N. 112 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2017
Ordinanza del 17 febbraio 2017 del Tribunale di Palermo nel procedimento civile promosso da A. G. contro l'Assemblea regionale siciliana e R. F.. Elezioni - Norme della Regione Siciliana - Incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale - Mancata previsione dell'incompatibilita' con la carica di deputato regionale per chi sia stato dichiarato, in via definitiva, contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero di impiegato dell'amministrazione regionale o di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito. - Legge della Regione Siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati dell'Assemblea regionale siciliana), artt. 10-ter e 10-quater [, introdotti dall'art. 1, comma 4, della legge della Regione Siciliana 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilita' e di incompatibilita' dei deputati regionali)].(GU n.36 del 6-9-2017 )
IL TRIBUNALE DI PALERMO prima Sezione civile Composto dai signori magistrati: dott.ssa Caterina Grimaldi Di Terresena Presidente, dott. Michele Ruvolo giudice, dott. Giulio Corsini giudice, dei quali il secondo relatore ed estensore, riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza nel corso del procedimento iscritto al n. 14161/2016 R.G., tra A. G., nato a - , rappresentato e difeso in virtu' di procura in calce al ricorso introduttivo del giudizio dagli avvocati Diego Vaiano, Francesco Leone e Simona Fell ricorrente, contro l'Assemblea regionale siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo resistente, e R. F., nato a - , rappresentato e difeso in virtu' di procura in calce alla comparsa di costituzione e di risposta dall'avv. Antonio Liberto resistente e con l'intervento del pubblico ministero interveniente necessario. Oggetto: controversia in materia di eleggibilita', decadenza ed incompatibilita' nelle elezioni regionali (art. 22 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150). Con ricorso del 25 luglio 2016, introduttivo del peculiare modulo processuale delineato dall'art. 22 del decreto legislativo n. 150/2011 in materia di controversie elettorali, G. A. ha invocato la declaratoria giudiziale di decadenza del resistente F. R. dall'ufficio di deputato dell'Assemblea regionale siciliana nonche', in via consequenziale, del diritto di subentrarvi in qualita' di primo dei non eletti. Piu' specificatamente, il ricorrente ha lamentato la mancata adozione da parte dell'organo legislativo siciliano di un provvedimento (cfr. a tal proposito, documento n. 6 della produzione documentale di parte ricorrente) che sanzionasse l'incompatibilita' di F. R. con la carica di deputato regionale in conseguenza della sentenza definitiva n. 12 del 14 gennaio 2016, emessa dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello della Regione Siciliana (cfr. documenti n. 1 e n. 2 del fascicolo del ricorrente), in virtu' della quale quest'ultimo, ritenuto responsabile di aver cagionato - nella qualita' di legale rappresentante di un ente strumentale operante nell'ambito della formazione professionale siciliana - un ingente danno all'amministrazione regionale, e' stato condannato al pagamento della somma pari ad € 3.722.374,00. A tal fine l'odierno ricorrente, tenuto conto che gli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nulla prevedono in ordine all'incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito, ha messo in dubbio la legittimita' costituzionale dell'evocato assetto normativo - sotto i profili dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento, in violazione degli articoli 3, 51 e 24 della Costituzione - nella misura in cui esso si discosterebbe ingiustificatamente non soltanto da quanto previsto in ambito nazionale dall'art. 3, § 5 della legge 23 aprile 1981, n. 154, in relazione alle cause di incompatibilita' con l'ufficio di consigliere regionale, ma anche da quanto disposto dall'art. 10, § 5 della legge regionale 25 giugno 1986, n. 31, con riferimento alle cause di incompatibilita' con le cariche di consigliere provinciale, comunale e di quartiere nell'ambito della Regione Siciliana. Il resistente F. R. contestando analiticamente gli assunti postulati da parte ricorrente, ha eccepito l'infondatezza di tutte le domande nonche' della relativa questione di legittimita' costituzionale degli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, sollevata dal sig. G. A., rimarcando che la lacuna normativa censurata da quest'ultimo, lungi dall'infliggere un insanabile vulnus al diritto di elettorato passivo ed al suo crisma di sostanziale eguaglianza su tutto il territorio nazionale, altro non rappresenterebbe che la scelta insindacabile del legislatore siciliano di non voler prevedere alcuna causa di incompatibilita' con la carica di deputato regionale per coloro i quali siano stati condannati in sede contabile per fatti compiuti nelle qualita' di amministratore ovvero l'impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbiano ancora estinto - come nel caso dell'odierno resistente F. R. - il relativo debito. In rappresentanza dell'Assemblea regionale siciliana si e' costituita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo che, affermando l'impraticabilita' di applicazioni delle norme elettorali di tipo analogico-estensivo e contestando l'interesse ad agire del ricorrente (il quale attualmente riveste la carica di deputato regionale in virtu' di un provvedimento di sospensione a carico dello stesso F. R. determinato da una condanna non ancora definitiva subita da quest'ultimo in sede penale), ha chiesto il totale rigetto delle domande e della questione di legittimita' costituzionale spiegate dal ricorrente. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 10-ter e 10 quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, in relazione agli articoli 3, 51 e 122 della Costituzione nonche' dell'art. 5 del regio decreto legislativo 15 maggio 194, n. 455 (Approvazione dillo statuto della Regione Siciliana). Secondo quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudice remittente e' tenuto in prima battuta a verificare se la questione di legittimita' costituzionale portata al suo vaglio sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso. Sotto questo profilo si impone al giudice remittente di evidenziare il nesso di strumentalita' tra la questione di legittimita' ed il giudizio a quo, il che significa che a rilevare non e' tanto l'astratta possibilita' che una legge possa rivelarsi incostituzionale quanto, invece, che il giudizio principale non possa esser definito indipendentemente dalla risoluzione della questione sollevata. Con riferimento al giudizio in corso, invero, il Tribunale ritiene che ricorso proposto dal ricorrente G. A. non possa essere definito nei termini prospettati, considerato che la lamentata mancata previsione da parte degni articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, della incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di coloro che siano stati condannati in sede contabile rifrange una lacuna normativa insuscettibile di interpretazioni di tipo analogico o estensivo. Ed infatti, a tal riguardo e' appena sufficiente osservare che i principi di stretta interpretazione e di tassativita' delle cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' che permeano la materia elettorale (declinati in piu' occasioni dalla stessa giurisprudenza costituzionale: cfr., ex multis Corte Cost., 23 marzo 2012, n. 67; Corte Cost., 17 ottobre 2011, n. 277 e Corte Cost., 6 febbraio 2009, n. 27) precludono a questo giudice remittente di poter addivenire alla risoluzione del presente procedimento colmando in via analogica, sullo sfondo di quanto previsto dall'art. 3, § 5, della legge 23 aprile 1981, n. 154, il vuoto legislativo riscontrabile nel tessuto della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, cosi' come censurato da parte ricorrente. Peraltro, non puo' ritenersi condivisibile, anche nell'ottica della rilevanza della questione di legittimita' sollevata nell'ambito del presente giudizio, l'assunto dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo secondo il quale l'interesse a ricorrere dell'A. sarebbe privo di consistenza giuridica. Se e' pur vero, difatti, che l'odierno ricorrente riveste attualmente la carica di deputato regionale a seguito della sospensione (prevista dal decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, cd. legge Severino) dello stesso F. R. per una condanna - ancora non definitiva - riportata da quest'ultimo in sede penale, e' comunque indubbio che la decadenza invocata dall'A. si riconnette ad un provvedimento irrevocabile di condanna emesso dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello della Regione Siciliana, in data anteriore rispetto a quello adottato nell'ottobre del 2016 dal Tribunale penale di Palermo in forza del quale e' stata disposta la sospensione dell'odierno resistente F. R. (cfr. verbale seduta d'aula n. 387 del 30 novembre-1° dicembre 2016, Assemblea regionale siciliana), e costituisce peraltro un provvedimento ontologicamente differente dalla predetta sospensione, la quale peraltro riveste carattere temporaneo. Cio' corrobora inequivocabilmente l'interesse ad agire del ricorrente, nella misura in cui l'eventuale accoglimento della domanda di decadenza del resistente F. R. consentirebbe all'A. di subentrare nell'esercizio della carica elettiva sin dal gennaio 2016, con tutto cio' che ne deriverebbe in termini consequenziali relativamente alle prebende economiche che andrebbero a maturare. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, in relazione agli articoli 3, 51 e 122 della Costituzione nonche' dell'art. 5 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana). Sul versante della non manifesta infondatezza, invece, il giudice remittente e' chiamato a verificare che la questione di legittimita' costituzionale sia munita almeno prima facie, di un minimo di fondamento giuridico. In altri termini, il sindacato giudiziale deve polarizzarsi sul ragionevole dubbio che la disposizione normativa censurata possa rivelarsi effettivamente lesiva del dettato costituzionale. Inevitabile corollario di tale assunto e' rappresentato dall'obbligo incombente sul giudice a quo di tentare di offrire una lettura costituzionalmente conforme delle norme sospette di illegittimita'. Soltanto ove il tentativo di interpretazione costituzionale orientata fallisse, infatti, si rivelerebbe praticabile la rimessione della questione alla Corte costituzionale. Secondo la Corte costituzionale, invero, va dichiarata inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal rimettente quando questi trascuri di sperimentare la possibilita' di dare alla disposizione censurata un'interpretazione costituzionalmente orientata e di spiegare le ragioni che impediscono di pervenire ad un risultato idoneo a superare i dubbi di costituzionalita' (cfr. per tutte Corte Cost. nn. 230/2010; 190/2010; 190/2010; 189/2010; 154/2010; 110/2010). Ora, con riferimento al giudizio a quo l'evocato tentativo di interpretazione costituzionale orientata degli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, non pare essere consentito proprio dalla forza ermeneutica - gia' prospettata da questo Tribunale sotto il profilo della rilevanza della questione di legittimita' - dei principi di stretta interpretazione e di tassativita' delle cause di incompatibilita' che pervadono la materia elettorale (cfr. ancora Corte Cost., 23 marzo 2012, n. 67; Corte Cost., 17 ottobre 2011, n. 277 e Corte Cost., 6 febbraio 2009, n. 27): Precisato questo aspetto e considerato altresi' che il fatto dedotto nel presente giudizio integra la fattispecie astratta delle cause di incompatibilita' delineate dalla legge 23 aprile 1981, n. 154 (posto che risultano non revocabili in dubbio sia l'avvenuta condanna definitiva in sede contabile del resistente F. R. la natura strumentale dell'ente vigilato dalla Regione Siciliana del quale quest'ultimo era legale rappresentate all'epoca dei fatti per cui e' stata riconosciuta la sua responsabilita' amministrativa (1) ), il Tribunale remittente dubita della legittimita' costituzionale degli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, in relazione agli articoli 3, 51, 122 della Costituzione nonche' (alla stregua di parametro interposto) art. 5 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, nella parte in cui non prevedono - a differenza di quanto invece, dispone in subiecta materia la legislazione nazionale - l'incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di colui il quale, dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati, non abbia ancora estinto il relativo debito di natura risarcitoria. Dalla disamina delle fonti statali e regionali in materia di ineleggibilita' ed incompatibilita' con le cariche elettive si evince che la descritta lacuna normativa desumibile dagli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, costituisce un «unicum» nella cornice ordinamentale della Repubblica. Invero, prevedono una simile causa di incompatibilita' non soltanto, l'art. 3, § 5, della legge statale 23 aprile 1981, n. 154, in ambito nazionale, ma anche, con riferimento alla normativa vigente nelle regioni a statuto speciale, l'art. 5, lettera q), della legge regionale 7 agosto 2007, n. 20, della Valle d'Aosta, l'art. 26, lettera f), della legge regionale 7 marzo 2007 della Regione Sardegna, l'art. 4, lettera h), della legge regionale 29 luglio 2004, n. 21, della Regione Friuli-Venezia Giulia. Peraltro, come opportunamente rimarcato dal ricorrente, l'art. 10, § 5, della legge regionale 25 giugno 1986, n. 34, della Regione Siciliana contempla, nel quadro ordinamentale autonomistico, la medesima causa di incompatibilita' per danno contabile in relazione alle cariche di consigliere comunale, provinciale o di quartiere. Pare, quindi, del tutto evidente la situazione di assoluta singolarita' conseguente alla mancata previsione, esclusivamente nel territorio della Regione Sicilia e con riferimento ai soli consiglieri regionali, di una causa di incompatibilita' invece presente per tutti i consigli regionali delle regioni a statuto ordinario, nonche' per i consigli regionali delle regioni (a statuto speciale) Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e per i consiglieri comunali, provinciali o di quartiere della stessa Regione Sicilia. La possibile disparita' di trattamento scaturente dal raffronto tra il disposto legislativo siciliano e le menzionate disposizioni statali e regionali non sembra poter superare lo scrutinio di ragionevolezza condotto alla luce dell'art. 3 e, con precipuo riguardo al tema dell'accesso alle cariche elettive dell'art. 51 della Costituzione. A tal proposito e' opportuno rimarcare che la costante giurisprudenza costituzionale predica che l'esercizio del potere legislativo da parte delle regioni dotate di speciale autonomia statutaria in materia elettorale deve inevitabilmente misurarsi con il limite del rispetto del principia di eguaglianza sancito in termini generali dall'art. 3 e, piu' specificamente, dall'art. 51 della Carta costituzionale. Piu' in particolare, e' stato affermato che la disciplina regionale siciliana concernente l'accesso alle cariche elettive deve estrinsecarsi nel rispetto del diritto di elettorato passivo in condizioni di sostanziale uguaglianza su tutto il territorio nazionale (cfr., in questi termini, Corte. Cost., 30 gennaio 1985, n. 20, e piu' recentemente, Corte Cost., 23 aprile 2010, n. 143). Una diversificazione attuata nell'esercizio di una competenza legislativa primaria (quale e' in materia elettorale quella della Regione Siciliana) rispetto al panorama nazionale della disciplina relativa cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' e' stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza costituzionale soltanto nelle ipotesi in cui ricorressero «peculiari condizioni locali» congruamente e ragionevolmente apprezzate dal legislatore regionale (Corte Cost., 25 luglio 1997, n. 276; il cui tenore motivazionale si appunta, inoltre, sull'esigenza che tale diversificazione sia finalizzata alla tutela di un interesse generale). Inoltre, anche nella sentenza della Corte Cost. 23 aprile 2010, n. 143, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una norma della Regione Siciliana nella parte in cui non prevedeva una particolare incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale e cio' in considerazione del fatto che nell'esercizio di una competenza legislativa come quella prevista dallo statuto siciliano si possono anche diversificare le cause di ineleggibilita' e incompatibilita', ma occorre che cio' avvenga sulla base di «condizioni peculiari locali», che quindi debbono essere congruamente ragionevolmente apprezzati[e] dal legislatore siciliano (vedi anche le sentenze n. 84 del 1994 e n. 463 del 1992, relative a leggi della Regione Siciliana ed a mancate previsioni di ipotesi di ineleggibilita', con cui la Corte ha ritenuto che discipline differenziate sono legittime sul piano costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in situazioni peculiari idonee a giustificare il trattamento privilegiato riconosciuto dalle disposizioni censurate). La circostanza che gli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nulla prevedano in ordine all'incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito, ponendosi in controtendenza rispetto alla disciplina statale ed a quella delle altre regioni a statuto speciale, non sembra essere supportato da peculiari e ipotetiche condizioni del tessuto politico-sociate siciliano. D'altra parte, la stessa giurisprudenza costituzionale ha in piu' occasioni precisato che tali condizioni possono al piu' rintracciarsi nell'esigenza di evitare che l'esercizio della carica elettiva possa essere inquinata da indebite influenze di matrice illecita e non anche per legittimare una mera diversita' di disciplina, altrimenti lesiva dell'indefettibile esigenza di uniformita' imposta dagli articoli 3 e 1 della Costituzione (cfr., in quest'ottica, Corte Cost., 14 dicembre 1990, n. 539). Il fatto poi che una simile causa di incompatibilita' sia prevista dallo stesso legislatore siciliano all'art. 10, § 5. della legge 25 giugno 1986, n. 34, per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere (in aderenza d'altra parte, a quanto contemplato dall'art. 63, § 5 del decreto legislativo n. 267/2000) sembra rafforzare l'irragionevolezza della dedotta disparita' di trattamento, dal momento che l'esercizio della carica di deputato regionale, anche in un'ottica sistematica, presuppone sicuramente un requisito di onorabilita' almeno analogo a quello dei consiglieri comunali, provinciali o di quartiere. Ne', a parere del Tribunale, potrebbe obiettarsi che la lacuna normativa emergente dalla lettura degli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, sia giustificabile attingendo all'argomento a contrario compendiato nel brocardo ubi lex vuluit, dixit: ubi noluit tacuit. E' pur vero, difatti, che l'art. 3 dello statuto della Regione Siciliana attribuisce al legislatore locale potesta' legislativa primaria il cui unico limite e' costituito dal rispetto della Costituzione e dei principi fondamentali dell'ordinamento repubblicano, ma e' altrettanto inconfutabile che questo stesso limite, alla luce di quanto appena esposto, debba ritenersi violato laddove non venga rispettato il diritto di elettorato passivo in condizioni di sostanziale uguaglianza su tutto il territorio nazionale. La mancata previsione da parte del legislatore regionale della causa di incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito verrebbe, dunque, a porsi in contrasto anche con l'art. 122 della Costituzione, in quanto la potesta' legislativa di natura primaria sarebbe stata esercitata in spregio ad un principio fondamentale, dell'ordinamento repubblicano, quale e' quello della, sostanziale eguaglianza (in assenza di peculiari condizioni che giustifichino una diversa disciplina) del diritto di elettorato passivo. A tal riguardo va peraltro puntualizzata che la stessa Corte costituzionale nel dichiarare costituzionale della citata legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in cui non prevedeva l'incompatibilita' tra l'ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un comune compreso nel territorio della regione con popolazione superiore a ventimila abitanti (in virtu' dell'applicazione della regola del cd. parallelismo tra cause di ineleggibilita' e cause di incompatibilita'), ha affermato che il riconoscimento di tali limiti non equivale certo a disconoscere la potesta' legislativa primaria di cui e' titolare la Regione Siciliana, ma concorre semmai a tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, che, rivelandosi intangibile nel suo contenuto di valore, deve essere disciplinato senza generare discriminazioni sostanziali tra cittadino e' cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza (cfr., in tale prospettiva, Corte Cost., 23 aprile 2010, n. 143). E del resto, persino la piu' attenta dottrina non ha mancato di evidenziare che le pronunce di legittimita' costituzionale aventi ad oggetto lo statuto e le leggi emanate dalla Regione Siciliana dovrebbero caratterizzarsi per la ricerca di elementi di unita' e di uniformita', particolarmente pregnanti in materia elettorale, a scapito delle piu' accentuate forme di differenziazione scaturenti dall'esercizio dell'autonomia statutaria. In altri termini, in assenza delle evocate condizioni peculiari della realta' locale che giustifichino una disciplina delle cause di incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale diversa rispetto a quella statale, e' piu' che concreto il rischio che l'attuale assetto della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 (con riferimento agli articoli 10-ter e 10-quater) violi le disposizioni costituzionali assunte a parametro di giudizio. Violazione che questo giudice remittente ritiene possa essere superata attraverso la dichiarazione di illegittimita' degli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in cui in cui prevedono l'incompatibilita' con la carica di deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito. (1) I Centri interaziendali per l'addestramento professionale nell'industria (C.I.A.P.I.) sono, infatti, enti strumentali dell'amministrazione regionale che, ancorche' assumano l'etichetta tipologica delle associazioni privatistiche si rivelano in chiave sostanziale persone giuridiche gravitatiti nella monade pubblicistica, in quanto dalla stessa direttamente controllate, vigilate nonche' finanziariamente sostenute. Cio' si ricava agevolmente anche dalla lettura della legge regionale n. 25 del 6 marzo 1976, che prevede interventi del Presidente della Regione Siciliana e di regionali nella nomina del Presidente e dei componenti del consiglio di amministrazione e dei collegi dei revisori e nelle variazioni alle dotazioni risultanti dalle tabelle organiche.
P.Q.M. Il Tribunale, come sopra composto, cosi' provvede: visti l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonche' l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 10-ter e 10- quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' con la carica di deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva responsabile verso l'ente, istituto o azienda pubblici per fatti compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito, per contrasto con gli articoli 3, 51, 122 della Costituzione nonche' con l'art. 5 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana); dispone la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria alle parti in causa al pubblico ministero, al Presidente della Regione Siciliana ed al Presidente dell' Assemblea regionale siciliana. Cosi' deciso in Palermo nella Camera di consiglio della I sezione civile del Tribunale, in data 17 febbraio 2017. Il Presidente: Grimaldi Di Terresena Il giudice estensore: Ruvolo