N. 47 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 luglio 2017

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7  luglio  2017  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Demanio e patrimonio dello  Stato  e  delle  Regioni  -  Norme  della
  Regione Abruzzo - Demanio  marittimo  -  Previsione  che  i  Comuni
  garantiscono che il rilascio di  nuove  concessioni  avvenga  senza
  pregiudizio del legittimo affidamento degli  imprenditori  balneari
  titolari di concessioni rilasciate  anteriormente  al  31  dicembre
  2009. 
- Legge della Regione Abruzzo 27  aprile  2017,  n.  30  (Tutela  del
  legittimo affidamento dei concessionari balneari), art. 3, comma 3. 
(GU n.31 del 2-8-2017 )
    Ricorso ai sensi dell'art. 127 Cost. del Presidente del consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, nei cui uffici domicilia in Roma dei Portoghesi, 12 
    Contro la Regione Abruzzo, in persona del  Presidente  in  carica
per l'impugnazione della legge regionale dell'Abruzzo 27 aprile 2017,
n. 30, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione  Abruzzo  n.
54 del 10 maggio 2017, rubricata «Tutela  del  legittimo  affidamento
dei concessionari balneari», in relazione al suo art. 3, comma 3. 
    La legge regionale dell'Abruzzo n. 30 del 2017 ha  la  finalita',
illustrata nel suo art.  1,  di  garantire  in  tutto  il  territorio
regionale: 
        l'esercizio omogeneo delle funzioni amministrative in materia
di uso del demanio marittimo ricreativo da parte dei comuni  costieri
(comma 1); 
        il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime su  aree
disponibili con finalita' turistico-ricreative in base a procedure di
selezione  tra  i  candidati  potenziali  ispirate   a   criteri   di
imparzialita',   trasparenza,    valorizzazione    delle    attivita'
imprenditoriali e tutela degli  investimenti,  «cosi'  come  previsto
dall'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30  dicembre  2009,  n.  194
(Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative) convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 26  febbraio
2010, n. 25» (1) . Cio', «nelle more  della  revisione  del  riordino
della materia delle concessioni  demaniali  marittime  con  finalita'
turistico-ricreative  in  conformita'  ai  principi  di   derivazione
europea» (comma 2); 
        adeguate e omogenee condizioni  di  sviluppo  per  le  micro,
piccole e  medie  imprese  turistico-ricreative  operanti  in  ambito
demaniale marittimo (comma 3); 
        la tutela dell'affidamento di concessioni demaniali marittime
con finalita' turistico-ricreative «nei limiti precisati dal  diritto
eurounitario» (comma 4). 
    A  fronte  dell'enunciazione  di  tali  obiettivi,   disposizioni
immediatamente precettive  -  fatta  eccezione  per  le  disposizioni
finanziarie dell'art. 4 e quelle sull'entrata in vigore dell'art. 5 -
sono contenute esclusivamente nell'art. 3, rubricato «Funzioni  della
Regione e dei Comuni». 
    I primi due  commi  di  questo  articolo  delineano  le  funzioni
rispettivamente assegnate alla Regione e ai comuni. 
    Il successivo comma 3 prevede quanto segue: 
        «Nell'esercizio delle proprie funzioni i Comuni  garantiscono
che il rilascio di nuove concessioni avvenga  senza  pregiudizio  del
legittimo  affidamento   degli   imprenditori   balneari   rilasciate
anteriormente al 31 dicembre 2009». 
    La norma e' illegittima per il seguente 
 
                             M o t i v o 
 
    In relazione all'art. 117, secondo comma, lettere e) e l),  Cost.
violazione della potesta' legislativa  esclusiva  dello  Stato  nelle
materie della «tutela della concorrenza» e dell'«ordinamento civile». 
    La   portata   e   gli   obiettivi   dell'intervento    regionale
risulterebbero  scarsamente  intellegibili  senza  un   inquadramento
dell'intervento medesimo nel contesto che attualmente caratterizza il
settore   delle   concessioni   del   demanio   marittimo    a    uso
turistico-ricreativo. 
    Prima di entrare nel merito  delle  censure  che  si  andranno  a
proporre, sembra  quindi  opportuno,  da  un  lato,  ripercorrere  le
vicende   normative   che    hanno    caratterizzato    l'adeguamento
dell'ordinamento nazionale  alle  contestazioni  che  la  Commissione
europea ha formulato  nell'ambito  della  procedura  d'infrazione  n.
2008/4908 e,  dall'altro  lato,  dare  conto  delle  circostanze  che
caratterizzano  il  procedimento  pregiudiziale  di  cui  alle  cause
riunite C-458/14, Promoimpresa, e C-67/15, Melis e a.,  originate  da
rinvio disposto da due tribunali amministrativi  regionali  italiani,
che  e'  stato  recentemente  definito  dalla  Corte   di   giustizia
dell'Unione europea. 
    Quanto alla procedura di infrazione, essa fu avviata nel febbraio
del 2009 dalla Commissione europea, la quale censurava il  fatto  che
in Italia l'attribuzione delle concessioni  demaniali  marittime  per
finalita' ricreative si basasse su un sistema di  preferenza  per  il
concessionario uscente, se non addirittura di puro e semplice rinnovo
automatico della concessione gia' assentata. 
    La Commissione ha quindi chiesto di  modificare  le  disposizioni
normative nazionali che producevano tale effetto, ossia l'art. 37 del
codice della navigazione e l'art. 01, comma 2,  del  decreto-legge  5
ottobre 1993, n. 400 - le quali prevedevano, rispettivamente, il c.d.
diritto  d'insistenza  del  concessionario  uscente  e   il   rinnovo
automatico delle concessioni sessennali  -  cosi'  da  passare  a  un
sistema basato su concessioni di durata  massima  di  20/25  anni  da
attribuire mediante procedure di evidenza pubblica. 
    Nella  prima  fase  della  procedura,  le   contestazioni   della
Commissione si sono appuntate sulla contrarieta' del regime nazionale
alle norme  del  diritto  primario  dell'Unione  e,  in  particolare,
all'art. 43 dell'allora Trattato  CE  (ora  art.  49  del  TFUE),  in
materia di  liberta'  di  stabilimento,  in  ragione  della  barriera
all'ingresso che tale regime introduceva nei confronti delle  imprese
dell'Unione europea, alle quali non  era  concessa  la  possibilita',
alla scadenza della concessione, di prendere  il  posto  del  vecchio
gestore. 
    L'interpretazione, come noto, e' stata condivisa da codesta Corte
costituzionale, nella sentenza n. 180 del 2010, che - occupandosi  di
una legge delle Regione Emilia-Romagna che attribuiva ai titolari  di
concessioni demaniali marittime il diritto a una proroga della durata
della concessione fino ad un massimo di 20 anni - ha  dichiarato  che
simili  previsioni  determinano  una   «ingiustificata   compressione
dell'assetto concorrenziale del mercato della  gestione  del  demanio
marittimo, (...), violando il principio  di  parita'  di  trattamento
(detto anche "di non discriminazione"), che si ricava dagli artt.  49
e seguenti del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea,  in
tema di liberta' di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari  a
scapito  degli  aspiranti  nuovi».  Tale  indirizzo  e'  stato,  poi,
ribadito nelle sentenze n. 340 del 2010 e n. 213 del  2011,  relative
ad altre leggi regionali. 
    Per  superare  le  contestazioni  della  Commissione,  e'   stata
inserita, nell'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre  2009,
n. 194 (c.d. «mille proroghe»),  una  disposizione  che  ha  abrogato
l'art. 37, comma 2, del codice della navigazione (ossia la norma  che
prevedeva  il  diritto  d'insistenza),  nel  contempo  prorogando  le
concessioni in essere al 31 dicembre  2015,  onde  consentire,  nelle
more di tale scadenza, l'adozione di una normativa che  disciplinasse
l'affidamento delle  concessioni  attraverso  procedure  di  evidenza
pubblica (la disposizione e' stata riportata nella  nota  a  pie'  di
pag. 1, sia pure nelle versione successivamente modificata). 
    In fase  di  conversione  del  decreto-legge,  in  questa  stessa
disposizione fu, tuttavia, inserito  dal  Parlamento  un  inciso  che
faceva salva l'applicabilita' del disposto dell'art. 1, comma 2,  del
decreto-legge n. 400 del 1993, il quale prevedeva  un  meccanismo  di
rinnovo automatico delle concessioni sessennali. 
    La  circostanza  ha  impedito   la   chiusura   della   procedura
d'infrazione. 
    La Commissione europea ha infatti comunicato, il 5  maggio  2010,
una lettera di c.d. «messa in mora complementare» con cui,  oltre  ad
agganciare  l'incompatibilita'  della  normativa  dell'Unione   anche
all'art. 12 della Direttiva 2006/123/CE (c.d. «Direttiva  Servizi»  o
«Bolkestein»), entrata nel frattempo in vigore (28 dicembre 2009), ha
chiesto  di  correggere  l'art.  1,  comma  18,  del  decreto  «mille
proroghe», espungendo il rinvio al meccanismo di  rinnovo  automatico
previsto dal citato decreto-legge n. 400/1993. 
    Nella lettera di messa in mora complementare,  la  Commissione  -
oltre a ribadire  la  contrarieta'  al  Trattato  dei  meccanismi  di
proroga automatica o di preferenza del concessionario  uscente  -  ha
messo in evidenza che l'art. 12 della direttiva Bolkestein  prescrive
che,  qualora  il  numero   di   «autorizzazioni»   disponibili   per
l'esercizio di un'attivita' economica  sia  limitato  per  via  della
scarsita'  delle  risorse  naturali  o   delle   capacita'   tecniche
utilizzabili,  queste  siano  assentite   attraverso   procedure   di
selezione che assicurino  imparzialita'  e  trasparenza  e  prevedano
un'adeguata pubblicita' dell'avvio della  sua  procedura  e  del  suo
svolgimento. Questo articolo vieta inoltre, al secondo paragrafo,  il
rinnovo  automatico  di  tali  autorizzazioni  o  l'attribuzione   di
qualsiasi «vantaggio» al titolare uscente o a persone che si  trovino
in particolari rapporti con esso (2) . 
    Per «autorizzazione»,  secondo  le  definizioni  contenute  nella
direttiva,  deve  intendersi  «qualsiasi  procedura  che  obbliga  un
prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorita'  competente
allo  scopo  di  ottenere  una  decisione  formale  o  una  decisione
implicita relativa all'accesso ad un'attivita' di servizio o  al  suo
esercizio».  La  definizione,  pertanto,  si  attaglia  a   qualsiasi
attivita' economica il cui svolgimento  postuli  l'emissione  di  una
decisione di un'attivita' pubblica. In tale nozione, a giudizio della
Commissione,     doveva     ricomprendersi     anche      l'attivita'
turistico-balneare, considerato che il suo esercizio e'  condizionato
dal  previo  rilascio  di  una  concessione  sui  beni  del   demanio
marittimo. 
    Per superare definitivamente le contestazioni della  Commissione,
e' stato quindi approvato, in seno alla legge 15  dicembre  2011,  n.
217 (legge comunitaria 2010), un art. 11 («Modifiche al decreto-legge
5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4
dicembre 1993, n. 494. Procedura d'infrazione n. 2008/4908. Delega al
Governo in materia  di  concessioni  demaniali  marittime»),  che  ha
eliminato  ogni  rinvio  al  regime  del  rinnovo  automatico   delle
concessioni (3) . 
    Cio' ha consentito l'archiviazione della procedura di infrazione,
avvenuta con decisione della Commissione del 27 febbraio 2012. 
    L'art. 11 della legge comunitaria 2010 conferiva anche una delega
legislativa per la revisione e il riordino della  normativa  relativa
alle concessioni demaniali  marittime,  ma  il  relativo  termine  di
quindici mesi e' spirato senza che la delega fosse esercitata. 
    Cio' si deve essenzialmente al fatto che, con l'art. 34-duodecies
del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (inserito  dalla  legge  di
conversione del 17 dicembre 2012, n. 221), il termine di durata delle
concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo in  essere
e' stato prorogato al 31 dicembre 2020. 
    La  proroga  ope  legis  ha   costituito   oggetto   dei   rinvii
pregiudiziali disposti da due tribunali amministrativi regionali  (il
T.A.R. della Lombardia e il T.A.R. della Sardegna) che,  in  sintesi,
si sono interrogati sulla compatibilita' della detta  proroga  con  i
principi stabiliti nel Trattato e nel  diritto  derivato  dell'Unione
europea (segnatamente, nell'art. 12 della direttiva Bolkestein). 
    In data 14 luglio 2016 e'  stata  depositata  la  sentenza  della
Corte di giustizia dell'Unione europea (in  prosieguo,  la  «sentenza
Promoimpresa e a.»). 
    Ai fini che qui  rilevano,  la  sentenza  si  segnala  per  avere
confermato che, in linea di principio, le  concessioni  demaniali  in
questione  rientrano  nel  campo  di  applicazione  della   direttiva
2006/123/CE e, in particolare, del suo art. 12 (pur  residuando,  nei
casi di specie, un  apprezzamento  di  fatto  -  rimesso  al  giudice
nazionale  -  circa  la  natura  «scarsa»,  o  meno,  della   risorsa
attribuita in concessione (4) ). 
    In particolare, essa  ha  ritenuto  che  le  concessioni  possono
«essere   qualificate   come   "autorizzazioni",   ai   sensi   delle
disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto  costituiscono  atti
formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto  nazionale,
che i prestatori devono ottenere dalle autorita' nazionali al fine di
poter esercitare la loro attivita' economica» (cfr.  punto  41  della
sentenza). 
    La  Corte  di  giustizia  ha,  peraltro,  anche   affermato   che
l'eventuale inapplicabilita' delle disposizioni della  direttiva  non
esimerebbe le autorita' concedenti dall'affidare le  concessioni  che
abbiano un interesse transfrontaliero certo - che siano, cioe',  tali
da  poter  ragionevolmente  suscitare  l'interesse  economico  di  un
operatore economico situato in un altro Stato  membro  dell'Unione  -
nel rispetto delle regole fondamentali del TFUE  e,  in  particolare,
del principio di non discriminazione (5) . 
    Da  ultimo,  la  sentenza  chiarisce  che   una   disparita'   di
trattamento tra i concessionari esistenti e gli  operatori  economici
che aspirano alla concessione puo', a determinate, condizioni «essere
giustificata  da  motivi  imperativi  di   interesse   generale,   in
particolare  dalla  necessita'  di  rispettare  il  principio   della
certezza del diritto», tuttavia poi escludendo che, nei due  casi  di
specie, potesse farsi questione di tutela del legittimo  affidamento,
giacche' le concessioni controverse erano state affidate in  un'epoca
in cui gli interessati non potevano  legittimamente  confidare  sulla
stabilita' dei rapporti  concessori  in  misura  maggiore  di  quanto
consentito dai principi del diritto dell'Unione. 
    All'indomani del deposito della sentenza della Corte di giustizia
-  la  quale,  nella  sostanza,  chiariva  che   era   passibile   di
disapplicazione la  proroga  al  2020  delle  concessioni  esistenti,
disposta dall'art. 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del  2012  -
il Parlamento,  senza  abrogare  tale  disposizione,  e'  intervenuto
inserendo, in sede di conversione del decreto-legge 24  giugno  2016,
n. 113, un comma 3-septies all'art. 25, del seguente  tenore:  «Nelle
more della revisione e del riordino della materia in  conformita'  ai
principi  di  derivazione  europea,  per  garantire   certezza   alle
situazioni giuridiche  in  atto  e  assicurare  l'interesse  pubblico
all'ordinata gestione del demanio senza  .soluzione  di  continuita',
conservano validita' i rapporti gia' instaurati e  pendenti  in  base
all'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30  dicembre  2009,  n.  194,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010,  n.  25»
(6) . 
    Successivamente,  in  data  15  febbraio  2017,  il  Governo   ha
presentato al Parlamento un  disegno  di  legge  recante  «Delega  al
Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa  alle
concessioni  demaniali  marittime,  lacuali   e   fluviali   ad   uso
turistico-ricreativo» (Atto Camera 4302). 
    Da ultimo, merita  richiamare  una  nuova  pronuncia  di  codesta
Corte, la sentenza n.  40  del  2017,  nella  quale  -  in  linea  di
continuita' con tutta la precedente giurisprudenza in  materia  (cfr.
le citate sentenze numeri 180, 233 e 340 del 2010, n. 213 del 2011  e
n. 171 del 2013) - si e' confermato che la disciplina dei  criteri  e
delle modalita' di affidamento delle concessioni,  nel  cui  contesto
«particolare  rilevanza  (...)  assumono  i  principi  della   libera
concorrenza  e  della  liberta'  di  stabilimento,   previsti   dalla
normativa comunitaria e nazionale», investe un ambito  di  competenze
riservate alla legislazione statale e interviene in  un  settore  nel
quale insistono principi di derivazione europea, che la  legislazione
nazionale deve rispettare. 
    Nel  descritto  quadro,  l'intervento  normativo   regionale   si
propone, come si e' visto, di tutelare l'affidamento degli  operatori
che siano, ad attualita', titolari di una concessione balneare. 
    Ora, la citata sentenza Promoimpresa e  a.  ha  chiarito  che  la
circostanza che nell'ordinamento interno, fino al 31  dicembre  2009,
fosse previsto il diritto di insistenza  e/o  il  rinnovo  automatico
della concessione ogni sei anni, non e' sufficiente a  costituire  un
legittimo affidamento in capo a tutti i concessionari esistenti. 
    Secondo  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea   l'unico
affidamento tutelabile e' quello che si e' costituito sulla  base  di
una situazione  conforme  al  diritto  dell'Unione:  altro  e'  avere
ottenuto una concessione priva di interesse transfrontaliero certo in
un periodo  antecedente  alla  scadenza  della  direttiva  Bolkestein
(situazione che, come si e' visto, non ha rilievo  per  l'ordinamento
dell'Unione), altro e' avere ottenuto una  concessione  che,  invece,
aveva tale portata o averla ottenuta dopo l'armonizzazione realizzata
dalla direttiva. 
    Ne consegue che il  titolare  di  una  concessione  di  interesse
transfrontaliero certo, sia  pure  assentita  prima  dell'entrata  in
vigore della direttiva servizi, non poteva  legittimamente  confidare
sui vantaggi conferiti, in violazione  dei  Trattati  europei,  dalla
norma nazionale;  d'altra  parte,  il  titolare  di  una  concessione
assentita dopo la scadenza della direttiva  Bolkestein  (28  dicembre
2009) non potrebbe  invocare  il  legittimo  affidamento  neanche  in
assenza   di   tale   interesse   transfrontaliero   certo,   perche'
l'armonizzazione realizzata  dalla  direttiva  rende  irrilevante  la
verifica in concreto di tale interesse. 
    Si  vede,  quindi,  come  la  questione  dell'esistenza  di   una
situazione di legittimo  affidamento  andrebbe  verificata  caso  per
caso. 
    La norma regionale, per converso, parametra la sussistenza di  un
legittimo affidamento a un dato formale,  di  diritto  nazionale:  il
riferimento alle «concessioni rilasciate anteriormente al 31 dicembre
2009» allude, evidentemente, alla  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, richiamato nell'art. 1  della
legge regionale. Ed essa non opera,  relativamente  alle  concessioni
rilasciate prima di tale data, alcuna distinzione tra situazioni  che
manifestino, o meno, interesse transfrontaliero certo. 
    Il   problema   puo'   tuttavia   essere   superato    attraverso
l'interpretazione sistematica, considerato che  l'art.  1,  comma  4,
della   medesima   legge   regionale   -   sia   pure   nel    quadro
dell'enunciazione degli obiettivi dell'intervento regionale -  indica
che la volonta' della legge e' di tutelare l'affidamento «nei  limiti
precisati dal diritto eurounitario». 
    Questo riferimento  consente,  verosimilmente,  di  escludere  la
diretta contrarieta' della legge regionale con il diritto dell'Unione
europea (vizio che, in effetti, non viene denunciato con il  presente
ricorso). 
    Residua,  nondimeno,  l'evidente   invasione   della   sfera   di
competenza esclusiva riservata alla legge statale nelle materie della
tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile. 
    Infatti, anche volendo escludere che la legge  regionale  assegni
alla  competenza  della   Regione   medesima,   ovvero   dei   comuni
(nell'esercizio delle funzioni di rilascio delle concessioni  che  la
legge ad essi attribuisce), la selezione  dei  casi  rilevanti  -  ma
rinvii  implicitamente  alle   norme   statali,   espressione   della
competenza in materia di ordinamento civile, e ai limiti imposti  dal
diritto dell'Unione europea - e' chiaro  che  anche  la  sola  scelta
delle modalita' attraverso le quali  tutelare  l'affidamento  implica
necessariamente l'esercizio di  competenze  esclusive  statali  nelle
materie della tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile. 
    La norma  regionale,  in  altri  termini,  prefigura  una  tutela
dell'affidamento secondo forme specifiche  e  proprie  della  Regione
Abruzzo, in base a scelte rimesse ai comuni,  cosi'  trascurando  che
tali situazioni devono essere regolate in maniera uniforme sul  piano
nazionale, per le esigenze  di  disciplina  della  concorrenza  e  di
parita' di trattamento, al  cui  presidio  sono  posti  gli  invocati
titoli di competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    Che  un  simile  risultato  si   annidi   inevitabilmente   nelle
disposizioni della legge regionale lo si evince,  a  tutta  evidenza,
dalle disposizioni finanziarie contenute  nell'art.  4,  secondo  cui
dall'attuazione della legge regionale non discendono nuovi o maggiori
oneri della finanza pubblica e agli adempimenti da essa  previsti  si
deve provvedere ad invarianza di spesa per  la  Regione  e  le  altre
amministrazioni interessate. 
    In presenza di simili limiti, e' chiaro che le  uniche  forme  di
tutela che i comuni potranno  garantire  ai  concessionari  esistenti
consisteranno o in una proroga dei loro  titoli  (attraverso  la  non
inclusione delle aree da essi occupati tra quelle «disponibili»,  per
le finalita' di cui all'art. 1 lettera b della legge medesima) ovvero
nell'imposizione ai concessionari subentranti - sulla scia di  quanto
gia' disposto da altre leggi regionali impugnate dinnanzi  a  codesta
Corte - dell'obbligo di indennizzare i concessionari uscenti. 
    Si  tratta,  in   entrambi   i   casi,   di   soluzioni   che   -
indipendentemente dalla loro  liceita'  -  esorbitano  manifestamente
dalla sfera di competenza della Regione. 
    Di qui l'evidente illegittimita' della legge regionale, nei sensi
denunciati in rubrica. 

(1) Questo comma, come modificato dall'art,  34-duodecies,  comma  1,
    del decreto-legge  18  ottobre  2012,  n.  179,  convertito,  con
    modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, dall'art. 1,
    comma 547, della legge  24  dicembre  2012,  n.  228  e,  infine,
    dall'art. 1, comma 291, della legge 27  dicembre  2013,  n.  147,
    stabilisce quanto segue: «Ferma restando la  disciplina  relativa
    all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali  in  base  alla
    legge 5 maggio 2009, n. 42,  nonche'  alle  rispettive  norme  di
    attuazione, nelle more del procedimento di revisione  del  quadro
    normativo in  materia  di  rilascio  delle  concessioni  di  beni
    demaniali   marittimi   lacuali   e   fluviali   con    finalita'
    turistico-ricreative, ad uso  pesca,  acquacoltura  ed  attivita'
    produttive ad essa connesse, e sportive, nonche' quelli destinati
    a porti turistici, approdi e  punti  di  ormeggio  dedicati  alla
    nautica da diporto, da realizzarsi,  quanto  ai  criteri  e  alle
    modalita' di affidamento  di  tali  concessioni,  sulla  base  di
    intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'art.  8,
    comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che e'  conclusa  nel
    rispetto  dei   principi   di   concorrenza,   di   liberta'   di
    stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello  sviluppo,  della
    valorizzazione delle attivita' imprenditoriali e di tutela  degli
    investimenti, nonche' in funzione del superamento del diritto  di
    insistenza di cui all'art. 37, secondo  comma,  secondo  periodo,
    del  codice  della  navigazione,  il  termine  di  durata   delle
    concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente
    decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 e' prorogato fino
    al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui  all'art.
    03, comma 4-bis,  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494. All'art. 37, secondo comma, del codice della navigazione, il
    secondo periodo e' soppresso». 

(2) Si riporta, per maggior  comodita'  di  lettura  dei  Giudicanti,
    anche il testo dell'art. 12 della  direttiva  servizi,  rubricato
    «Selezione tra diversi  candidati»:  «1.  Qualora  il  numero  di
    autorizzazioni disponibili  per  una  determinata  attivita'  sia
    limitato per via della scarsita' delle risorse naturali  o  delle
    capacita' tecniche utilizzabili, gli Stati membri  applicano  una
    procedura di selezione tra i candidati potenziali,  che  presenti
    garanzie  di  imparzialita'  e  di  trasparenza  e  preveda,   in
    particolare, un'adeguata pubblicita' dell'avvio della procedura e
    del suo svolgimento e  completamento.  2.  Nei  casi  di  cui  al
    paragrafo  1  l'autorizzazione  e'  rilasciata  per  una   durata
    limitata adeguata e non puo' prevedere la  procedura  di  rinnovo
    automatico ne' accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a
    persone che con tale prestatore abbiano  particolari  legami.  3.
    Fatti salvi il paragrafo 1 e gli  articoli  9  e  10,  gli  Stati
    membri possono tener  conto,  nello  stabilire  le  regole  della
    procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica,  di
    obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei
    lavoratori   dipendenti    ed    autonomi,    della    protezione
    dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale  e  di
    altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al  diritto
    comunitario». La disposizione e' stata recepita  nell'ordinamento
    nazionale dall'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010,  n.
    59, il qual dispone quanto segue: «1. Nelle  ipotesi  in  cui  il
    numero di titoli autorizzatori disponibili  per  una  determinata
    attivita' di servizi sia  limitato  per  ragioni  correlate  alla
    scarsita' delle  risorse  naturali  o  delle  capacita'  tecniche
    disponibili, le autorita' competenti applicano una  procedura  di
    selezione  tra  i   candidati   potenziali   ed   assicurano   la
    predeterminazione e la pubblicazione, nelle  forme  previste  dai
    propri  ordinamenti,  dei  criteri  e  delle  modalita'  atti  ad
    assicurarne l'imparzialita', cui le stesse devono  attenersi.  2.
    Nel fissare le regole della procedura di selezione  le  autorita'
    competenti possono  tenere  conto  di  considerazioni  di  salute
    pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e  della
    sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione
    dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale  e  di
    altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al  diritto
    comunitario.  3.  L'effettiva  osservanza  dei  criteri  e  delle
    modalita'  di  cui  al  comma  1  deve  risultare   dai   singoli
    provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio.  4.
    Nei casi di cui al comma 1 il titolo e rilasciato per una  durata
    limitata e non puo' essere rinnovato automaticamente, ne' possono
    essere accordati  vantaggi  al  prestatore  uscente  o  ad  altre
    persone, ancorche' giustificati  da  particolari  legami  con  il
    primo». 

(3) Si riporta, di seguito, il testo originario  dell'art.  11  della
    legge comunitaria 2010: «1. Al fine di chiudere la  procedura  di
    infrazione n.  2008/4908  avviata  ai  sensi  dell'art.  258  del
    Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonche'  al  fine
    di  rispondere  all'esigenza  degli  operatori  del  mercato   di
    usufruire di un quadro normativo stabile  che,  conformemente  ai
    principi  comunitari,  consenta  lo  sviluppo   e   l'innovazione
    dell'impresa  turistico-balneare-ricreativa:  a)   il   comma   2
    dell'art.  01  del  decreto-legge  5  ottobre   1993,   n.   400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494, e successive modificazioni, e' abrogato; b) al  comma  2-bis
    dell'art.  01  del  decreto-legge  5  ottobre   1993,   n.   400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494, e successive modificazioni, le parole: «di cui al  comma  2»
    sono sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 1 »; c) all'art.
    03, comma 4-bis,  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400,
    convertito, con modificazioni dalla legge  4  dicembre  1993,  n.
    494, le parole: «Ferme restando le disposizioni di  cui  all'art.
    01, comma 2,» sono soppresse ed e' aggiunto, in fine, il seguente
    periodo: «Le disposizioni del presente  comma  non  si  applicano
    alle  concessioni   rilasciate   nell'ambito   delle   rispettive
    circoscrizioni territoriali dalle autorita' portuali di cui  alla
    legge 28 gennaio 1994, n. 84».  2.  Il  Governo  e'  delegato  ad
    adottare, entro quindici mesi dalla data  di  entrata  in  vigore
    della presente legge, su proposta del Ministro per i rapporti con
    le regioni e per la coesione  territoriale,  di  concerto  con  i
    Ministri delle infrastrutture e dei  trasporti,  dell'economia  e
    delle finanze, dello sviluppo economico, per  la  semplificazione
    normativa, per le politiche europee  e  per  il  turismo,  previa
    intesa da sancire in sede di Conferenza unificata di cui all'art.
    8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281,  e  successive
    modificazioni,  un  decreto  legislativo  avente  ad  oggetto  la
    revisione  e  il  riordino  della  legislazione   relativa   alle
    concessioni demaniali marittime secondo  i  seguenti  principi  e
    criteri direttivi: (...). 3. - 6. (...)». 

(4) Cfr., in particolare, il punto 43 della  decisione:  «Per  quanto
    riguarda, piu' specificamente, la questione se dette  concessioni
    debbano essere oggetto di un numero  limitato  di  autorizzazioni
    per via della scarsita' delle risorse naturali, spetta al giudice
    nazionale verificare se tale requisito sia  soddisfatto.  A  tale
    riguardo, il fatto che le  concessioni  di  cui  ai  procedimenti
    principali  siano  rilasciate  a  livello  non  nazionale  bensi'
    comunale deve, in particolare, essere preso in considerazione  al
    fine di determinare se tali aree che possono  essere  oggetto  di
    uno sfruttamento economico siano in numero limitato». 

(5) Cfr.  il  punto  65  della  sentenza:  «(...)  qualora   siffatta
    concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la  sua
    assegnazione in totale assenza di trasparenza ad  un'impresa  con
    sede  nello  Stato  membro  dell'amministrazione   aggiudicatrice
    costituisce una disparita' di trattamento a danno di imprese  con
    sede in un altro Stato membro che potrebbero  essere  interessate
    alla suddetta concessione. Una siffatta disparita' di trattamento
    e', in linea di principio, vietata dall'art. 49 TFUE». 

(6) Si deve qui segnalare che alcune prime decisioni di merito  hanno
    ritenuto passibile di disapplicazione anche tale disposizione, in
    quanto, in buona sostanza, essa riprodurrebbe l'effetto censurato
    dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa e a.,  ossia
    quello  della  proroga  automatica  dei  titoli,  in  assenza  di
    qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali  candidati:  in
    questo senso si sono  pronunciati  il  T.A.R.  del  Lazio,  nella
    sentenza n. 5573 del 2017, e il  T.A.R.  della  Lombardia,  nelle
    sentenze numeri 153 e 959 del 2017. Di contrario avviso il T.A.R.
    della Campania (sent. n. 911 del 2017). 
 
                              P. Q. M. 
 
    Alla stregua di quanto precede  si  confida  che  codesta  ecc.ma
Corte vorra' dichiarare l'illegittimita' dell'art. 3, comma 3,  della
legge regionale dell'Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30. 
    Si produrra' copia autentica della  deliberazione  del  Consiglio
dei ministri del 28 giugno 2017, con l'allegata relazione. 
        Roma, 4 luglio 2017 
 
                 L'Avvocato dello Stato: Fiorentino