N. 112 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2017

Ordinanza  del  17  febbraio  2017  del  Tribunale  di  Palermo   nel
procedimento civile promosso da A. G.  contro  l'Assemblea  regionale
siciliana e R. F.. 
 
Elezioni - Norme  della  Regione  Siciliana  -  Incompatibilita'  con
  l'ufficio   di   deputato   regionale    -    Mancata    previsione
  dell'incompatibilita' con la carica di deputato regionale  per  chi
  sia stato dichiarato, in via definitiva, contabilmente responsabile
  per fatti compiuti  nella  qualita'  di  amministratore  ovvero  di
  impiegato  dell'amministrazione  regionale  o  di  enti   da   essa
  dipendenti o vigilati  e  non  abbia  ancora  estinto  il  relativo
  debito. 
- Legge della Regione Siciliana 20 marzo 1951, n.  29  (Elezione  dei
  Deputati  dell'Assemblea  regionale  siciliana),  artt.  10-ter   e
  10-quater [, introdotti dall'art. 1, comma  4,  della  legge  della
  Regione Siciliana 5 dicembre 2007,  n.  22  (Norme  in  materia  di
  ineleggibilita' e di incompatibilita' dei deputati regionali)]. 
(GU n.36 del 6-9-2017 )
 
                       IL TRIBUNALE DI PALERMO 
                        prima Sezione civile 
 
    Composto dai signori magistrati: dott.ssa  Caterina  Grimaldi  Di
Terresena Presidente, dott.  Michele  Ruvolo  giudice,  dott.  Giulio
Corsini giudice, dei quali il secondo relatore ed estensore,  riunito
in camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza nel corso del
procedimento iscritto al n. 14161/2016 R.G., tra A. G., nato  a  -  ,
rappresentato e difeso in virtu'  di  procura  in  calce  al  ricorso
introduttivo del giudizio  dagli  avvocati  Diego  Vaiano,  Francesco
Leone  e  Simona  Fell  ricorrente,  contro   l'Assemblea   regionale
siciliana,  in  persona  del  legale  rappresentante   pro   tempore,
rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale  dello  Stato  di
Palermo resistente, e R. F., nato a - ,  rappresentato  e  difeso  in
virtu' di procura  in  calce  alla  comparsa  di  costituzione  e  di
risposta dall'avv. Antonio Liberto resistente e con l'intervento  del
pubblico ministero interveniente necessario. 
    Oggetto: controversia in materia di eleggibilita',  decadenza  ed
incompatibilita'  nelle  elezioni  regionali  (art.  22  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150). 
    Con ricorso del 25 luglio 2016, introduttivo del peculiare modulo
processuale  delineato  dall'art.  22  del  decreto  legislativo   n.
150/2011 in materia di controversie elettorali, G. A. ha invocato  la
declaratoria  giudiziale  di   decadenza   del   resistente   F.   R.
dall'ufficio di deputato dell'Assemblea regionale siciliana  nonche',
in via consequenziale, del diritto  di  subentrarvi  in  qualita'  di
primo  dei  non  eletti.  Piu'  specificatamente,  il  ricorrente  ha
lamentato  la  mancata  adozione  da  parte  dell'organo  legislativo
siciliano di un provvedimento (cfr. a tal proposito, documento  n.  6
della produzione documentale di  parte  ricorrente)  che  sanzionasse
l'incompatibilita' di F. R. con la carica di  deputato  regionale  in
conseguenza della sentenza definitiva n.  12  del  14  gennaio  2016,
emessa dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello della
Regione Siciliana (cfr. documenti n. 1  e  n.  2  del  fascicolo  del
ricorrente),   in   virtu'   della   quale   quest'ultimo,   ritenuto
responsabile  di  aver  cagionato  -   nella   qualita'   di   legale
rappresentante di un  ente  strumentale  operante  nell'ambito  della
formazione   professionale   siciliana    -    un    ingente    danno
all'amministrazione regionale, e' stato condannato al pagamento della
somma pari ad € 3.722.374,00. A tal fine l'odierno ricorrente, tenuto
conto che gli articoli 10-ter e 10-quater della  legge  regionale  20
marzo 1951, n. 29, nulla prevedono in ordine all'incompatibilita' con
l'ufficio  di  deputato  regionale  di  colui  il  quale  sia   stato
dichiarato in via definitiva  contabilmente  responsabile  per  fatti
compiuti  nella   qualita'   di   amministratore   ovvero   impiegato
dell'amministrazione  regionale  e  di  enti  da  essa  dipendenti  o
vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito, ha  messo  in
dubbio la legittimita' costituzionale dell'evocato assetto  normativo
-  sotto  i  profili  dell'irragionevolezza  e  della  disparita'  di
trattamento,  in  violazione  degli  articoli  3,  51  e   24   della
Costituzione  -  nella  misura   in   cui   esso   si   discosterebbe
ingiustificatamente  non  soltanto  da  quanto  previsto  in   ambito
nazionale dall'art. 3, § 5 della legge 23 aprile  1981,  n.  154,  in
relazione alle cause di incompatibilita' con l'ufficio di consigliere
regionale, ma anche da quanto disposto dall'art. 10, § 5 della  legge
regionale 25 giugno 1986,  n.  31,  con  riferimento  alle  cause  di
incompatibilita' con le cariche di consigliere provinciale,  comunale
e di quartiere nell'ambito della Regione Siciliana. 
    Il  resistente  F.  R.  contestando  analiticamente  gli  assunti
postulati da parte ricorrente, ha eccepito l'infondatezza di tutte le
domande   nonche'   della   relativa   questione   di    legittimita'
costituzionale  degli  articoli  10-ter  e  10-quater   della   legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, sollevata dal sig. G. A.,  rimarcando
che  la   lacuna   normativa   censurata   da   quest'ultimo,   lungi
dall'infliggere un insanabile vulnus al diritto di elettorato passivo
ed al suo crisma di sostanziale eguaglianza su  tutto  il  territorio
nazionale, altro non rappresenterebbe che la scelta insindacabile del
legislatore  siciliano  di  non  voler  prevedere  alcuna  causa   di
incompatibilita' con la carica di deputato  regionale  per  coloro  i
quali siano stati condannati in sede  contabile  per  fatti  compiuti
nelle    qualita'    di     amministratore     ovvero     l'impiegato
dell'amministrazione  regionale  e  di  enti  da  essa  dipendenti  o
vigilati e non abbiano ancora estinto - come  nel  caso  dell'odierno
resistente F. R. - il relativo debito. 
    In  rappresentanza  dell'Assemblea  regionale  siciliana  si   e'
costituita l'Avvocatura distrettuale  dello  Stato  di  Palermo  che,
affermando l'impraticabilita' di applicazioni delle norme  elettorali
di tipo analogico-estensivo e contestando l'interesse  ad  agire  del
ricorrente (il  quale  attualmente  riveste  la  carica  di  deputato
regionale in virtu' di un provvedimento di sospensione a carico dello
stesso F. R. determinato da una condanna non ancora definitiva subita
da quest'ultimo in sede penale), ha chiesto il totale  rigetto  delle
domande e della questione di legittimita' costituzionale spiegate dal
ricorrente. 
    Sulla rilevanza della questione  di  legittimita'  costituzionale
degli articoli 10-ter e 10 quater  della  legge  regionale  20  marzo
1951,  n.  29,  in  relazione  agli  articoli  3,  51  e  122   della
Costituzione nonche' dell'art. 5 del  regio  decreto  legislativo  15
maggio  194,  n.  455  (Approvazione  dillo  statuto  della   Regione
Siciliana). 
    Secondo quanto previsto dall'art. 23 della legge 11  marzo  1953,
n. 87, il giudice remittente e' tenuto in prima battuta a  verificare
se la questione di legittimita' costituzionale portata al suo  vaglio
sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso. Sotto  questo
profilo si impone al giudice remittente di evidenziare  il  nesso  di
strumentalita' tra la questione di legittimita' ed il giudizio a quo,
il che significa che a rilevare non e' tanto l'astratta  possibilita'
che una legge possa rivelarsi incostituzionale quanto, invece, che il
giudizio principale non possa esser definito indipendentemente  dalla
risoluzione della questione sollevata. 
    Con riferimento  al  giudizio  in  corso,  invero,  il  Tribunale
ritiene che ricorso proposto dal ricorrente G. A.  non  possa  essere
definito  nei  termini  prospettati,  considerato  che  la  lamentata
mancata previsione da parte degni articoli 10-ter e  10-quater  della
legge regionale 20 marzo 1951,  n.  29,  della  incompatibilita'  con
l'ufficio di deputato regionale di coloro che siano stati  condannati
in sede contabile rifrange una  lacuna  normativa  insuscettibile  di
interpretazioni di tipo analogico o estensivo. 
    Ed infatti, a tal riguardo e' appena sufficiente osservare che  i
principi di stretta interpretazione e di tassativita' delle cause  di
ineleggibilita'  e  di  incompatibilita'  che  permeano  la   materia
elettorale (declinati in piu' occasioni dalla  stessa  giurisprudenza
costituzionale: cfr., ex multis Corte Cost., 23 marzo  2012,  n.  67;
Corte Cost., 17 ottobre 2011, n. 277 e Corte Cost., 6 febbraio  2009,
n. 27) precludono a questo giudice  remittente  di  poter  addivenire
alla risoluzione del presente procedimento colmando in via analogica,
sullo sfondo di quanto previsto dall'art. 3,  §  5,  della  legge  23
aprile 1981, n. 154, il vuoto legislativo riscontrabile  nel  tessuto
della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, cosi' come  censurato  da
parte ricorrente. 
    Peraltro, non puo'  ritenersi  condivisibile,  anche  nell'ottica
della rilevanza della questione di legittimita' sollevata nell'ambito
del presente giudizio, l'assunto dell'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato di Palermo secondo il quale  l'interesse  a  ricorrere  dell'A.
sarebbe privo di consistenza giuridica. Se e' pur vero, difatti,  che
l'odierno  ricorrente  riveste  attualmente  la  carica  di  deputato
regionale  a  seguito  della  sospensione   (prevista   dal   decreto
legislativo 31 dicembre 2012,  n.  235,  cd.  legge  Severino)  dello
stesso F. R. per una condanna - ancora non definitiva - riportata  da
quest'ultimo in sede penale, e' comunque indubbio  che  la  decadenza
invocata dall'A. si riconnette ad un  provvedimento  irrevocabile  di
condanna  emesso  dalla  Corte  dei  conti,  Sezione  giurisdizionale
d'appello della Regione  Siciliana,  in  data  anteriore  rispetto  a
quello adottato nell'ottobre del 2016 dal Tribunale penale di Palermo
in forza del quale e'  stata  disposta  la  sospensione  dell'odierno
resistente  F.  R.  (cfr.  verbale  seduta  d'aula  n.  387  del   30
novembre-1°  dicembre  2016,  Assemblea   regionale   siciliana),   e
costituisce  peraltro  un  provvedimento  ontologicamente  differente
dalla predetta  sospensione,  la  quale  peraltro  riveste  carattere
temporaneo. 
    Cio'  corrobora  inequivocabilmente  l'interesse  ad  agire   del
ricorrente,  nella  misura  in  cui  l'eventuale  accoglimento  della
domanda di decadenza del resistente F.  R.  consentirebbe  all'A.  di
subentrare nell'esercizio della carica elettiva sin dal gennaio 2016,
con  tutto  cio'  che  ne  deriverebbe  in   termini   consequenziali
relativamente alle prebende economiche che andrebbero a maturare. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale  degli  articoli  10-ter  e  10-quater   della   legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, in relazione agli articoli  3,  51  e
122  della  Costituzione  nonche'  dell'art.  5  del  regio   decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della
Regione Siciliana). 
    Sul versante della non manifesta infondatezza, invece, il giudice
remittente e' chiamato a verificare che la questione di  legittimita'
costituzionale sia  munita  almeno  prima  facie,  di  un  minimo  di
fondamento giuridico. 
    In altri termini, il sindacato giudiziale deve  polarizzarsi  sul
ragionevole dubbio che  la  disposizione  normativa  censurata  possa
rivelarsi   effettivamente   lesiva   del   dettato   costituzionale.
Inevitabile corollario di tale assunto e' rappresentato  dall'obbligo
incombente sul giudice a  quo  di  tentare  di  offrire  una  lettura
costituzionalmente conforme delle norme sospette  di  illegittimita'.
Soltanto ove il tentativo di interpretazione costituzionale orientata
fallisse, infatti, si rivelerebbe  praticabile  la  rimessione  della
questione alla Corte costituzionale. 
    Secondo  la   Corte   costituzionale,   invero,   va   dichiarata
inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata
dal rimettente quando questi trascuri di sperimentare la possibilita'
di    dare    alla    disposizione    censurata    un'interpretazione
costituzionalmente orientata e di spiegare le ragioni che impediscono
di  pervenire  ad  un  risultato  idoneo  a  superare  i   dubbi   di
costituzionalita' (cfr. per tutte Corte Cost. nn. 230/2010; 190/2010;
190/2010; 189/2010; 154/2010; 110/2010). 
    Ora, con riferimento al giudizio a  quo  l'evocato  tentativo  di
interpretazione costituzionale  orientata  degli  articoli  10-ter  e
10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, non pare essere
consentito proprio dalla forza  ermeneutica  -  gia'  prospettata  da
questo Tribunale sotto il profilo della rilevanza della questione  di
legittimita'  -  dei  principi  di  stretta  interpretazione   e   di
tassativita' delle cause di incompatibilita' che pervadono la materia
elettorale (cfr. ancora Corte Cost., 23  marzo  2012,  n.  67;  Corte
Cost., 17 ottobre 2011, n. 277 e Corte Cost.,  6  febbraio  2009,  n.
27): 
    Precisato questo aspetto e  considerato  altresi'  che  il  fatto
dedotto nel presente giudizio integra la fattispecie  astratta  delle
cause di incompatibilita' delineate dalla legge 23  aprile  1981,  n.
154 (posto che risultano non  revocabili  in  dubbio  sia  l'avvenuta
condanna definitiva in sede contabile del resistente F. R. la  natura
strumentale dell'ente vigilato  dalla  Regione  Siciliana  del  quale
quest'ultimo era legale rappresentate all'epoca dei fatti per cui  e'
stata riconosciuta la sua responsabilita' amministrativa  (1)  ),  il
Tribunale remittente dubita della legittimita'  costituzionale  degli
articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo  1951,  n.
29, in relazione agli articoli 3, 51, 122 della Costituzione  nonche'
(alla stregua di parametro  interposto)  art.  5  del  regio  decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455, nella parte in cui non  prevedono
- a differenza di quanto  invece,  dispone  in  subiecta  materia  la
legislazione nazionale - l'incompatibilita' con l'ufficio di deputato
regionale  di  colui  il  quale,   dichiarato   in   via   definitiva
contabilmente responsabile  per  fatti  compiuti  nella  qualita'  di
amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale  e  di
enti da essa dipendenti o  vigilati,  non  abbia  ancora  estinto  il
relativo debito di natura risarcitoria. 
    Dalla disamina delle fonti statali  e  regionali  in  materia  di
ineleggibilita' ed incompatibilita' con le cariche elettive si evince
che la descritta lacuna normativa desumibile dagli articoli 10-ter  e
10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, costituisce  un
«unicum»  nella  cornice  ordinamentale  della  Repubblica.   Invero,
prevedono una simile causa di incompatibilita' non  soltanto,  l'art.
3, § 5, della legge  statale  23  aprile  1981,  n.  154,  in  ambito
nazionale, ma anche, con riferimento  alla  normativa  vigente  nelle
regioni a  statuto  speciale,  l'art.  5,  lettera  q),  della  legge
regionale 7 agosto 2007, n.  20,  della  Valle  d'Aosta,  l'art.  26,
lettera  f),  della  legge  regionale  7  marzo  2007  della  Regione
Sardegna, l'art. 4, lettera h), della legge regionale 29 luglio 2004,
n.  21,  della  Regione   Friuli-Venezia   Giulia.   Peraltro,   come
opportunamente rimarcato dal ricorrente, l'art. 10, § 5, della  legge
regionale 25 giugno 1986, n. 34, della Regione  Siciliana  contempla,
nel  quadro  ordinamentale  autonomistico,  la  medesima   causa   di
incompatibilita' per danno contabile in  relazione  alle  cariche  di
consigliere comunale, provinciale o di quartiere. 
    Pare, quindi,  del  tutto  evidente  la  situazione  di  assoluta
singolarita' conseguente alla mancata previsione, esclusivamente  nel
territorio  della  Regione  Sicilia  e  con   riferimento   ai   soli
consiglieri  regionali,  di  una  causa  di  incompatibilita'  invece
presente per tutti i  consigli  regionali  delle  regioni  a  statuto
ordinario, nonche' per i consigli regionali delle regioni (a  statuto
speciale) Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Valle  d'Aosta  e  per  i
consiglieri comunali, provinciali o di quartiere della stessa Regione
Sicilia. 
    La possibile disparita' di trattamento scaturente  dal  raffronto
tra il disposto legislativo siciliano e  le  menzionate  disposizioni
statali e  regionali  non  sembra  poter  superare  lo  scrutinio  di
ragionevolezza  condotto  alla  luce  dell'art.  3  e,  con  precipuo
riguardo al tema dell'accesso  alle  cariche  elettive  dell'art.  51
della Costituzione. 
    A  tal  proposito  e'  opportuno  rimarcare   che   la   costante
giurisprudenza costituzionale  predica  che  l'esercizio  del  potere
legislativo da parte  delle  regioni  dotate  di  speciale  autonomia
statutaria in materia elettorale deve inevitabilmente  misurarsi  con
il limite del  rispetto  del  principia  di  eguaglianza  sancito  in
termini generali dall'art. 3 e,  piu'  specificamente,  dall'art.  51
della Carta costituzionale. Piu' in particolare, e'  stato  affermato
che la disciplina  regionale  siciliana  concernente  l'accesso  alle
cariche elettive deve  estrinsecarsi  nel  rispetto  del  diritto  di
elettorato passivo in condizioni di sostanziale uguaglianza su  tutto
il territorio nazionale (cfr., in questi termini,  Corte.  Cost.,  30
gennaio 1985, n. 20, e piu'  recentemente,  Corte  Cost.,  23  aprile
2010, n. 143). 
    Una diversificazione attuata  nell'esercizio  di  una  competenza
legislativa primaria (quale e' in  materia  elettorale  quella  della
Regione Siciliana) rispetto al panorama  nazionale  della  disciplina
relativa cause di ineleggibilita'  e  di  incompatibilita'  e'  stata
ritenuta ammissibile  dalla  giurisprudenza  costituzionale  soltanto
nelle ipotesi  in  cui  ricorressero  «peculiari  condizioni  locali»
congruamente e ragionevolmente apprezzate dal  legislatore  regionale
(Corte Cost., 25 luglio 1997, n. 276; il cui tenore motivazionale  si
appunta,  inoltre,  sull'esigenza  che  tale   diversificazione   sia
finalizzata alla tutela di un interesse generale). 
    Inoltre, anche nella sentenza della Corte Cost. 23  aprile  2010,
n. 143, e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  di  una
norma della Regione Siciliana nella parte in cui  non  prevedeva  una
particolare incompatibilita' con l'ufficio di  deputato  regionale  e
cio' in considerazione del fatto che nell'esercizio di una competenza
legislativa come quella prevista dallo statuto siciliano  si  possono
anche diversificare le cause di ineleggibilita'  e  incompatibilita',
ma occorre che cio'  avvenga  sulla  base  di  «condizioni  peculiari
locali»,  che  quindi  debbono  essere  congruamente  ragionevolmente
apprezzati[e] dal legislatore siciliano (vedi anche le sentenze n. 84
del 1994 e n. 463 del 1992, relative a leggi della Regione  Siciliana
ed a mancate previsioni di ipotesi di  ineleggibilita',  con  cui  la
Corte ha ritenuto che discipline  differenziate  sono  legittime  sul
piano costituzionale,  solo  se  trovano  ragionevole  fondamento  in
situazioni   peculiari   idonee   a   giustificare   il   trattamento
privilegiato riconosciuto dalle disposizioni censurate). 
    La circostanza che gli articoli 10-ter e  10-quater  della  legge
regionale  20  marzo  1951,  n.  29,  nulla   prevedano   in   ordine
all'incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di colui  il
quale  sia  stato  dichiarato   in   via   definitiva   contabilmente
responsabile per fatti  compiuti  nella  qualita'  di  amministratore
ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e  di  enti  da  essa
dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo  debito,
ponendosi in controtendenza rispetto alla  disciplina  statale  ed  a
quella delle altre regioni a  statuto  speciale,  non  sembra  essere
supportato  da  peculiari  e  ipotetiche   condizioni   del   tessuto
politico-sociate siciliano. D'altra parte, la  stessa  giurisprudenza
costituzionale ha in piu' occasioni  precisato  che  tali  condizioni
possono  al  piu'  rintracciarsi   nell'esigenza   di   evitare   che
l'esercizio della carica elettiva possa essere inquinata da  indebite
influenze di matrice illecita e non anche per  legittimare  una  mera
diversita'  di  disciplina,  altrimenti   lesiva   dell'indefettibile
esigenza  di  uniformita'  imposta  dagli  articoli  3  e   1   della
Costituzione (cfr., in quest'ottica, Corte Cost., 14  dicembre  1990,
n. 539). 
    Il fatto  poi  che  una  simile  causa  di  incompatibilita'  sia
prevista dallo stesso legislatore siciliano all'art. 10, §  5.  della
legge 25 giugno 1986, n. 34, per i consiglieri comunali,  provinciali
e di quartiere (in  aderenza  d'altra  parte,  a  quanto  contemplato
dall'art. 63,  §  5  del  decreto  legislativo  n.  267/2000)  sembra
rafforzare   l'irragionevolezza   della   dedotta    disparita'    di
trattamento, dal momento che l'esercizio  della  carica  di  deputato
regionale, anche in un'ottica sistematica, presuppone sicuramente  un
requisito di onorabilita' almeno analogo  a  quello  dei  consiglieri
comunali, provinciali o di quartiere. 
    Ne', a parere del Tribunale, potrebbe obiettarsi  che  la  lacuna
normativa emergente dalla lettura degli articoli 10-ter  e  10-quater
della legge regionale  20  marzo  1951,  n.  29,  sia  giustificabile
attingendo all'argomento a contrario compendiato nel brocardo ubi lex
vuluit, dixit: ubi noluit tacuit. E' pur vero, difatti, che l'art.  3
dello statuto della  Regione  Siciliana  attribuisce  al  legislatore
locale  potesta'  legislativa  primaria  il  cui  unico   limite   e'
costituito  dal  rispetto   della   Costituzione   e   dei   principi
fondamentali  dell'ordinamento  repubblicano,   ma   e'   altrettanto
inconfutabile che questo stesso limite, alla luce  di  quanto  appena
esposto, debba ritenersi violato  laddove  non  venga  rispettato  il
diritto  di  elettorato  passivo   in   condizioni   di   sostanziale
uguaglianza su tutto il territorio nazionale. 
    La mancata previsione da parte del  legislatore  regionale  della
causa di incompatibilita' con  l'ufficio  di  deputato  regionale  di
colui il quale sia stato dichiarato in via  definitiva  contabilmente
responsabile per fatti  compiuti  nella  qualita'  di  amministratore
ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e  di  enti  da  essa
dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il  relativo  debito
verrebbe, dunque, a porsi in contrasto anche  con  l'art.  122  della
Costituzione, in quanto la potesta' legislativa  di  natura  primaria
sarebbe stata esercitata in spregio  ad  un  principio  fondamentale,
dell'ordinamento repubblicano, quale  e'  quello  della,  sostanziale
eguaglianza (in assenza di peculiari condizioni che giustifichino una
diversa disciplina) del diritto di elettorato passivo. 
    A tal riguardo va peraltro  puntualizzata  che  la  stessa  Corte
costituzionale  nel  dichiarare  costituzionale  della  citata  legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella  parte  in  cui  non  prevedeva
l'incompatibilita'  tra  l'ufficio  di  deputato   regionale   e   la
sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un comune compreso  nel
territorio  della  regione  con  popolazione  superiore  a  ventimila
abitanti  (in  virtu'  dell'applicazione   della   regola   del   cd.
parallelismo   tra   cause   di   ineleggibilita'    e    cause    di
incompatibilita'), ha affermato che il riconoscimento di tali  limiti
non equivale certo a disconoscere la potesta' legislativa primaria di
cui e' titolare la Regione Siciliana, ma concorre semmai  a  tutelare
il fondamentale  diritto  di  elettorato  passivo,  che,  rivelandosi
intangibile nel suo contenuto di  valore,  deve  essere  disciplinato
senza  generare  discriminazioni   sostanziali   tra   cittadino   e'
cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza (cfr.,
in tale prospettiva, Corte Cost., 23 aprile 2010, n. 143). 
    E del resto, persino la piu' attenta dottrina non ha  mancato  di
evidenziare che le pronunce di legittimita' costituzionale aventi  ad
oggetto lo  statuto  e  le  leggi  emanate  dalla  Regione  Siciliana
dovrebbero caratterizzarsi per la ricerca di elementi di unita' e  di
uniformita',  particolarmente  pregnanti  in  materia  elettorale,  a
scapito delle piu' accentuate forme  di  differenziazione  scaturenti
dall'esercizio  dell'autonomia  statutaria.  In  altri  termini,   in
assenza delle evocate condizioni peculiari della realta'  locale  che
giustifichino una disciplina  delle  cause  di  incompatibilita'  con
l'ufficio di deputato regionale diversa rispetto a quella statale, e'
piu' che concreto  il  rischio  che  l'attuale  assetto  della  legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29 (con riferimento agli articoli  10-ter
e 10-quater) violi le disposizioni costituzionali assunte a parametro
di giudizio. 
    Violazione che questo giudice  remittente  ritiene  possa  essere
superata attraverso la dichiarazione di illegittimita' degli articoli
10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29,  nella
parte in cui in cui prevedono l'incompatibilita'  con  la  carica  di
deputato regionale di colui il quale  sia  stato  dichiarato  in  via
definitiva  contabilmente  responsabile  per  fatti  compiuti   nella
qualita'  di  amministratore  ovvero  impiegato  dell'amministrazione
regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia  ancora
estinto il relativo debito. 

(1) I  Centri  interaziendali   per   l'addestramento   professionale
    nell'industria  (C.I.A.P.I.)  sono,  infatti,  enti   strumentali
    dell'amministrazione   regionale    che,    ancorche'    assumano
    l'etichetta  tipologica  delle  associazioni   privatistiche   si
    rivelano in chiave  sostanziale  persone  giuridiche  gravitatiti
    nella monade pubblicistica, in quanto dalla  stessa  direttamente
    controllate, vigilate nonche' finanziariamente sostenute. Cio' si
    ricava agevolmente anche dalla lettura della legge  regionale  n.
    25 del 6 marzo 1976, che prevede interventi del Presidente  della
    Regione Siciliana e di regionali nella nomina  del  Presidente  e
    dei componenti del consiglio di amministrazione e dei collegi dei
    revisori e  nelle  variazioni  alle  dotazioni  risultanti  dalle
    tabelle organiche. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale, come sopra composto, cosi' provvede: 
        visti l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.
1, nonche' l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 10-ter e  10-
quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in cui
non prevedono l'incompatibilita' con la carica di deputato  regionale
di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva responsabile
verso l'ente, istituto o azienda pubblici per  fatti  compiuti  nella
qualita'  di  amministratore  ovvero  impiegato  dell'amministrazione
regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia  ancora
estinto il relativo debito, per contrasto con gli articoli 3, 51, 122
della Costituzione nonche' con l'art. 5 del regio decreto legislativo
15 maggio 1946, n. 455  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
Siciliana); 
        dispone la sospensione del presente  giudizio  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; 
        dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della
cancelleria alle parti in causa al pubblico ministero, al  Presidente
della Regione Siciliana ed al Presidente  dell'  Assemblea  regionale
siciliana. 
    Cosi' deciso in Palermo nella Camera di consiglio della I sezione
civile del Tribunale, in data 17 febbraio 2017. 
 
                Il Presidente: Grimaldi Di Terresena 
 
 
                                         Il giudice estensore: Ruvolo