N. 105 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2017

Ordinanza del 21 aprile 2017 del Tribunale di Matera nel procedimento
penale a carico di D. N.. 
 
Reati e pene - Reati contro il patrimonio - Cause di non  punibilita'
  - Previsione della non punibilita' per fatti commessi a  danno  dei
  congiunti - Mancata previsione  della  non  punibilita'  anche  dei
  fatti commessi in danno di un convivente more uxorio. 
- Codice penale, art. 649, primo comma. 
(GU n.34 del 23-8-2017 )
 
                       IL TRIBUNALE DI MATERA 
 
    In composizione monocratica, ordinanza di rimessione  degli  atti
alla Corte costituzionale, articoli 134 Costituzione e 23,  comma  2°
legge 11 marzo 1953 n. 87. 
    Il Giudice dott. Giuseppe Di Giuseppe - G.O.T. 
    Visti gli atti dei procedimento penale  n.  659/15  R.G,T.  -  n.
1611/14 R.G.N.R., pendente in fase dibattimentale  dinanzi  a  questo
Giudice monocratico a carico di D. N. (nato a ... il  ...,  residente
in ... alla contrada ... S.S. ..., elettivamente  domiciliato  presso
lo studio legale del  proprio  difensore  di  fiducia  avv.  Vincenzo
Ditaranto del foro di Matera) imputato del reato  previsto  e  punito
dall'art. 646  codice  penale»  perche'  al  fine  di  procurarsi  un
profitto, avendo  il  possesso  di  indumenti,  effetti  personali  e
documenti dell'ex convivente C. D. e del loro figlio  D.  R.,  se  ne
appropriava rifiutandone la  restituzione.  In  ...,  il  ...»,  come
enunciato in fatto nell'unico capo di imputazione affidato al decreto
di citazione a giudizio immediato  emesso  a  seguito  di  interposta
opposizione a decreto penale di condanna, introduttivo  del  presente
giudizio e costituente li libello accusatorio oggetto di cognizione e
di prudente delibazione scrutinatoria del decidente; 
    Rilevato che alla decorsa udienza dibattimentale tenutasi il  di'
31 marzo 2017, dichiarata chiusa  l'istruttoria  e  procedutosi  alla
discussione delle parti, all'esito, questo magistrato  ha,  tuttavia,
ritenuto  di  sospendere  la  deliberazione  e  di  non   pronunciare
sentenza, riservandosi,  piuttosto,  di  valutare  approfonditamente,
medio tempore, il promuovimento,  di  ufficio,  di  un  incidente  di
costituzionalita' dell'art. 649 codice penale,  la  cui  applicazione
nel casus in esame e' stata, inter alia, espressamente invocata dalla
difesa dell'imputato D. N. censurandosi la medesima norma di  diritto
sostanziale penale nella parte in cui, in contrasto  con  i  principi
fondamentali  sanciti  dagli  articoli  3  comma   I   e   24   della
Costituzione, nel proprio  attuale  e  letterale  tenore  precettivo,
sebbene, di recente rivisitato e novellato in forza dell'art. 1 comma
1° lettere c) e d) decreto  legislativo  19  gennaio  2017  n.  6  in
attuazione e per il coordinamento con  la  disciplina  portata  dalla
legge 20 maggio 2016  n.  76,  non  stabilisca,  ipso  iure,  la  non
punibilita' anche dei fatti criminosi previsti dal  titolo  XIII  del
libro II del codice penale commessi in danno di  un  convivente  more
uxorio  [qualifica  soggettiva  quest'ultima   configurantesi   nella
fattispecie concreta in predicato in capo a C. D., persona offesa dal
reato costituitasi parte civile,  avuto  riguardo  all'accertata  sua
intercorsa relazione personale di convivenza di fatto con  l'imputato
D. N. e dalla cui unione e' nato loro figlio minore D. D. R.]; 
    Osservato in diritto quanto, infra, illustrato. 
    La norma in  esame  -  art.  649  codice  penale  -  notoriamente
sancisce la non punibilita' in tema di delitti contro  il  patrimonio
di cui al titolo XIII del libro II del codice  penale  (con  la  sola
esclusione prevista dal terzo comma, delle fattispecie incriminatrici
di cui agli articoli 628-629 e 630 codice  penale  e  di  ogni  altro
delitto contro il patrimonio qualora  perpetrato  con  violenza  alla
persona) commessi in danno  di  determinati  congiunti,  in  origine,
identificantesi con il coniuge non legalmente separato, l'ascendente,
il discendente, l'affine  in  linea  retta,  l'adottante,  l'adottato
ovvero il fratello e/o la sorella conviventi con la persona offesa e,
dopo recentissimo intervento del legislatore  operato  in  forza  del
richiamato art. 1 comma 1° lettera c) decreto legislativo 19  gennaio
2017 n. 6, anche in riferimento alla «parte  dell'unione  civile  tra
persone dello stesso sesso» nell'accezione del termine e  secondo  la
disciplina della legge 20 maggio 2016 n. 76, mediante  l'introduzione
del numero 1-bis del comma I dello stesso art. 649 codice penale. 
    L'originaria ratio  legis  della  causa  di  non  punibilita'  in
argomento,   secondo   la   dottrina   maggioritaria,   si   rinviene
nell'esigenza  di  evitare  turbamenti  nelle   relazioni   familiari
sull'assunto che l'applicazione di  una  sanzione  penale  renderebbe
irreparabilmente  compromessi  i  rapporti   intrafarniliari,   cosi'
vanificando  la  riconciliazione  del  nucleo  familiare,  inteso   e
concepito nel rispetto di quanto statuito dall'art. 29  della  nostra
Carta  fondamentale  in  guisa  di  «societa'  naturale  fondata  sul
matrimonio». 
    Ai fini dell'applicabilita' dell'esimente in parola e perche'  si
possa  dichiarare  l'operativita'  della  causa  di  non  punibilita'
dettata dall'art. 649  codice  penale  necessita,  dunque,  in  linea
generale, ai fini di odierno interesse, che sussista tra il reo ed il
soggetto passivo un  rapporto  matrimoniale  aventi  effetti  civili,
connotato da un regime di stabilita'. 
    Il nostro legislatore, nel  rendersi  interprete  di  un  diffuso
sentimento sociale e nel prendere atto di un crescente  fenomeno  del
vivere del Paese, nel mutare  dei  costumi  e  degli  stessi  assetti
strutturali  della  cosiddetta  «famiglia  di  fatto»,   ha   inteso,
irrazionalmente e/o comunque  riduttivamente  regolamentare  le  sale
unioni  civili  tra  persone  dello  stesso  sesso  ed   all'indomani
dell'avvento della legge 20 maggio 2016 n.  76  si  e'  «proceduto  a
coordinare le  disposizioni  della  disciplina  delle  unioni  civili
mediante le modificazioni e  le  integrazioni  normative  in  materia
penale di cui al citato decreto legislativo 19  gennaio  2017  n.  6,
introducendo il numero 1-bis del comma I dell'art. 649 codice  penale
innanzi richiamato. 
    Ne discende che, allo stato, l'art. 649 codice penale, nella  sua
esegesi letterale e nel perimetro rigoroso del precipuo rispetto  del
principio  di  legalita',  inteso  anche  quale  tassativita'   della
fattispecie penale, non sia, pertanto, applicabile  con  riguardo  ai
fatti  reato  contemplati  dalla  norma  commessi  in  danno  di   un
convivente more uxorio. 
    Chiarito detto preliminare profilo di analisi della  questione  e
prima di passare all'esame del  merito  della  verosimile  fondatezza
della sollevata censura di costituzionalita' del  medesimo  art.  649
codice penale nei termini e per le  ragioni  in  appresso  descritti,
appare indispensabile, ante omnia, valutare se, come pure argomentato
dalla difesa del prevenuto  nel  corso  della  sua  discussione,  sia
invocabile, nella specie,  l'estensione  al  convivente  more  uxorio
della  causa  personale  di  non  punibilita'  in  predicato  poiche'
integrante un'estensione analogica in bonam partem,  in  quanto  tale
non preclusa dal divieto di analogia in  materia  penale  sancito  in
linea di principio dall'art. 12 delle preleggi, quale applicazione  e
corollario del basilare principio di legalita' statuito dall'art.  25
della Costituzione: invero, aderendo ad una simile  posizione  ovvero
cosi' opinando si determinerebbe in nuce una potenziale  infondatezza
della stessa questione  di  legittimita'  costituzionale  di  cui  si
disquisisce. 
    Orbene, lo scrivente magistrato, a giustificazione della  mancata
condivisione di un  simile  orientamento,  rileva  sul  tema  che  il
presupposto del procedimento analogico risieda nell'esistenza di  una
lacuna ovvero di un caso non disciplinato da  una  norma  di  diritto
sostanziale, considerando  ancora  che  il  ricorso  all'analogia  in
materia penale necessiti trattarsi  di  norme  non  aventi  carattere
eccezionale nonche', soprattutto, registrarsi una lacuna,  nel  senso
del termine innanzi precisato, «involontaria». 
    In  ragione  della  tecnica  di  redazione  della  norma  dettata
dall'art. 649 codice penale ed in generale di quelle integranti delle
cause di non punibilita', l'applicazione del procedimento  analogico,
anche se in  bonam  partem,  strictu  sensu,  e'  preclusa  ed  ardua
dovendosi reputare ogni lacuna come voluta dai  legislatore,  laddove
esse siano e sono operanti unicamente in riferimento alle fattispecie
penali espressamente contemplate da ciascuna norma di tal  natura  ed
in  presenza  dei  tassativi   presupposti   ivi   fissati.   [n.d.e.
sull'argomento vedasi: Cassazione penale, sez. II 13 ottobre 2009  n.
44047, ancora Cessazione penale, sez. V, 21 settembre 2015 n. 28638]. 
    Questo  giudice  non  ignora  che  la  Corte  costituzionale,  in
passato, gia' piu' volte investita della  questione  di  legittimita'
costituzionaie  dell'art.  649  codice  penale  in  riferimento  agli
articoli 3 e  24  della  Costituzione  ne  abbia  dichiarato  la  non
fondatezza, richiamando una propria costante giurisprudenza (sentenza
n. 352/2000, sentenza n.  8/96,  sentenza  n.  423/88,  ordinanza  n.
1122/1988) imperniata sul principale assunto che la  convivenza  more
uxorio non fosse sempre  e  comunque  meccanicamente  assimilabile  a
rapporto di coniugio, difettando in essa i caratteri di certezza e di
tendenziale stabilita' propri di un vincolo matrimoniale, reggendosi,
piuttosto, sull'affectio quotidiana, liberamente ed in  ogni  istante
revocabile, osservando che l'accertamento in punto di  fatto  di  una
convivenza more uxorio fosse, di prassi, rimessa  alla  dichiarazione
degli  stessi  interessati  a  differenza  del  riscontro   oggettivo
promanante in modo incontrovertibile dalle risultanze anagrafiche con
riguardo ai distinti rapporti di parentela, affinita'  ,  adozione  e
coniugio claris verbis contemplati dal citato art. 649 codice penale. 
    La valutazione della disposizione codicistica in argomento  deve,
ad ogni buon conto, essere attuata alla stregua dell'attuale  realta'
sociale, senza alcun dubbio profondamente mutata  rispetto  a  quella
esistente  ed  esaminata  dal  legislatore  storico,  nell'ottica  di
un'esegesi in sintonia ed al passo con i tempi dello stesso  concetto
costituzionale di famiglia concepita in guisa di un luogo di sviluppo
armonico della persona, fondato ed ispirato da uno stretto e  stabile
rapporto di solidarieta' reciproca. 
    Una simile rinnovata valutazione della questione, ai fini del qui
pruomovendo incidente di legittimita'  costituzionale  dell'art.  649
codice penale  si  impone,  ad  avviso  dello  scrivente  magistrato,
vieppiu' all'indomani dell'entrata in vigore della  legge  20  maggio
2016 n. 76 sulle unioni civili, costituente il complesso  portato  ed
agognato punto di approdo della presa d'atto  di  un  mutato  costume
sociale  e  dell'esistenza  di   nuclei   familiari   ontologicamente
differenti dalla classica famiglia fandata sul  vincolo  matrimoniale
con effetti civili ma nondimeno connotati,  in  punto  di  fatto,  da
un'affectio e da una comunanza di vita e  di  intenti  tra  i  propri
componenti, meritevole, nel rispetto  del  principio  di  eguaglianza
sancito  dall'art.  3  della  Costituzione,  di   pari   dignita'   e
riconoscimento nonche' di adeguata e  consona,  proporzionale  tutela
sul piano legislativo ed ordinamentale. 
    La norma de qua, art. 649 del  codice  penale,  atteso  il  tempo
ormai remoto  in  cui  e'  stata  concepita  ed  emanata  non  poteva
contemplare istituti o situazioni di fatto  aventi  indubbio  rilievo
sociale, emersi solo in epoca  posteriore,  quali  la  convivenza  od
unioni civili anche tra persone del medesimo  sesso,  apparendo  allo
scrivente giudice irragionevole e discriminatorio  non  ricomprendere
in siffatto assetto e novero di soggetti nei cui confronti  operi  la
stessa causa di non punibilita' in disamina anche i partecipi di  una
convivenza more uxorio, ovvero persone di sesso diverso. 
    Nel suggerito contesto di  analisi  e  di  approccio  ermeneutico
della questione, chi scrive ritiene che  vada,  re  melius  perpensa,
nuovamente considerato anche il segnalato  parallelismo  della  ratio
legis posta a base dell'art. 649 del codice penale e  dell'art.  199,
comma terzo, lettera a) codice di procedura  penale,  evincibile  nel
comune denominatore della salvaguardia della  prevalenza  dell'unita'
della famiglia sulle esigenze di giustizia della collettivita', tanto
da essersi  equiparata  al  coniuge  ,  ai  fini  della  facolta'  di
astensione dal deporre, la posizione di «chi, pur non essendo coniuge
dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso». 
    E' irragionevole, irrazionale e gravemente discriminatorio, anche
alla stregua degli effetti giuridici attribuiti dal legislatore  alla
convivenza di fatto, da ultimo con la piu'  volte  cennata  legge  20
maggio 2016, n. 76, l'attuale, obsoleto assetto di disciplina tra  il
trattamento dei reati commessi in danno del  coniuge  non  legalmente
separato o di una parte di un'unione di persone dello  stesso  sesso,
non punibili ai sensi dell'art. 649, comma primo del codice penale  e
quelli, invece, commessi in danno  del  convivente  more  uxorio,  il
tutto in evidente contrasto con il principio di  eguaglianza  sancito
dall'art. 3 della Costituzione ed in violazione del diritto di difesa
statuito dall'art. 24 della Costituzione essendo preclusa al  reo  la
fruizione, nelle ipotesi di cui alla medesima norma di diritto penale
sostanziale, della speciale causa di non punibilita' ivi  contemplata
apparendo irrazionale il disallineamento della sfera soggettiva e  di
operativita'  della  norma  de  qua,  non  derivando,  di   converso,
dall'accoglimento del sollevato incidente di costituzionalita'  alcun
vulnus alla protezione della «istituzione familiare» tutelata in  via
primaria dall'art. 29 della Carta costituzionale e basata , in  linea
generale,  su  un'asserita  stabilita'  di  rapporti  anagraficamente
risultanti erga omnes. 
    Nel caso concreto portato alla cognizione di  questo  magistrato,
e' emerso, del resto, incontestato il dato fattuale di una convivenza
more uxorio tra l'imputato e la persona offesa, dalla cui  unione  e'
nato, persino, un figlio, a comprova di una pregressa  stabilita'  di
rapporti e di una comunanza di vita ed interessi, non suscettibile di
affievolimento od inesistenza di tutela, neppure  parziale,  anche  a
preservazione di una possibile riconciliazione delle parti, nel solco
e nell'applicazione esegetica evolutiva  della  cennata  ratio  legis
posta a fondamento dell'inserimento dell'art. 649 del  codice  penale
nel codice penale del nostro Paese: su simili premesse  e  sul  piano
umano prima ancora che su quello giuridico e del diritto  vivente  si
impone, nella specie, il promuovimento ex officio della questione  di
legittimita' costituzionale della medesima norma, perche' viziata  da
arbitrarieta' ed illogicita' nella mancata estensione del  regime  di
cui alla norma medesima alla situazione di fatto determinata  da  una
convivenza more uxorio. 
    Si  noti  che   nell'ambito   del   casus   concreto   in   esame
l'applicazione della norma dettata dall'art. 649  del  codice  penale
nei confronti  dell'odierno  giudicabile  e,  dunque,  l'operativita'
della stessa speciale causa di non punibilita' sarebbe consentita, in
modo  del  tutto   contraddittorio   ed   irragionevole   oltre   che
discriminatorio, limitatamente al segmento di condotta  criminosa  di
appropriazione indebita contestata in libello accusatorio soltanto in
danno ed in riferimento alla posizione  del  discendente  (il  figlio
minore della coppia D. C.) ma  non  anche,  per  le  ragioni  innanzi
diffusamente  esplicate,  in   riferimento   alla   posizione   della
convivente di esso imputato e madre del loro figlio riconosciuto  dal
padre,  con  indiscussa  compromissione   del   diritto   di   difesa
dell'interessato, alias  il  prevenuto,  costituzionalmente  tutelato
dall'art. 24 della nostra Carta fondamentale. 
    Si delineano, consequenzialmente, i presupposti  per  promuovere,
ex officio, un doveroso incidente di costituzionalita' dell'art. 649,
comma primo del codice penale in relazione  agli  articoli  3,  comma
primo  e  24  della  Costituzione  laddove   la   norma   della   cui
costituzionalita' si dubita, non stabilisca la non punibilita'  anche
dei fatti criminosi previsti dal titolo XIII del libro II del  codice
penale commessi in danno di un convivente more uxorio. 
    Considerata la sussistenza ai fini della sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale della citata norma, della rilevanza della
questione medesima perche' l'art. 649, comma primo del codice  penale
costituisce disposizione di applicazione necessaria nel caso in esame
almeno  in   ordine   alla   posizione   dei   discendente   (figlio)
dell'imputato, influendo, altresi', sulla sua definizione atteso  che
l'eventuale sentenza della Consulta  di  accoglimento  della  domanda
inciderebbe sulle formule di  proscioglimento  o  quanto  meno  sulla
formula  del   dispositivo   della   pronuncianda   sentenza   penale
definitoria del primo grado del presente giudizio qualora  il  libero
convincimento del decidente, senza anticipare in  questa  sede  alcun
giudizio, in ipotesi si determinasse in  direzione  dell'affermazione
della colpevolezza  dell'imputato  D.  N.  in  ordine  alla  condotta
criminosa, sussunta dal P.M. inquirente  nel  paradigma  del  delitto
previsto e  punito  dall'art.  646  del  codice  penale  come  a  lui
contestata in editto accusatorio, cosi'  da  ravvisarsi  il  relativo
presupposto processuale ai fini del sindacato di  legittimita'  della
Consulta. 
    Considerato, altresi', nello specifico, apparire, in nuce , anche
in riferimento al disposto dell'art. 3 della Carta costituzionale, la
disciplina censurata illogica ed irragionevole nonche'  in  stridente
antitesi e contrasto con il principio  dell'eguaglianza  di  tutti  i
cittadini   davanti   alla    legge,    diversificando    in    senso
ingiustificatamente sfavorevole il  trattamento  degli  autori  delle
condotte offensive per il patrimonio in disamina perpetrate in  danno
di soggetti conviventi di fatto  e  non  legati  al  reo  da  vincolo
matrimoniale o  da  un'unione  civile  se  trattasi  di  persone  del
medesimo  sesso,  rispetto  agli  autori  delle   medesime   condotte
consumate in danno dei soggetti nominatim tassativamente indicati dal
comma primo dell'attuale formulazione letterale dello stesso art. 649
del codice penale,  individuandosi  il  tertium  comparationis  nella
situazione fattuale nella quale verasi chi commetta un  reato  contro
il patrimonio  ma  non  intrattenga  rapporti  di  parentela  con  il
soggetto  passivo  di  detti  reati  e  cio'  sebbene  la  fisionomia
dell'originaria istituzione familiare fondata sul matrimonio tutelata
in via primaria dall'art. 29 della Costituzione sia mutata sul  piano
sociale e  culturale  e  dei  costumi  al  punto  da  essersi  dovuta
disciplinare, persino, l'unione civile di persone del medesimo  sesso
e tanto da sembrare a fortiori meritevole di pari dignita'  e  tutela
la posizione di un convivente di fatto more uxorio,  anche  di  sesso
diverso dal proprio partner. 
    Considerato  e  ribadito,  ancora,  che  la   norma   della   cui
costituzionalita' questo giudice fortemente dubita e',  altresi',  in
contrasto con l'art. 24 della Carta costituzionale sotto  il  profilo
dell'esercizio del diritto di  difesa  sostanziale  a  cagione  della
preclusione derivante al reo  dall'attuale  formulazione  del  citato
art. 649, comma primo del codice  penale,  dell'applicabilita'  della
speciale  causa  di  non  punibilita'   ivi   contemplata   apparendo
irrazionale  il  disallineamento  della   sfera   soggettiva   e   di
operativita'  della  norma  de  qua,  con  evidente   disparita'   di
trattamento tra coloro che commettano delitti contro il patrimonio in
danno di uno dei soggetti tassativamente indicati dalla norma de  qua
e coloro che perpetrino le stesse condotte criminose in danno  di  un
convivente more uxorio. 
    Ritenute,  alla  luce  dei  profili  giuridico-fattuali   innanzi
espressi, conclusivamente, la rilevanza ai fini della decisione e  la
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  649,  comma  primo  del  codice  penale  in
riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione  nella  parte  in
cui la norma non  stabilisca  la  non  punibilita'  anche  dei  fatti
criminosi previsti dal titolo XIII del libro  II  del  codice  penale
commessi in danno di un convivente more uxorio. 
    Letti ed applicati gli articoli  134  della  Costituzione  e  23,
comma secondo, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  la  sollevata,
ex officio, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  649,
comma primo del codice penale per contrasto con gli articoli 3  e  24
della Costituzione nella parte in cui la norma de qua non  stabilisca
la non punibilita' anche dei fatti criminosi previsti dai titolo XIII
del libro II del codice penale commessi in  danno  di  un  convivente
more uxorio. 
    Sospende, consequenzialmente, il  giudizio  in  corso  e  dispone
l'immediata trasmissione della presente ordinanza, in uno  agli  atti
del  fascicolo  dibattimentale  ed  alla   prova   delle   prescritte
comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza, di cui si e' data lettura alle parti all'odierna  udienza,
al Presidente del Consiglio dei ministri e per la  sua  comunicazione
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Matera, 21 aprile 2017 
 
                       Il giudice: Di Giuseppe