N. 174 SENTENZA 20 giugno - 13 luglio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni varie in materia di ambiente (istituzione, in acque  non
  oggetto di concessione, di eventuali  oneri  ulteriori  per  i  non
  residenti  nella  Regione,  mediante  provvedimento  della   Giunta
  regionale) e di caccia (forme di attivita' venatoria; addestramento
  dei cani da caccia; comprensori alpini; recupero  della  selvaggina
  ferita; piani di abbattimento del cormorano). 
- Legge della Regione Veneto 27 giugno 2016, n. 18  (Disposizioni  di
  riordino  e  semplificazione  normativa  in  materia  di  politiche
  economiche,   del   turismo,    della    cultura,    del    lavoro,
  dell'agricoltura, della pesca, della caccia e dello  sport),  artt.
  55, comma 1, 65, 66, commi 1 e 2, 68, comma 1, e  71;  legge  della
  Regione Veneto 9 dicembre 1993, n.  50  (Norme  per  la  protezione
  della fauna selvatica e per il prelievo venatorio), art. 20,  comma
  3-bis, inserito dall'art. 69, comma 2, della legge regionale n.  18
  del 2016. 
-   
(GU n.29 del 19-7-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  55,  65,
66, commi 1 e 2, 68, comma 1, 69, comma 2, e 71,  della  legge  della
Regione Veneto 27 giugno 2016, n.  18  (Disposizioni  di  riordino  e
semplificazione normativa in materia  di  politiche  economiche,  del
turismo, della cultura, del lavoro,  dell'agricoltura,  della  pesca,
della caccia e dello sport), promosso dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, con ricorso notificato il 24-29 agosto 2016, depositato
in cancelleria il 30 agosto 2016 ed iscritto al n.  52  del  registro
ricorsi 2016. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  giugno  2017  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Maria  Letizia  Guida   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Ezio Zanon per  la
Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 24-29 agosto 2016 e  depositato  in
cancelleria il 30 agosto 2016 (registro ricorsi n. 52 del  2016),  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 55, 65, 66, commi 1 e 2,  68,
comma 1, 69, comma 2, e 71 della legge della Regione Veneto 27 giugno
2016, n. 18 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa  in
materia di politiche economiche,  del  turismo,  della  cultura,  del
lavoro, dell'agricoltura, della pesca, della caccia e  dello  sport),
per violazione degli artt. 3, 23, 117, primo e secondo comma, lettera
s), della Costituzione. 
    2.- Le norme impugnate modificano o aggiungono nuove disposizioni
alle leggi regionali 28 aprile 1998, n. 19 (Norme per la tutela delle
risorse idrobiologiche e della  fauna  ittica  e  per  la  disciplina
dell'esercizio della pesca nelle acque interne  e  marittime  interne
della Regione Veneto), e  9  dicembre  1993,  n.  50  (Norme  per  la
protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio). 
    3.- L'art. 55 aggiunge il comma  1-ter  all'art.  9  della  legge
regionale n. 19 del 1998 e dispone che  la  Regione  puo'  istituire,
nelle acque non oggetto di concessione,  «eventuali  oneri  ulteriori
per i non residenti in Veneto  mediante  provvedimento  della  Giunta
regionale». 
    Secondo il ricorrente, poiche' la norma non specifica  la  natura
degli  eventuali  oneri,  rimette  la  determinazione  degli   stessi
interamente  ad  un   provvedimento   amministrativo   della   Giunta
regionale,  in  carenza  di   principi   direttivi   sufficientemente
specifici e dettagliati, in violazione dell'art. 23 Cost. 
    Nell'ipotesi che detti oneri dovessero riguardare  una  tassa  di
concessione avente natura tributaria,  si  determinerebbe  anche  una
violazione del principio di uguaglianza  di  cui  all'art.  3  Cost.,
poiche' la norma censurata attribuirebbe  alla  Giunta  regionale  il
potere di imporre con proprio provvedimento amministrativo un tributo
a carico dei soli cittadini «non residenti in Veneto»,  in  contrasto
con il carattere di generalita' dell'imposizione fiscale. 
    4.- L'impugnato art. 65, che inserisce i  commi  1-bis,  1-ter  e
1-quinquies all'art.  14  della  legge  regionale  n.  50  del  1993,
consente a chi abbia optato per la forma di  caccia  da  appostamento
fisso di disporre di quindici giornate di caccia in forma  vagante  e
viceversa, senza ulteriori obblighi se non quello  di  segnalare  sul
tesserino venatorio la giornata utilizzata. 
    Il ricorrente osserva che l'art. 12,  comma  5,  della  legge  11
febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna  selvatica
omeoterma e per  il  prelievo  venatorio),  dispone  che  l'esercizio
venatorio puo' essere praticato esclusivamente  in  una  delle  forme
indicate dalla disposizione stessa, esprimendo un requisito minimo di
salvaguardia  ambientale,  cui   la   legislazione   regionale   deve
attenersi. 
    4.1.- L'impugnato art.  65  introduce  anche  il  comma  1-quater
all'art. 14 della legge regionale n. 50 del 1993, consentendo  a  chi
abbia  optato  per  l'insieme  delle  forme  di  attivita'  venatoria
definite dalla disposizione regionale la facolta'  di  esercitare  la
caccia nei confronti della fauna migratoria, per  trenta  giorni,  in
tutti gli ambiti territoriali. 
    Osserva il ricorrente che l'art. 14, commi 1 e 5, della legge  n.
157 del 1992, invece, prevede  che  i  cacciatori  hanno  diritto  ad
accedere agli altri ambiti territoriali di caccia  della  Regione  in
cui risiedono, previa domanda all'amministrazione competente. 
    La difformita' rispetto alla legge statale si  riflette,  secondo
il ricorrente, anche sulla disciplina delle  sanzioni  amministrative
per chi esercita la caccia in forma diversa da quella  prescelta,  ai
sensi dell'art. 31, comma 1, lettera a)  e  dell'art.  32,  comma  4,
della legge n. 157 del 1992. 
    5.- L'impugnato art. 66, commi l e 2, modifica  l'art.  18  della
legge regionale n. 50 del 1993 e dispone che le Province istituiscono
le zone destinate all'allenamento e  all'addestramento  dei  cani  da
caccia anche su fauna selvatica  naturale  o  con  l'abbattimento  di
fauna d'allevamento, appartenente alle specie cacciabili  (comma  1).
Dette attivita' possono svolgersi in tutto l'anno (1-bis). 
    Per il ricorrente, l'art. 10 della legge n.  157  del  1992,  che
detta uno standard inderogabile attinente alla tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, prevede l'obbligo delle Regioni di regolamentare  il
prelievo  venatorio  con  i  piani  faunistico-venatori  e  non   con
legge-provvedimento, rispettando altresi' gli indirizzi dell'Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), riguardo
alla disciplina dei periodi di esercizio dell'attivita' venatoria. 
    L'impugnato  art.  66  inciderebbe,  inoltre,   sulla   normativa
sanzionatoria di cui agli artt. 30, comma 1, lettera a), e 31,  comma
1, lettera a), della legge n. 157  del  1992,  per  chi  esercita  la
caccia in periodo di divieto generale. 
    Per il ricorrente la disposizione impugnata si pone in  contrasto
anche con l'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art. 18,
commi 1, 1-bis e 2, della legge n. 157 del 1992, che,  in  attuazione
dell'art. 7 della Direttiva del Parlamento europeo  e  del  Consiglio
concernente  la  conservazione  degli  uccelli  selvatici   (versione
codificata), 30  novembre  2009,  n.  2009/147/CE,  definisce  l'arco
temporale in cui e' consentito il prelievo venatorio. 
    6.- L'art. 68, comma 1, modifica il comma 5  dell'art.  24  della
legge regionale n. 50 del 1993, che disciplina i comprensori  alpini,
quali associazioni senza fini di lucro aventi scopi di programmazione
dell'esercizio  venatorio  e  di  gestione  della  fauna   selvatica,
estendendo ad essi i commi 5, 5-bis, 5-ter, 8, 9, 11 e  12  dell'art.
21, sugli organi degli ambiti territoriali  di  caccia.  Il  comitato
direttivo dei comprensori alpini, a seguito della modifica introdotta
dalla   disposizione   impugnata,   e'   composto   anche   da   «tre
rappresentanti designati dalle strutture  locali  delle  associazioni
venatorie riconosciute a livello nazionale o regionale». 
    Il ricorrente rileva che, in base all'art. 14,  comma  10,  della
legge  n.  157  del  1992,  negli  organi  direttivi   degli   ambiti
territoriali di caccia deve essere assicurata la  presenza  paritaria
delle associazioni venatorie con riferimento a quelle riconosciute  a
livello  nazionale.  La  disposizione  interposta   esprimerebbe   un
requisito  minimo  di   salvaguardia   a   tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). 
    7.- L'art. 69, comma 2, introduce il  comma  3-bis  nell'art.  20
della legge regionale n. 50 del 1993, ammettendo, tra l'altro,  l'uso
della barca a motore quale mezzo di trasporto per il  recupero  della
fauna selvatica ferita o abbattuta. «Il recupero e' consentito  anche
con l'ausilio del cane e del fucile, entro un raggio non superiore ai
duecento metri dall'appostamento». 
    Secondo il ricorrente, tale norma si pone in contrasto con l'art.
12, commi 2 e 3, della legge n. 157 del 1992 che definisce  esercizio
venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di  fauna
selvatica mediante l'impiego del  fucile.  Sarebbe  violato  altresi'
l'art. 21, comma 1,  della  medesima  legge  che  vieta  di  cacciare
«sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili». 
    La modifica introdotta dal legislatore regionale violerebbe anche
l'art. 30, comma 1, lettera i), della legge  n.  157  del  1992,  che
sanziona chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, da natanti o
da aeromobili. 
    8.- Infine, l'impugnato  art.  71,  che  dispone  misure  per  il
contenimento del cormorano  (Phalacrocorax  carbo),  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost. in riferimento  all'art.
9 della richiamata direttiva 2009/147/CE, che definisce le condizioni
per accedere alle deroghe previste per l'abbattimento di  specie  non
cacciabili, secondo quanto stabilito anche dal parere motivato  della
Commissione europea sulla procedura di infrazione n. 2006/2131 (punto
32). 
    L'aver  previsto  piani  di  abbattimento   del   cormorano   con
legge-provvedimento, anziche' con atto  amministrativo,  integrerebbe
per il ricorrente altresi' una lesione dell'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., in base all'art. 19-bis, comma 2, della  legge  n.
157 del 1992. 
    L'art. 71, inoltre, prevedendo ulteriori soggetti autorizzati  al
prelievo della fauna protetta, si porrebbe  in  contrasto  anche  con
l'art. 19, comma 2, della legge n. 157  del  1992,  che  contiene  un
elenco tassativo dei soggetti abilitati all'abbattimento. 
    9.- Si e' costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che
il ricorso sia dichiarato inammissibile e, in subordine, infondato. 
    Con riferimento all'art. 55, la Regione afferma che il  principio
della riserva di legge e' rispettato anche in assenza di una espressa
indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a
delimitare l'ambito di  discrezionalita'  dell'amministrazione.  Essi
sarebbero  ricavabili  dalla  lettera  della  legge  e  dal  contesto
normativo. 
    L'intervento del legislatore regionale si colloca all'interno  di
una complessiva regolamentazione dell'attivita' di pesca, offrendo il
titolo al regolatore di introdurre specifici oneri in  considerazione
delle peculiarita' di alcune specie  o  territori  o  corsi  d'acqua,
equiparando i residenti e i non residenti. 
    Riguardo alla violazione dell'art. 3 Cost.,  la  censura  sarebbe
inammissibile, in  quanto  ipotetica,  rappresentando  uno  «scenario
presupposto indimostrato», ovvero che gli oneri di cui al comma l-ter
dell'art. 9 della legge regionale  n.  19  del  1998  abbiano  natura
tributaria. 
    Nel merito, tale motivo di ricorso sarebbe infondato,  in  quanto
il principio di eguaglianza non impone in ambito tributario che tutti
siano trattati in maniera indifferenziata. La ratio  della  norma,  a
parere della difesa regionale, e' volta ad addossare a  soggetti  non
radicati nel territorio un  onere,  onde  riequilibrare  gli  effetti
derivanti dall'attivita' posta in essere su di un territorio ad  essi
«estraneo», mediante un'attivita' che va a detrimento dei residenti. 
    9.1.- Con riferimento all'art. 65, la previsione di  cumulare  le
forme di esercizio venatorio non introdurrebbe un  regime  di  deroga
indiscriminato e irragionevole, ma  rappresenterebbe  un'integrazione
della disciplina statale, diluendo sul territorio  le  concentrazioni
di cacciatori. 
    Con riferimento alla violazione dell'art. 31,  comma  l,  lettera
a),  della  legge  n.  157  del  1992,  che  definisce  le   sanzioni
amministrative per le violazioni delle disposizioni  della  legge  in
parola, non si ravviserebbe un'illegittima intrusione  in  un  ambito
sanzionatorio  di  competenza  statale,  bensi'  un'integrazione  del
precetto ammessa dal legislatore statale. 
    La violazione da  parte  del  comma  l-quater  dell'art.  14  del
principio della caccia programmata di cui all'art. 14, commi l  e  5,
della legge n. 157 del 1992, e' per la  resistente  insussistente  in
quanto la norma si limita  a  disciplinare  una  forma  di  mobilita'
venatoria prevista dall'art. 14, comma 5,  della  legge  n.  157  del
1992. 
    9.2.- L'addestramento e l'allenamento dei cani da caccia  di  cui
all'art. 66, commi l e 2, non costituiscono  attivita'  venatoria  e,
dunque, ad essi non si possono applicare i limiti temporali  relativi
all'attivita' di caccia, ma occorre invece  tenere  conto  delle  sue
peculiari modalita' di svolgimento.  Non  si  ravviserebbe,  inoltre,
nessun contrasto rispetto alla programmazione faunistico-venatoria  e
non sarebbe esautorata l'ISPRA nella sua attivita' di indirizzo. 
    Rispetto all'art. 18, commi l, l-bis e 2, della legge n. 157  del
1992, attuativo  dell'art.  7  della  direttiva  n.  2009/147/CE,  la
censura sarebbe inammissibile, dal momento che la  normativa  statale
fissa i limiti temporali unicamente per l'attivita' venatoria che non
puo' essere identificata con l'attivita' di addestramento dei cani da
caccia. Infondato  appare,  poi,  il  motivo  di  illegittimita'  per
interferenza rispetto alla normativa  sanzionatoria  contenuta  negli
artt. 30, comma l, lettera a), e 31, comma l, lettera a), della legge
n. 157 del 1992, poiche' le fattispecie sanzionatorie fanno  espresso
riferimento  all'esercizio  della  caccia   che   e'   cosa   diversa
dall'attivita' di addestramento alla caccia  nell'ambito  delle  aree
consentite  e  con  le  modalita'  prescritte  dalla   pianificazione
faunistico-venatoria. 
    9.3.-  La  censura  di  cui  all'art.  68,   comma   l,   sarebbe
manifestamente inammissibile per l'erronea individuazione della norma
interposta, rappresentata dal comma 10 dell'art. 14  della  legge  n.
157 del 1992, che fa riferimento alle modalita' di  costituzione  del
comitato direttivo dei soli ambiti territoriali di  caccia  e  non  a
quello dei comprensori alpini. Tuttavia, in assenza di  una  espressa
disciplina statale che regoli le modalita' di formazione degli organi
dei  comprensori  alpini,   nell'esercizio   della   discrezionalita'
legislativa riconosciuta  alle  Regioni  in  materia  di  caccia,  la
previsione che estende anche alle associazioni venatorie riconosciute
a livello regionale  la  possibilita'  di  essere  rappresentate  nei
comitati direttivi dei  comprensori  alpini  appare  in  armonia  con
l'art. 14, comma 10, della legge n. 157. 
    9.4.- La censura  di  cui  all'art.  69,  comma  2,  appare  alla
resistente  manifestamente  inammissibile,  in  quanto  oscura.   Non
sarebbe possibile equiparare la fattispecie dello sparare da  veicoli
a motore, natanti o aeromobili, all'uso di tali mezzi per raggiungere
e ritornare dagli appostamenti di caccia. 
    9.5.- Infine, secondo la Regione, l'art. 71, non rappresenta  una
norma di legge-provvedimento diretta a introdurre una deroga ai sensi
dell'art. 9 della direttiva 2009/147/CE, ma e' una  disposizione  che
organizza l'esercizio del potere di deroga in  parola,  nel  rispetto
della disciplina statale e dell'Unione europea. 
    Con riguardo all'estensione dell'elenco  dei  soggetti  abilitati
all'abbattimento dei cormorani, in violazione dell'art. 19, comma  2,
della legge n. 157 del 1992, il contrasto con la  disciplina  statale
sarebbe superabile in quanto la legge regionale consente il  prelievo
ai soggetti indicati, solo ove autorizzati  dalle  Province  e  dalla
Citta' metropolitana di Venezia. 
    10.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,   il   Governo   ha
depositato una memoria per insistere nel chiedere l'accoglimento  del
ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 55, 65, 66, commi 1 e 2,  68,
comma 1, 69, comma 2, e 71 della legge della Regione Veneto 27 giugno
2016, n. 18 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa  in
materia di politiche economiche,  del  turismo,  della  cultura,  del
lavoro, dell'agricoltura, della pesca, della caccia e  dello  sport),
per violazione degli artt. 3, 23, 117, primo e secondo comma, lettera
s), della Costituzione. 
    2.- Le norme impugnate, ad  eccezione  dell'art.  71,  modificano
alcune disposizioni delle leggi  regionali  28  aprile  1998,  n.  19
(Norme per la tutela  delle  risorse  idrobiologiche  e  della  fauna
ittica e per la disciplina dell'esercizio  della  pesca  nelle  acque
interne e marittime interne della Regione Veneto), e 9 dicembre 1993,
n. 50 (Norme per  la  protezione  della  fauna  selvatica  e  per  il
prelievo venatorio). 
    L'impugnato art. 55 deve ritenersi censurato  esclusivamente  con
riferimento al comma 1, che aggiunge il comma 1-ter all'art. 9  della
legge regionale n.  19  del  1998  e  dispone  che  la  Regione  puo'
stabilire, nelle acque non oggetto di concessione,  «eventuali  oneri
ulteriori per i non residenti in Veneto mediante provvedimento  della
Giunta regionale». 
    Secondo il ricorrente, tale disposizione  violerebbe:  l'art.  23
Cost., poiche' non specifica la natura di tali  oneri  e  rimette  la
determinazione degli stessi ad un provvedimento amministrativo  della
Giunta regionale;  l'art.  3  Cost.,  poiche',  qualora  detti  oneri
costituiscano una tassa di  concessione,  avente  natura  tributaria,
sarebbe attribuito alla Giunta regionale il  potere  di  imporre  con
provvedimento amministrativo un tributo a carico dei  soli  cittadini
«non  residenti  in  Veneto»,  in  contrasto  con  il  carattere   di
generalita' dell'imposizione fiscale. 
    3.- Per economia di giudizio deve essere esaminata  anzitutto  la
censura riferita all'art. 23  Cost.,  spettando  a  questa  Corte  di
stabilire  l'ordine  delle   questioni,   eventualmente   dichiarando
assorbite le altre (ex multis, sentenza n. 107 del 2017). 
    3.1.- Con riferimento alla censura relativa all'art. 23 Cost., la
questione e' fondata. 
    3.2.-  Secondo  la  costante  giurisprudenza  costituzionale,  il
carattere relativo della riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost.
permette di ritenere che spetta all'autorita' amministrativa un ampio
margine nella delimitazione della fattispecie impositiva e, tuttavia,
resta ferma la necessita' della fonte primaria, che non  puo'  essere
relegata «sullo sfondo»,  ne'  essere  formulata  quale  prescrizione
normativa «in bianco» (sentenza n. 83 del 2015; nello  stesso  senso,
sentenza n. 69 del 2017). La norma primaria  deve  dunque  stabilire,
anche se  non  in  dettaglio,  i  contenuti  e  i  modi  «dell'azione
amministrativa  limitativa  della  sfera  generale  di  liberta'  dei
cittadini» (sentenze n. 83 del 2015 e n. 115 del 2011). 
    La riserva di legge dell'art. 23 Cost. esige che la  norma  rechi
la fissazione di «sufficienti  criteri  direttivi  di  base  e  linee
generali  di  disciplina   della   discrezionalita'   amministrativa»
(sentenza n. 350 del 2007 e, nello stesso senso, sentenza n. 105  del
2003) e definisca chiaramente «la concreta entita' della  prestazione
imposta» (ex plurimis, le richiamate sentenze n. 69 del 2017,  n.  83
del 2015, n. 115 del 2011). 
    Tali principi non sono rispettati dalla disposizione regionale in
esame, che contiene la sola previsione  del  potere  attribuito  alla
Giunta regionale di stabilire, con proprio  provvedimento,  ulteriori
oneri  per  i   non   residenti   in   Veneto.   E'   dunque   chiara
l'indeterminatezza del contenuto della prestazione,  ancora  piu'  in
considerazione dell'impossibilita' di desumere, anche implicitamente,
i criteri direttivi  che  dovrebbero  orientare  la  discrezionalita'
della Giunta regionale nell'attuazione della disposizione  impugnata.
Tale indeterminatezza, anche alla luce dei lavori preparatori,  porta
a ritenere che si  tratti  di  una  fattispecie  impositiva.  Da  qui
discende il contrasto della norma in esame con la riserva di legge in
materia di prestazioni patrimoniali imposte di cui all'art. 23 Cost. 
    4.- Resta assorbita la censura riferita all'art. 3 Cost. 
    5.- Le altre disposizioni impugnate  modificano  o  integrano  la
legge regionale n. 50 del 1993, in materia di caccia. 
    6.- Il censurato art. 65 inserisce i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater
e 1-quinquies all'art. 14 della legge regionale n. 50  del  1993.  Il
combinato  disposto  dei  commi  1-bis,  1-ter  e   l-quinquies   del
richiamato art. 14 consente, a determinate condizioni indicate  dalla
disposizione stessa, che la caccia  sia  esercitata  in  altra  forma
rispetto a quella per  cui  si  e'  previamente  optato.  Per  questa
ragione, secondo il ricorrente, la disposizione impugnata si porrebbe
in contrasto con l'art. 12, comma 5,  della  legge  11  febbraio  del
1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio), che non consente di cumulare le diverse
forme di esercizio venatorio, nonche' con la disciplina sanzionatoria
disposta dagli artt. 31, comma 1, lettera a), e 32, comma 4. 
    6.1.- La questione e' fondata. 
    La materia della caccia, secondo la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, rientra  nella  potesta'  legislativa  residuale  delle
Regioni, tenute nondimeno a rispettare i criteri fissati dalla  legge
n. 157 del 1992, a salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema. Tale
legge stabilisce il punto di equilibrio tra  «il  primario  obiettivo
dell'adeguata salvaguardia del  patrimonio  faunistico  nazionale»  e
«l'interesse [...] all'esercizio dell'attivita' venatoria»  (sentenza
n. 4 del 2000); conseguentemente,  i  livelli  di  tutela  da  questa
fissati non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (da
ultimo, sentenze n. 139 e n. 74 del 2017). 
    L'art. 12 della legge n. 157 del 1992 dispone che la caccia  puo'
essere praticata in via esclusiva in una  delle  forme  dalla  stessa
previste, al fine di preservare la sopravvivenza  e  la  riproduzione
delle specie cacciabili. In considerazione di tale ratio della  norma
statale, la legge regionale puo' intervenire su detto  profilo  della
disciplina  esclusivamente  innalzando  il   livello   della   tutela
(sentenze n. 139 del 2017 e n. 278 del 2012). 
    La disposizione impugnata, permettendo, sia  pure  limitatamente,
una forma di attivita' venatoria diversa da  quella  per  cui  si  e'
optato in via generale,  viola  dunque  la  norma  interposta  ed  e'
costituzionalmente illegittima. 
    6.2.- L'impugnato art.  65  introduce  anche  il  comma  1-quater
nell'art. 14 della legge regionale n. 50 del 1993,  che  consente  ai
cacciatori, in presenza di dati requisiti, la facolta' di  esercitare
l'attivita' venatoria  nei  confronti  della  fauna  migratoria,  per
trenta giorni, in tutti gli ambiti territoriali di caccia. 
    Secondo il ricorrente,  la  disposizione  violerebbe  l'art.  14,
commi 1 e 5, della legge n. 157 del 1992, in virtu'  del  quale  ogni
cacciatore,  previa  domanda  all'amministrazione  competente,   puo'
accedere ad un ambito territoriale di caccia  o  ad  un  comprensorio
alpino della Regione in cui risiede; egli puo', inoltre, accedere  ad
ambiti diversi soltanto previo consenso degli organi di gestione. 
    6.3.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha piu' volte affermato che,  con  l'art.  14  della
legge n. 157 del 1992, il legislatore statale ha inteso circoscrivere
il territorio  di  caccia,  determinando,  allo  stesso  tempo,  «uno
stretto vincolo tra il cacciatore ed  il  territorio»  nel  quale  e'
autorizzato l'esercizio dell'attivita' venatoria. Tale norma  statale
mira, inoltre, a valorizzare il ruolo della  comunita'  insediata  in
quel territorio, chiamata,  attraverso  gli  organi  direttivi  degli
ambiti, «a gestire le risorse faunistiche» (sentenze n. 142 del  2013
e n. 4 del 2000). 
    La ripartizione in ambiti territoriali di  caccia  di  dimensione
ridotta, desumibile dal complessivo quadro normativo,  e'  necessaria
al  fine  di  permettere   un'attivita'   di   controllo   da   parte
dell'amministrazione competente che, ai sensi del richiamato art. 14,
comma 3, verifica periodicamente l'adeguatezza  del  rapporto  tra  i
cacciatori autorizzati e la porzione di territorio interessata. E' in
questo contesto che si colloca la norma statale, evocata a  parametro
interposto, che contempla una  richiesta  per  accedere  agli  ambiti
territoriali di caccia della Regione nei quali il cacciatore  non  e'
autorizzato ad esercitare l'attivita' venatoria. 
    Nella  specie,  la   disposizione   impugnata,   stabilendo   che
l'attivita' venatoria  nei  confronti  della  fauna  migratoria  puo'
essere svolta in ambiti di caccia diversi  da  quelli  nei  quali  il
soggetto e' autorizzato ad accedere, senza prescrivere una  richiesta
preventiva all'amministrazione competente, non consente  agli  organi
di  gestione  di  avere  contezza  dei  soggetti  che  effettivamente
esercitano l'attivita' venatoria in quella porzione di territorio  e,
quindi, si pone in contrasto  con  la  richiamata  norma  interposta,
violando l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    7.- Il censurato art. 66, commi l e 2, modifica l'art.  18  della
legge regionale n. 50 del 1993, sostituendo il comma l e introducendo
il comma 1-bis. I nuovi commi dispongono che le Province istituiscono
le zone destinate all'allenamento e  all'addestramento  dei  cani  da
caccia anche su fauna selvatica  naturale  o  con  l'abbattimento  di
fauna d'allevamento appartenente alle specie cacciabili (comma  1)  e
che dette attivita' possono svolgersi  durante  tutto  l'anno  (comma
1-bis). 
    Secondo il ricorrente  la  disposizione  violerebbe  l'art.  117,
primo comma, Cost., in riferimento all'art. 18, commi 1, 1-bis  e  2,
della legge n. 157 del 1992,  che  definisce  i  periodi  in  cui  e'
consentito il prelievo venatorio, in  attuazione  dell'art.  7  della
Direttiva del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  concernente  la
conservazione degli uccelli selvatici (versione  codificata)  del  30
novembre 2009, n. 2009/147/CE. 
    La  disposizione  impugnata  violerebbe,  altresi',  l'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost.: in riferimento all'art.  10,  comma
1, della legge n. 157 del 1992, che prevede l'obbligo  delle  Regioni
di   regolamentare   il   prelievo   venatorio   mediante   i   piani
faunistico-venatori e non con atto  legislativo;  in  riferimento  al
parere  dell'Istituto  superiore  per  la  protezione  e  la  ricerca
ambientale (ISPRA), che indica il periodo utile all'addestramento dei
cani da caccia, sulla base dell'art. 7 della legge n. 157  del  1992,
nell'ambito della sua funzione di indirizzo in materia (parere del 22
agosto 2012); in riferimento, infine, all'art. 30, comma  1,  lettera
a), e all'art. 31, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del  1992,
incidendo anche sulla normativa sanzionatoria  per  chi  esercita  la
caccia nei periodi vietati. 
    7.1.- La  questione  avente  ad  oggetto  la  denunciata  lesione
dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,  da  esaminare  in
linea preliminare, e' fondata. 
    Questa Corte, nello  scrutinare  norme  di  leggi  regionali  che
prevedevano   l'arco   temporale   durante    il    quale    svolgere
l'addestramento e l'allenamento dei cani da caccia, ha  costantemente
affermato che gli artt. 10 e 18 della legge n. 157 del 1992 rimettono
la definizione di tale arco temporale al piano  faunistico-venatorio.
Tali norme statali assicurano, cosi', le «garanzie procedimentali per
un giusto equilibrio tra i vari interessi  in  gioco,  da  soddisfare
anche attraverso l'acquisizione di pareri tecnici»,  con  conseguente
divieto per  la  Regione  di  ricorrere  ad  una  legge-provvedimento
(sentenza n. 139 del 2017; nello stesso senso, sentenza  n.  193  del
2013). 
    La disciplina statale fissa  una  regola  di  tutela  ambientale,
violata  dalla  disposizione  regionale  impugnata  che  e',  quindi,
costituzionalmente illegittima. 
    7.2.- Restano assorbite le ulteriori censure. 
    8.- L'impugnato art. 68,  comma  1,  stabilisce:  «[a]l  comma  5
dell'articolo 24 della legge regionale 9  dicembre  1993,  n.  50  le
parole: "di cui ai commi  8,  9,  11  e  12  dell'articolo  21"  sono
sostituite con le parole: "di cui ai commi 5, 5-bis, 5-ter, 8, 9,  11
e 12 dell'articolo 21"». 
    L'art. 21 della legge regionale n. 50 del 1993 regola gli  ambiti
territoriali di caccia, quali strutture  associative  senza  fini  di
lucro, aventi scopi di programmazione dell'esercizio venatorio  e  di
gestione della fauna selvatica su un territorio delimitato dal  piano
faunistico-venatorio regionale. Con la  disposizione  censurata  sono
state estese all'art. 24 della legge regionale n. 50 del  1993  anche
le norme relative alla composizione dei comitati di gestione, di  cui
ai commi 5, 5-bis e 5-ter, dell'art. 21. 
    8.1.- Ad avviso del ricorrente, la  norma  censurata,  stabilendo
che l'art. 21, comma 5, della legge  regionale  n.  50  del  1993  si
applica  anche  ai  comprensori  alpini,  comporta  che  il  comitato
direttivo degli stessi e'  nominato  dalla  Provincia,  scegliendo  i
componenti  «tra   le   tre   associazioni   riconosciute   le   piu'
rappresentative a livello nazionale o regionale»; esso e' composto da
tre   rappresentanti   designati   dalle   strutture   locali   delle
associazioni  venatorie   «riconosciute   a   livello   nazionale   o
regionale», che vanno  ad  affiancarsi  a  tre  rappresentanti  delle
organizzazioni  professionali  agricole  rappresentative  a   livello
nazionale, e da due rappresentanti delle associazioni  di  protezione
ambientale riconosciute a livello nazionale. 
    Secondo il ricorrente, detta disposizione violerebbe l'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento all'art.  14,  comma
10, della legge n. 157 del 1992, il quale stabilisce che negli organi
direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere  assicurata
la presenza  delle  associazioni  venatorie  riconosciute  a  livello
nazionale, recando un principio  rappresentativo  che  si  imporrebbe
alla Regione. 
    8.2.- La preliminare eccezione di inammissibilita' proposta dalla
Regione Veneto, per erronea individuazione  della  norma  interposta,
non e' fondata. 
    La  disposizione  regionale  impugnata   estende,   infatti,   la
disciplina sulla rappresentanza nei comitati direttivi  degli  ambiti
territoriali di caccia ai comprensori alpini. E' dunque palese che la
norma statale interposta e' proprio l'art. 14, comma 10, della  legge
n. 157 del  1992,  che  disciplina  la  rappresentanza  dei  comitati
direttivi degli ambiti territoriali di caccia. 
    8.3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    La competenza legislativa residuale  spettante  alle  Regioni  in
materia di caccia deve essere esercitata  rispettando  i  livelli  di
tutela garantiti dalla legislazione statale fissati  dalla  legge  n.
157 del 1992 (ex plurimis, sentenze n. 2 del 2015, n. 142 del  2013).
Inoltre, questa Corte ha anche affermato che  l'art.  14,  comma  10,
della legge n. 157 del 1992 stabilisce uno standard  inderogabile  di
tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,   con   riferimento   alla
composizione degli organi direttivi (sentenze n. 124 del 2016, n. 268
del 2010 e n. 165 del 2009). Secondo tale disposizione, «negli organi
direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere  assicurata
la presenza paritaria, in misura  pari  complessivamente  al  60  per
cento dei componenti, dei rappresentanti di  strutture  locali  delle
organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative  a
livello  nazionale   e   delle   associazioni   venatorie   nazionali
riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20
per  cento  dei  componenti  e'  costituito  da   rappresentanti   di
associazioni  di  protezione  ambientale   presenti   nel   Consiglio
nazionale per l'ambiente e il 20 per cento  da  rappresentanti  degli
enti locali». 
    La disposizione  statale  mira  a  preservare  la  rappresentanza
democratica  delle  categorie,  espressione  dei  diversi   interessi
sottesi all'attivita' venatoria. 
    Il confronto della norma  impugnata  con  quella  interposta  non
evidenzia, tuttavia, il contrasto denunciato dal ricorrente. La prima
di esse, nello stabilire  i  criteri  di  composizione  del  comitato
direttivo  dei  comprensori  alpini,   ha   infatti   preservato   la
rappresentanza   delle   associazioni   agricole,   ambientaliste   e
venatorie, introducendo, quale unico elemento innovativo, la presenza
negli stessi  anche  dei  rappresentanti  di  associazioni  venatorie
riconosciute a livello regionale,  mantenendo  i  medesimi  requisiti
richiesti dalla norma interposta quanto  a  profili  organizzativi  e
istituzionali (art. 21, comma 5-bis, della legge n. 50 del 1993). 
    Detta   previsione   riposa,   non    irragionevolmente,    sulla
valorizzazione della particolarita' dei comprensori alpini, a cui  la
stessa legge statale riserva peculiari forme di autonomia. L'art.  11
della legge n. 157 del 1992, nel  disciplinare  il  regime  venatorio
nella zona delle Alpi, stabilisce infatti che le Regioni interessate,
nel rispetto di tale legge, emanano «norme  particolari  al  fine  di
proteggere  la  caratteristica  fauna  e   disciplinare   l'attivita'
venatoria, tenute presenti le consuetudini e le  tradizioni  locali».
Il legislatore statale ha dunque stabilito, in riferimento alla  zona
delle Alpi,  una  disciplina  che  permette  di  tenere  conto  delle
peculiari caratteristiche del territorio e della  specificita'  delle
realta' locali e di valorizzare la prossimita' dei cacciatori e delle
associazioni rappresentative con il territorio. 
    Pertanto,  la  previsione  della   partecipazione   ai   comitati
direttivi dei comprensori alpini di rappresentanti delle associazioni
regionali, da un canto, costituisce attuazione del principio generale
fissato dalla legge statale, il quale consente appunto che gli stessi
siano  oggetto  di  una   regolamentazione   specifica.   Dall'altro,
valorizza la necessita' di una conoscenza specifica di tali territori
e delle tradizioni  e  consuetudini  locali,  in  quanto  strumentali
rispetto  allo  scopo  di  proteggere  la  fauna  e  di  disciplinare
l'attivita' venatoria,  ferma  ovviamente  la  verifica,  nella  fase
applicativa, dell'idoneita' delle associazioni regionali ad esprimere
democraticamente l'indirizzo dei cacciatori iscritti alle medesime. 
    9.- Il censurato art. 69,  comma  2,  inserisce  il  comma  3-bis
nell'art. 20 della legge regionale n. 50 del 1993, e dispone  che  e'
ammesso «l'uso della barca a motore  quale  mezzo  di  trasporto  per
raggiungere e ritornare dagli appostamenti  di  caccia.  E'  altresi'
ammesso l'uso della barca  per  il  recupero  della  fauna  selvatica
ferita o abbattuta. Il recupero e' consentito anche con l'ausilio del
cane e del fucile, entro un raggio non superiore  ai  duecento  metri
dall'appostamento». 
    Secondo il ricorrente, la disposizione viola l'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione all'art.  12,  commi  2  e  3,
della legge  n.  157  del  1992,  in  virtu'  del  quale  costituisce
esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura
di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi di cui al  successivo
art. 13. La disciplina statale prevede dunque  che  il  recupero  dei
capi feriti con l'uso delle armi e' considerato esercizio venatorio e
ad esso sono applicabili i divieti e  le  garanzie  proprie  di  tale
attivita'; sarebbero quindi applicabili l'art. 21, comma  1,  lettera
i), della legge n. 157 del 1992, che vieta  a  chiunque  di  cacciare
sparando da natanti, e l'art. 30, comma 1, lettera  i),  della  legge
richiamata, che prevede le relative misure sanzionatorie. 
    9.1.- La questione e' fondata. 
    9.2.- Preliminarmente, va sottolineato che  non  e'  corretta  la
tesi della resistente, secondo cui non sarebbe  possibile  equiparare
le fattispecie costituite, l'una, dallo sparare da veicoli a  motore,
natanti o aeromobili; l'altra, dall'uso di tali mezzi per raggiungere
e ritornare dagli appostamenti di caccia. 
    Le sentenze di questa Corte n. 139 del  2017  e  n.  2  del  2015
hanno, infatti, affermato che l'attivita'  di  recupero  della  fauna
selvatica con l'utilizzo delle armi costituisce  esercizio  venatorio
ed e' percio' soggetta ai limiti e alle garanzie previste dalla legge
statale n. 157 del 1992, la quale stabilisce un livello  uniforme  di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema 
    9.3.- La norma regionale in esame, permettendo il recupero  della
fauna abbattuta o ferita, utilizzando una barca e con  l'ausilio  del
fucile, legittima l'esercizio venatorio  mediante  l'utilizzo  di  un
natante.  Pertanto,  anche  alla  luce  delle  sentenze   da   ultimo
richiamate, detta norma, limitatamente alla parte in  cui  stabilisce
che «il recupero e' consentito anche con l'ausilio [...] del fucile»,
si pone in contrasto con lo standard di tutela fissato dall'art.  21,
comma 1, lettera i), della legge n. 157 del 1992, il quale  prescrive
il  divieto  di  cacciare  servendosi  di  natanti,  ed   e'   dunque
costituzionalmente illegittima. 
    10.-  L'impugnato  art.  71,  infine,  introduce  misure  per  il
contenimento del cormorano (Phalacrocorax carbo) indicando, altresi',
i soggetti abilitati ad attuare i piani di abbattimento. 
    Secondo il ricorrente, detta disposizione violerebbe l'art.  117,
primo  comma,  Cost.,  in  riferimento  all'art.  9  della  direttiva
2009/147/CE, il quale prevede che le deroghe alla medesima  direttiva
devono menzionare «le condizioni di rischio e le circostanze di tempo
e di luogo in cui esse possono essere applicate». 
    Infine, la norma si porrebbe in contrasto con l'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., in  relazione  all'art.  19-bis,  comma  2,
della legge n. 157 del 1992, secondo cui le  deroghe  possono  essere
disposte con atto amministrativo e non  con  atto  legislativo  delle
Regioni e soltanto in assenza di altre  soluzioni  soddisfacenti,  in
via eccezionale e per periodi limitati. 
    10.1.- La questione, in riferimento  alla  denunciata  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,  da  esaminare  in
linea preliminare, e' fondata. 
    Questa Corte, nello scrutinare disposizioni  di  leggi  regionali
che prevedevano deroghe al divieto di cacciare specie  protette,  con
legge-provvedimento anziche' con atto amministrativo, le ha  ritenute
in contrasto con l'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992  (sentenza
n.  250  del  2008).  In  particolare,  e'  stato  sottolineato   che
l'autorizzazione ad abbattere specie protette in  deroga,  con  legge
regionale anziche' con atto amministrativo, impedisce  al  Presidente
del Consiglio dei ministri di esercitare il potere di annullamento di
tali provvedimenti, adottati dalle Regioni, attribuitogli dalla norma
statale. Detto potere, per costante giurisprudenza di  questa  Corte,
e' finalizzato a «garantire una uniforme e adeguata protezione  della
fauna selvatica su tutto il territorio nazionale»  (sentenza  n.  250
del 2008). 
    Di qui la violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),
Cost. 
    11.- Il citato art. 71, comma  4,  e'  stato  impugnato  altresi'
nella parte in cui amplia l'elenco dei soggetti che possono attuare i
piani di abbattimento. 
    Il vulnus all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  ad
avviso del ricorrente, si riscontra in riferimento all'art. 19, comma
2, della legge n. 157 del 1992, che contiene  l'elenco  dei  soggetti
che devono attuare il contenimento delle specie protette. 
    11.1.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha costantemente  ritenuto  che  l'elenco  contenuto
nella disposizione  statale,  che  identifica  i  soggetti  abilitati
all'attivita' di contenimento delle  specie  protette,  ha  carattere
tassativo: una sua integrazione, da parte del legislatore  regionale,
riduce  «il  livello  minimo  e  uniforme  di  tutela  dell'ambiente»
(sentenza n. 139 del 2017; nello stesso senso, ex multis, sentenza n.
107 del 2014). 
    Da   cio'   discende   l'illegittimita'   costituzionale    della
disposizione impugnata. 
    12.- Restano assorbite le ulteriori censure. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  55,  comma
1,  della  legge  della  Regione  Veneto  27  giugno  2016,   n.   18
(Disposizioni di riordino e semplificazione normativa in  materia  di
politiche  economiche,  del  turismo,  della  cultura,  del   lavoro,
dell'agricoltura, della pesca, della caccia e dello sport); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  65  della
legge regionale n. 18 del 2016; 
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 66, commi 1
e 2, della legge regionale n. 18 del 2016; 
    4)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  del  comma  3-bis
dell'art. 20 della legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n.  50
(Norme per la protezione della fauna  selvatica  e  per  il  prelievo
venatorio), inserito dall'art. 69, comma 2, della legge regionale  n.
18 del 2016, limitatamente alle parole «e del fucile»; 
    5) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  71  della
legge regionale n. 18 del 2016; 
    6)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 68, comma 1, della legge regionale n. 18 del
2016, promossa in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso in epigrafe. 
    Cosi' deciso in  Roma  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA