N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 giugno 2017

Ricorso per conflitto (dell'ex consigliere  regionale  della  Regione
Lazio Marco Di Stefano). 
 
Consiglio regionale - Consigliere regionale - Richiesta di  rinvio  a
  giudizio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma
  nei confronti di un ex consigliere regionale. 
- Richiesta di rinvio  a  giudizio  della  Procura  della  Repubblica
  presso il Tribunale di Roma del  20  settembre  2016  (R.G.N.R.  n.
  9173/2015). 
(GU n.31 del 2-8-2017 )
    Il sottoscritto Marco Di Stefano nato a Roma il 12 maggio 1964 ed
ivi residente in viale dei Campioni 19, rappresentato e difeso  dagli
avvocati Francesco Gianzi e Angelo  Cugini,  presso  i  quali  elegge
domicilio  in  Roma,  presso  studio   legale   Gianzi,   via   della
Conciliazione 44, a seguito dell'incarico  rivestito  di  consigliere
della  Regione  Lazio  dal  2005  al  2012,  propone   conflitto   di
attribuzione con la  Magistratura,  dalla  quale  e'  stato  imputato
unitamente ad altri consiglieri regionali  per  i  reati  di  seguito
descritti   nel   capo   di   imputazione,   con   attivita'   lesiva
dell'autonomia esclusiva garantita dalla Costituzione  nelle  materie
oggetto della contestazione penale. 
    I reati di peculato (capo A), truffa (capo B),  corruzione  (capo
C) e abuso d'ufficio (capi D ed E), contestati in parte ad alcuni  di
noi (capi A, B, C ed E), mentre l'abuso a tutti, pur  rispondendo  lo
scrivente unicamente dell'abuso di ufficio meglio descritto al capo D
dell'imputazione, riguardano essenzialmente due questioni: l'uso  dei
fondi destinati al Gruppo Consiliare PD e  alle  nostre  attivita'  e
funzioni; l'assunzione a tempo (per la durata della legislatura)  con
contratto di diritto privato e  chiamata  diretta  e  fiduciaria  del
personale di supporto alle nostre attivita' e funzioni, personale che
- secondo  gli  inquirenti  -  occorreva  assumere  con  procedimento
selettivo aperto a tutti e titoli  qualificati  e  specialistici,  in
difetto dei quali avrebbe dovuto restare a nostro carico. 
    Per comodita' di consultazione, e senza condividere ne' in  fatto
ne' in diritto i  dettagli  del  testo,  si  notifica  unitamente  al
presente atto di ricorso il capo di imputazione. 
    Riservandoci  ulteriori   deduzioni   con   successiva   memoria,
cercheremo qui di  sintetizzare  i  dati  necessari  per  l'esame  di
codesta Ecc.ma Corte, e cioe' quelli afferenti nella fattispecie: 
        1) alla legittimazione dei consiglieri regionali  a  proporre
il presente ricorso; 
        2) alle ragioni in fatto e  in  diritto  del  conflitto,  con
indicazione delle  normative  di  vario  livello  che  presidiano  le
competenze  violate,  e  la  garanzia  loro   fornita   dalle   norme
costituzionali. 
1) La legittimazione dei consiglieri regionali. 
    1/a) Le contestazioni che  ci  sono  state  mosse  riguardano  in
realta'    scelte    relative    all'organizzazione,    all'attivita'
istituzionale  e  alla  dotazione  anche   finanziaria   dei   Gruppi
regionali, sottratte all'invadenza di altri soggetti e  poteri  dello
Stato,  perche'  essenziali  ai  fini  del  funzionamento  di  organi
regionali come i Gruppi e i Consiglieri che ne fanno parte, gli uni e
gli  altri  elementi  costitutivi  di  un   tutto   senza   di   essi
inconcepibile, com'e' l'istituto regione, e  di  quel  «tutto»  anche
rappresentativi. 
    Il lineamento dei consiglieri regionali  e'  tracciato  a  chiare
lettere dall'art. 29 comma 1 dello Statuto vigente  (edizione  2004),
norma collocata nella Sezione II, I consiglieri regionali, del Titolo
IV, organi costituzionali della  regione:  «I  consiglieri  regionali
rappresentano la regione ed esercitano le funzioni senza  vincolo  di
mandato». 
    La stessa formula era  presente  nel  vecchio  Statuto,  edizione
1971, art. 15, mutuata da  quella  usata  per  i  parlamentari  della
Repubblica dall'art. 67 della Costituzione. 
    Fermo  restando,   quindi,   che   ogni   consigliere   regionale
rappresenta la regione unitariamente  intesa,  occorre  rilevare  che
l'art. 39 comma 3  della  legge  n.  87/1953,  norma  che  regola  la
rappresentanza in giudizio, ha previsto che sia il  Presidente  della
Giunta regionale a proporre ricorso per conflitto di attribuzione nei
riguardi dell'invadenza di organi dello Stato. 
    Pertanto, i consiglieri regionali direttamente interessati  nella
fattispecie alla proposizione del ricorso,  sebbene  il  tempo  della
loro legislatura fosse ormai scaduto (cosa che,  alla  stregua  della
giurisprudenza    di    Codesta    Corte    non    appare    ostativa
all'ammissibilita'  di  un  giudizio  ora  per  allora:  tra   tutti,
ricordiamo i casi Cossiga e Mancuso), appena  ricevuta  ufficialmente
notizia dell'attivita' della Procura  di  Roma,  aspettavano  che  il
nuovo  Presidente   della   Giunta   proponesse   il   conflitto   di
attribuzione, difendendo cosi' al contempo l'autonomia  dell'istituto
regionale, e quella degli  organi  chiamati  in  causa,  e  cioe'  il
Consiglio regionale, i Gruppi  e  i  singoli  consiglieri,  non  solo
quelli ex, ma anche quelli attuali che stanno operando - secondo  noi
in piena legittimita' - praticamente pero' con le stesse normative  e
le stesse modalita' degli ex consiglieri incriminati dalla Procura di
Roma. 
    E invece all'udienza del 16 marzo 2017 davanti al  Gup  che  deve
decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio della Procura (proc. n.
9173/2015  r.g.n.r.  e  n.  17013  rg.  giudice   per   le   indagini
preliminari: udienza poi  rinviata  per  astensione  nazionale  degli
avvocati), non senza sconcerto si e' appreso che  l'avvocatura  della
regione era li' presente per costituirsi parte civile contro di  noi,
con richiesta di rimborsi e danni all'immagine  milionari!  Putroppo,
le  ragioni  di  fondo,  non  giuridiche  ma  mediatiche,   di   tale
inaspettata e contraddittoria iniziativa, che pone il  rappresentante
della regione in palese stato di conflitto di interesse istituzionale
con l'ente e gli organi dell'ente  di  cui  avrebbe  dovuto  tutelare
l'autonomia,  Consiglio,  Gruppi   consiliari   e   Consiglieri,   si
coglievano subito dall'allegato all'atto di  costituzione:  e  cioe',
l'estratto con «motore di ricerca Google» degli  articoli  di  stampa
che megafonavano in termini di perentoria condanna l'inchiesta contro
i Consiglieri e il gruppo PD. 
    E' stato dunque il giorno dell'udienza, il 16 marzo scorso, che i
consiglieri regionali interessati alla proposizione del  ricorso  per
conflitto di attribuzioni a  tutela  della  loro  autonomia  e  della
regione,  hanno  appreso  che  la  figura  autorizzata  a  farlo,  il
Presidente della Giunta, aveva abdicato al suo dovere.  Essi  dunque,
rimasti senza  rappresentanza  processuale,  si  sono  trovati  nella
inedita situazione di dover provvedere da se stessi. 
    Pertanto, saranno loro, che ne hanno un interesse istituzionale e
personale diretto, a provvedere alla notifica del presente ricorso al
Presidente del Consiglio e al Procuratore Capo  della  Repubblica  di
Roma, entro i sessanta giorni previsti dall'art.  39  comma  2  della
legge n. 87/1953, termine calcolato ovviamente a partire da quando si
e'  appresa  la   notizia   dell'inusitata   abdicazione   del   loro
rappresentante processuale: e cioe' dal giorno  dell'udienza  davanti
al GUP. 
    1/b) Considerata la strana situazione che  ci  si  e'  trovati  a
fronteggiare, ci sia consentita pero' qualche ulteriore riflessione. 
    Se non sbagliamo, il conflitto qui promosso sarebbe inquadrabile,
secondo la tipologia descritta dalla legge e dalle norme  integrative
2008 della Giustizia Costituzionale, nella tipologia del conflitto di
attribuzione (vindicatio potestatis) tra enti. 
    Il ricorso in questione sembra avere un tratto  che,  nell'ambito
di tale tipologia per la quale soltanto vale il termine  decadenziale
dei sessanta giorni dalla comunicazione o conoscenza dell'atto lesivo
della competenza, lo distingue essenzialmente, e  cioe'  la  mancanza
proprio di  un  «atto»  del  soggetto  antagonista  che  esprima  con
carattere  di  definitivita'  la  volonta'  lesiva  della  sfera   di
competenza.  Vi  e'  la   lesione   dell'autonomia   funzionale   del
consigliere regionale, una  lesione  con  carattere  di  concretezza,
perche' il singolo consigliere e' chiamato a rispondere penalmente, e
personalmente, di scelte,  come  quelle  del  collaboratore  e  della
complessiva gestione del rapporto fondamentale con il territorio e  i
cittadini,  che  connotano  tratti  essenziali  dell'autonomia  della
funzione e dell'organo. Manca pero' l'atto lesivo definitivo, che  la
norma citata costituisce dies a quo del termine dei sessanta giorni. 
    A nostro  modestissimo  avviso,  dunque,  la  situazione  che  il
ricorso e' inteso a  rimediare,  appare  piu'  assimilabile,  mutatis
mutandis, a quel conflitto interorganico tra poteri dello Stato,  che
da tempo Codesta Corte ha rivisitato allargandone  i  confini,  prima
rigidi, dello Stato-unita', e includendovi anche ricorsi  in  cui  un
atto definitivo manca, ed e' presente invece, con eguale se non  piu'
accentuato  effetto  «disarmonico»  della  complessiva   architettura
costituzionale, una «attivita'»  dell'ente  antagonista  di  per  se'
lesiva della sfera di competenza altrui. In situazioni del genere, in
cui e' la «attivita'» e non un «atto»  a  caratterizzare  l'invadenza
della sfera di  competenze  istituzionali,  il  termine  decadenziale
appare privo non solo del dies a quo, ma anche di  effettive  ragioni
giustificative. Un termine che, come insegna Codesta Corte, e'  stato
introdotto e mantenuto essenzialmente  e  comprensibilmente  per  uno
scopo «deflattivo» (il cd. «tono costituzionale»), ma che non  appare
in sintonia con il progressivo riconoscimento di una tipologia terza,
e in qualche modo mista, di ricorsi per conflitto di attribuzione. 
    Oltretutto,  questa  nostra  riflessione  sembra  poter   trovare
appoggio  nei  criteri  di  ragionevolezza  e   bilanciamento   della
condizione del  consigliere  regionale  rispetto  a  quella  omologa,
sebbene su  diversi  piani,  del  membro  del  Parlamento,  che  puo'
sollevare il  conflitto  ai  sensi  dell'art.  68  Cost.,  mentre  il
consigliere regionale in eguale situazione  (perche'  gli  ambiti  di
sovranita' e autonomia per l'uno e per l'altro, a tal fine non  fanno
ne' potrebbero fare la differenza, in  quanto  entrambi  protetti,  a
diverso  livello  dalla  guarentigia  costituzionale)   non   avrebbe
legittimazione  attiva.  E  quando   fosse   costretto   a   muoversi
personalmente dopo l'imprevista abdicazione  dell'Organo  competente,
potrebbe  vedersi  precluso  il  ricorso   dal   termine   perentorio
eventualmente invocato contro di lui, senza un dies a  quo,  e  senza
un'inerzia a lui imputabile. 
2) Ragioni del conflitto, con indicazione delle  normative  di  vario
livello che presidiano le competenze  violate,  e  la  garanzia  loro
fornita dalle norme costituzionali. 
    2/a)  Normative  che,  in  relazione  alle  attivita'  funzionali
concretamente  svolte  dai  consiglieri  incriminati,  presidiano  le
competenze violate. 
    In una nostra memoria 15 febbraio 2016 alla Procura, nella  quale
chiedevamo l'archiviazione dell'inchiesta, citavamo specificamente le
fonti normative delle nostre ragioni. La Procura non  ha  considerato
in nessun modo quelle fonti, continuando non  tanto  in  una  diversa
interpretazione, quanto nella voluta obliterazione di  esse.  Poiche'
quel nostro contributo e' proprio l'oggetto di questo  paragrafo  del
ricorso, ci permettiamo di riprenderlo pressoche' letteralmente. 
    Occorre premettere  che  le  condotte  oggetto  di  contestazione
riguardano: 
        per il capo D), di cui vengono  fatti  responsabili  tutti  i
consiglieri regionali,  assunzioni  di  personale  che  si  ritengono
illecite perche' sarebbero state effettuate: 
          senza procedure di comparazione; 
          per prestazioni prive di natura altamente qualificata; 
          di persone senza le indispensabili conoscenze professionali
dei collaboratori richieste dalla legge; 
          persone indicate  di  volta  in  volta  da  un  consigliere
regionale che usufruiva delle relative prestazioni lavorative; 
          per i restanti capi A), B),  C)  ed  F),  riguardanti  solo
alcuni dei consiglieri regionali: 
sostanzialmente la pretesa destinazione a fini personali dei fondi  e
la mancata o addirittura artefatta rendicontazione delle spese. 
    Tanto premesso, esaminiamo innanzitutto il Capo D). 
- Capo D). [riguarda tutti i ricorrenti,  ed  e'  l'unico  contestato
allo scrivente] 
    Passando dalle contestazioni ai fatti e alle  normative  in  base
alle quali quei fatti sono avvenuti, osservavamo che innanzitutto  e'
documentalmente provato che le assunzioni sono avvenute con contratto
di diritto privato intercorso tra il Presidente del Gruppo consillare
e il collaboratore. 
    Le pretese violazioni di legge su cui si e' basata  l'accusa  non
riguardano la fattispecie, perche' i commi  6  e  6-bis  dell'art.  7
decreto  legislativo  n.  165/2001  richiamato  nella   contestazione
disciplinano le  assunzioni  nella  pubblica  amministrazione,  cioe'
quelle che vengono conferite per un'attivita' e un rapporto,  piu'  o
meno stabili, relativi al profilo gestionale-amministrativo dell'ente
pubblico,  e  non  -  com'e'  nella  fattispecie  -  alle   attivita'
consustanziali  al  profilo   istituzionale-politico   del   soggetto
pubblico. 
    Alle disposizioni  normative  dello  Statuto  sopra  riepilogate,
fondamento  costituzionalmente  garantito  dell'autonomia  regionale,
aggiungevamo le altre del medesimo testo, e cioe': 
        gli articoli 23 e 24 che riprendono il tema  di  un'autonomia
piena (funzionale,  organizzativa,  amministrativa,  contabile  e  di
gestione patrimoniale) a proposito  rispettivamente  dell'Ufficio  di
Presidenza del Consiglio regionale e del Consiglio  regionale  stesso
(gia' presenti negli art. 11 e 17 del vecchio Statuto); 
        l'art. 28 che per i Consiglieri - come gia' detto  -  usa  la
stessa  formula  che  la  Costituzione  usa   per   i   parlamentari:
«rappresentano la Regione - senza  vincolo  di  mandato»,  prevedendo
pure per detti organi, e per i Gruppi  nei  quali  i  consiglieri  si
costituiscono, completa autonomia anche contabile (articoli 31  e  28
Statuto 2004, 11 e 17 vecchio Statuto). 
    Passavamo in rassegna poi il quadro normativo che  disciplina  le
suddette assunzioni. 
    La l. reg.  n.  6/1973,  dedicata  al  funzionamento  dei  gruppi
consiliari, prevedeva genericamente che il Presidente del  Consiglio,
d'intesa con il Presidente della Giunta,  curasse  l'assegnazione  ai
vari Gruppi, con criteri  proporzionali  alla  consistenza  numerica,
delle sedi e del personale  necessario.  Nell'art.  3  stabiliva  che
ciascun Gruppo «ha diritto ad un  contributo  mensile  a  carico  del
bilancio del  Consiglio  regionale  per  le  spese  di  funzionamento
determinato: a) da una quota fissa di € 1.291,00 per ciascun  gruppo,
qualunque sia la consistenza numerica; b) da una quota variabile pari
ad € 620,00 per  ciascun  consigliere  regionale  facente  parte  del
gruppo consiliare.». 
    Una prima specificazione e modifica di detta normativa veniva con
la l. reg. n. 55/1979, che inseriva nella  l.  reg.  6/1973  un  art.
3-bis, in forza del  quale  ciascun  gruppo  riceveva  un  contributo
mensile a carico dei fondi a disposizione del Consiglio «per le spese
di aggiornamento, studio e documentazione, compresa l'acquisizione di
consulenze qualificate e la collaborazione professionale di  esperti,
nonche'  per  diffondere  tra  la  societa'  civile   la   conoscenza
dell'attivita' dei gruppi consiliari, anche al fine di promuoverne la
partecipazione all'attivita'  dei  gruppi  stessi  e  particolarmente
all'esame delle questioni ed all'elaborazione di progetti e  proposte
di leggi e provvedimenti di competenza del Consiglio regionale». 
    Una disposizione siffatta aveva certamente il merito  di  rendere
concreta l'autonomia del Gruppo, prevedendo che ad esso spettasse non
solo il contributo generico, mensile e fisso,  previsto  dall'art.  3
della legge, ma anche un contributo aggiuntivo  («Ciascun  Gruppo  ha
inoltre diritto»), che l'art. 3-bis finalizzava  all'acquisizione  di
consulenze qualificate, alla collaborazione professionale di  esperti
e  alla  diffusione  tra  la  societa'   civile   di   un   interesse
partecipativo all'attivita' dei Gruppi. 
    In pratica, pero', le ampie e  multiformi  attivita'  dei  Gruppi
necessitavano non soltanto di collaborazioni e collaboratori  esterni
di particolare esperienza, ma pure  di  persone  meno  titolate,  che
fossero in grado di  impegnarsi,  anche  per  «omogeneita'  politica»
(come  riconosciuto   ed   approvato   letteralmente   dalla   stessa
giurisprudenza della Consulta: sentenza n. 187/1990),  nell'ampio  ed
importantissimo lavoro gia' individuato dall'art. 3-bis,  cioe'  «per
diffondere tra la societa' civile la  conoscenza  dell'attivita'  dei
gruppi consiliari, anche al fine  di  promuoverne  la  partecipazione
all'attivita' dei gruppi stessi  e  particolarmente  all'esame  delle
questioni e all'elaborazione  di  progetti  e  proposte  di  leggi  e
provvedimenti di  competenza  del  Consiglio  regionale»  (cosiddetto
rapporto degli eletti con il  territorio):  lavoro  che  non  a  caso
quella norma affiancava esplicitamente, ma distintamente,  al  lavoro
piu' specialistico. 
    Da qui una modifica fondamentale che lo stesso art. 3-bis  subiva
nel 2004, (1) quando spariva del tutto il riferimento agli esperti  e
alle consulenze qualificate, e il contributo veniva finalizzato  piu'
semplicemente alle «spese di aggiornamento  studio  e  documentazione
compresa  l'acquisizione  di  collaborazioni  [senza  restrizioni  di
sorta] nonche' per diffondere tra la societa' civile...» ecc. 
    Un ulteriore, importante aggiornamento e' stato  apportato  dalla
l. reg. n. 6/2002 (Disciplina del sistema organizzativo della  Giunta
e  del  Consiglio  e  disposizioni  relative  alla  dirigenza  ed  al
personale regionale), legge revisionata in vari punti  fin  quasi  ai
giorni nostri. 
    A parte la riaffermazione tra i Principi e criteri generali della
netta distinzione tra organi  di  Governo,  cui  spetta  la  funzione
politica e di alta amministrazione, e organi di gestione (art.  4,  e
in particolare art. 37 comma 7), e l'indicazione del Regolamento come
fonte  precipua  per  la   disciplina   al   dettaglio   della   loro
organizzazione,  compreso   l'accesso   all'impiego   regionale   (in
particolare,   articoli   5   e    30);    nella    parte    dedicata
all'organizzazione del Consiglio regionale (Tit. III), spicca  l'art.
37, epigrafato «Strutture di diretta collaborazione con gli organi di
indirizzo politico», che disegna  un  doppio  assetto  del  personale
chiamato a lavorare in  quegli  organi.  Vi  e'  il  personale  della
cosiddetta  «struttura  di   diretta   collaborazione»,   proveniente
prevalentemente dalla stessa  o  da  altra  pubblica  amministrazione
(mediante chiamata fiduciaria e distacco), ma  anche  da  esterni  di
varia qualificazione; e vi  e'  poi,  in  alternativa,  il  personale
esterno ingaggiato direttamente dall'organo di indirizzo politico. Il
comma 5 dell'art. 37 stabilisce che proprio il Gruppo consiliare puo'
optare per questa seconda scelta (comma 5): 
        «I  gruppi  consiliari,  in  alternativa  alla  struttura  di
diretta collaborazione di cui al comma 1, per  lo  svolgimento  delle
proprie funzioni, possono stipulare direttamente rapporti  di  lavoro
subordinato,  autonomo   ovvero   rientranti   in   altre   tipologie
contrattuali,  previste   dalla   normativa   vigente   in   materia,
compatibili con l'attivita' lavorativa richiesta». 
    Alla legge appena esaminata seguiva, quindi,  il  Regolamento  di
organizzazione   del   Consiglio   Regionale,   approvato   con   DUP
(Deliberazione dell'Ufficio di Presidenza)  29  gennaio  2003  n.  3:
Regolamento che, «in attuazione dei principi  contenuti  nella  legge
regionale 18 febbraio 2002 n. 6» (art. 1), mentre ribadiva principi e
criteri generali di quella, e l'assetto del  personale  degli  Organi
politici del Consiglio, per quanto riguarda i Gruppi consiliari (Capo
IV), prevedeva all'art. 13 la facolta' di attingere  alla  «struttura
di diretta collaborazione»,  con  dipendenti  a  chiamata  fiduciaria
della stessa o altra  amministrazione  e  con  collaboratori  esterni
assunti con contratto a tempo  indeterminato;  oppure,  all'art.  14,
titolato Assunzione diretta del personale, di «assumere  direttamente
personale con contratto di diritto privato» (comma 1). 
    Come stabilito  dalla  legge  reg.  6/2002,  «al  Gruppo  che  ha
esercitato tale facolta' [di chiamata diretta  del  personale]  viene
erogato un contributo finanziario annuale correlato al numero massimo
dei dipendenti ammessi in base alla consistenza numerica  del  gruppo
stesso...» (comma 2). E' previsto inoltre un ulteriore contributo per
spese non  quantificabili  attinenti  ai  trattamenti  economici  del
personale cosi' assunto (art. 14, comma 4). 
    E' di tutta evidenza che, avendo stabilito  che  quel  genere  di
personale venisse assunto dal Gruppo «direttamente con  contratto  di
diritto privato», e che esso  -  come  previsto  dalla  normativa  in
proposito - non entrasse a nessun titolo  nel  ruolo  dei  dipendenti
regionali, l'incarico assumeva necessariamente carattere strettamente
fiduciario: si trattava, cioe', di un incarico  che  per  sua  stessa
natura rifiutava una procedura concorsuale in incertam personam. 
    Ed infatti, intervenute con decreto-legge n.  78/2010  le  Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale con DUP 16
gennaio 2013 n. 7 adottava un «parametro  omogeneo»  di  contenimento
della spesa per il personale; e  nell'occasione  riproponeva  sia  il
Capo IV del  Regolamento  del  2003,  dedicato  alla  disciplina  del
rapporto di lavoro, sia l'art.  14  comma  1  del  Capo  V,  titolato
Assunzione diretta di personale da parte dei Gruppi  consiliari,  nei
seguenti termini: 
        «Ciascun presidente di gruppo, ai sensi dell'art. 37, comma 5
della l. r. 6/2002, in alternativa all'utilizzo  della  struttura  di
diretta collaborazione  di  cui  all'art.  11,  puo'  procedere  alla
stipula di rapporti di lavoro subordinato, autonomo ovvero rientranti
in altre tipologie contrattuali, previste dalla normativa vigente  in
materia compatibile con l'attivita' lavorativa richiesta, sulla  base
della  designazione  fiduciaria   fattagli   pervenire   da   ciascun
consigliere componente del gruppo medesimo  salvo  diverse  modalita'
previste dal disciplinare apposito approvato dal gruppo.». 
    Per  concludere  sul  punto  della   ricostruzione   del   quadro
normativo, possiamo dire che, sebbene  niente  imponesse  particolari
requisiti per l'assunzione del collaboratore fiduciario  del  Gruppo,
poiche' questa figura presta un'opera che finisce  per  confluire  in
quella politico-istituzionale del Gruppo stesso, e' stato  senz'altro
opportuno, e conforme al canone costituzionale dell'efficienza di una
buona amministrazione, continuare a chiedere che anche quella  figura
abbia  almeno  il  possesso  dei  requisiti  generali  previsti   per
l'accesso all'impiego regionale, requisiti che rendono cosi'  il  suo
lavoro «compatibile con l'attivita' lavorativa richiesta» (secondo la
formula sintetica usata dall'art. 37 comma 5 l.  r.  n.  6/2002).  Si
vedano in proposito, nella DUP appena richiamata, sia  l'art.  134  -
Requisiti generali; sia  l'Allegato  A-quater  alla  DUP  medesima  -
dedicato ai  Profili  professionali  e  redatto  ai  sensi  dell'art.
133-bis   comma   2,   allegato   che   per   il   Collaboratore-Area
amministrativa  esige  solo  il  titolo  di   studio   della   scuola
dell'obbligo  eventualmente  accompagnata  da  corsi  di   formazione
specialistici; sia infine l'art. 13 comma 3 relativo ai collaboratori
esterni della struttura di  diretta  collaborazione,  e  il  comma  1
dell'art. 14 trascritto, che  hanno  esteso  anche  ai  collaboratori
fiduciari direttamente assunti l'esigenza, e quindi  la  sufficienza,
del possesso dei requisiti generali. 
    Era questo, dunque, per il Capo D) il quadro normativo in  vigore
nel periodo di tempo cui si riferisce la contestazione del reato. 
    2/b) Garanzia fornita dalle norme costituzionali. 
    Ci sia consentito  qui  fare  tesoro  di  una  giurisprudenza  di
Codesta Corte che, con grande saggezza e sensibilita'  istituzionale,
ha mano a mano  elaborato  una  linea  flessibile  di  soluzione  dei
conflitti, che stesse al passo con i tempi, salvaguardando  l'armonia
del sistema costituzionale e l'autonomia costituzionalmente garantita
dell'istituto regionale. 
    Una prima decisione che ha attirato la nostra attenzione e' la n.
143/1968 (Pres. Sandulli) nella quale le Sezioni Riunite della  Corte
dei  conti  avevano  sollevato  questione  di  costituzionalita'   in
relazione  ad  una   legge   della   Regione   a   Statuto   speciale
Friuli-Venezia Giulia  che,  secondo  il  giudice  contabile,  mentre
sottoponeva a controllo della Corte dei conti i fondi  per  le  spese
del  Consiglio  al  proprio  Presidente,  per  i  successivi  singoli
pagamenti fatti da quel Presidente prevedeva che il rendiconto  fosse
portato solo al controllo del Consiglio regionale. 
    La Corte costituzionale  riteneva  infondata  la  questione.  Per
quanto qui puo' rilevare, nel corso di una sintetica ricognizione dei
poteri della Corte dei conti, la decisione affermava innanzitutto che
«in particolare l'impiego di somme destinate ad uno  dei  tre  organi
costituzionali [si  parla  di  organi  dello  Stato]  e'  soggetto  a
sindacato fino a quando sia atto del Governo; ma, appena  esse  siano
giunte a disposizione  dell'organo,  gli  ulteriori  atti  di  spesa,
comunque si concretino, sono atti interni di quest'ultimo  e  percio'
sottratti al riscontro.». 
    E cosi' proseguiva: «Un'analoga  situazione  si  produce,  su  un
piano diverso ma sempre a livello costituzionale,  nell'ambito  delle
regioni a statuto speciale: ciascuna di esse ha organi di Governo  e,
ben distinta, un'assemblea  politico-legislativa.  Nel  contesto  del
nostro ordinamento, caratterizzato dalla pluralita'  dei  poteri,  la
regione si  colloca  come  ente  dotato  di  autonomia  politica  pur
nell'unita' dello  Stato;  autonomia  che  gli  statuti  in  generale
riconoscono ad essa quale entita' diversa da questo,  ma  che  si  e'
tradotta in precise potesta' attribuite  alle  assemblee  legislative
regionali da norme statutarie...Ne discende che, corpo indipendente e
situato fuori  dell'ordine  amministrativo,  i  suoi  atti  non  sono
sottoposti a riscontro esterno.» Si  concludeva  affermando  che  «le
somme impegnate  in  bilancio  per  le  spese  di  funzionamento  del
Consiglio regionale, appena pervenutegli, possono  essere  spese  dal
suo Presidente senza altro  controllo  che  quello,  successivo,  del
medesimo Consiglio.». 
    Una seconda decisione, i cui richiami giurisprudenziali ci  hanno
poi indirizzato nelle altre due cui  subito  attingeremo,  e'  la  n.
81/1975 (Pres. Bonifacio). 
    Essa ha particolare analogia  con  il  caso  che  ci  occupa.  Il
conflitto di attribuzione infatti era stato promosso  dal  Presidente
della Regione  Abruzzo  «a  seguito  dei  provvedimenti  del  giudice
istruttore presso il tribunale dell'Aquila,  con  i  quali  e'  stato
disposto procedersi  con  istruzione  formale  nei  confronti  di  37
consiglieri  regionali  per  concorso  nel  reato  di  peculato».  Si
trattava di spese di pasti in un ristorante del luogo,  deliberate  a
favore di consiglieri e dipendenti in situazioni di emergenza,  e  di
spese per un contratto di assicurazione contro gli infortuni,  sempre
per i consiglieri regionali. 
    La  Corte,  mentre  affermava  la  sanzionabilita'  del   Governo
regionale, organo di  natura  esecutiva,  decideva  invece  che  «nel
merito  il  ricorso  della  regione  risulta  fondato   nella   parte
concernente la penale responsabilita' dei consiglieri  regionali  che
approvarono le citate delibere consiliari.». E cio' in forza  di  una
«adeguata  interpretazione  dell'immunita'  sancita  dall'art.   122,
quarto comma, della Costituzione», che pur confrontato «con  le  piu'
ampie guarentigie concesse ai membri del Parlamento» (art. 68,  comma
2  e  3),  s'inquadra  comunque   «nell'esplicazione   di   autonomie
costituzionalmente garantite.». Dichiarava pertanto  «il  difetto  di
giurisdizione  dell'autorita'  giudiziaria  ad  accertare  la  penale
responsabilita' dei consiglieri della Regione Abruzzo per i  voti  da
essi espressi.». 
    In realta', come appare ormai pacifico  da  varie  e  progressive
decisioni della Corte, su una delle quali presto ci soffermeremo  per
la sua calzante specificita' con il nostro caso (la n. 289/1997),  le
guarentigie  costituzionali  previste  per  i  consiglieri  regionali
dall'art. 122 comma 4 della Cost., non limitano la loro copertura  ai
soli «voti» espressi, ma anche all'attivita' di  tipo  amministrativo
del consigliere, attivita' che rientra dunque nella complessiva sfera
di autonomia che giustamente si e' voluto tutelare. 
    Il nostro diario di viaggio attraverso  la  giurisprudenza  della
Corte giunge ora alla decisione n. 70/1985 (Pres. Elia). 
    Plurimi conflitti  di  attribuzione  rispetto  alla  magistratura
erano stati proposti dal Presidente della  Regione  Toscana  per  una
serie di reati di omissione di atti  d'ufficio  contestati  da  varie
autorita' giudiziarie a seguito dell'inquinamento del  fiume  Arno  e
delle sue esondazioni. 
    Assumeva la Regione Toscana che i provvedimenti giudiziari  erano
esorbitanti e lesivi della propria autonomia  organizzativa,  «ovvero
confliggenti   con   la   guarentigia   dell'irresponsabilita'    dei
consiglieri regionali, di cui all'art. 22, quarto comma, Cost..». 
    Ecco i passaggi della sentenza che qui rilevano. 
    «Preliminare ed assorbente e' il motivo di ricorso con  il  quale
viene negato in radice il potere di  organi  giudiziari  di  emettere
provvedimenti» quali quelli impugnati. Si  tratta,  all'evidenza,  di
provvedimenti atipici o anomali...Sufficiente per  la  soluzione  dei
conflitti in esame, e' il rilievo che non spetta ad organi giudiziari
alcun   potere   di   intervento   nell'esercizio   delle    funzioni
costituzionalmente riservate alla regione...». 
    «Questa Corte ha gia' precisato, in via generale (sent. n. 69 del
1985) che le funzioni legislative e di  indirizzo  politico,  nonche'
quelle di controllo e di  autoorganizzazione,  connotano  il  livello
costituzionale  dell'autonomia   garantita   alle   regioni   e   che
l'esercizio di esse, riservato consiglio regionale, non  puo'  essere
sindacato da organi  giudiziari  al  fine  di  accertare  l'eventuale
responsabilita'   dei   soggetti   deputati   ad   adempierle.».   La
responsabilita' per le scelte o le omissioni compiute  nell'esercizio
di quelle funzioni, osserva la Corte, puo' essere quella di carattere
politico, e non puo' dare  ingresso  al  sindacato  di  organi,  come
quelli giurisdizionali,  cui  sono  deputate  valutazioni  di  ordine
giuridico, e non anche valutazioni politiche. 
    L'ultima decisione  di  cui  vogliamo  parlare,  e'  quella  gia'
annunciata, la n. 289/1997 (Pres. Granata). Il caso: ricorso promosso
dalla Regione Veneto per conflitto di attribuzione  sorto  a  seguito
della citazione del Procuratore regionale della Corte dei  conti  per
il  Veneto  nei  confronti  di  consiglieri  regionali  che   avevano
deliberato l'acquisto di vetture per rinnovo del parco macchine. 
    Nel  riepilogare  gli  argomenti  della  regione,  che   verranno
totalmente accolti, la sentenza scrive: 
        «Sostiene,  anzitutto   la   ricorrente   che   l'ambito   di
operativita' dell'immunita' prevista  dall'art.  122,  quarto  comma,
della Costituzione - in base al quale i  consiglieri  regionali  «non
possono essere chiamati a rispondere delle opinioni  espresse  e  dei
voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» -  risulta  delimitato,
non solo dalla Costituzione, ma, per quanto attiene alla sfera  delle
funzioni, anche dalle leggi statali e  dagli  atti  aventi  forza  di
legge dello Stato. Pertanto, la stessa immunita', oltre alla funzione
legislativa, di indirizzo politico e di controllo, ricomprende, a suo
avviso, anche quella di autorganizzazione  interna,  fermo  restando,
comunque, che le  funzioni  possono  estrinsercarsi  attraverso  atti
aventi, dal punto  di  vista  formale,  natura  sia  legislativa  che
amministrativa. 
    Secondo  la  Regione  Veneto,  l'attivita'  che  il   Procuratore
regionale pretende di censurare e', dunque, coperta dalla guarentigia
in parola per un  duplice  motivo:  sia,  per  l'appunto,  in  quanto
rientrante tra  le  funzioni  di  autorganizzazione  interna,  svolte
mediante  atti  amministrativi,  con   specifico   riferimento   agli
strumenti di cui deve disporre il consigliere regionale per  compiere
i doveri del proprio ufficio, nonche' ai mezzi  umani  (personale)  e
materiali  (risorse   finanziarie)   spettanti   al   Consiglio   per
l'esercizio delle proprie competenze legislative, amministrative e di
controllo; sia in quanto l'acquisto di beni del tipo  di  quelli  che
hanno dato occasione al giudizio  di  responsabilita',  trova  titolo
nella  legge  statale  6  dicembre  1973,  n.  853,  che   disciplina
l'autonomia contabile  e  funzionale  dei  Consigli  regionali  delle
regioni a statuto ordinario.». 
    Ecco il pensiero totalmente adesivo della Corte. 
    «Si tratta di  ragioni  che,  alla  luce  degli  indirizzi  della
giurisprudenza costituzionale, richiamati  dalla  stessa  ricorrente,
non possono non essere condivise. 
    Come questa Corte ha gia' avuto occasione di precisare sin  dalla
sentenza n. 81 del 1975, l'immunita' prevista dall'art.  122,  quarto
comma, della  Costituzione  attiene  alla  particolare  natura  delle
attribuzioni del Consiglio regionale, che costituiscono «esplicazione
di autonomia costituzionalmente garantita» attraverso l'esercizio  di
funzioni «in parte disciplinate dalla stessa Costituzione e in  parte
dalle altre fonti normative cui la prima rinvia». Anche se il  nucleo
caratterizzante delle funzioni consiliari, quale  definito  dall'art.
121, secondo comma, della Costituzione, porta a considerare  ad  esso
estranee, in via di principio, le funzioni di amministrazione attiva,
la giurisprudenza di questa Corte e' dell'avviso che, per i Consigli»
regionali,  le  attribuzioni  costituzionalmente  previste   non   si
esauriscono in quelle legislative, ma ricomprendono anche quelle  «di
indirizzo   politico,   nonche'   quelle   di    controllo    e    di
autorganizzazione» (sentenza n. 70 del 1985). 
    E' cosi' possibile individuare il presupposto  sistematico  della
disposizione sull'immunita', con riguardo anche alle «altre funzioni»
conferite al Consiglio «dalla Costituzione e dalle leggi», secondo la
locuzione accolta dal gia' menzionato art. 121 della Costituzione. 
    In definitiva, secondo quanto e'  dato  evincere  dai  richiamati
precedenti (per cui v. anche sentenza n. 69 del  1985),  il  criterio
della delimitazione dell'insindacabilita' dei  consiglieri  regionali
sta nella fonte attributiva della funzione, e non nella  forma  degli
atti, si'  che  risultano  garantite  sotto  tale  aspetto  anche  le
funzioni che, benche' di matura  amministrativa,  sono  assegnate  al
Consiglio regionale in via immediata  e  diretta  dalle  leggi  dello
Stato, avendo tuttavia presente che l'immunita'  non  e'  diretta  ad
assicurare una posizione di privilegio per i  consiglieri  regionali,
ma si giustifica in  quanto  vale  a  preservare  da  interferenze  e
condizionamenti esterni le  determinazioni  inerenti  alla  sfera  di
autonomia propria dell'organo (cfr. la gia' menzionata sentenza n. 70
del 1985). 
    Da detti principi va desunta la  soluzione  del  caso  in  esame.
Proprio a salvaguardia dell'autonomia contabile  e  funzionale  degli
organi in questione la legge n. 853 del 1973, da un lato, ha previsto
che per le  esigenze  dei  Consigli  regionali  siano  istituiti  nel
bilancio della regione appositi capitoli di  spesa  tra  i  quali  e'
menzionato anche quello  per  attrezzature,  mentre,  dall'altro,  ha
escluso che gli atti amministrativi e di  gestione  dei  fondi  siano
soggetti ai controlli ex art. 125 della Costituzione (vedi  legge  n.
853 del 1973, articoli 2 2 4, terzo comma)». 

(1) Art. 22 comma 1, lettera c) della legge reg. 27 febbraio 2004  n.
    2 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si puo' dunque concludere affermando che tutti gli atti  fatti  e
comportamenti  contestati  nelle  imputazioni,   essendo   riferibili
soggettivamente  ed  oggettivamente  all'esercizio   delle   funzioni
essenziali del consigliere regionale, organo della regione dotato  di
autonomia costituzionalmente garantita, non rientrino nella sfera  di
competenza della Magistratura. 
    Si chiede pertanto che codesta Ecc.ma Corte voglia accogliere  il
ricorso, riconoscendo la lesione della sfera di  competenza  avvenuta
finora ad opera della Procura della  Repubblica  di  Roma,  ai  danni
della Regione Lazio e specificamente  del  Consiglio  regionale,  del
Gruppo consiliare PD e dei singoli  Consiglieri,  nei  confronti  dei
quali si e' formulata imputazione. 
    Roma, 12 maggio 2017 
 
                          Marco Di Stefano 
 
 
                                           p.a. Avv. Francesco Gianzi