici accordi diretti
a definire, nel medio periodo, un quadro finanziario  di  riferimento
coerente con l'erogazione dei LEA. 
    Laddove, per esigenze di finanza pubblica,  e'  stato  necessario
modificare quanto condiviso in sede pattizia, il Governo, in  accordo
con le Regioni, non si sarebbe limitato a  rideterminare  le  risorse
finanziarie,  ma  avrebbe  corrispondentemente  fornito  alle  stesse
Regioni gli strumenti idonei al contenimento della spesa, sempre  nel
rispetto   dell'erogazione   dei   LEA,   come   sarebbe   dimostrato
dall'approvazione  del  Patto  per  la  salute  2014-2016,   laddove,
all'articolo l, si prevedeva il livello concordato  di  finanziamento
del SSN, salvo eventuali modifiche che si  rendessero  necessarie  in
relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica  e  a
variazioni del quadro macroeconomico. 
    Tanto dimostrerebbe, secondo lo Stato, che era gia' espressamente
previsto che gli importi definiti nel Patto potessero essere soggetti
a revisione. In proposito evidenzia che il Patto  per  la  salute  e'
stato recepito dall'art. l, comma 556, della legge n. 190  del  2014.
L'art. l, comma 398, della medesima legge prevedeva che le Regioni  a
statuto  ordinario  dovessero  fornire  un  contributo  alla  finanza
pubblica pari a 3.452  milioni  di  euro  annui  (esteso  anche  alle
Regioni a statuto speciale  nei  commi  successivi,  per  complessivi
4.000 milioni di euro circa) e stabiliva che gli ambiti di spesa  sui
quali far  gravare  il  predetto  contributo  alla  finanza  pubblica
fossero proposti dalle  stesse  Regioni  e  recepiti  successivamente
attraverso una intesa. In attuazione della citata norma,  le  Regioni
hanno autonomamente  stabilito  che,  a  valere  sui  suddetti  4.000
milioni di euro, il contributo del settore sanitario  dovesse  essere
pari a 2.352 milioni di euro, di cui 2.000 milioni di euro  a  carico
delle Regioni a statuto ordinario. Tale decisione e'  stata  recepita
attraverso l'intesa del 26.2.2015. La stessa intesa (al punto «E») ha
altresi'  rinviato  ad  un  successivo  accordo  l'individuazione  di
specifiche misure di razionalizzazione della spesa sanitaria, tali da
garantire economie non inferiori ai predetti 2.352 milioni  di  euro,
prevedendo peraltro la possibilita' per le Regioni di  attuare  anche
misure alternative di contenimento dei costi, sempre all'interno  del
settore sanitario,  nel  rispetto  degli  equilibri  programmati;  la
successiva intesa, contenente le misure  di  razionalizzazione  della
spesa, e' stata raggiunta il 2 luglio 2015 e tali misure  sono  state
recepite dalla legge n. 125 del 2015, di conversione del d.l.  n.  78
del  2015,  impugnato  dalla  ricorrente  con  riferimento   all'art.
9-septies, commi l e 2. 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, alla  luce  dei
provvedimenti  sopra  riportati,  apparirebbe  quindi  evidente   che
l'entita'  della  riduzione  del  finanziamento  del  SSN  sia  stata
individuata dalle Regioni (e non dal Governo), le  quali  l'avrebbero
valutata sostenibile. 
    Precisa inoltre la difesa erariale che l'importo della  riduzione
e'  stato  definito  ad  inizio  del  2015,  al  fine  di  consentire
tempestivamente alle stesse Regioni una programmazione  coerente  con
le  risorse  rideterminate.  Le  stesse   Regioni,   infatti,   hanno
espressamente sostenuto (punto G.2 dell'intesa del 2 luglio 2015)  di
avere  posto  in  essere  sin  dal  mese  di   febbraio   misure   di
«contenimento ed  efficientamento  della  dinamica  della  spesa  dei
propri SSR». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 97 del 2015, la  Regione
Liguria ha impugnato l'art 9-septies, commi 1 e 2, del  decreto-legge
19 giugno 2015, n.  78  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  enti
territoriali.  Disposizioni  per   garantire   la   continuita'   dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), come
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125,  in
riferimento agli artt. 3, 32, 77, 97, 117,  secondo  e  terzo  comma,
118, 119 - anche in relazione all'art.  1,  comma  398,  lettera  c),
della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2015)» - e 120 della Costituzione, nonche' al principio di
leale collaborazione. 
    Con ricorso iscritto al reg. ric.  n.  95  del  2015  la  Regione
Veneto ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 9-bis; 9-ter, commi  l,
2, 3, 4, 5, 8 e 9; 9-quater, commi l, 2, 4,  5,  6  e  7;  9-septies,
commi l e 2, del d.l. n. 78 del 2015, in riferimento agli artt. 3, 5,
32, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., al principio di leale
collaborazione di cui all'art.120 Cost., nonche' all'art. 5,  lettera
g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del
principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale). 
    1.1.- Secondo la Regione Liguria il comma l  dell'art.  9-septies
del d.l. n. 78 del 2015 ridurrebbe  la  spesa  sanitaria,  a  partire
dall'esercizio in corso, in una misura fissa (2.352 milioni di  euro)
e in via definitiva, prevedendo l'applicazione annuale  del  "taglio"
di spesa senza limite di tempo. 
    La Regione Liguria subirebbe  dalla  disposizione  censurata  una
riduzione di circa sessantacinque milioni di euro, che non troverebbe
corrispondenza nei risparmi presumibilmente conseguibili nel medesimo
periodo di applicazione della prescritta riduzione, e cio'  lederebbe
contestualmente il  principio  di  ragionevolezza,  il  diritto  alla
salute degli utenti del servizio sanitario  regionale  e  l'autonomia
regionale, conculcata  dall'impossibilita'  di  organizzare  in  modo
appropriato detto servizio. 
    Peraltro, la disciplina impugnata sarebbe  attuativa  dell'intesa
del 2  luglio  2015,  alla  quale  la  Regione  Liguria  non  avrebbe
partecipato.  Di  conseguenza,  non  avrebbe  assunto  alcun  obbligo
applicativo della predetta intesa, raggiunta in  sede  di  Conferenza
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  province  autonome  di
Trento e Bolzano (da ora, anche Conferenza Stato-Regioni). 
    Le disposizioni impugnate sarebbero poi in contrasto  con  l'art.
77 Cost. in ragione della loro eterogeneita'  rispetto  al  contenuto
originario del d.l. n. 78 del 2015. Sarebbe evidente il  «difetto  di
omogeneita', e quindi di nesso funzionale, tra  le  disposizioni  del
decreto-legge  e  quelle  impugnate,  introdotte   dalla   legge   di
conversione». Secondo la ricorrente, la ridondanza  della  violazione
dell'art. 77 Cost. sulla propria sfera di attribuzioni costituzionali
sarebbe patente,  trattandosi  di  un  "maxiemendamento"  diretto  ad
incidere   con   effetto   immediato   ed   a   tempo   indeterminato
sull'autonomia finanziaria e sulle competenze in  materia  di  tutela
della salute e di organizzazione sanitaria della Regione Liguria. 
    L'art. 9-septies, commi l e 2, del d.l. n. 78 del 2015 violerebbe
gli artt. 3, 32, 97, 117, secondo e terzo comma, 118, 119, 120  Cost.
ed il principio di leale collaborazione anche sotto il profilo  della
lesione  dell'autonomia  finanziaria  della  ricorrente,  essendo  in
contrasto col carattere di temporaneita' nella disciplina statale  di
coordinamento della finanza pubblica e di  contenimento  della  spesa
regionale. Cio' in quanto le disposizioni  impugnate  introdurrebbero
una misura di riduzione  del  finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale (SSN) senza limite di tempo «a decorrere dal 2015». 
    Le disposizioni impugnate sarebbero inoltre in contrasto  con  il
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto -  non
presentando  un  termine  finale  di  applicazione  e  non  avendo  i
caratteri  di  una  disciplina  transitoria  -  lederebbero  in   via
definitiva e strutturale l'autonomia della Regione. 
    L'art.  9-septies,  commi  1  e  2,  del  d.l.  n.  78  del  2015
comporterebbe altresi' la violazione degli artt.  3,  117,  119,  120
Cost. e del principio di  leale  collaborazione,  in  relazione  alla
legge 5  maggio  2009,  n.  42  (Delega  al  Governo  in  materia  di
federalismo  fiscale,   in   attuazione   dell'articolo   119   della
Costituzione),  al  decreto  legislativo  6  maggio   2011,   n.   68
(Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario)  ed  al  Patto
per la salute 2014 - 2016. Infatti, la  legge  n.  42  del  2009,  in
quanto attuativa dell'art.  119  Cost.  -  in  particolare  sotto  il
profilo dell'autonomia finanziaria e della garanzia dei  principi  di
solidarieta' e  di  coesione  sociale  -  in  maniera  da  sostituire
gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa
storica, prevederebbe agli artt. 2, comma  6,  e  8,  attraverso  gli
artt. da 25 a 30 del d.lgs. n. 68 del 2011, il criterio  fondamentale
- per la razionalizzazione ed il contenimento della  spesa  sanitaria
ed il riparto del  fondo  sanitario  nazionale  -  dei  costi  e  dei
fabbisogni standard. La previsione di un taglio lineare, quale quello
disposto  dalla   disposizione   censurata,   sarebbe   assolutamente
irragionevole, in quanto prescinderebbe  completamente  non  soltanto
dalla  considerazione  dell'adeguatezza  delle  risorse  rispetto  al
conseguimento degli obiettivi prestabiliti, ma anche dalle regole  di
finanziamento adottate in attuazione dei predetti  artt.  117  e  119
Cost. 
    Inoltre, i livelli essenziali di  assistenza  (LEA)  resterebbero
invariati mentre  le  risorse  disponibili  per  il  loro  fabbisogno
complessivo  sarebbero  drasticamente  diminuite  per  effetto  della
dedotta riduzione. La disciplina contenuta  nell'art.  9-septies  del
d.l.  n.  78  del  2015  sarebbe  improntata  ad   una   logica   che
prescinderebbe totalmente dal percorso di convergenza verso  i  costi
ed i fabbisogni standard sanitari,  proponendo  un  modello  di  mero
taglio lineare del finanziamento del SSN. Ne risulterebbe, sotto  gli
evocati profili, la violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost.  e
del principio di leale collaborazione. 
    Il meccanismo legislativo censurato, inoltre, disporrebbe  che  i
risparmi  attesi  o  presunti   derivanti   dall'applicazione   delle
disposizioni di cui agli artt.  da  9-bis  a  9-sexies  del  medesimo
decreto,  anziche'  essere  destinati  alle  Regioni  per   finalita'
sanitarie,  siano  acquisiti  al  bilancio   statale,   in   evidente
violazione del Patto per la salute 2014-2016 e del principio di leale
collaborazione. 
    La  ricorrente   deduce   poi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 9-septies del d.l. n. 78 del 2015 in riferimento agli artt.
3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione  e  al
principio di leale collaborazione. Incidendo  retroattivamente  sugli
impegni  di  spesa  gia'  assunti  dalla   Regione   Liguria,   detta
disposizione  produrrebbe   una   irragionevole   alterazione   della
programmazione di spesa gia' operata e costringerebbe  la  ricorrente
ad introdurre correttivi in corso di anno per tentare di  riallineare
la programmazione della spesa sanitaria  alla  riduzione  retroattiva
del finanziamento statale. La disposizione censurata produrrebbe  una
lesione del principio di affidamento delle Regioni e del principio di
proporzionalita' (artt. 3 e 97 Cost.) ed inciderebbe illegittimamente
sulle competenze  legislative  ed  amministrative  delle  Regioni  in
materia di sanita' (artt. 117, terzo e quarto comma,  e  118  Cost.),
compromettendo   irragionevolmente   l'autonomia   finanziaria   loro
riconosciuta dall'art. 119 Cost. 
    Infine, la Regione Liguria ha impugnato la medesima  disposizione
in riferimento all'art. 119 Cost., in  relazione  all'art.  1,  comma
398, lettera c), della legge n. 190  del  2014.  Quest'ultima  norma,
modificando il comma 6 dell'art. 46 del decreto-legge 24 aprile 2014,
n. 66 (Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia  sociale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 23  giugno  2014,  n.  89,
stabilisce che, in caso di assenza di intesa in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano entro il 31  gennaio  2015,  i  tagli
vadano «assegnati ad ambiti  di  spesa  ed  attribuiti  alle  singole
regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche  conto
del Pil e  della  popolazione  residente».  Il  criterio  prefigurato
dall'art. 1, comma 398, lettera c), della legge n. 190 del  2014  non
troverebbe alcuna copertura costituzionale nell'ambito dell'art.  119
Cost. 
    1.2.- La Regione Veneto premette  che  gli  artt.  9-bis,  9-ter,
9-quater e 9-septies, del d.l. n. 78 del  2015,  introdurrebbero  una
serie  di  tagli  lineari  alla   spesa   sanitaria,   senza   alcuna
considerazione ne' dei  costi  e  dei  fabbisogni  standard,  di  cui
all'art. 8 della legge n. 42 del 2009 e agli artt. da  25  a  32  del
d.lgs. n. 68 del  2011,  ne'  dei  livelli  di  spesa  delle  Regioni
virtuose e  non  terrebbero  conto  della  forte  disomogeneita'  del
sistema della sanita' regionale italiana, provocando, in tal modo, lo
smantellamento del welfare sanitario. 
    Inoltre,  secondo  la  ricorrente,  le   disposizioni   impugnate
manterrebbero a carico delle Regioni l'obbligo di garantire i LEA con
un finanziamento notevolmente e  permanentemente  ridotto.  Le  norme
impugnate si porrebbero poi in contrasto anche con l'art. 5,  lettera
g), della legge cost. n. l del 2012 e con l'art. 11  (Concorso  dello
Stato al  finanziamento  dei  livelli  essenziali  e  delle  funzioni
fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di  eventi
eccezionali) della legge 24 dicembre 2012, n. 243  (Disposizioni  per
l'attuazione  del  principio  del  pareggio  di  bilancio  ai   sensi
dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione), i quali prevedono
l'impegno dello  Stato  ad  assicurare  i  livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e sociali riconosciuti come imprescindibile livello di  garanzia  dei
principi fondamentali di eguaglianza e solidarieta'. 
    Tutto cio'  produrrebbe  una  violazione  dell'art.  32  Cost.  e
ridonderebbe sull'autonomia  costituzionale  garantita  alle  Regioni
dagli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. 
    La ricorrente sostiene, altresi', che lo Stato,  non  assumendosi
la  responsabilita'  di  una  riduzione  dei  livelli  essenziali  di
assistenza a  seguito  della  riduzione  delle  risorse  disponibili,
verrebbe meno al corretto esercizio della funzione  di  coordinamento
della finanza pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Anche per la Regione Veneto l'art. 9-bis del d.l. n. 78 del 2015,
nel  rinviare  all'applicazione  dei  successivi  artt.  da  9-ter  a
9-octies, sancirebbe nei confronti della ricorrente  le  prescrizioni
concordate in sede di Conferenza permanente per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di  Bolzano  del
26 febbraio 2015 e del 2 luglio 2015, nell'ambito  della  quale  essa
non avrebbe espresso il proprio consenso, al contrario instaurando un
contenzioso costituzionale. 
    L'art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015 sarebbe in  contrasto  anche
con  i  principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  e  con  il
principio di tutela della salute di  cui  all'art.  32  Cost.,  nella
parte in cui prevede la rinegoziazione dei contratti  per  l'acquisto
dei beni e servizi unitari, al fine  di  produrre  una  riduzione  di
spesa nonche' del valore complessivo dei contratti medesimi.  In  tal
modo,  attraverso  un  taglio  lineare  delle   forniture   e   delle
prestazioni ad esse collegate, verrebbe messa a rischio non  solo  la
garanzia dei servizi sanitari, ma anche l'autonomia della Regione che
ne organizza la somministrazione agli utenti, con pregiudizio per  la
garanzia e la qualita' dei servizi sanitari. 
    Tale norma sarebbe altresi' irragionevole,  poiche'  prevederebbe
una riduzione indiscriminata anche in quelle Regioni in cui i servizi
presentano un elevato livello di efficienza  in  relazione  ai  costi
sostenuti. 
    Secondo   la   ricorrente,   tali   vizi   di   costituzionalita'
ridonderebbero sulle competenze regionali  di  cui  agli  artt.  117,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., dal momento che  inciderebbero
sulle attribuzioni regionali in materia di organizzazione  sanitaria,
anche autonomamente considerate. 
    Il medesimo art. 9-ter contrasterebbe altresi' con  il  principio
di proporzionalita' sotto il profilo del rapporto tra mezzi e fini, e
con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione  di
cui agli artt. 3 e 97 Cost., la cui lesione  si  rifletterebbe  sulle
competenze costituzionali garantite alla  Regione.  Verrebbe  inoltre
violato il principio di leale  collaborazione  di  cui  all'art.  120
Cost., dal momento che nessuna forma di intesa  sarebbe  prevista  al
riguardo. 
    Alle censure rivolte ai  commi  precedentemente  richiamati  sono
collegate quelle rivolte al comma 7 dell'art. 9-quater. 
    Quest'ultimo, nel prescrivere che «[l]e regioni o  gli  enti  del
Servizio sanitario nazionale ridefiniscono i  tetti  di  spesa  annui
degli   erogatori   privati   accreditati   delle   prestazioni    di
specialistica  ambulatoriale  interessati   dall'introduzione   delle
condizioni e indicazioni di cui al presente articolo  e  stipulano  o
rinegoziano i relativi contratti. Per l'anno 2015 le  regioni  o  gli
enti del Servizio sanitario nazionale rideterminano il  valore  degli
stessi contratti  in  modo  da  ridurre  la  spesa  per  l'assistenza
specialistica ambulatoriale complessiva annua da privato accreditato,
di almeno l'1 per cento del valore complessivo della  relativa  spesa
consuntivata per l'anno 2014», detterebbe norme  di  dettaglio  nella
materia di potesta' concorrente «tutela della salute»,  in  tal  modo
ponendosi in contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Inoltre, essendo le condizioni di erogabilita'  definite  con  un
mero decreto ministeriale - sebbene adottato previa intesa in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano - «che  non  trova  a  monte
alcuna definizione di effettivi  principi  fondamentali»  all'interno
della norma impugnata, risulterebbe violato l'art. 117, terzo  comma,
Cost. 
    Secondo la ricorrente, la norma censurata, stabilendo un  obbligo
di riduzione della spesa in modo generale  ed  indiscriminato,  senza
alcuna  istruttoria  e  senza  alcun  riferimento   a   standard   di
efficienza,  contrasterebbe  con  i  principi  di  ragionevolezza   e
proporzionalita' di cui all'art. 3, e con gli artt. 5, 117, secondo e
terzo comma, Cost., quest'ultimo con riguardo al  corretto  esercizio
della funzione statale di coordinamento della finanza pubblica e alla
garanzia dei LEA; risulterebbe lesiva della competenza  regionale  in
materia di tutela della salute; sarebbe in contrasto  con  gli  artt.
118 e 119 Cost. e con il principio di buon andamento  della  pubblica
amministrazione  di  cui  all'art.  97  Cost.,  la   cui   violazione
ridonderebbe sulle competenze costituzionali garantite  alla  Regione
in  materia   di   organizzazione   sanitaria,   che   risulterebbero
indebitamente compromesse. Sarebbe inoltre violato  il  principio  di
leale collaborazione di cui  all'art.  120  Cost.,  dal  momento  che
nessuna forma di intesa sarebbe prevista al riguardo. 
    Secondo  la  ricorrente,  l'art.  9-septies,   commi   1   e   2,
contrasterebbe  con  l'art.  117,  secondo  comma,  Cost.,  anche  in
relazione all'art. 8 della legge n. 42 del 2009 e agli artt. da 25  a
32  del  d.lgs.  n.  68  del  2011.  La  norma,  oltre  a  parificare
irragionevolmente  realta'  operative  efficienti  e   realta'   meno
efficienti, pregiudicherebbe le competenze regionali anche  sotto  il
profilo della  garanzia  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
(LEP). 
    La rigidita' e la sproporzione dei tagli lineari pregiudicherebbe
anche il principio di  buon  andamento  di  cui  all'art.  97  Cost.,
poiche' verrebbe meno  l'adeguato  rapporto  tra  mezzi  e  finalita'
impiegate. 
    Per tale motivo, l'art. 9-septies, commi 1 e 2, del  d.l.  n.  78
del 2015 contrasterebbe con gli artt. 3, 5, 32, 97 Cost.,  ridondando
in una violazione delle competenze regionali  di  cui  agli  articoli
117,  secondo,  terzo  e  quarto  comma,  118  e  119  Cost.,   anche
autonomamente considerati, e del principio di leale collaborazione di
cui all'art. 120 Cost. 
    I commi 1, 2, 4, 5 e 6 dell'art. 9-quater del d.l. n. 78 del 2015
sono stati impugnati in riferimento agli artt. 3,  5,  32,  97,  117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonche' al  principio
di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Le concatenate censure possono essere cosi' riassunte: a)  l'art.
9-quater, nel prevedere, al comma l, che  con  decreto  del  Ministro
della salute, previa intesa in sede di Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, siano individuate le  condizioni  di  erogabilita'  e  le
indicazioni  di  appropriatezza  prescrittiva  delle  prestazioni  di
assistenza specialistica ambulatoriale e nel disporre,  al  comma  2,
che  le  prestazioni  erogate  al  di  fuori  delle   condizioni   di
erogabilita' previste dal decreto ministeriale  di  cui  al  comma  l
siano  a  totale  carico   dell'assistito,   creerebbe   un   sistema
dirigistico  di  tipo   burocratico   lesivo   dell'esercizio   della
professione medica e dell'autonomia organizzativa della  Regione;  b)
il comma 4 del medesimo articolo, nello stabilire che  gli  enti  del
SSN  effettuano  i  controlli  necessari   ad   assicurare   che   la
prescrizione delle prestazioni sia conforme alle condizioni  ed  alle
indicazioni del suddetto decreto ministeriale, ed il successivo comma
5, nel  sancire  che,  in  caso  di  comportamento  prescrittivo  non
conforme alle condizioni  ed  alle  indicazioni  di  cui  al  decreto
ministeriale, l'ente adotti nei confronti del medico prescrittore una
riduzione del trattamento economico accessorio e  nei  confronti  del
medico convenzionato con il SSN, una riduzione delle quote  variabili
dell'accordo  collettivo   nazionale   di   lavoro   e   dell'accordo
integrativo regionale, condizionerebbero il  libero  esercizio  della
professione  medica,  pregiudicando   il   servizio   e   l'autonomia
regionale; c) il comma 6 dell'art. 9-quater, nel prescrivere  che  la
mancata adozione da parte dell'ente  del  SSN  dei  provvedimenti  di
competenza  nei  confronti  del  medico  prescrittore   comporta   la
responsabilita' del direttore generale ed e' valutata ai  fini  della
verifica del rispetto degli obiettivi  assegnati  al  medesimo  dalla
Regione, aggraverebbe in modo indiretto tale condizionamento. 
    Da un lato, tali disposizioni istituirebbero un regime gravemente
sanzionatorio  per  i  medici  del  servizio   sanitario   regionale;
dall'altro,  assoggetterebbero  il   personale   sanitario   ad   una
condizione di grande incertezza. 
    In questo contesto, la modalita' adottata dalla  norma  impugnata
per  risolvere  il  problema  dei  costi  generati  dalla  cosiddetta
"medicina  difensiva"  sarebbe  gravemente  lesiva  dei  principi  di
proporzionalita'  e  ragionevolezza,   rimettendo   ad   un   decreto
ministeriale la definizione di cio' che risulta appropriato  o  meno;
sostituendo  le   valutazioni   del   medico   «con   la   complicata
interpretazione di un sistema burocratico  generalizzato»;  lasciando
del tutto esposti i medici  del  Servizio  sanitario  regionale  alle
sanzioni dell'amministrazione regionale o a  quelle  giurisdizionali.
Ne deriverebbe una  grave  alterazione  del  rapporto  tra  medico  e
paziente ed il sistema sarebbe esposto al rischio di pregiudicare  il
diritto costituzionale alla salute, sia in termini di  efficacia  nei
percorsi di cura, sia in termini  di  condizionamento  dell'autonomia
organizzativa  della  Regione  e  del  buon  andamento  del  Servizio
sanitario regionale. 
    1.3.- Si e' costituito in entrambi i giudizi  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  deducendo  l'inammissibilita'  o  comunque
l'infondatezza di entrambi i ricorsi. 
    Quanto  alla  eccepita  violazione   dell'art.   77   Cost.,   ha
evidenziato che  nella  premessa  del  d.l.  n.  78  del  2015  viene
esplicitata «la necessita' e urgenza di specificare ed assicurare  il
contributo alla finanza pubblica da parte  degli  enti  territoriali,
come sancito nell'Intesa raggiunta in sede di  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano nella riunione del 26 febbraio 2015». 
    A tale ambito dovrebbe, pertanto, essere ricondotta la  normativa
in   materia,   contenuta   agli   artt.   9-bis   e   seguenti,   di
razionalizzazione della spesa sanitaria, seppur ampiamente modificata
in sede parlamentare. 
    Il resistente ha poi affermato che  la  riduzione  delle  risorse
assegnate alle Regioni per il 2015 sarebbe stata  oggetto  di  intese
sancite tra Stato e Regioni nelle Conferenze del 26 febbraio e del  2
luglio 2015. Non potrebbe assumere  rilievo  la  circostanza  che  le
Regioni Liguria  e  Veneto  non  abbiano  «approvato  le  previsioni»
contenute nell'intesa, dal momento che essa sarebbe stata raggiunta a
seguito  di  una  scelta  consapevole  e  ragionata  tra  le  diverse
alternative possibili, specificamente individuate  dallo  Stato.  Non
sarebbe dunque possibile sostenere che le disposizioni impugnate  non
siano espressione di leale collaborazione da parte dello  Stato.  Con
le intese del 26 febbraio e del 2 luglio 2015, le Regioni  avrebbero,
infatti, mostrato di  accettare  e  condividere  la  scelta  statale,
facendosi carico della necessita' di  contenere  la  spesa  pubblica,
anche mediante la riduzione delle risorse previste, per l'anno  2015,
dal Piano per la salute. 
    Le Regioni avrebbero quindi la possibilita' di adottare, in piena
autonomia, misure differenziate, non essendo  stabiliti  dalla  norma
impugnata strumenti e modalita' specifiche per il perseguimento degli
obiettivi di contenimento della spesa. 
    Il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   in   relazione
all'asserita mancanza di un limite temporale definito di durata della
misura restrittiva, ha osservato che la  riduzione  del  livello  del
finanziamento dello Stato al SSN riguarderebbe  soltanto  l'esercizio
2015. 
    Le regole e le modalita' volte alla razionalizzazione e riduzione
della spesa sanitaria, nonche' alla riduzione delle spese degli  enti
territoriali costituirebbero, secondo l'Avvocatura generale, norme di
principio del coordinamento della finanza pubblica, di cui agli artt.
117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. 
    Infine, secondo la difesa erariale, l'ultimo  motivo  di  ricorso
afferente ai tagli alla spesa sanitaria sarebbe  in  realta'  diretto
contro l'art. l, comma 398, lettera c), della legge n. 190 del 2014 -
e per questo motivo inammissibile - atteso che il preteso pregiudizio
sarebbe gia' operante nel momento di entrata in  vigore  della  norma
formalmente  censurata.  L'omessa  impugnazione  della   disposizione
antecedente non  consentirebbe  in  questa  sede  di  poter  proporre
questione di legittimita' costituzionale, che sarebbe  in  ogni  caso
infondata. 
    Con riguardo all'asserita illegittimita' costituzionale dell'art.
9-quater del d.l. n. 78 del 2015, la  difesa  erariale  sostiene  che
esso  attribuirebbe  al  Ministero  della  salute   il   compito   di
individuare  con  decreto  le  condizioni  di   erogabilita'   e   di
appropriatezza  delle   prestazioni   di   assistenza   specialistica
ambulatoriale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. 
    Tali condizioni non  sarebbero  strettamente  vincolanti  per  il
medico,  il  quale  potrebbe  comunque  adottare   un   comportamento
prescrittivo non conforme a quanto previsto dal decreto ministeriale,
qualora sussistessero giustificazioni esaurienti e soddisfacenti  con
riferimento al caso trattato ed  alle  specifiche  esigenze  di  cura
necessarie. 
    Nel caso in questione, la normativa esaminata darebbe  attuazione
al principio fondamentale di adottare criteri adeguati a contenere la
spesa sanitaria anche  sotto  il  profilo  di  eventuali  prestazioni
mediche non necessarie.  Principio  che  sarebbe  rispettato  proprio
perche' fondato sull'art. 119 Cost. 
    Secondo  la  difesa  erariale  le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9-quater, comma 7, del d.l. n. 78  del  2015
sarebbero parimenti infondate. 
    2.- Stante la connessione esistente tra  i  predetti  ricorsi,  i
relativi  giudizi  possono  essere  riuniti  per  essere  decisi  con
un'unica pronuncia avente ad oggetto esclusivamente le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  legislative  sopra
indicate, essendo riservata ad altre decisioni la  valutazione  delle
restanti questioni proposte dalla Regione Veneto con il ricorso n. 95
del 2015. 
    3.-   Occorre   preliminarmente    esaminare    l'eccezione    di
inammissibilita' dei ricorsi sollevata dal Presidente  del  Consiglio
dei ministri, il quale ritiene che la  partecipazione  delle  Regioni
ricorrenti alla Conferenza unificata avrebbe determinato una sorta di
acquiescenza   alle    decisioni    maturate    in    quella    sede.
Indipendentemente  dal  fatto  in  contestazione  tra  le   parti   -
riguardante rispettivamente le modalita' di espressione del  dissenso
(Regione Veneto) e la partecipazione alla Conferenza che  ha  portato
al perfezionamento dell'intesa (Regione Liguria)  -  l'eccezione  non
puo' essere accolta. 
    E' infatti costante orientamento di questa Corte - fermo restando
che l'intesa tra Stato e Regioni si e' perfezionata in modo corretto,
indipendentemente dalle controverse modalita' di partecipazione delle
ricorrenti - che «l'istituto dell'acquiescenza non e' applicabile nel
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  principale   (ex
plurimis, sentenze n. 215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013,  n.  71
del 2012 e n. 187 del 2011)» (sentenza n. 231 del 2016) . 
    4.- Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.
9-bis; 9-ter, commi l, lettere a) e b), 2, 3, 4, 5, 8 e 9;  9-quater,
commi l, 2, 4, 5, 6 e 7; 9-septies,  commi  l  e  2,  promosse  dalla
Regione Veneto in riferimento agli artt. 5, 117, quarto comma, 118  e
119 Cost., sono inammissibili, in quanto esse non  sviluppano  alcuna
autonoma argomentazione a sostegno dell'evocazione di tali parametri,
limitandosi  a  richiamarli  e  svolgendo  in  proposito  riferimenti
assolutamente generici (in senso analogo, sentenza n. 141 del 2016). 
    Sono  altresi'  inammissibili  le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n.  78  del
2015, promosse dalla Regione Liguria in riferimento agli artt. 118  e
119 Cost., in relazione all'art. 1,  comma  398,  lettera  c),  della
legge n. 190 del 2014. Invero, la violazione del primo parametro  non
e' motivata, mentre l'evocazione dell'art. 1, comma 398, lettera  c),
della legge n.  190  del  2014,  seppur  formulata  come  richiamo  a
parametro interposto, risulta nella sostanza una  censura  diretta  a
tale norma ed, in quanto tale, tardiva. 
    5.-  I  ricorsi  devono  essere  esaminati  alla  stregua   delle
motivazioni  che  si  richiamano  ai   parametri   della   competenza
legislativa e di quelle che, invece,  fanno  riferimento  a  precetti
costituzionali estranei al Titolo  V  della  Costituzione.  Sotto  il
profilo  dell'ammissibilita',  lo  scrutinio  dovra'  limitarsi  alla
prospettata potenzialita' lesiva delle disposizioni  impugnate  sulle
prerogative  regionali,  mentre,  ove  detta  verifica  avesse  esito
positivo,  sara'  l'esame  nel  merito  delle  censure  ad  accertare
l'effettiva violazione del  precetto  costituzionale  invocato  dalle
ricorrenti. 
    In ragione  dell'interdipendenza  delle  questioni  sollevate  in
riferimento  a  parametri  interni  ed  esterni  al  Titolo  V  della
Costituzione, il riscontro sulla ridondanza delle questioni  promosse
in riferimento ai secondi impone un esame congiunto  delle  doglianze
delle ricorrenti. 
    5.1.-   Pertanto,   e'   opportuno   esaminare   prioritariamente
l'ammissibilita'  delle  questioni  promosse  dalle   ricorrenti   in
riferimento ai parametri costituzionali che non afferiscono alle loro
competenze  legislative  e  che  possono  essere  vagliate  solo   in
relazione alla prospettata ridondanza. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  le  Regioni
possono  impugnare  disposizioni  di  legge  statale  facendo  valere
esclusivamente i profili attinenti al riparto delle  competenze,  con
l'unica eccezione per  le  questioni  che,  pur  riferite  a  diversi
parametri  costituzionali,  tuttavia  "ridondano"  in  lesione  delle
attribuzioni regionali, quando,  nel  prospettare  l'influenza  delle
asserite violazioni su tale riparto, la ricorrente abbia indicato  le
specifiche  competenze  ritenute  lese  e  le  ragioni  dell'asserito
effetto pregiudizievole (ex plurimis, sentenza n. 178 del 2012). 
    5.2.- Nel presente giudizio la Regione Liguria lamenta la lesione
delle proprie prerogative in riferimento agli artt. 3, 32,  77  e  97
Cost., violazione che ridonderebbe in quella degli artt. 117, secondo
e terzo comma, 119, primo e quarto comma, e 120  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione. 
    Essa ritiene che: a)  le  norme  impugnate  sarebbero  eterogenee
rispetto al contenuto originario del d.l. n. 78 del 2015 ed il taglio
alla  spesa  sanitaria  sarebbe  inserito  in   un   maxi-emendamento
introdotto dalla legge di conversione; b)  il  taglio  colpirebbe  il
finanziamento dei LEA, pregiudicando la  garanzia  dei  LEP,  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera  m),  Cost.;  c)  la  disciplina
dell'art. 9-septies del d.l. n. 78 del 2015 sarebbe in contrasto  con
l'art. 3 Cost., in considerazione del fatto che  la  riduzione  delle
risorse si estenderebbe anche alle annualita' successive al 2016, per
le quali il livello del  finanziamento  del  servizio  sanitario  non
sarebbe ancora stato  fissato;  d)  l'art.  9-septies  contrasterebbe
anche con il principio di buon andamento, in quanto inciderebbe sugli
impegni di spesa gia' assunti  dalla  Regione  Liguria,  costringendo
l'ente territoriale  ad  introdurre  correttivi  per  riallineare  la
programmazione della spesa sanitaria alla riduzione introdotta  dalla
norma impugnata, per di piu' con  effetto  retroattivo  e  arrecando,
conseguentemente, grave pregiudizio  alle  competenze  legislative  e
amministrative   della   Regione;   e)    l'autonomia    legislativa,
amministrativa e finanziaria regionale in  materia  di  tutela  della
salute sarebbe pregiudicata dalla mancata sperimentazione della  fase
attuativa dei nuovi meccanismi di risparmio. 
    Alla  luce  di  tale  sintetica  ricostruzione  e  a  prescindere
dall'esame del merito delle doglianze della  ricorrente,  la  pretesa
compressione delle sue  attribuzioni,  come  in  astratto  formulata,
risulta correttamente prospettata e deve  pertanto  essere  rigettata
l'eccezione d'inammissibilita' formulata dal Presidente del Consiglio
dei ministri. 
    5.3.- La Regione Veneto ha prospettato, con riguardo a  tutte  le
disposizioni impugnate, la violazione degli artt. 3, 5 e 32 Cost. 
    Secondo la ricorrente, le riduzioni del finanziamento del SSN non
terrebbero in considerazione il costo dei LEA, la cui  determinazione
appartiene alla competenza esclusiva dello  Stato.  Quest'ultimo  non
avrebbe neppure provveduto alla loro revisione e quindi - trattandosi
di spese incomprimibili e  necessarie  -  la  mancata  considerazione
renderebbe assolutamente irragionevole e non proporzionata la  misura
dei tagli disposti. 
    La  Regione  sottolinea,  poi,  che:  a)  le  norme  in  tema  di
rinegoziazione  dei  contratti  sarebbero  irragionevoli  in   quanto
interesserebbero in modo indistinto contratti molto differenziati sui
territori regionali; b) la logica  del  taglio  lineare  sulla  spesa
colliderebbe anche  con  l'art.  32  Cost.,  mettendo  a  rischio  la
garanzia e la qualita'  dei  servizi  sanitari  di  competenza  della
Regione; c)  il  contenuto  delle  norme,  ascrivibile  alla  materia
coordinamento della finanza pubblica, integrerebbe una disciplina  di
dettaglio  incompatibile  con  la  potesta'  legislativa  concorrente
intestata alla Regione; d) infine, la rigidita' e la sproporzione dei
tagli alla spesa  colliderebbero  anche  con  il  principio  di  buon
andamento di cui all'art. 97  Cost.,  il  quale  impone  un  adeguato
rapporto tra mezzi e  finalita'  perseguite,  incompatibile  con  una
logica di riduzioni indefettibili. 
    Anche le censure mosse dalla Regione Veneto superano il vaglio di
ammissibilita', in quanto  collegano  eziologicamente  le  doglianze,
formulate in riferimento a  parametri  estranei  al  Titolo  V  della
Costituzione, alle pretese lesioni alla propria autonomia. 
    Tanto premesso, le questioni sollevate dalle  ricorrenti  possono
essere scrutinate nel merito con riferimento contestuale ai parametri
riguardanti la competenza legislativa delle stesse e a quelli di  cui
si afferma la ridondanza sui parametri  interni  al  Titolo  V  della
Costituzione. 
    6.-  Secondo  un   ordine   di   pregiudizialita'   deve   essere
preliminarmente esaminata la questione dell'art. 9-septies, commi 1 e
2, del d.l.  n.  78  del  2015  proposta  dalla  Regione  Liguria  in
riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Tale     questione     presenta     infatti      pregiudizialita'
logico-giuridica,  giacche'  investe  il  corretto  esercizio   della
funzione normativa primaria.  Quindi,  la  sua  eventuale  fondatezza
eliderebbe in radice il contenuto precettivo delle  norme  impugnate,
determinando l'assorbimento delle questioni sollevate in  riferimento
ad altri parametri costituzionali (sentenze n. 154 del 2015,  n.  220
del 2013, n. 162 e n. 80 del 2012, n. 93 del 2011 e n. 293 del 2010). 
    6.1.- La questione non e' fondata. 
    E' stato gia' affermato che la violazione dell'art.  77,  secondo
comma, Cost. si ravvisa «in caso di evidente o manifesta mancanza  di
ogni nesso di interrelazione tra le  disposizioni  incorporate  nella
legge di conversione e quelle dell'originario decreto-legge (sentenze
n. 32 del 2014 e n. 22 del 2012). Pertanto, la  violazione  dell'art.
77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneita' si manifesta solo
quando  le  disposizioni  aggiunte  siano  totalmente  "estranee"   o
addirittura "intruse", cioe' tali da interrompere, in parte qua, ogni
correlazione  tra  il  decreto-legge  e  la  legge  di   conversione»
(sentenza n. 251 del 2014; in senso conforme,  sentenza  n.  145  del
2015). 
    Nel caso  in  esame  non  sussiste  l'ipotesi  di  disomogeneita'
evocata, vista la  comune  "natura  finanziaria"  delle  disposizioni
contenute nell'originario decreto-legge e nella legge di conversione.
La  modifica,  a  seguito  del  maxi-emendamento,  del   titolo   del
decreto-legge (divenuto: «Disposizioni per garantire  la  continuita'
dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di  controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di rifiuti e  di  emissioni  industriali»  a
fronte della originaria formulazione «Disposizioni urgenti in materia
di enti territoriali») non lede il parametro evocato sotto il profilo
della  necessaria  omogeneita'  del  contenuto   del   decreto-legge,
costituendo   una   semplice    specificazione    dell'oggetto    del
provvedimento  di   urgenza.   Infatti   nella   «materia   di   enti
territoriali»  (locuzione   contenuta   nella   prima   formulazione)
rientrano in astratto anche le questioni  afferenti  alle  spese  del
servizio sanitario nazionale, che - oltretutto - costituiscono  parte
maggioritaria del bilancio delle Regioni. 
    Tale assunto e' confermato da altri elementi testuali: a)  l'art.
9 del decreto-legge e' rubricato «Disposizioni concernenti le regioni
e in tema di sanita' ed universita'»; b) nella premessa  del  decreto
viene esplicitata  «la  necessita'  e  l'urgenza  di  specificare  ed
assicurare il contributo alla finanza pubblica da  parte  degli  enti
territoriali,  come  sancito  nell'intesa  raggiunta   in   sede   di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento  e  di  Bolzano  nella  riunione  del  26
febbraio 2015»; c) la situazione  di  indefettibile  urgenza  risulta
obiettivamente  dal  quadro  finanziario  dell'originario  intervento
relativo al concorso della sanita' alle misure di contenimento  della
finanza pubblica,  incidenti  sull'esercizio  finanziario  allora  in
corso. 
    7.- Le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 9-bis
e 9-ter, commi 1, lettere a) e b), 2, 3, 4, 5, 8 e 9, del d.l. n.  78
del 2015, promosse dalla Regione Veneto in riferimento agli artt.  3,
32, 97, 117, secondo e terzo comma, Cost., nonche'  al  principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., non sono fondate. 
    Non possono essere condivisi i profili di censura  dedotti  dalla
Regione Veneto, la quale lamenta: a) la violazione dell'art. 3  Cost.
sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  poiche'  le  disposizioni
impugnate  con   consentirebbero   soluzioni   alternative   ove   la
rinegoziazione   con   i   fornitori   non   fosse   esperibile;   b)
l'irragionevolezza  dei  meccanismi  di   rinegoziazione,   i   quali
sarebbero privi di riferimenti parametrici necessari  per  assicurare
congruita' e corrispettivita' ai nuovi  contratti  da  proporre  agli
appaltatori; c) il contrasto di dette disposizioni  con  l'art.  117,
terzo comma, Cost., dal  momento  che,  pur  essendo  ascrivibili  al
coordinamento della finanza pubblica, presenterebbero natura di norme
di dettaglio; d) il contrasto con l'art.  3  Cost.,  anche  sotto  il
profilo della proporzionalita', per il carattere di "taglio  lineare"
che disciplinerebbe  in  modo  indifferenziato  realta'  contrattuali
molto diversificate; e) l'assenza di un'effettiva intesa tra  Regione
e Stato in ossequio al principio di leale collaborazione. 
    7.1.- Quanto alla censura inerente alla  irragionevolezza  di  un
percorso  di   rinegoziazione   "obbligato",   tale   assunto   viene
testualmente smentito dalla combinazione delle norme impugnate  dalla
ricorrente. 
    Il comma  1  dell'art.  9-ter  indica  le  finalita'  ed  i  modi
attuativi del contenimento  della  spesa  sanitaria,  stabilendo  che
«tenuto conto della progressiva attuazione  del  regolamento  recante
definizione degli standard qualitativi,  strutturali,  tecnologici  e
quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera  di  cui  all'intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  del  5  agosto
2014, al fine di garantire la realizzazione di  ulteriori  interventi
di razionalizzazione della  spesa:  a)  per  l'acquisto  dei  beni  e
servizi di cui alla tabella A allegata al presente decreto, gli  enti
del Servizio sanitario nazionale sono tenuti a proporre ai  fornitori
una rinegoziazione dei contratti in essere  che  abbia  l'effetto  di
ridurre i prezzi unitari di  fornitura  e/o  i  volumi  di  acquisto,
rispetto a quelli contenuti nei contratti in essere, e senza che cio'
comporti modifica della durata del contratto, al fine  di  conseguire
una riduzione su base annua del 5 per cento  del  valore  complessivo
dei contratti in  essere;  b)  al  fine  di  garantire,  in  ciascuna
regione, il rispetto del tetto di spesa regionale per  l'acquisto  di
dispositivi  medici  fissato,  coerentemente  con   la   composizione
pubblico-privata dell'offerta, con  accordo  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro  il  15  settembre
2015 e da aggiornare con cadenza biennale, fermo restando il tetto di
spesa nazionale fissato al 4,4  per  cento,  gli  enti  del  Servizio
sanitario  nazionale  sono  tenuti  a  proporre   ai   fornitori   di
dispositivi medici una rinegoziazione dei  contratti  in  essere  che
abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi
di acquisto, rispetto a quelli contenuti  nei  contratti  in  essere,
senza che cio' comporti modifica della durata del contratto  stesso».
Il comma 2 del  medesimo  articolo,  inoltre,  stabilisce  che  «[l]e
disposizioni di cui alla lettera a) del comma 1 si applicano anche ai
contratti per acquisti dei beni e  servizi  di  cui  alla  tabella  A
allegata al presente decreto, previsti dalle  concessioni  di  lavori
pubblici, dalla finanza di progetto, dalla locazione  finanziaria  di
opere  pubbliche  e  dal  contratto  di   disponibilita',   di   cui,
rispettivamente, agli articoli 142 e seguenti, 153, 160-bis e 160-ter
del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163.  In
deroga all'articolo 143, comma 8, del predetto decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, la rinegoziazione delle condizioni  contrattuali
non comporta la revisione del piano economico finanziario dell'opera,
fatta salva la possibilita' per il  concessionario  di  recedere  dal
contratto; in tale ipotesi si applica quanto previsto dal comma 4 del
presente articolo». Alla luce  delle  successive  disposizioni,  tale
percorso di rinegoziazione non e' ne' rigido, ne' tassativo. 
    Il  comma  2  dell'art.   9-septies   stabilisce,   infatti,   la
possibilita'  di   realizzare   i   risparmi   attraverso   soluzioni
alternative: «[l]e regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza,
possono comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario di  cui
al comma 1 [comma che rinvia - tra l'altro -  all'art.  9-ter]  anche
adottando misure alternative,  purche'  assicurino  l'equilibrio  del
bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario». 
    Il successivo comma 4 dell'art. 9-ter prevede inoltre la facolta'
di recesso reciproco da parte del contraente  pubblico  e  di  quello
privato, disponendo  che  «Nell'ipotesi  di  mancato  accordo  con  i
fornitori, nei casi di cui al comma 1, lettere  a)  e  b),  entro  il
termine di trenta giorni dalla trasmissione della proposta in  ordine
ai prezzi o ai volumi come individuati ai sensi del comma 1, gli enti
del Servizio  sanitario  nazionale  hanno  diritto  di  recedere  dal
contratto, in deroga all'articolo 1671 del codice civile, senza alcun
onere a carico degli stessi. E' fatta salva la facolta' del fornitore
di recedere dal contratto entro  trenta  giorni  dalla  comunicazione
della manifestazione di  volonta'  di  operare  la  riduzione,  senza
alcuna penalita' da recesso verso l'amministrazione.  Il  recesso  e'
comunicato all'amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal
ricevimento della relativa comunicazione da parte  di  quest'ultima».
La norma puo' essere attuata - secondo quanto di seguito  specificato
- attraverso una informata istruttoria in tema di prezzi  di  mercato
da parte del committente ed una valutazione  in  contraddittorio  con
l'affidatario,  circa   l'opportunita'   di   mantenere   il   legame
contrattuale; in tale contesto, l'incontro delle rispettive  volonta'
puo' essere orientato positivamente dal criterio  della  reductio  ad
aequitatem, qualora ne ricorrano i presupposti. 
    Infine, il comma 5 dell'art. 9-ter consente un'ulteriore facolta'
agli enti del SSN che abbiano risolto il  contratto,  prevedendo  che
«nelle  more   dell'espletamento   delle   gare   indette   in   sede
centralizzata o aziendale, possono, al fine di assicurare comunque la
disponibilita'  dei  beni  e  servizi  indispensabili  per  garantire
l'attivita' gestionale e  assistenziale,  stipulare  nuovi  contratti
accedendo a convenzioni-quadro, anche di  altre  regioni,  o  tramite
affidamento diretto a condizioni piu' convenienti in  ampliamento  di
contratto stipulato, mediante gare di appalto o forniture, da aziende
sanitarie della stessa  o  di  altre  regioni  o  da  altre  stazioni
appaltanti  regionali  per  l'acquisto  di  beni  e  servizi,  previo
consenso del nuovo esecutore».  In  altre  parole,  viene  consentita
un'ulteriore opzione nella fase  transitoria  che  precede  il  nuovo
affidamento concorsuale. 
    In  sostanza,  il  quadro  normativo  di  cui  si   contesta   la
conformita' a Costituzione affida  al  committente  pubblico  diverse
alternative: la riduzione dei prezzi unitari o dei volumi  d'acquisto
originariamente previsti  dal  contratto,  il  recesso,  la  conferma
(realizzando su altri tipi di  spese  il  risparmio  complessivamente
programmato dalla manovra finanziaria), l'adesione transitoria a piu'
vantaggiose ipotesi  contrattuali  stipulate  da  altri  committenti,
nelle more della procedura concorsuale eventualmente indetta. 
    E' evidente che tali opzioni devono essere valutate non  in  modo
arbitrario ma secondo i principi di buon andamento  ed  economicita',
attraverso adeguata istruttoria (nell'ambito della quale  l'eventuale
raggiungimento di un nuovo equilibrio puo'  ragionevolmente  esigere,
sia la ridiscussione di clausole gia' esistenti,  sia  l'introduzione
di patti ulteriori), svolta in contraddittorio con l'affidatario  del
contratto, la cui volonta' rimane determinante per l'esito definitivo
della  procedura  di  rinegoziazione.   In   pratica,   l'alterazione
dell'originario  sinallagma  non  viene  automaticamente  determinata
dalla norma, ma esige un esplicito consenso di entrambe le parti. Ove
tale consenso non venga  raggiunto,  soccorrono  appunto  le  ipotesi
alternative di cui s'e' detto del recesso, della nuova gara  e  della
adesione transitoria a contratti piu' vantaggiosi. 
    La  formulazione  delle  norme  in  esame  finisce   quindi   per
bilanciare,   secondo   modalita'   non   implausibili,   l'autonomia
contrattuale della parte pubblica e della parte  privata,  l'esigenza
di continuita' dei servizi sanitari e la salvaguardia degli interessi
finanziari del coordinamento  della  finanza  pubblica  sottesi  alla
manovra di riduzione della spesa. 
    L'operativita' della rinegoziazione rimane circoscritta alla sola
eventualita' che i contraenti raggiungano un nuovo accordo attraverso
la ridefinizione in concreto delle loro originarie determinazioni. In
definitiva, l'offerta di  modifica  ex  art.  9-ter  rimane  comunque
condizionata  dalla  verifica  che  il   sinallagma   del   contratto
originario non sia  dalla  stessa  inciso  fino  a  pregiudicarne  la
convenienza  per   l'amministrazione   e   la   remunerativita'   per
l'esecutore. 
    Sotto questo profilo, la disciplina impugnata supera il vaglio di
costituzionalita' poiche' disegna un meccanismo  idoneo  a  garantire
che le posizioni contrattuali inizialmente concordate  tra  le  parti
non siano  automaticamente  modificate  o  comunque  stravolte  dalla
sopravvenienza normativa, ma siano circoscritte nel  perimetro  della
normale alea assunta  ex  contractu,  nell'ambito  della  quale  deve
essere  ricompreso,  trattandosi  di  contratti  di   durata,   anche
l'intervento del legislatore. 
    Dunque la disposizione va interpretata nel senso del conferimento
di una  facolta'  al  committente,  la  quale  non  comporta  che  le
quantita' ed i prezzi unitari degli acquisti dei beni e  dei  servizi
futuri  risultino  necessariamente  ridotti  in  modo  automatico   e
lineare. 
    La riduzione della spesa va al contrario inquadrata in  un  piano
globale di risparmio  che  obbliga  l'ente  pubblico  ad  istruire  e
motivare la scelta piu' conveniente tra le diverse opzioni consentite
dal legislatore. 
    7.2.-  Quanto  detto  a  proposito  della  facoltativita'   della
rinegoziazione  comporta  la  non   fondatezza   della   censura   di
irragionevolezza dei meccanismi  attuativi,  i  quali  -  secondo  le
ricorrenti  -  sarebbero  privi  di   riferimenti   parametrici   per
assicurare congruita' e corrispettivita' ai successivi  contratti  da
proporre agli appaltatori. 
    In proposito, il comma 3 dell'art. 9-ter prevede che  «[a]i  fini
dell'applicazione delle disposizioni di cui alla lettera b) del comma
1, e nelle more dell'individuazione  dei  prezzi  di  riferimento  da
parte dell'Autorita' nazionale  anticorruzione,  il  Ministero  della
salute mette a  disposizione  delle  regioni  i  prezzi  unitari  dei
dispositivi medici presenti nel nuovo sistema  informativo  sanitario
ai sensi del decreto  del  Ministro  della  salute  11  giugno  2010,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 2010» ed  il
successivo comma 7 stabilisce che «[p]resso il Ministero della salute
e' istituito, senza nuovi o maggiori oneri  a  carico  della  finanza
pubblica, l'Osservatorio nazionale sui prezzi dei dispositivi  medici
allo scopo di  supportare  e  monitorare  le  stazioni  appaltanti  e
verificare la coerenza dei prezzi a base d'asta rispetto ai prezzi di
riferimento definiti dall'Autorita'  nazionale  anticorruzione  o  ai
prezzi unitari disponibili  nel  flusso  consumi  del  nuovo  sistema
informativo sanitario». 
    Oltre ai riferimenti parametrici previsti da tali disposizioni le
stazioni committenti ben possono fare riferimento ad ogni indagine di
mercato per definire le decisioni piu' appropriate nella gestione  di
queste misure di contenimento della spesa, che non possono certamente
pregiudicare la qualita' e la continuita' dei  servizi  sanitari.  Il
riferimento ad elementi  parametrici  e'  non  solo  consentito  alle
stazioni committenti, ma diventa  corredo  istruttorio  indefettibile
per valutare la congruita' delle decisioni applicative o  alternative
della riduzione dei contratti. 
    7.3.- Le esposte argomentazioni consentono  anche  di  dichiarare
non fondata l'ulteriore censura proposta  dalla  ricorrente,  secondo
cui quella impugnata sarebbe comunque una  disciplina  di  dettaglio,
incompatibile con  la  potesta'  legislativa  attribuita  allo  Stato
dall'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Infatti, la disposizione in  esame,  correttamente  interpretata,
pone un obiettivo di carattere macroeconomico  alla  spesa  regionale
temporalmente  limitato,  lasciando  sufficienti   alternative   alla
Regione per realizzarlo. 
    7.4.- Analoghe considerazioni consentono  di  dichiarare  la  non
fondatezza  della  censura  argomentata  con  riguardo  alla  pretesa
violazione del principio di proporzionalita' di cui all'art. 3 Cost. 
    Le alternative consentite dalla disposizione impugnata permettono
di escludere la rigidita' e la sproporzione delle  misure  introdotte
dal legislatore. 
    Sono  proprio  l'equilibrio  e  la  proporzionalita'  i   criteri
direttivi delle scelte cui e' chiamato  dalla  norma  il  committente
pubblico della sanita'. 
    7.5.- Infine, per quel che concerne l'art. 9-bis del d.l.  n.  78
del  2015  e  la  pretesa   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione che deriverebbe dall'assenza di  un'effettiva  intesa,
e' infondato l'assunto della Regione Veneto, secondo cui il  "taglio"
al SSN per il 2015 sarebbe  stato  di  fatto  imposto  alle  Regioni,
altrimenti esposte al rischio di subirlo  secondo  le  determinazioni
unilaterali dello Stato, come previsto dall'art.  46,  comma  6,  del
d.l. n. 66 del 2014 cosi' come modificato  dall'art.  1,  comma  398,
lettera c), della legge n. 190 del 2014. 
    Poiche' questa Corte ha gia' respinto  le  impugnative  regionali
rivolte contro il predetto art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014,
come modificato, ed il relativo meccanismo (sentenza n. 65 del 2016),
esse non possono piu'  venire  in  considerazione  come  eventualita'
idonee  a  determinare  una  lesione  dei  parametri  evocati   dalla
ricorrente, con la conseguenza che l'intesa non puo' ritenersi frutto
di illegittima costrizione. 
    8.-  Le  questioni  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
9-quater, commi 1, 2, 4, 5 e 6, del d.l. n.  78  del  2015,  promosse
dalla Regione Veneto in  riferimento  agli  artt.  3,  32,  97,  117,
secondo  e  terzo  comma,  Cost.,  nonche'  al  principio  di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., non sono fondate nei  sensi
e nei limiti di seguito precisati. 
    La ricorrente, in sostanza, interpreta le disposizioni  impugnate
come il conferimento al decreto ministeriale di un potere  impositivo
nei confronti dei medici finalizzato all'adozione  di  standardizzati
modelli di  cura,  i  quali  sarebbero  lesivi  dell'esercizio  della
professione medica e riverbererebbero tale  effetto  sulla  cura  dei
pazienti e sull'autonomia regionale. 
    In tal senso  vengono  lette  le  espressioni  che  demandano  al
decreto   ministeriale   l'individuazione   delle    condizioni    di
erogabilita' e di appropriatezza prescrittiva  delle  prestazioni  di
assistenza  specialistica  ambulatoriale,  quelle  che   stabiliscono
l'effettuazione dei controlli conformativi alle suddette prescrizioni
e quelle che prevedono applicazione di sanzioni e responsabilita'. 
    Sarebbero  gravemente   lesivi   della   garanzia   del   diritto
costituzionale alla salute ed invasivi delle competenze regionali: a)
il comma 1, nello stabilire  che  «con  decreto  del  Ministro  della
salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano,  siano  individuate  le  condizioni  di  erogabilita'  e  le
indicazioni  di  appropriatezza  prescrittiva  delle  prestazioni  di
assistenza  specialistica  ambulatoriale»;  b)  il   comma   2,   nel
prescrivere  che  «[l]e  prestazioni  erogate  al  di   fuori   delle
condizioni di erogabilita' previste dal decreto ministeriale  di  cui
al comma 1 sono a totale carico dell'assistito»; c) il comma  4,  nel
prescrivere che «[g]li enti del Servizio sanitario  nazionale  curano
l'informazione  e  l'aggiornamento   dei   medici   prescrittori   ed
effettuano i controlli necessari ad assicurare  che  la  prescrizione
delle prestazioni sia conforme alle condizioni e alle indicazioni  di
cui al decreto ministeriale previsto dal comma 1»; d) i commi 5 e  6,
nel prevedere rispettivamente che  «[i]n  caso  di  un  comportamento
prescrittivo non conforme alle condizioni e alle indicazioni  di  cui
al decreto ministeriale previsto dal  comma  1,  l'ente  richiede  al
medico  prescrittore  le  ragioni  della  mancata  osservanza   delle
predette condizioni ed indicazioni. In caso di mancata risposta o  di
giustificazioni  insufficienti,  l'ente  adotta  i  provvedimenti  di
competenza, [nei confronti del] medico  prescrittore  dipendente  del
Servizio  sanitario  nazionale  [...]  e  nei  confronti  del  medico
convenzionato con il Servizio sanitario nazionale», e che «la mancata
adozione da parte dell'ente  del  Servizio  sanitario  nazionale  dei
provvedimenti di competenza nei  confronti  del  medico  prescrittore
comporta la responsabilita' del direttore generale ed e' valutata  ai
fini  della  verifica  del  rispetto  degli  obiettivi  assegnati  al
medesimo dalla regione». 
    Deve essere innanzitutto precisato  che  il  decreto  di  cui  al
citato comma 1, il quale prevede le condizioni di erogabilita'  e  le
indicazioni di appropriatezza prescrittiva, ed il successivo comma 2,
che pone a carico dell'assistito le prestazioni  al  di  fuori  delle
condizioni di erogabilita',  non  vietano  certamente  al  medico  le
prescrizioni ritenute necessarie nel caso concreto e non pregiudicano
quindi la sua prerogativa di operare secondo "scienza e coscienza". 
    Dette  disposizioni  rispondono  invece  ad  una   finalita'   di
razionalizzazione  del  SSN,  indirizzando  il  governo  della  spesa
sanitaria  e  farmaceutica   in   un   contesto   di   compatibilita'
economico-finanziaria che non esclude - attraverso  un  tempestivo  e
continuo aggiornamento dei prontuari - l'accesso a presidi innovativi
ed a farmaci per le malattie rare.  Peraltro,  il  SSN  gia'  conosce
peculiari istituti in grado di consentire ai pazienti privi di  altre
opportunita' terapeutiche valide l'uso  di  farmaci  o  terapie  che,
anche in assenza di una sperimentazione clinica completa,  potrebbero
apportare benefici attraverso una prognosi favorevole al paziente  in
termini di rapporto rischio/beneficio (cosi', ad esempio, la legge 10
marzo del 2010, n. 38, recante «Disposizioni per garantire  l'accesso
alle cure palliative e alla terapia del dolore», ed  il  decreto  del
Ministero della sanita' 18 maggio 2001, n. 279, recante  «Regolamento
di  istituzione  della  rete  nazionale  delle  malattie  rare  e  di
esenzione dalla partecipazione al costo  delle  relative  prestazioni
sanitarie ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b)  del  decreto
legislativo 29 aprile 1998, n. 124»). 
    Quanto    alle    altre    disposizioni    impugnate,    relative
all'informazione, al controllo, alle sanzioni e alle  responsabilita'
connesse all'erogazione delle prestazioni, ove  fossero  assunti  nel
significato  attribuito  dalla  Regione  ricorrente,  esse  sarebbero
certamente contrarie ai parametri costituzionali  evocati;  tuttavia,
tale significato non e' l'unico attribuibile al testo normativo,  del
quale   e'   possibile   un'interpretazione   conforme   al   dettato
costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 279 del 2016). 
    Peraltro,   sullo   specifico   argomento   dei    limiti    alla
discrezionalita' legislativa in tema di esercizio  dell'arte  medica,
la giurisprudenza di questa Corte appare assolutamente congruente con
l'attribuzione di un diverso significato alle disposizioni impugnate,
come appresso specificato. 
    Cosi' e' stato piu' volte affermato il "carattere personalistico"
delle cure sanitarie, sicche'  la  previsione  legislativa  non  puo'
precludere al medico la possibilita' di valutare,  sulla  base  delle
piu' aggiornate e  accreditate  conoscenze  tecnico-scientifiche,  il
singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta
la terapia ritenuta piu' idonea ad assicurare la tutela della  salute
del paziente (in senso conforme, tra le altre, sentenza  n.  151  del
2009). Alla luce di tale indefettibile  principio,  l'"appropriatezza
prescrittiva" prevista dall'art. 9-quater, comma 1, del  d.l.  n.  78
del 2015 ed i parametri contenuti  nel  decreto  ministeriale  devono
essere dunque intesi come un invito al medico prescrittore di rendere
trasparente, ragionevole  ed  informata  la  consentita  facolta'  di
discostarsi dalle indicazioni del decreto ministeriale. 
    In tale accezione  ermeneutica  devono  essere  intese  anche  le
disposizioni in tema di controlli di conformita' alle indicazioni del
decreto ministeriale: esse non possono  assolutamente  conculcare  il
libero  esercizio  della  professione  medica,  ma  costituiscono  un
semplice invito a motivare scostamenti rilevanti dai  protocolli.  E'
invece assolutamente incompatibile un sindacato politico o  meramente
finanziario   sulle   prescrizioni,   poiche'   la   discrezionalita'
legislativa trova il suo limite «[nel]le acquisizioni scientifiche  e
sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si  fonda
l'arte medica: sicche', in materia di pratica terapeutica, la  regola
di fondo deve essere la autonomia e la  responsabilita'  del  medico,
che, con  il  consenso  del  paziente,  opera  le  necessarie  scelte
professionali (sentenze n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002)» (sentenza
n. 151 del 2009). 
    A  tali  evidenze  scientifiche   ed   ai   richiamati   principi
giurisprudenziali deve pertanto attenersi la  redazione  del  decreto
ministeriale, il quale deve tenere conto -  in  particolare  -  della
dinamica evolutiva terapeutica e  della  specificita'  del  paziente,
inteso  come  soggetto  titolare  di  un  diritto  alla   appropriata
attribuzione dei presidi diagnostici e terapeutici. Cio' comporta che
la vigilanza e l'eventuale comminazione di  sanzioni  al  medico  non
possano essere ispirate ad una mera  ratio  di  deterrenza  verso  il
proliferare della spesa sanitaria, ma siano,  al  contrario,  dirette
alla tutela del  paziente  e  del  servizio,  cosi'  da  intercettare
eventuali gravi scostamenti dalla fisiologia  della  pratica  medica,
diretti a soddisfare unicamente gli interessi economici dei  soggetti
coinvolti nell'industria farmaceutica e nella produzione dei  servizi
sanitari o comunque altri interessi,  ulteriori  e  confliggenti  con
l'efficace ed efficiente gestione della sanita'. 
    Infatti, e' costante orientamento di  questa  Corte  che  «scelte
legislative dirette a limitare o vietare  il  ricorso  a  determinate
terapie - la cui adozione ricade in linea  di  principio  nell'ambito
dell'autonomia e della responsabilita' dei medici, tenuti ad  operare
col consenso informato del paziente e  basandosi  sullo  stato  delle
conoscenze tecnico-scientifiche a disposizione - non sono ammissibili
ove nascano da pure valutazioni di discrezionalita' politica,  e  non
prevedano "l'elaborazione di indirizzi fondati sulla  verifica  dello
stato delle conoscenze scientifiche  e  delle  evidenze  sperimentali
acquisite, tramite istituzioni e organismi -  di  norma  nazionali  o
sovranazionali - a cio' deputati", ne' costituiscano "il risultato di
una siffatta verifica". Si  puo'  ora  aggiungere  che  stabilire  il
confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla  base  delle
acquisizioni  scientifiche  e  sperimentali,  e'  determinazione  che
investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali  della
materia, collocandosi  "all'incrocio  fra  due  diritti  fondamentali
della persona malata: quello ad essere curato efficacemente,  secondo
i canoni della  scienza  e  dell'arte  medica;  e  quello  ad  essere
rispettato come persona, e in particolare  nella  propria  integrita'
fisica e psichica" (sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n.  338  del
2003). 
    Alla luce di quanto precede, deve dunque essere esclusa qualsiasi
lesione dell'autonomia regionale in relazione all'organizzazione  del
servizio sanitario  ed  al  suo  buon  andamento,  poiche'  le  norme
impugnate, nella predetta accezione  ermeneutica,  attengono  proprio
alla cura del buon andamento della sanita' complessivamente inteso. 
    Coerente  con  la  prospettiva   ermeneutica   costituzionalmente
orientata e' la formulazione dei commi 5 e 6 dell'art. 9-quater. 
    La richiesta di chiarimenti al medico prescrittore e  l'eventuale
riduzione del trattamento economico  accessorio  deve  essere  intesa
come rigorosamente riferita,  non  a  mere  elaborazioni  statistiche
sull'andamento generale delle prescrizioni, ma a fattispecie di grave
scostamento dalle evidenze scientifiche in materia. Si tratta, a  ben
vedere,  di  una  norma  applicativa  del  principio   di   vigilanza
sull'operato del personale sanitario che,  piu'  che  innovativa,  e'
sostanzialmente  specificativa  delle  modalita'  di  contrasto   nei
confronti di alcune prassi gravemente patologiche. 
    Peraltro, considerato lo stretto legame logico e  funzionale  tra
l'abuso prescrittivo e gli interessi di tutela  del  paziente  e  del
buon andamento sanitario, nonche' la complessa dialettica scientifica
che  puo'  caratterizzare  alcune  ipotesi  di  sospetto  abuso,   il
sindacato  in  esame  implica  non  solo  che   all'interessato   sia
assicurato  il  diritto   a   controdedurre   rispetto   all'addebito
contestato, ma anche che egli possa interagire nelle fasi prodromiche
all'assunzione della decisione formale, in modo da assicurare in tale
sede la piena cognizione dei fatti e degli interessi in gioco. E cio'
da solo spiega che quello istituito dalla norma non e'  un  controllo
burocratico bensi' un  sindacato  che  deve  essere  gestito  -  come
esattamente osservato dall'Avvocatura generale dello Stato -  secondo
le regole deontologiche dell'esercizio della professione medica. 
    Di quanto argomentato e' naturale conseguenza la  responsabilita'
del direttore  generale  per  omessa  vigilanza  ai  sensi  dell'art.
9-quater, comma 6. 
    Dunque l'intero contesto normativo dell'art.  9-quater  impugnato
dalla Regione Veneto trova nell'esposta  interpretazione  sistematica
la ragione della  propria  conformita'  ai  parametri  costituzionali
evocati. 
    9.- Ferma restando la definizione della  pregiudiziale  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2,  del
d.l. n. 78 del 2015 proposta dalla  Regione  Liguria  in  riferimento
all'art. 77 Cost., occorre ora occuparsi delle censure  formulate  in
modo  articolato  da  entrambe  le  ricorrenti  nei  confronti  della
medesima norma in riferimento agli artt. 3, 32, 97,  117,  secondo  e
terzo comma, Cost., nonche' al principio di leale  collaborazione  di
cui all'art. 120 Cost. ed all'art. 5, lettera g), della  legge  cost.
n. 1 del 2012, in relazione all'art. 11 della legge n. 243 del 2012. 
    Va  premesso  che   tali   censure   possono   essere   esaminate
limitatamente ai profili di riduzione del  livello  di  finanziamento
del SSN  poiche'  l'entita'  assoluta  del  contributo  alla  finanza
pubblica - di cui quello afferente al SSN e' una  parte  -  e'  stato
stabilito da precedenti disposizioni gia' scrutinate da questa Corte,
secondo il costante orientamento per cui l'imposizione  dei  risparmi
di spesa rientra nell'esercizio della funzione di coordinamento della
finanza pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (sentenza n.
65 del 2016). 
    9.1.- Le censure rivolte  dalle  ricorrenti  avverso  la  pretesa
definitivita' del "taglio lineare" delle risorse non sono fondate. 
    In particolare, non puo' essere condivisa l'affermazione  secondo
cui  l'assenza  di  un  termine  alla  vigenza  di  dette  misure  di
contenimento rende le disposizioni impugnate contrarie  al  principio
di autonomia  regionale,  in  quanto  indefinitamente  protratte  nel
tempo. 
    Le ricorrenti deducono  tale  carattere  dalla  mancanza  di  una
esplicita previsione di un termine finale, ma  -  come  correttamente
sostenuto  dalla  difesa  erariale  -  la  manovra  inerente  a  tale
riduzione si e' svolta secondo un orizzonte triennale nell'ambito del
quale sono state poi apportate alcune correzioni. 
    In tale articolato quadro finanziario l'art. 9-septies, comma  l,
del d.l. n. 78 del 2015 richiama espressamente l'art. l,  comma  556,
della legge n. 190 del 2014, il quale prevede  che  «il  livello  del
finanziamento del Servizio sanitario  nazionale  a  cui  concorre  lo
Stato e' stabilito in 112.062.000.000  euro  per  l'anno  2015  e  in
115.444.000.000   euro   per    l'anno    2016,    salve    eventuali
rideterminazioni  in  attuazione  dell'articolo  46,  comma  6,   del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, come modificato dal comma 398  del
presente articolo, in attuazione di quanto previsto dall'articolo  l,
comma l, del Patto per la salute». 
    Peraltro, l'art. 1, comma 568, della legge 28 dicembre  2015,  n.
208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», ha rideterminato
il livello del finanziamento del SSN e questo e' stato  ulteriormente
modificato dall'art. l, comma 392, della legge 11 dicembre  2016,  n.
232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). 
    Il periodo di vigenza della norma impugnata non la  rende  dunque
incompatibile con l'autonomia finanziaria della Regione. 
    Se  la  temporaneita'  della  soluzione  normativa   scelta   dal
legislatore e'  coerente  con  l'esigenza  di  assicurare  nel  breve
periodo il concorso delle  Regioni  alla  risoluzione  di  una  grave
situazione di emergenza  economica  del  Paese,  evitando  che  detta
esigenza diventi "tiranna" attraverso una stabilizzazione  apodittica
dei sacrifici imposti  all'ente  territoriale  e  alla  collettivita'
amministrata, nondimeno deve essere rinnovato al legislatore l'invito
a corredare le iniziative legislative incidenti sull'erogazione delle
prestazioni sociali di rango primario con un'appropriata  istruttoria
finanziaria.  Cio'  soprattutto  al  fine   di   definire   in   modo
appropriato, anche tenendo conto delle scansioni temporali dei  cicli
di bilancio e piu' in generale della situazione economica del  Paese,
il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni e  gli
enti locali, evitando la sostanziale estensione dell'ambito temporale
di  precedenti  manovre   che   potrebbe   sottrarre   al   confronto
parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici  di
queste ultime in un periodo piu' lungo (sentenza n. 154 del 2017). 
    9.2.-  E'  altresi'  infondata  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n.  78  del
2015, promossa dalla Regione Liguria in relazione al preteso  effetto
«sugli impegni di spesa gia' assunti» dalla medesima. 
    Le  disposizioni  (peraltro  non  impugnate   dalla   ricorrente)
strumentali alla riduzione di cui all'art. 9-septies  non  comportano
alcuna lesione degli impegni gia' assunti  poiche'  -  come  gia'  in
precedenza evidenziato - consentono una pluralita' di  soluzioni  per
l'amministrazione interessata alla loro attuazione. E'  evidente  che
l'esistenza  di  impegni  giuridicamente   vincolanti,   preesistenti
all'entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2015, deve essere  presa  in
considerazione  nella  scelta  delle   alternative   consentite   dal
legislatore,  salvaguardando  l'adempimento  di   obbligazioni   gia'
perfezionate. 
    Peraltro - come rilevato dall'Avvocatura generale dello  Stato  -
il taglio complessivo delle risorse destinate alle Regioni - di  cui,
come detto, quello della sanita' costituisce una  parte  -  era  gia'
disposto dall'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014,  cosi'  come
modificato dall'art. 1, comma 398, lettera c), della legge n. 190 del
2014, entrato in vigore  all'inizio  dell'esercizio  2015,  il  quale
stabiliva  che  le  Regioni  a  statuto  ordinario  avrebbero  dovuto
comunque contribuire al risanamento della finanza pubblica per  3.452
milioni di euro, da ripartire in sede di Conferenza permanente e che,
in caso di assenza di intesa entro il 31  gennaio  2015,  si  sarebbe
applicato «quanto previsto dal secondo periodo, considerando anche le
risorse destinate al finanziamento corrente  del  Servizio  sanitario
nazionale».  Ne  consegue  che  la   Regione   Liguria,   in   quanto
destinataria di tale  riduzione  complessiva,  avrebbe  dovuto  tener
conto  dell'obiettivo  di  contenimento  previsto  da   detta   legge
nell'ambito della gestione degli impegni di spesa. 
    9.3.-  Le  censure  rivolte  da  entrambe  le  Regioni   all'art.
9-septies, commi 1 e 2, in riferimento agli artt. 32 e  117,  secondo
comma, lettera m), Cost., in relazione alla pretesa compressione  dei
LEA quali prestazioni sanitarie indefettibili, non sono  fondate  nei
sensi e nei limiti di seguito precisati. 
    9.3.1.- Le ricorrenti non presentano elementi probatori in  grado
di confermare tale assunto.  E'  costante  l'orientamento  di  questa
Corte  nel  senso  che  la  prova  della  lesione  delle  prerogative
regionali, dipendente dalla riduzione di risorse destinate ai livelli
essenziali delle prestazioni, non puo'  consistere  in  un'apodittica
doglianza, ma deve essere sorretta da  elementi  obiettivi  che,  nel
caso di specie - per quanto si dira' in prosieguo -  non  sono  stati
dedotti  in  misura  idonea  (sulla  prova  della  violazione   delle
attribuzioni regionali, ex multis, sentenze n. 205, n. 151, n. 127  e
n. 65 del 2016, n. 89 del 2015, n. 26 del 2014). 
    E' stato altresi' precisato - in tema di riduzione delle  risorse
degli enti territoriali per  il  raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica -  che  il  legislatore  statale  puo'  imporle  (ex
multis, sentenza n. 36 del 2004) purche' la riduzione sia ragionevole
e  tale  da  non  pregiudicare   le   funzioni   assegnate   all'ente
territoriale, dal momento che «l'eccessiva riduzione delle risorse  e
l'incertezza sulla loro definitiva entita' [...] non  consentono  una
proficua utilizzazione delle stesse in quanto "[s]olo in presenza  di
un ragionevole  progetto  di  impiego  e'  possibile  realizzare  una
corretta  ripartizione  delle  risorse  [...]  e  garantire  il  buon
andamento dei servizi  con  esse  finanziati  (sentenza  n.  188  del
2015)"» (sentenza n. 10 del 2016). 
    I LEA, in quanto appartenenti alla piu' ampia categoria dei  LEP,
devono essere determinati dal  legislatore  statale  e  garantiti  su
tutto il territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,
lettera m), Cost. L'art. 8, comma 1, della  legge  n.  42  del  2009,
recante «Principi e criteri direttivi sulle  modalita'  di  esercizio
delle competenze legislative e sui mezzi di  finanziamento»,  dispone
in proposito che «[a]l fine di adeguare le  regole  di  finanziamento
alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonche' al
principio di autonomia di entrata e di  spesa  fissato  dall'articolo
119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui  all'articolo  2
[nel caso di specie il  decreto  n.  68  del  2011  e  le  successive
modifiche e integrazioni] sono adottati secondo i seguenti principi e
criteri direttivi: a) classificazione delle [....] spese  relative  a
materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle  quali  le
regioni esercitano competenze amministrative;  tali  spese  sono:  1)
spese riconducibili al  vincolo  dell'articolo  117,  secondo  comma,
lettera m), della Costituzione; 2) spese non riconducibili al vincolo
di cui al numero 1); [...] b) definizione delle modalita' per cui  le
spese riconducibili alla lettera a), numero 1), sono determinate  nel
rispetto dei costi standard associati  ai  livelli  essenziali  delle
prestazioni fissati dalla legge statale in piena  collaborazione  con
le regioni e gli enti locali, da erogare in condizioni di  efficienza
e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale; [...]». 
    Da tale norma si evince, tra l'altro, che: a) le spese per i  LEA
devono essere quantificate attraverso l'"associazione"  tra  i  costi
standard e gli stessi livelli stabiliti dal  legislatore  statale  in
modo da determinare, su scala nazionale  e  regionale,  i  fabbisogni
standard costituzionalmente vincolati ai sensi dell'art. 117, secondo
comma,  lettera  m),  Cost.;  b)  tali   fabbisogni   devono   essere
individuati dallo Stato attraverso la "piena collaborazione" con  gli
enti territoriali; c)  l'erogazione  delle  prestazioni  deve  essere
caratterizzata da efficienza ed appropriatezza su tutto il territorio
nazionale. 
    In ordine alla puntuale attuazione del regime  dei  costi  e  dei
fabbisogni standard sanitari che avrebbe dovuto assicurare la precisa
delimitazione  finanziaria  dei  LEA  rispetto   alle   altre   spese
sanitarie, si e' verificata - dopo l'entrata in vigore del d.lgs.  n.
68 del 2011 - una lunga fase di transizione,  ancora  oggi  in  atto,
attraverso  l'applicazione,  d'intesa  con  le  Regioni,  di  criteri
convenzionali di riparto. Cio' in attesa di acquisire dati  analitici
idonei  a  determinare  costi  e  fabbisogni  in  modo  conforme   al
richiamato art. 8, comma 1, della legge n. 42 del 2009. 
    In definitiva, non puo' sottacersi, nella perdurante inattuazione
della legge n. 42 del 2009 gia' lamentata da questa  Corte  (sentenza
n. 273 del 2013), l'esistenza di una situazione  di  difficolta'  che
non consente tuttora  l'integrale  applicazione  degli  strumenti  di
finanziamento delle funzioni regionali previste dall'art. 119 Cost. 
    A tale situazione e' eziologicamente collegata  l'assenza,  nella
disposizione  in  esame,  di  una  previsione   circa   la   doverosa
separazione del  fabbisogno  LEA  dagli  oneri  degli  altri  servizi
sanitari. Sotto tale profilo neppure la recente adozione del  decreto
del  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   12   gennaio   2017
(Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di
cui all'articolo 1, comma 7,  del  decreto  legislativo  30  dicembre
1992, n. 502) e' di per se' in grado di supplire a detta carenza.  La
persistenza di tale situazione puo' causare la violazione degli artt.
32 e 117, secondo comma, lettera m), Cost., nei casi in cui eventuali
disposizioni di legge trasferiscano "a cascata", attraverso i diversi
livelli  di  governo  territoriale,  gli  effetti   delle   riduzioni
finanziarie sulle prestazioni sanitarie costituzionalmente necessarie
(in tal senso sentenza n. 275 del 2016). 
    Nel caso in esame, tuttavia,  le  ricorrenti  non  hanno  dedotto
elementi  in  grado  di  provare  l'effettiva  lesione  dei  suddetti
precetti costituzionali. 
    Infatti, i molteplici dati finanziari prodotti sono sprovvisti di
una coerente  proiezione  macroeconomica  dei  costi  in  termini  di
fabbisogno regionale, che consenta di dimostrare la  ricaduta  lesiva
della norma impugnata sulla spesa costituzionalmente  necessaria.  Le
ricorrenti si limitano ad enumerare tali elementi senza illustrare la
loro interazione sulle risultanze complessive dei rispettivi  bilanci
e senza enucleare - come previsto dal richiamato  art.  8,  comma  1,
della legge n. 42 del  2009  -  nel  monte  complessivo  della  spesa
regionale sanitaria, il fabbisogno LEA  di  cui  viene  lamentata  la
compressione da parte della disposizione impugnata. 
    9.3.2.- Se le precedenti considerazioni sono sufficienti ai  fini
della declaratoria di infondatezza  della  questione,  sono  tuttavia
utili alcune riflessioni circa la mancata proiezione  precedentemente
evidenziata,  elemento  necessario  per  dimostrare  il   pregiudizio
causato da norme sproporzionatamente riduttive di  risorse  destinate
all'erogazione di prestazioni sociali di carattere primario. Infatti,
la trasversalita' e la primazia della tutela sanitaria rispetto  agli
interessi sottesi ai conflitti Stato-Regioni in  tema  di  competenza
legislativa, impongono una  visione  teleologica  e  sinergica  della
dialettica finanziaria tra questi soggetti,  in  quanto  coinvolgente
l'erogazione di prestazioni riconducibili al vincolo di cui  all'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    Se, al fine di assicurare  la  garanzia  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni (LEP), alla cui categoria, come detto, appartengono
i LEA, «spetta al legislatore predisporre gli strumenti  idonei  alla
realizzazione ed attuazione di esso, affinche'  la  sua  affermazione
non si  traduca  in  una  mera  previsione  programmatica,  ma  venga
riempita di contenuto concreto e reale [di talche']  e'  la  garanzia
dei  diritti  incomprimibili  ad  incidere   sul   bilancio   e   non
l'equilibrio  di  questo  a  condizionarne  la  doverosa  erogazione»
(sentenza n. 275 del 2016), non vi e' dubbio che  le  Regioni  stesse
debbano collaborare all'individuazione di metodologie parametriche in
grado  di  separare  il  fabbisogno  finanziario  destinato  a  spese
incomprimibili  da  quello  afferente  ad  altri   servizi   sanitari
suscettibili di un giudizio in termini di sostenibilita' finanziaria. 
    Sotto  tale  profilo,   e'   bene   quindi   ricordare   che   la
determinazione dei LEA e' un obbligo del legislatore statale, ma  che
la sua  proiezione  in  termini  di  fabbisogno  regionale  coinvolge
necessariamente le Regioni, per cui  la  fisiologica  dialettica  tra
questi soggetti deve essere improntata alla leale collaborazione che,
nel caso  di  specie,  si  colora  della  doverosa  cooperazione  per
assicurare il migliore servizio alla collettivita'. 
    Da cio' consegue che la separazione e l'evidenziazione dei  costi
dei livelli essenziali di assistenza  devono  essere  simmetricamente
attuate, oltre che  nel  bilancio  dello  Stato,  anche  nei  bilanci
regionali ed in quelli delle aziende erogatrici secondo la  direttiva
contenuta nel citato art. 8, comma 1, della legge n. 42 del 2009. 
    In  definitiva,  la  dialettica   tra   Stato   e   Regioni   sul
finanziamento dei LEA dovrebbe consistere in un leale  confronto  sui
fabbisogni e sui costi che incidono  sulla  spesa  costituzionalmente
necessaria, tenendo conto della disciplina e della  dimensione  della
fiscalita' territoriale nonche' dell'intreccio di competenze  statali
e regionali in questo delicato ambito  materiale.  Cio'  al  fine  di
garantire  l'effettiva  programmabilita'   e   la   reale   copertura
finanziaria dei servizi, la quale - data la natura  delle  situazioni
da tutelare - deve riguardare non  solo  la  quantita'  ma  anche  la
qualita'  e  la  tempistica  delle   prestazioni   costituzionalmente
necessarie. 
    Ne consegue ulteriormente che, ferma restando la discrezionalita'
politica del legislatore nella determinazione  -  secondo  canoni  di
ragionevolezza - dei livelli essenziali, una volta che  questi  siano
stati  correttamente  individuati,   non   e'   possibile   limitarne
concretamente l'erogazione attraverso indifferenziate riduzioni della
spesa pubblica. In tale ipotesi verrebbero in essere situazioni prive
di tutela in tutti  i  casi  di  mancata  erogazione  di  prestazioni
indefettibili in quanto l'effettivita' del diritto ad ottenerle  «non
puo' che derivare dalla certezza delle disponibilita' finanziarie per
il soddisfacimento del medesimo diritto» (sentenza n. 275 del 2016). 
    Deve essere infine sottolineato che -  in  attesa  di  una  piena
definizione dei fabbisogni LEA - misure piu' calibrate e piu' stabili
di quelle fino ad oggi assunte sono utili per la riqualificazione  di
un servizio fondamentale per la collettivita' come quello  sanitario.
Questa Corte ha affermato che la programmazione e la proporzionalita'
tra  risorse  assegnate  e  funzioni  esercitate   sono   intrinseche
componenti del «principio del buon andamento [il quale] - ancor  piu'
alla luce della modifica intervenuta  con  l'introduzione  del  nuovo
primo comma dell'art. 97 Cost. ad opera della legge costituzionale 20
aprile 2012,  n.  1  (Introduzione  del  principio  del  pareggio  di
bilancio nella Carta costituzionale) - e' strettamente correlato alla
coerenza della legge finanziaria», per cui «organizzare e qualificare
la  gestione  dei  servizi  a  rilevanza  sociale  da  rendere   alle
popolazioni interessate [...] in modo funzionale e proporzionato alla
realizzazione degli obiettivi  previsti  dalla  legislazione  vigente
diventa  fondamentale  canone  e  presupposto  del   buon   andamento
dell'amministrazione, cui lo  stesso  legislatore  si  deve  attenere
puntualmente» (sentenza n. 10 del 2016). 
    9.4.- Per gli stessi motivi che hanno comportato il rigetto delle
precedenti censure deve ritenersi non fondata anche la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9-septies, commi  1  e  2,  del
d.l. n. 78 del 2015, promossa dalla Regione Liguria in riferimento al
principio di  leale  collaborazione,  per  non  aver  il  legislatore
statale atteso l'avvio della fase attuativa dei nuovi  meccanismi  di
risparmio e contenimento della spesa sanitaria.  In  particolare,  va
sottolineato come la riduzione complessiva  delle  risorse  destinate
alla Regione fosse gia' entrata in vigore con il d.l. n. 66 del 2014,
modificato dalla legge n. 190 del 2014,  e  quindi  il  principio  di
leale collaborazione non risulta violato dall'attuativa  prescrizione
statale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la decisione delle altre  questioni
di legittimita' costituzionale promosse dalla Regione Veneto  con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 9-bis; 9-ter, commi l, lettere a) e b), 2,
3, 4, 5, 8 e 9; 9-quater, commi l, 2, 4, 5, 6 e 7; 9-septies, commi l
e 2, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in
materia  di  enti  territoriali.  Disposizioni   per   garantire   la
continuita'  dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di   controllo   del
territorio. Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario
nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
industriali), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  6  agosto
2015, n. 125, promosse, in riferimento  agli  artt.  5,  117,  quarto
comma, 118 e 119 della Costituzione,  dalla  Regione  Veneto  con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n.  78  del
2015, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 118 e  119
Cost., nonche' in relazione all'art. 1, comma 398, lettera c),  della
legge  23  dicembre  2014,  n.  190,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2015)», dalla Regione Liguria con il ricorso  indicato  in
epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  9-bis  del  d.l.  n.  78  del  2015,  come
convertito,  promossa  in   riferimento   al   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., dalla Regione Veneto con il
ricorso indicato in epigrafe; 
    4) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  9-ter,  commi  l,
lettere a) e b), 2, 3, 4, 5, 8 e 9 del d.l.  n.  78  del  2015,  come
convertito, promossa in  riferimento  agli  artt.  3,  32,  97,  117,
secondo  e  terzo  comma,  Cost.  nonche'  al  principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., dalla Regione Veneto con il
ricorso indicato in epigrafe; 
    5) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9-quater, commi 1,
2, 4, 5 e 6, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito,  promossa,  in
riferimento agli artt. 3, 32, 97, 117, secondo e terzo  comma,  Cost.
nonche' al principio di leale  collaborazione  di  cui  all'art.  120
Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; 
    6)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2, del d.l. n.  78  del
2015, come convertito, promossa, in riferimento  all'art.  77  Cost.,
dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe; 
    7) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1
e 2,  del  d.l.  n.  78  del  2015,  come  convertito,  promosse,  in
riferimento agli artt. 3, 32, 97, 117, secondo e terzo comma, e  119,
nonche' al principio di leale  collaborazione  di  cui  all'art.  120
Cost., dalle Regioni Veneto e  Liguria  con  i  ricorsi  indicati  in
epigrafe; 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA