N. 184 ORDINANZA 6 giugno - 13 luglio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Reati di non lieve entita' concernenti le  cd.  droghe
  pesanti - Pena minima edittale. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309
  (Testo  unico  delle  leggi  in   materia   di   disciplina   degli
  stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
  riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza),  art.  73,
  comma 1. 
-   
(GU n.29 del 19-7-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  73,  comma
1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi  stati  di  tossicodipendenza),  promosso  dalla  Corte   di
cassazione, sezione sesta penale, nel procedimento penale a carico di
W. C., con ordinanza del 12 gennaio  2017,  iscritta  al  n.  23  del
registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  W.  C.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 6 giugno 2017 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato Federico Vianelli per W. C. e  l'avvocato  dello
Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 12 gennaio 2017 (r.o. n.  23  del
2017), la Corte di cassazione, sezione  sesta  penale,  ha  sollevato
«questione di legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  gli
artt. 25, 3 e 27 Cost., in relazione all'art. 73, comma l,  d.P.R.  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella
parte in cui detta norma prevede - a seguito  della  sentenza  n.  32
dell'11 febbraio 2014 della Corte costituzionale  -  la  pena  minima
edittale di otto anni in luogo di quella di sei anni  introdotta  con
l'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n.  272,  convertito
con modificazioni con la legge 21 febbraio 2006, n. 49»; 
    che, in punto di rilevanza, il rimettente ha premesso  di  essere
chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto dal  pubblico  ministero
presso il Tribunale di Imperia contro la  sentenza  emessa  all'esito
del giudizio abbreviato il 22 aprile 2015 dal Giudice  per  l'udienza
preliminare del medesimo Tribunale, con la quale l'imputato W. C.  e'
stato  condannato  alle  pene  di  legge,  previa  concessione  delle
attenuanti generiche e previa riqualificazione come fatto  di  «lieve
entita'», ai sensi dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990,
delle originarie imputazioni  ex  art.  73,  comma  1,  dello  stesso
decreto; 
    che, come precisato dalla  rimettente  Corte  di  cassazione,  il
pubblico ministero  ha  chiesto  l'annullamento  della  sentenza  per
inosservanza o erronea applicazione di legge e  contraddittorieta'  o
manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla concessione
delle circostanze attenuanti generiche e  alla  riqualificazione  del
fatto come di «lieve entita'», ai sensi del citato art. 73, comma 5; 
    che il giudice a quo considera erronea  la  riqualificazione  del
fatto operata dal giudice di prime cure,  attesi  il  dato  ponderale
della sostanza detenuta, il contesto di spaccio continuato, abituale,
a cadenze ravvicinate, condotto con modalita' organizzate  e  rivolto
ad un'ampia platea di clienti, tutti elementi che portano a  ritenere
la sussistenza  dei  presupposti  dell'ipotesi  non  lieve  delineata
nell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990; 
    che da cio' il rimettente desume la rilevanza nel caso di  specie
delle questioni di legittimita' costituzionale aventi ad  oggetto  il
trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 73, comma 1, del  d.P.R.
n. 309 del  1990,  come  risultante  a  seguito  della  pronuncia  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del  d.l.  n.  272  del
2005, contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n.  32  del
2014, cio' in quanto «[g]iudica il Collegio  che,  in  considerazione
del quantitativo di  stupefacente  oggetto  delle  condotte  e  delle
modalita' e circostanze dei fatti - dunque  della  concreta  gravita'
dei reati  sotto  il  profilo  oggettivo  e  soggettivo  -,  pur  non
versandosi in casi riportabili al disposto del comma 5 dell'art.  73,
si tratti nondimeno di vicende di non particolare gravita',  rispetto
alle quali il Giudice di merito  investito  del  giudizio  di  rinvio
attesterebbe l'entita' della sanzione  intorno  al  minimo  edittale»
della pena detentiva che la Corte di cassazione ritiene non  conforme
al dettato costituzionale; 
    che, secondo la Corte di cassazione,  il  minimo  edittale  della
pena detentiva di otto anni di reclusione, costituendo non il  frutto
di una scelta legislativa, ma il risultato in  malam  partem  di  una
sentenza della Corte costituzionale, violerebbe  il  principio  della
riserva di legge di cui all'art. 25 Cost.; 
    che, in  particolare,  secondo  il  giudice  rimettente  -  ferma
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del d.l. n.  272  del
2005, dichiarata dalla Corte costituzionale con sentenza  n.  32  del
2014 per contrasto con l'art. 77, secondo comma,  Cost.  e  ferme  le
modifiche alla normativa in tema di stupefacenti conseguenti a  detta
pronuncia - il  ripristino  della  disciplina  anteriormente  vigente
risulterebbe,  nondimeno,  precluso  con   limitato   riguardo   alla
previsione - nel corpo dell'art. 73, comma l, del d.P.R. n.  309  del
1990  -  della  pena  detentiva  minima  edittale  di  otto  anni  di
reclusione (in luogo di quella di sei anni di  reclusione  introdotta
con la novella del 2005-2006); 
    che,   secondo   il   giudice   a   quo,   la   "re-introduzione"
nell'ordinamento giuridico di una disposizione in malam  partem,  per
effetto di una sentenza della  Corte  costituzionale,  violerebbe  il
principio di riserva di legge in materia penale sancito dall'art. 25,
secondo comma, Cost., norma  imperativa  direttamente  connessa  alla
tutela dei diritti fondamentali della persona, da ritenere prevalente
su quella confliggente di cui  al  citato  art.  77,  secondo  comma,
Cost.; 
    che, secondo la Corte di cassazione, «le sentenze  costituzionali
di accoglimento - di natura sia  ablativa,  sia  additiva  -,  avendo
carattere di generalita' (erga omnes),  incidono  direttamente  sulla
disciplina normativa vigente in una  determinata  materia  e  devono,
pertanto, essere considerate quali vere e proprie fonti  del  diritto
penale»; 
    che, tuttavia, sempre secondo il rimettente, esse nella gerarchia
delle fonti dovrebbero essere equiparate alla legge  ordinaria  e  da
cio' si dovrebbe ricavare che «l'esercizio della funzione legislativa
ad opera della giustizia costituzionale non puo' non raffrontarsi, ed
incontrare in essa un limite, con la  riserva  di  legge  in  materia
penale, sancita dall'art. 25, comma secondo, Cost. [...]  secondo  il
quale gli interventi in materia penale tesi  ad  ampliare  l'area  di
un'incriminazione ovvero ad inasprirne  le  sanzioni  possono  essere
legittimamente   compiuti   soltanto   ad   opera   del   legislatore
parlamentare»; 
    che, secondo il giudice a quo, in base ai principi esposti  nella
nota  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  394  del  2006  «lo
scrutinio di costituzionalita' - sebbene suscettibile di  riverberare
in una decisione in malam partem - sia consentito solo e soltanto con
riguardo alle norme penali di favore  in  senso  stretto,  id  est  a
quelle che  introducono  una  disciplina  speciale  rispetto  ad  una
disciplina generale», ma non nel caso di  norme  generali  favorevoli
quale dovrebbe essere considerato l'art. 73, comma 1, del  d.P.R.  n.
309  del  1990,  prima  della  piu'   volte   citata   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale; 
    che, ad avviso del giudice a quo, non potrebbero invocarsi  altre
pronunce costituzionali, in particolare quelle  riguardanti  casi  di
norme emanate  dal  Governo  «extra-delega»  legislativa,  scrutinati
«nelle sentenze n. 28 del 2010 e n.  5  del  2014»:  cio'  in  quanto
«negli  arresti  teste'  rammentati,  la   Consulta   ha   dichiarato
l'incostituzionalita' in malam partem sul presupposto che,  in  detti
casi, la norma favorevole espunta  dall'ordinamento  giuridico  fosse
stata emanata - nella sostanza - in assenza di potere  legislativo  e
che, di conseguenza, non vi fosse materia  per  ritenere  operante  e
validamente invocabile il principio della riserva di legge in materia
penale, sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost.»; 
    che, secondo la Corte di cassazione, sarebbe diverso il  caso  in
esame, nel quale la norma di  cui  al  citato  art.  4-bis  e'  stata
introdotta dal Parlamento quale disposizione  aggiuntiva  rispetto  a
quelle presenti, seppure in difetto di omogeneita', e quindi di nesso
funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle  censurate
introdotte nella legge di conversione, di tal che la  norma  generale
favorevole sarebbe stata «adottata - non da parte del  Governo  extra
delega, cioe' sostanzialmente in mancanza di  potere  legislativo  -,
bensi' dal  Parlamento,  organo  costituzionale  cui  spetta  in  via
esclusiva di legiferare in materia penale, pur commettendo  un  vizio
procedurale di rilievo costituzionale»; 
    che il giudice a quo, in  via  subordinata,  ritiene  violato  il
principio di ragionevolezza e proporzione delle pene, ai sensi  degli
artt. 3 e 27 Cost., sia in considerazione  dello  iato  sanzionatorio
sussistente tra il massimo della pena prevista per il fatto  lieve  e
il minimo della pena per il fatto non lieve,  sia  in  considerazione
della  previsione  di  un  trattamento   sanzionatorio   unitario   o
diversificato per categorie di stupefacente, a seconda del  carattere
lieve o non lieve delle condotte illecite; 
    che la Corte di cassazione si  manifesta  consapevole  del  fatto
che, con la sentenza n. 148 del  2016,  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato inammissibile, per assenza di soluzioni costituzionalmente
obbligate in materia riservata alla discrezionalita' legislativa, una
questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 73,  comma
l, del d.P.R. n. 309  del  1990,  come  risultante  a  seguito  della
sentenza n. 32 del 2014, sollevata per la disparita'  di  trattamento
sussistente tra le pene ivi previste e quelle di cui al comma  5  del
medesimo art. 73; 
    che, tuttavia, a differenza del precedente, nella specie verrebbe
sollecitato  un  intervento  della  Corte  costituzionale  volto   ad
ottenere, secondo i dettami di cui alla recente sentenza della  Corte
costituzionale n. 236 del 2016, la reductio  ad  legitimitatem  della
pena in base a una  «grandezza  gia'  rinvenibile  nell'ordinamento»,
nella specie rappresentata da quella gia' individuata dal legislatore
del  2006,  il  quale  aveva  comminato,  per  le  condotte  previste
nell'art. 73, comma l, del d.P.R. n. 309 del 1990, la pena minima  di
sei anni di reclusione per tutte le tipologie  di  droga  e,  dunque,
secondo il rimettente, anche per quelle cosiddette pesanti; 
    che, nell'opinione del rimettente, l'invocato petitum  -  mirante
al ripristino del trattamento sanzionatorio da sei a  venti  anni  di
reclusione introdotto dal legislatore in sede di conversione del d.l.
n. 272  del  2005  -  costituirebbe  l'unica  soluzione  conforme  ai
parametri costituzionali degli artt. 25, secondo comma, 3 e 27 Cost.,
cosi' da rappresentare un intervento "a  rime  obbligate",  idoneo  a
superare il vizio di inammissibilita' rilevato dalla  Corte  riguardo
alla precedente ordinanza di rimessione; 
    che, con atto depositato il 21  marzo  2017,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
vengano dichiarate inammissibili o infondate; 
    che,  in  particolare,  secondo  l'interveniente   le   questioni
sollevate sarebbero irrilevanti, in quanto, nel giudizio  a  quo,  la
Corte di cassazione non e' stata chiamata a decidere sul  trattamento
sanzionatorio stabilito dall'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309  del
1990, ma sulla correttezza della qualificazione giuridica  dei  fatti
sussunti dal giudice di prime cure nell'ipotesi lieve di cui all'art.
73, comma 5, del citato d.P.R., di tal che  sarebbe  ininfluente  sul
giudizio del rimettente  la  decisione  della  Corte  costituzionale,
all'esito della quale (e qualunque essa sia) la Corte  di  cassazione
null'altro potrebbe fare se non annullare  con  rinvio,  senza  poter
applicare la pena per i fatti riqualificati; 
    che, in ogni caso, le questioni sarebbero comunque infondate  nel
merito, in quanto il minimo edittale previsto nella norma  denunciata
dovrebbe  considerarsi  pienamente  rispettoso  del  principio  della
riserva di  legge  ai  sensi  dell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,
costituendo espressione di una scelta  del  legislatore  parlamentare
che ha ripreso vigore a seguito della declaratoria di  illegittimita'
costituzionale della norma che l'aveva modificata; 
    che incompatibile con il principio della riserva di legge sarebbe
invece  proprio  l'intervento  additivo  richiesto  dalla  Corte   di
cassazione,  in  quanto   fondato   sull'utilizzo   di   un   tertium
comparationis  ormai  definitivamente  espunto  dall'ordinamento   in
quanto costituzionalmente illegittimo; 
    che la norma denunciata costituirebbe il frutto di  un  esercizio
non irragionevole della  discrezionalita'  politica  del  Parlamento,
dettato dall'allarme sociale  rispetto  al  considerevole  numero  di
condotte non lievi concernenti le cosiddette droghe "pesanti"; 
    che, con atto depositato il 21 marzo 2017, si  e'  costituita  la
parte privata  e  ha  chiesto  che  le  sollevate  questioni  vengano
accolte; 
    che, con memoria depositata il 16 maggio 2017, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  insistito  per   l'inammissibilita'   e
l'infondatezza delle questioni sollevate. 
    Considerato che la Corte di  cassazione,  sezione  sesta  penale,
dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma  1,  del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella
parte in cui detta norma prevede - a  seguito  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 32 del 2014 - la pena minima  edittale  della
reclusione nella misura di otto anni, in luogo di quella di sei  anni
introdotta con l'art. 4-bis del decreto-legge 30  dicembre  2005,  n.
272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per
le   prossime   Olimpiadi   invernali,   nonche'   la   funzionalita'
dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per  favorire   il
recupero di tossicodipendenti recidivi e  modifiche  al  testo  unico
delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309), come convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 21 febbraio 2006, n. 49; 
    che, in via principale, il giudice a quo ravvisa  una  violazione
dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione in quanto  la  misura
della pena di otto anni, nel minimo edittale, sarebbe frutto  di  una
sentenza della Corte costituzionale - la n. 32 del 2014 - che avrebbe
determinato la "re-introduzione" di una disposizione penale in  malam
partem in contrasto con il principio della riserva di legge; 
    che, in via subordinata, il rimettente ritiene violati gli  artt.
3 e 27 Cost., in quanto lo iato sussistente tra  il  minimo  edittale
per i fatti non lievi concernenti le cosiddette  droghe  "pesanti"  -
otto anni - e il massimo della pena per i fatti lievi - quattro  anni
- per i quali, tra l'altro, non si distingue tra droghe  "pesanti"  e
droghe "leggere", contrasterebbe con i principi di  ragionevolezza  e
proporzione cui deve  sottostare  ogni  previsione  sanzionatoria  in
materia penale; 
    che le questioni sollevate sono manifestamente inammissibili  per
molteplici ragioni; 
    che l'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale) richiede, ai fini dell'ammissibilita' della questione
di legittimita' costituzionale in via incidentale, che  «il  giudizio
non possa essere definito indipendentemente dalla  risoluzione  della
questione» e che tale disposizione va interpretata nel senso  che  la
questione sollevata deve avere ad oggetto una disciplina  legislativa
applicabile nel giudizio a  quo  da  parte  del  giudice  rimettente,
sicche' la questione, per essere rilevante, deve concernere la  norma
applicabile in quella certa fase del giudizio; 
    che, infatti, secondo consolidata  giurisprudenza  costituzionale
(ex plurimis, ordinanze n. 259 del 2016, n. 161 del 2015 e n. 117 del
1984), non e' rilevante la questione di  legittimita'  costituzionale
avente ad oggetto un contenuto normativo che attiene al compimento di
un atto processuale inserito in una fase successiva a quella  in  cui
versa il giudizio a quo; 
    che, per tali motivi, le questioni sollevate non  sono  rilevanti
nel giudizio davanti alla Corte di cassazione, in quanto  la  suprema
Corte non deve fare applicazione della norma sanzionatoria censurata,
la quale verra' in rilievo nella  successiva  fase  del  giudizio  di
rinvio davanti al giudice  di  merito,  alla  cui  cognizione  dovra'
essere eventualmente rimessa la determinazione della pena  a  seguito
dell'annullamento  della  sentenza  di  primo  grado,  impugnata  per
inosservanza o erronea applicazione di legge e  contraddittorieta'  o
manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla concessione
delle circostanze attenuanti generiche e  alla  riqualificazione  del
fatto; 
    che, laddove la prospettiva decisoria del  giudice  a  quo  fosse
quella del rigetto o della inammissibilita' del  ricorso,  a  maggior
ragione si profilerebbe l'irrilevanza delle questioni, non potendo in
alcun modo venire  in  discorso  il  punto  relativo  al  trattamento
sanzionatorio, che neppure  costituisce  oggetto  di  devoluzione  da
parte del ricorrente; 
    che, inoltre, la questione sollevata in riferimento  all'art.  25
Cost. e' inammissibile  anche  per  intima  contraddittorieta'  della
motivazione, in quanto da un  lato  il  rimettente  afferma  la  tesi
secondo cui le sentenze della  Corte  costituzionale  costituirebbero
fonti del diritto equiparate alla legge - e, dall'altro, assume  che,
in quanto non equiparabile alla legge, la sentenza  n.  32  del  2014
della Corte costituzionale violi la riserva di legge di cui  all'art.
25 Cost.; 
    che, sempre in riferimento alla lesione dell'art.  25  Cost.,  la
questione e' inammissibile perche'  consiste  in  una  censura  degli
effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014,  di
cui costituisce un improprio tentativo di impugnazione, in violazione
dell'art. 137, terzo comma, Cost., secondo cui «[c]ontro le decisioni
della Corte costituzionale non e' ammessa alcuna impugnazione»; 
    che tale improprio  tentativo  di  impugnazione  si  risolve  nel
contestare l'affermazione della citata sentenza  n.  32  del  2014  -
analoga a quella gia' espressa dalla giurisprudenza costituzionale in
relazione ai vizi della delega legislativa e  del  suo  esercizio  da
parte del Governo, ex art. 76 Cost. (sentenze n. 5 del 2014 e n.  162
del  2012)  -  sulla  ripresa   dell'applicazione   della   normativa
precedente a quella dichiarata costituzionalmente illegittima ex art.
77  Cost.  data  l'inidoneita'  dell'atto,  per  il  radicale   vizio
procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi; 
    che, tuttavia, contraddittoriamente,  lo  stesso  giudice  a  quo
vorrebbe far  salvi  gli  effetti  in  bonam  partem  della  medesima
sentenza n. 32 del  2014,  connessi  alla  ripresa  di  vigore  della
precedente disciplina sanzionatoria sui fatti non  lievi  riguardanti
le cosiddette droghe "leggere"; 
    che, quindi, l'inammissibile tentativo  di  impugnazione  di  una
sentenza della Corte costituzionale e'  addirittura  fondato  su  una
motivazione  contraddittoria  e  illogica;   cio'   che   costituisce
ulteriore ragione di inammissibilita' della  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale; 
    che, in relazione alle censure sollevate ai sensi degli artt. 3 e
27 Cost., l'ordinanza di rimessione risulta inammissibile  anche  per
incompleta ed erronea ricostruzione del quadro normativo,  in  quanto
lo iato edittale tra le pene previste rispettivamente al comma 1 e al
comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, quale risulta  nella
misura attuale e oggetto di censura, non  e'  soltanto  frutto  degli
effetti della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale,  ma
anche di interventi del legislatore,  precedenti  e  successivi  alla
citata decisione; 
    che,  segnatamente,  il  decreto-legge  20  marzo  2014,  n.   36
(Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' di impiego di medicinali),
convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, non
solo ha ridotto il massimo edittale di  pena  prevista  per  i  fatti
lievi, allargando cosi', nei termini attuali, la forbice rispetto  al
minimo  edittale  previsto  per  i  fatti  non  lievi,  ma  ha  anche
completamente  ridisegnato  il  quadro  normativo   di   riferimento,
operando diversi adattamenti conseguenti alla decisione della Corte; 
    che, in relazione a tutte le questioni sollevate, si richiede  un
inammissibile ripristino di una disciplina sanzionatoria contenuta in
una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima  per  vizi
procedurali di  tale  gravita'  da  determinare  l'inidoneita'  dello
stesso a innovare l'ordinamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art.  73,  comma  1,  del  d.P.R.  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27 della
Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione  sesta  penale,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA