N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 giugno 2017
Ricorso per conflitto (dell'ex consigliere regionale della Regione Lazio Marco Di Stefano). Consiglio regionale - Consigliere regionale - Richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nei confronti di un ex consigliere regionale. - Richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma del 20 settembre 2016 (R.G.N.R. n. 9173/2015).(GU n.31 del 2-8-2017 )
Il sottoscritto Marco Di Stefano nato a Roma il 12 maggio 1964 ed ivi residente in viale dei Campioni 19, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Gianzi e Angelo Cugini, presso i quali elegge domicilio in Roma, presso studio legale Gianzi, via della Conciliazione 44, a seguito dell'incarico rivestito di consigliere della Regione Lazio dal 2005 al 2012, propone conflitto di attribuzione con la Magistratura, dalla quale e' stato imputato unitamente ad altri consiglieri regionali per i reati di seguito descritti nel capo di imputazione, con attivita' lesiva dell'autonomia esclusiva garantita dalla Costituzione nelle materie oggetto della contestazione penale. I reati di peculato (capo A), truffa (capo B), corruzione (capo C) e abuso d'ufficio (capi D ed E), contestati in parte ad alcuni di noi (capi A, B, C ed E), mentre l'abuso a tutti, pur rispondendo lo scrivente unicamente dell'abuso di ufficio meglio descritto al capo D dell'imputazione, riguardano essenzialmente due questioni: l'uso dei fondi destinati al Gruppo Consiliare PD e alle nostre attivita' e funzioni; l'assunzione a tempo (per la durata della legislatura) con contratto di diritto privato e chiamata diretta e fiduciaria del personale di supporto alle nostre attivita' e funzioni, personale che - secondo gli inquirenti - occorreva assumere con procedimento selettivo aperto a tutti e titoli qualificati e specialistici, in difetto dei quali avrebbe dovuto restare a nostro carico. Per comodita' di consultazione, e senza condividere ne' in fatto ne' in diritto i dettagli del testo, si notifica unitamente al presente atto di ricorso il capo di imputazione. Riservandoci ulteriori deduzioni con successiva memoria, cercheremo qui di sintetizzare i dati necessari per l'esame di codesta Ecc.ma Corte, e cioe' quelli afferenti nella fattispecie: 1) alla legittimazione dei consiglieri regionali a proporre il presente ricorso; 2) alle ragioni in fatto e in diritto del conflitto, con indicazione delle normative di vario livello che presidiano le competenze violate, e la garanzia loro fornita dalle norme costituzionali. 1) La legittimazione dei consiglieri regionali. 1/a) Le contestazioni che ci sono state mosse riguardano in realta' scelte relative all'organizzazione, all'attivita' istituzionale e alla dotazione anche finanziaria dei Gruppi regionali, sottratte all'invadenza di altri soggetti e poteri dello Stato, perche' essenziali ai fini del funzionamento di organi regionali come i Gruppi e i Consiglieri che ne fanno parte, gli uni e gli altri elementi costitutivi di un tutto senza di essi inconcepibile, com'e' l'istituto regione, e di quel «tutto» anche rappresentativi. Il lineamento dei consiglieri regionali e' tracciato a chiare lettere dall'art. 29 comma 1 dello Statuto vigente (edizione 2004), norma collocata nella Sezione II, I consiglieri regionali, del Titolo IV, organi costituzionali della regione: «I consiglieri regionali rappresentano la regione ed esercitano le funzioni senza vincolo di mandato». La stessa formula era presente nel vecchio Statuto, edizione 1971, art. 15, mutuata da quella usata per i parlamentari della Repubblica dall'art. 67 della Costituzione. Fermo restando, quindi, che ogni consigliere regionale rappresenta la regione unitariamente intesa, occorre rilevare che l'art. 39 comma 3 della legge n. 87/1953, norma che regola la rappresentanza in giudizio, ha previsto che sia il Presidente della Giunta regionale a proporre ricorso per conflitto di attribuzione nei riguardi dell'invadenza di organi dello Stato. Pertanto, i consiglieri regionali direttamente interessati nella fattispecie alla proposizione del ricorso, sebbene il tempo della loro legislatura fosse ormai scaduto (cosa che, alla stregua della giurisprudenza di Codesta Corte non appare ostativa all'ammissibilita' di un giudizio ora per allora: tra tutti, ricordiamo i casi Cossiga e Mancuso), appena ricevuta ufficialmente notizia dell'attivita' della Procura di Roma, aspettavano che il nuovo Presidente della Giunta proponesse il conflitto di attribuzione, difendendo cosi' al contempo l'autonomia dell'istituto regionale, e quella degli organi chiamati in causa, e cioe' il Consiglio regionale, i Gruppi e i singoli consiglieri, non solo quelli ex, ma anche quelli attuali che stanno operando - secondo noi in piena legittimita' - praticamente pero' con le stesse normative e le stesse modalita' degli ex consiglieri incriminati dalla Procura di Roma. E invece all'udienza del 16 marzo 2017 davanti al Gup che deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio della Procura (proc. n. 9173/2015 r.g.n.r. e n. 17013 rg. giudice per le indagini preliminari: udienza poi rinviata per astensione nazionale degli avvocati), non senza sconcerto si e' appreso che l'avvocatura della regione era li' presente per costituirsi parte civile contro di noi, con richiesta di rimborsi e danni all'immagine milionari! Putroppo, le ragioni di fondo, non giuridiche ma mediatiche, di tale inaspettata e contraddittoria iniziativa, che pone il rappresentante della regione in palese stato di conflitto di interesse istituzionale con l'ente e gli organi dell'ente di cui avrebbe dovuto tutelare l'autonomia, Consiglio, Gruppi consiliari e Consiglieri, si coglievano subito dall'allegato all'atto di costituzione: e cioe', l'estratto con «motore di ricerca Google» degli articoli di stampa che megafonavano in termini di perentoria condanna l'inchiesta contro i Consiglieri e il gruppo PD. E' stato dunque il giorno dell'udienza, il 16 marzo scorso, che i consiglieri regionali interessati alla proposizione del ricorso per conflitto di attribuzioni a tutela della loro autonomia e della regione, hanno appreso che la figura autorizzata a farlo, il Presidente della Giunta, aveva abdicato al suo dovere. Essi dunque, rimasti senza rappresentanza processuale, si sono trovati nella inedita situazione di dover provvedere da se stessi. Pertanto, saranno loro, che ne hanno un interesse istituzionale e personale diretto, a provvedere alla notifica del presente ricorso al Presidente del Consiglio e al Procuratore Capo della Repubblica di Roma, entro i sessanta giorni previsti dall'art. 39 comma 2 della legge n. 87/1953, termine calcolato ovviamente a partire da quando si e' appresa la notizia dell'inusitata abdicazione del loro rappresentante processuale: e cioe' dal giorno dell'udienza davanti al GUP. 1/b) Considerata la strana situazione che ci si e' trovati a fronteggiare, ci sia consentita pero' qualche ulteriore riflessione. Se non sbagliamo, il conflitto qui promosso sarebbe inquadrabile, secondo la tipologia descritta dalla legge e dalle norme integrative 2008 della Giustizia Costituzionale, nella tipologia del conflitto di attribuzione (vindicatio potestatis) tra enti. Il ricorso in questione sembra avere un tratto che, nell'ambito di tale tipologia per la quale soltanto vale il termine decadenziale dei sessanta giorni dalla comunicazione o conoscenza dell'atto lesivo della competenza, lo distingue essenzialmente, e cioe' la mancanza proprio di un «atto» del soggetto antagonista che esprima con carattere di definitivita' la volonta' lesiva della sfera di competenza. Vi e' la lesione dell'autonomia funzionale del consigliere regionale, una lesione con carattere di concretezza, perche' il singolo consigliere e' chiamato a rispondere penalmente, e personalmente, di scelte, come quelle del collaboratore e della complessiva gestione del rapporto fondamentale con il territorio e i cittadini, che connotano tratti essenziali dell'autonomia della funzione e dell'organo. Manca pero' l'atto lesivo definitivo, che la norma citata costituisce dies a quo del termine dei sessanta giorni. A nostro modestissimo avviso, dunque, la situazione che il ricorso e' inteso a rimediare, appare piu' assimilabile, mutatis mutandis, a quel conflitto interorganico tra poteri dello Stato, che da tempo Codesta Corte ha rivisitato allargandone i confini, prima rigidi, dello Stato-unita', e includendovi anche ricorsi in cui un atto definitivo manca, ed e' presente invece, con eguale se non piu' accentuato effetto «disarmonico» della complessiva architettura costituzionale, una «attivita'» dell'ente antagonista di per se' lesiva della sfera di competenza altrui. In situazioni del genere, in cui e' la «attivita'» e non un «atto» a caratterizzare l'invadenza della sfera di competenze istituzionali, il termine decadenziale appare privo non solo del dies a quo, ma anche di effettive ragioni giustificative. Un termine che, come insegna Codesta Corte, e' stato introdotto e mantenuto essenzialmente e comprensibilmente per uno scopo «deflattivo» (il cd. «tono costituzionale»), ma che non appare in sintonia con il progressivo riconoscimento di una tipologia terza, e in qualche modo mista, di ricorsi per conflitto di attribuzione. Oltretutto, questa nostra riflessione sembra poter trovare appoggio nei criteri di ragionevolezza e bilanciamento della condizione del consigliere regionale rispetto a quella omologa, sebbene su diversi piani, del membro del Parlamento, che puo' sollevare il conflitto ai sensi dell'art. 68 Cost., mentre il consigliere regionale in eguale situazione (perche' gli ambiti di sovranita' e autonomia per l'uno e per l'altro, a tal fine non fanno ne' potrebbero fare la differenza, in quanto entrambi protetti, a diverso livello dalla guarentigia costituzionale) non avrebbe legittimazione attiva. E quando fosse costretto a muoversi personalmente dopo l'imprevista abdicazione dell'Organo competente, potrebbe vedersi precluso il ricorso dal termine perentorio eventualmente invocato contro di lui, senza un dies a quo, e senza un'inerzia a lui imputabile. 2) Ragioni del conflitto, con indicazione delle normative di vario livello che presidiano le competenze violate, e la garanzia loro fornita dalle norme costituzionali. 2/a) Normative che, in relazione alle attivita' funzionali concretamente svolte dai consiglieri incriminati, presidiano le competenze violate. In una nostra memoria 15 febbraio 2016 alla Procura, nella quale chiedevamo l'archiviazione dell'inchiesta, citavamo specificamente le fonti normative delle nostre ragioni. La Procura non ha considerato in nessun modo quelle fonti, continuando non tanto in una diversa interpretazione, quanto nella voluta obliterazione di esse. Poiche' quel nostro contributo e' proprio l'oggetto di questo paragrafo del ricorso, ci permettiamo di riprenderlo pressoche' letteralmente. Occorre premettere che le condotte oggetto di contestazione riguardano: per il capo D), di cui vengono fatti responsabili tutti i consiglieri regionali, assunzioni di personale che si ritengono illecite perche' sarebbero state effettuate: senza procedure di comparazione; per prestazioni prive di natura altamente qualificata; di persone senza le indispensabili conoscenze professionali dei collaboratori richieste dalla legge; persone indicate di volta in volta da un consigliere regionale che usufruiva delle relative prestazioni lavorative; per i restanti capi A), B), C) ed F), riguardanti solo alcuni dei consiglieri regionali: sostanzialmente la pretesa destinazione a fini personali dei fondi e la mancata o addirittura artefatta rendicontazione delle spese. Tanto premesso, esaminiamo innanzitutto il Capo D). - Capo D). [riguarda tutti i ricorrenti, ed e' l'unico contestato allo scrivente] Passando dalle contestazioni ai fatti e alle normative in base alle quali quei fatti sono avvenuti, osservavamo che innanzitutto e' documentalmente provato che le assunzioni sono avvenute con contratto di diritto privato intercorso tra il Presidente del Gruppo consillare e il collaboratore. Le pretese violazioni di legge su cui si e' basata l'accusa non riguardano la fattispecie, perche' i commi 6 e 6-bis dell'art. 7 decreto legislativo n. 165/2001 richiamato nella contestazione disciplinano le assunzioni nella pubblica amministrazione, cioe' quelle che vengono conferite per un'attivita' e un rapporto, piu' o meno stabili, relativi al profilo gestionale-amministrativo dell'ente pubblico, e non - com'e' nella fattispecie - alle attivita' consustanziali al profilo istituzionale-politico del soggetto pubblico. Alle disposizioni normative dello Statuto sopra riepilogate, fondamento costituzionalmente garantito dell'autonomia regionale, aggiungevamo le altre del medesimo testo, e cioe': gli articoli 23 e 24 che riprendono il tema di un'autonomia piena (funzionale, organizzativa, amministrativa, contabile e di gestione patrimoniale) a proposito rispettivamente dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e del Consiglio regionale stesso (gia' presenti negli art. 11 e 17 del vecchio Statuto); l'art. 28 che per i Consiglieri - come gia' detto - usa la stessa formula che la Costituzione usa per i parlamentari: «rappresentano la Regione - senza vincolo di mandato», prevedendo pure per detti organi, e per i Gruppi nei quali i consiglieri si costituiscono, completa autonomia anche contabile (articoli 31 e 28 Statuto 2004, 11 e 17 vecchio Statuto). Passavamo in rassegna poi il quadro normativo che disciplina le suddette assunzioni. La l. reg. n. 6/1973, dedicata al funzionamento dei gruppi consiliari, prevedeva genericamente che il Presidente del Consiglio, d'intesa con il Presidente della Giunta, curasse l'assegnazione ai vari Gruppi, con criteri proporzionali alla consistenza numerica, delle sedi e del personale necessario. Nell'art. 3 stabiliva che ciascun Gruppo «ha diritto ad un contributo mensile a carico del bilancio del Consiglio regionale per le spese di funzionamento determinato: a) da una quota fissa di € 1.291,00 per ciascun gruppo, qualunque sia la consistenza numerica; b) da una quota variabile pari ad € 620,00 per ciascun consigliere regionale facente parte del gruppo consiliare.». Una prima specificazione e modifica di detta normativa veniva con la l. reg. n. 55/1979, che inseriva nella l. reg. 6/1973 un art. 3-bis, in forza del quale ciascun gruppo riceveva un contributo mensile a carico dei fondi a disposizione del Consiglio «per le spese di aggiornamento, studio e documentazione, compresa l'acquisizione di consulenze qualificate e la collaborazione professionale di esperti, nonche' per diffondere tra la societa' civile la conoscenza dell'attivita' dei gruppi consiliari, anche al fine di promuoverne la partecipazione all'attivita' dei gruppi stessi e particolarmente all'esame delle questioni ed all'elaborazione di progetti e proposte di leggi e provvedimenti di competenza del Consiglio regionale». Una disposizione siffatta aveva certamente il merito di rendere concreta l'autonomia del Gruppo, prevedendo che ad esso spettasse non solo il contributo generico, mensile e fisso, previsto dall'art. 3 della legge, ma anche un contributo aggiuntivo («Ciascun Gruppo ha inoltre diritto»), che l'art. 3-bis finalizzava all'acquisizione di consulenze qualificate, alla collaborazione professionale di esperti e alla diffusione tra la societa' civile di un interesse partecipativo all'attivita' dei Gruppi. In pratica, pero', le ampie e multiformi attivita' dei Gruppi necessitavano non soltanto di collaborazioni e collaboratori esterni di particolare esperienza, ma pure di persone meno titolate, che fossero in grado di impegnarsi, anche per «omogeneita' politica» (come riconosciuto ed approvato letteralmente dalla stessa giurisprudenza della Consulta: sentenza n. 187/1990), nell'ampio ed importantissimo lavoro gia' individuato dall'art. 3-bis, cioe' «per diffondere tra la societa' civile la conoscenza dell'attivita' dei gruppi consiliari, anche al fine di promuoverne la partecipazione all'attivita' dei gruppi stessi e particolarmente all'esame delle questioni e all'elaborazione di progetti e proposte di leggi e provvedimenti di competenza del Consiglio regionale» (cosiddetto rapporto degli eletti con il territorio): lavoro che non a caso quella norma affiancava esplicitamente, ma distintamente, al lavoro piu' specialistico. Da qui una modifica fondamentale che lo stesso art. 3-bis subiva nel 2004, (1) quando spariva del tutto il riferimento agli esperti e alle consulenze qualificate, e il contributo veniva finalizzato piu' semplicemente alle «spese di aggiornamento studio e documentazione compresa l'acquisizione di collaborazioni [senza restrizioni di sorta] nonche' per diffondere tra la societa' civile...» ecc. Un ulteriore, importante aggiornamento e' stato apportato dalla l. reg. n. 6/2002 (Disciplina del sistema organizzativo della Giunta e del Consiglio e disposizioni relative alla dirigenza ed al personale regionale), legge revisionata in vari punti fin quasi ai giorni nostri. A parte la riaffermazione tra i Principi e criteri generali della netta distinzione tra organi di Governo, cui spetta la funzione politica e di alta amministrazione, e organi di gestione (art. 4, e in particolare art. 37 comma 7), e l'indicazione del Regolamento come fonte precipua per la disciplina al dettaglio della loro organizzazione, compreso l'accesso all'impiego regionale (in particolare, articoli 5 e 30); nella parte dedicata all'organizzazione del Consiglio regionale (Tit. III), spicca l'art. 37, epigrafato «Strutture di diretta collaborazione con gli organi di indirizzo politico», che disegna un doppio assetto del personale chiamato a lavorare in quegli organi. Vi e' il personale della cosiddetta «struttura di diretta collaborazione», proveniente prevalentemente dalla stessa o da altra pubblica amministrazione (mediante chiamata fiduciaria e distacco), ma anche da esterni di varia qualificazione; e vi e' poi, in alternativa, il personale esterno ingaggiato direttamente dall'organo di indirizzo politico. Il comma 5 dell'art. 37 stabilisce che proprio il Gruppo consiliare puo' optare per questa seconda scelta (comma 5): «I gruppi consiliari, in alternativa alla struttura di diretta collaborazione di cui al comma 1, per lo svolgimento delle proprie funzioni, possono stipulare direttamente rapporti di lavoro subordinato, autonomo ovvero rientranti in altre tipologie contrattuali, previste dalla normativa vigente in materia, compatibili con l'attivita' lavorativa richiesta». Alla legge appena esaminata seguiva, quindi, il Regolamento di organizzazione del Consiglio Regionale, approvato con DUP (Deliberazione dell'Ufficio di Presidenza) 29 gennaio 2003 n. 3: Regolamento che, «in attuazione dei principi contenuti nella legge regionale 18 febbraio 2002 n. 6» (art. 1), mentre ribadiva principi e criteri generali di quella, e l'assetto del personale degli Organi politici del Consiglio, per quanto riguarda i Gruppi consiliari (Capo IV), prevedeva all'art. 13 la facolta' di attingere alla «struttura di diretta collaborazione», con dipendenti a chiamata fiduciaria della stessa o altra amministrazione e con collaboratori esterni assunti con contratto a tempo indeterminato; oppure, all'art. 14, titolato Assunzione diretta del personale, di «assumere direttamente personale con contratto di diritto privato» (comma 1). Come stabilito dalla legge reg. 6/2002, «al Gruppo che ha esercitato tale facolta' [di chiamata diretta del personale] viene erogato un contributo finanziario annuale correlato al numero massimo dei dipendenti ammessi in base alla consistenza numerica del gruppo stesso...» (comma 2). E' previsto inoltre un ulteriore contributo per spese non quantificabili attinenti ai trattamenti economici del personale cosi' assunto (art. 14, comma 4). E' di tutta evidenza che, avendo stabilito che quel genere di personale venisse assunto dal Gruppo «direttamente con contratto di diritto privato», e che esso - come previsto dalla normativa in proposito - non entrasse a nessun titolo nel ruolo dei dipendenti regionali, l'incarico assumeva necessariamente carattere strettamente fiduciario: si trattava, cioe', di un incarico che per sua stessa natura rifiutava una procedura concorsuale in incertam personam. Ed infatti, intervenute con decreto-legge n. 78/2010 le Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale con DUP 16 gennaio 2013 n. 7 adottava un «parametro omogeneo» di contenimento della spesa per il personale; e nell'occasione riproponeva sia il Capo IV del Regolamento del 2003, dedicato alla disciplina del rapporto di lavoro, sia l'art. 14 comma 1 del Capo V, titolato Assunzione diretta di personale da parte dei Gruppi consiliari, nei seguenti termini: «Ciascun presidente di gruppo, ai sensi dell'art. 37, comma 5 della l. r. 6/2002, in alternativa all'utilizzo della struttura di diretta collaborazione di cui all'art. 11, puo' procedere alla stipula di rapporti di lavoro subordinato, autonomo ovvero rientranti in altre tipologie contrattuali, previste dalla normativa vigente in materia compatibile con l'attivita' lavorativa richiesta, sulla base della designazione fiduciaria fattagli pervenire da ciascun consigliere componente del gruppo medesimo salvo diverse modalita' previste dal disciplinare apposito approvato dal gruppo.». Per concludere sul punto della ricostruzione del quadro normativo, possiamo dire che, sebbene niente imponesse particolari requisiti per l'assunzione del collaboratore fiduciario del Gruppo, poiche' questa figura presta un'opera che finisce per confluire in quella politico-istituzionale del Gruppo stesso, e' stato senz'altro opportuno, e conforme al canone costituzionale dell'efficienza di una buona amministrazione, continuare a chiedere che anche quella figura abbia almeno il possesso dei requisiti generali previsti per l'accesso all'impiego regionale, requisiti che rendono cosi' il suo lavoro «compatibile con l'attivita' lavorativa richiesta» (secondo la formula sintetica usata dall'art. 37 comma 5 l. r. n. 6/2002). Si vedano in proposito, nella DUP appena richiamata, sia l'art. 134 - Requisiti generali; sia l'Allegato A-quater alla DUP medesima - dedicato ai Profili professionali e redatto ai sensi dell'art. 133-bis comma 2, allegato che per il Collaboratore-Area amministrativa esige solo il titolo di studio della scuola dell'obbligo eventualmente accompagnata da corsi di formazione specialistici; sia infine l'art. 13 comma 3 relativo ai collaboratori esterni della struttura di diretta collaborazione, e il comma 1 dell'art. 14 trascritto, che hanno esteso anche ai collaboratori fiduciari direttamente assunti l'esigenza, e quindi la sufficienza, del possesso dei requisiti generali. Era questo, dunque, per il Capo D) il quadro normativo in vigore nel periodo di tempo cui si riferisce la contestazione del reato. 2/b) Garanzia fornita dalle norme costituzionali. Ci sia consentito qui fare tesoro di una giurisprudenza di Codesta Corte che, con grande saggezza e sensibilita' istituzionale, ha mano a mano elaborato una linea flessibile di soluzione dei conflitti, che stesse al passo con i tempi, salvaguardando l'armonia del sistema costituzionale e l'autonomia costituzionalmente garantita dell'istituto regionale. Una prima decisione che ha attirato la nostra attenzione e' la n. 143/1968 (Pres. Sandulli) nella quale le Sezioni Riunite della Corte dei conti avevano sollevato questione di costituzionalita' in relazione ad una legge della Regione a Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia che, secondo il giudice contabile, mentre sottoponeva a controllo della Corte dei conti i fondi per le spese del Consiglio al proprio Presidente, per i successivi singoli pagamenti fatti da quel Presidente prevedeva che il rendiconto fosse portato solo al controllo del Consiglio regionale. La Corte costituzionale riteneva infondata la questione. Per quanto qui puo' rilevare, nel corso di una sintetica ricognizione dei poteri della Corte dei conti, la decisione affermava innanzitutto che «in particolare l'impiego di somme destinate ad uno dei tre organi costituzionali [si parla di organi dello Stato] e' soggetto a sindacato fino a quando sia atto del Governo; ma, appena esse siano giunte a disposizione dell'organo, gli ulteriori atti di spesa, comunque si concretino, sono atti interni di quest'ultimo e percio' sottratti al riscontro.». E cosi' proseguiva: «Un'analoga situazione si produce, su un piano diverso ma sempre a livello costituzionale, nell'ambito delle regioni a statuto speciale: ciascuna di esse ha organi di Governo e, ben distinta, un'assemblea politico-legislativa. Nel contesto del nostro ordinamento, caratterizzato dalla pluralita' dei poteri, la regione si colloca come ente dotato di autonomia politica pur nell'unita' dello Stato; autonomia che gli statuti in generale riconoscono ad essa quale entita' diversa da questo, ma che si e' tradotta in precise potesta' attribuite alle assemblee legislative regionali da norme statutarie...Ne discende che, corpo indipendente e situato fuori dell'ordine amministrativo, i suoi atti non sono sottoposti a riscontro esterno.» Si concludeva affermando che «le somme impegnate in bilancio per le spese di funzionamento del Consiglio regionale, appena pervenutegli, possono essere spese dal suo Presidente senza altro controllo che quello, successivo, del medesimo Consiglio.». Una seconda decisione, i cui richiami giurisprudenziali ci hanno poi indirizzato nelle altre due cui subito attingeremo, e' la n. 81/1975 (Pres. Bonifacio). Essa ha particolare analogia con il caso che ci occupa. Il conflitto di attribuzione infatti era stato promosso dal Presidente della Regione Abruzzo «a seguito dei provvedimenti del giudice istruttore presso il tribunale dell'Aquila, con i quali e' stato disposto procedersi con istruzione formale nei confronti di 37 consiglieri regionali per concorso nel reato di peculato». Si trattava di spese di pasti in un ristorante del luogo, deliberate a favore di consiglieri e dipendenti in situazioni di emergenza, e di spese per un contratto di assicurazione contro gli infortuni, sempre per i consiglieri regionali. La Corte, mentre affermava la sanzionabilita' del Governo regionale, organo di natura esecutiva, decideva invece che «nel merito il ricorso della regione risulta fondato nella parte concernente la penale responsabilita' dei consiglieri regionali che approvarono le citate delibere consiliari.». E cio' in forza di una «adeguata interpretazione dell'immunita' sancita dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione», che pur confrontato «con le piu' ampie guarentigie concesse ai membri del Parlamento» (art. 68, comma 2 e 3), s'inquadra comunque «nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite.». Dichiarava pertanto «il difetto di giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ad accertare la penale responsabilita' dei consiglieri della Regione Abruzzo per i voti da essi espressi.». In realta', come appare ormai pacifico da varie e progressive decisioni della Corte, su una delle quali presto ci soffermeremo per la sua calzante specificita' con il nostro caso (la n. 289/1997), le guarentigie costituzionali previste per i consiglieri regionali dall'art. 122 comma 4 della Cost., non limitano la loro copertura ai soli «voti» espressi, ma anche all'attivita' di tipo amministrativo del consigliere, attivita' che rientra dunque nella complessiva sfera di autonomia che giustamente si e' voluto tutelare. Il nostro diario di viaggio attraverso la giurisprudenza della Corte giunge ora alla decisione n. 70/1985 (Pres. Elia). Plurimi conflitti di attribuzione rispetto alla magistratura erano stati proposti dal Presidente della Regione Toscana per una serie di reati di omissione di atti d'ufficio contestati da varie autorita' giudiziarie a seguito dell'inquinamento del fiume Arno e delle sue esondazioni. Assumeva la Regione Toscana che i provvedimenti giudiziari erano esorbitanti e lesivi della propria autonomia organizzativa, «ovvero confliggenti con la guarentigia dell'irresponsabilita' dei consiglieri regionali, di cui all'art. 22, quarto comma, Cost..». Ecco i passaggi della sentenza che qui rilevano. «Preliminare ed assorbente e' il motivo di ricorso con il quale viene negato in radice il potere di organi giudiziari di emettere provvedimenti» quali quelli impugnati. Si tratta, all'evidenza, di provvedimenti atipici o anomali...Sufficiente per la soluzione dei conflitti in esame, e' il rilievo che non spetta ad organi giudiziari alcun potere di intervento nell'esercizio delle funzioni costituzionalmente riservate alla regione...». «Questa Corte ha gia' precisato, in via generale (sent. n. 69 del 1985) che le funzioni legislative e di indirizzo politico, nonche' quelle di controllo e di autoorganizzazione, connotano il livello costituzionale dell'autonomia garantita alle regioni e che l'esercizio di esse, riservato consiglio regionale, non puo' essere sindacato da organi giudiziari al fine di accertare l'eventuale responsabilita' dei soggetti deputati ad adempierle.». La responsabilita' per le scelte o le omissioni compiute nell'esercizio di quelle funzioni, osserva la Corte, puo' essere quella di carattere politico, e non puo' dare ingresso al sindacato di organi, come quelli giurisdizionali, cui sono deputate valutazioni di ordine giuridico, e non anche valutazioni politiche. L'ultima decisione di cui vogliamo parlare, e' quella gia' annunciata, la n. 289/1997 (Pres. Granata). Il caso: ricorso promosso dalla Regione Veneto per conflitto di attribuzione sorto a seguito della citazione del Procuratore regionale della Corte dei conti per il Veneto nei confronti di consiglieri regionali che avevano deliberato l'acquisto di vetture per rinnovo del parco macchine. Nel riepilogare gli argomenti della regione, che verranno totalmente accolti, la sentenza scrive: «Sostiene, anzitutto la ricorrente che l'ambito di operativita' dell'immunita' prevista dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione - in base al quale i consiglieri regionali «non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» - risulta delimitato, non solo dalla Costituzione, ma, per quanto attiene alla sfera delle funzioni, anche dalle leggi statali e dagli atti aventi forza di legge dello Stato. Pertanto, la stessa immunita', oltre alla funzione legislativa, di indirizzo politico e di controllo, ricomprende, a suo avviso, anche quella di autorganizzazione interna, fermo restando, comunque, che le funzioni possono estrinsercarsi attraverso atti aventi, dal punto di vista formale, natura sia legislativa che amministrativa. Secondo la Regione Veneto, l'attivita' che il Procuratore regionale pretende di censurare e', dunque, coperta dalla guarentigia in parola per un duplice motivo: sia, per l'appunto, in quanto rientrante tra le funzioni di autorganizzazione interna, svolte mediante atti amministrativi, con specifico riferimento agli strumenti di cui deve disporre il consigliere regionale per compiere i doveri del proprio ufficio, nonche' ai mezzi umani (personale) e materiali (risorse finanziarie) spettanti al Consiglio per l'esercizio delle proprie competenze legislative, amministrative e di controllo; sia in quanto l'acquisto di beni del tipo di quelli che hanno dato occasione al giudizio di responsabilita', trova titolo nella legge statale 6 dicembre 1973, n. 853, che disciplina l'autonomia contabile e funzionale dei Consigli regionali delle regioni a statuto ordinario.». Ecco il pensiero totalmente adesivo della Corte. «Si tratta di ragioni che, alla luce degli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, richiamati dalla stessa ricorrente, non possono non essere condivise. Come questa Corte ha gia' avuto occasione di precisare sin dalla sentenza n. 81 del 1975, l'immunita' prevista dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione attiene alla particolare natura delle attribuzioni del Consiglio regionale, che costituiscono «esplicazione di autonomia costituzionalmente garantita» attraverso l'esercizio di funzioni «in parte disciplinate dalla stessa Costituzione e in parte dalle altre fonti normative cui la prima rinvia». Anche se il nucleo caratterizzante delle funzioni consiliari, quale definito dall'art. 121, secondo comma, della Costituzione, porta a considerare ad esso estranee, in via di principio, le funzioni di amministrazione attiva, la giurisprudenza di questa Corte e' dell'avviso che, per i Consigli» regionali, le attribuzioni costituzionalmente previste non si esauriscono in quelle legislative, ma ricomprendono anche quelle «di indirizzo politico, nonche' quelle di controllo e di autorganizzazione» (sentenza n. 70 del 1985). E' cosi' possibile individuare il presupposto sistematico della disposizione sull'immunita', con riguardo anche alle «altre funzioni» conferite al Consiglio «dalla Costituzione e dalle leggi», secondo la locuzione accolta dal gia' menzionato art. 121 della Costituzione. In definitiva, secondo quanto e' dato evincere dai richiamati precedenti (per cui v. anche sentenza n. 69 del 1985), il criterio della delimitazione dell'insindacabilita' dei consiglieri regionali sta nella fonte attributiva della funzione, e non nella forma degli atti, si' che risultano garantite sotto tale aspetto anche le funzioni che, benche' di matura amministrativa, sono assegnate al Consiglio regionale in via immediata e diretta dalle leggi dello Stato, avendo tuttavia presente che l'immunita' non e' diretta ad assicurare una posizione di privilegio per i consiglieri regionali, ma si giustifica in quanto vale a preservare da interferenze e condizionamenti esterni le determinazioni inerenti alla sfera di autonomia propria dell'organo (cfr. la gia' menzionata sentenza n. 70 del 1985). Da detti principi va desunta la soluzione del caso in esame. Proprio a salvaguardia dell'autonomia contabile e funzionale degli organi in questione la legge n. 853 del 1973, da un lato, ha previsto che per le esigenze dei Consigli regionali siano istituiti nel bilancio della regione appositi capitoli di spesa tra i quali e' menzionato anche quello per attrezzature, mentre, dall'altro, ha escluso che gli atti amministrativi e di gestione dei fondi siano soggetti ai controlli ex art. 125 della Costituzione (vedi legge n. 853 del 1973, articoli 2 2 4, terzo comma)». (1) Art. 22 comma 1, lettera c) della legge reg. 27 febbraio 2004 n. 2
P.Q.M. Si puo' dunque concludere affermando che tutti gli atti fatti e comportamenti contestati nelle imputazioni, essendo riferibili soggettivamente ed oggettivamente all'esercizio delle funzioni essenziali del consigliere regionale, organo della regione dotato di autonomia costituzionalmente garantita, non rientrino nella sfera di competenza della Magistratura. Si chiede pertanto che codesta Ecc.ma Corte voglia accogliere il ricorso, riconoscendo la lesione della sfera di competenza avvenuta finora ad opera della Procura della Repubblica di Roma, ai danni della Regione Lazio e specificamente del Consiglio regionale, del Gruppo consiliare PD e dei singoli Consiglieri, nei confronti dei quali si e' formulata imputazione. Roma, 12 maggio 2017 Marco Di Stefano p.a. Avv. Francesco Gianzi