N. 57 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 agosto 2017

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 23 agosto 2017 (della Regione Toscana). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali - Riparto del concorso
  alla finanza pubblica da parte di Province e Citta' metropolitane -
  Determinazione dell'ammontare delle riduzioni di spesa corrente  da
  conseguire per gli  anni  2017  e  seguenti  e  del  corrispondente
  versamento. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Enti  locali  -  Trasferimenti
  regionali a Province e Citta' metropolitane per funzioni  conferite
  - Riconoscimento di una quota del 20 per cento del fondo  nazionale
  per il concorso dello Stato agli oneri per  il  trasporto  pubblico
  locale a condizione dell'avvenuta erogazione certificata  da  parte
  della Regione a ciascuna Provincia  e  Citta'  metropolitana  delle
  risorse  per  l'esercizio  delle  funzioni  ad  esse  conferite   -
  Formalizzazione della certificazione tramite intesa  in  Conferenza
  unificata  -  Deliberazione  del   Consiglio   dei   ministri   del
  riconoscimento della quota del 20 per cento del fondo suddetto,  in
  caso di mancata intesa. 
Trasporto  pubblico  -  Misure  urgenti  per  la   promozione   della
  concorrenza  e  la  lotta  all'evasione  tariffaria  nel  trasporto
  pubblico  locale  -  Svolgimento  delle  procedure  di  scelta  del
  contraente  per  i  servizi  di  trasporto  locale  e  regionale  -
  Previsione che gli enti affidanti articolano i bacini di  mobilita'
  in piu' lotti, salvo  eccezioni  motivate  -  Previsione  che  tali
  eccezioni  sono  disciplinate  con   delibera   dell'Autorita'   di
  regolazione dei trasporti. 
- Decreto-legge 24  aprile  2017,  n.  50  (Disposizioni  urgenti  in
  materia finanziaria, iniziative a favore degli  enti  territoriali,
  ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure
  per lo sviluppo), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  21
  giugno 2017, n. 96, artt. 16, commi 1 e 2, 39 e 48, commi  4  e  6,
  lett. a). 
(GU n.38 del 20-9-2017 )
    Ricorso della Regione Toscana (P.IVA 01386030488), in persona del
presidente pro tempore della giunta regionale,  dott.  Enrico  Rossi,
autorizzato con deliberazione della giunta regionale n.  819  del  31
luglio 2017, rappresentato e difeso, come  da  mandato  in  calce  al
presente atto,  dall'avv.  Lucia  Bora  (C.F.  BROLCU57M59B157V  pec:
lucia.bora@postacert.toscana.it)   dell'Avvocatura   regionale,    ed
elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio   dell'avv.   Marcello
Cecchetti, (C.F. CCCMCL65E02H501Q) in Roma, piazza  Barberini  n.  12
(fax 06.4871847; pec: marcello.cecchetti@firenze.pecavvocati.it); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma
1 e 2, dell'art. 39 e dell'art. 48, comma 4 e comma 6, lettera a) del
decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito  in  legge  21  giugno
2017, n. 96, per violazione degli articoli 77,  117  terzo  e  quarto
comma, 119, 1,  2,  3  e  4  comma  della  Costituzione  nonche'  del
principio della leale collaborazione. 
    In data 23  giugno  2017  e'  stato  pubblicato,  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 144, S.O. n. 31, il decreto-legge 24 aprile 2017, n.  50
coordinato con la  legge  di  conversione  21  giugno  2017,  n.  96,
recante: «Disposizioni urgenti in materia finanziaria,  iniziative  a
favore degli enti territoriali,  ulteriori  interventi  per  le  zone
colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo». 
    In particolare, l'art. 16, ai commi 1 e 2,  interviene  sull'art.
1, comma 418 della legge 23  dicembre  2014,  n.  190  in  merito  al
riparto del concorso alla finanza pubblica da  parte  di  province  e
citta' metropolitane; l'art. 39 riguarda i trasferimenti regionali  a
province e citta' metropolitane per le funzioni conferite; l'art.  48
ai commi 4 e 6, lettera  a)  disciplina  l'articolazione  dei  bacini
regionali di mobilita' ai  fini  dell'affidamento  del  servizio  del
trasporto pubblico regionale. 
    Le suddette disposizioni impugnate sono lesive  delle  competenze
regionali per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 16, commi 1 e 2  per
violazione dell'articolo 119, commi 1, 2, 3 e 4 della Costituzione. 
    L'impugnata disposizione interviene sull'art. 1, comma 418  della
legge 23 dicembre 2014, n.  190  ripartendo  tra  province  e  citta'
metropolitane  il  rispettivo  concorso  alla  finanza   pubblica   a
decorrere dal 2017 (comma 1) e stabilisce l'ammontare delle riduzioni
della spesa corrente che ogni provincia e citta'  metropolitana  deve
conseguire per gli anni 2017  e  seguenti,  secondo  quanto  indicato
nella tabella 1 allegata al decreto,  e  del  conseguente  versamento
allo Stato, sempre ai sensi del citato art. 1, comma  418,  legge  n.
190/2014 (comma 2). 
    Per comprendere tali disposizioni, occorre ricordare che la Corte
costituzionale, con sentenza n. 205 del 2016,  ha  stabilito  che  il
comma 418 della legge n. 190/2014, che individua  il  «taglio»  delle
risorse delle province e delle  citta'  metropolitane  per  gli  anni
2015, 2016 e 2017 (rispettivamente uno, due e tre miliardi di  euro),
deve essere interpretato nel senso che dette risorse vanno  riversate
alle regioni e ai comuni destinatari delle funzioni trasferite  dalle
province-citta' metropolitane per effetto del riordino previsto dalla
legge  n.  56/2014;  nella  sentenza  e'  affermato  (punto  6.2  del
Considerato in diritto): «Piu' precisamente,  dunque,  disponendo  il
comma 418 che le risorse affluiscano "ad apposito capitolo di entrata
del bilancio dello Stato", si deve ritenere - e in questi termini  la
disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia
destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area  vasta
connesse  al  riordino  delle  funzioni  non  fondamentali,   a   una
successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio  delle
stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b,  della
legge n. 56 del 2014). 
    La previsione del  versamento  al  bilancio  statale  di  risorse
frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area  vasta
va dunque  inquadrata  nel  percorso  della  complessiva  riforma  in
itinere. E, cosi' intesa, essa si risolve in uno specifico  passaggio
della vicenda straordinarie di trasferimento delle risorse  da  detti
enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate,
vicenda la cui gestione deve  necessariamente  essere  affidata  allo
Stato (sentenze n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015). 
    I commi 418, 419 e 451, dunque, non violano  l'art.  119,  primo,
secondo e terzo comma, della Costituzione nei termini lamentati dalla
ricorrente perche' le disposizioni in essi contenute vanno intese nel
senso che il  versamento  delle  risorse  ad  apposito  capitolo  del
bilancio statale (cosi'  come  l'eventuale  recupero  delle  somme  a
valere sui tributi di cui al comma 419)  e' specificamente  destinato
al finanziamento delle funzioni provinciali non  fondamentali  e  che
tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto  del  processo
di riordino di tali funzioni e del passaggio delle  relative  risorse
agli enti subentranti.». 
    Vi e' dunque un vincolo di destinazione delle risorse dallo Stato
incamerate a seguito del taglio alle province e citta' metropolitane,
nei confronti degli enti subentranti nella titolarita' delle funzioni
stesse; tale principio e' stabilito anche  dalla  legge  n.  56/2014,
all'art. 1, comma 97, lettera b). 
    In Toscana  e'  la  stessa  Regione  ad  essere  subentrata  alle
province. Precisamente, la  legge  regionale  3  marzo  2015,  n.  22
«Riordino delle funzioni  provinciali  e  attuazione  della  legge  7
aprile 2014, n. 56» ha dato attuazione al  processo  di  revisione  e
riallocazione delle funzioni gia' conferite  alle  province  ed  alle
citta' metropolitane, in coerenza con le previsioni di  cui  all'art.
89 e seguenti della legge n. 56/2014. 
    In particolare, ai sensi dell'art. 2  della  legge  regionale  n.
22/2015, sono  state  oggetto  di  trasferimento  alla  Regione,  nei
termini previsti  dalla  legge,  tutte  le  seguenti  funzioni,  gia'
esercitate dalle province e dalla Citta' metropolitana di Firenze: 
        a) le funzioni in materia di agricoltura; 
        b) le funzioni in materia di caccia e pesca nel mare e  nelle
acque interne; 
        c) le  funzioni  in  materia  di  orientamento  e  formazione
professionale, compresa la formazione e qualificazione  professionale
degli operatori turistici; 
        d) le funzioni in materia di ambiente, attinenti: 
          rifiuti e bonifica dei siti inquinati; 
          la difesa del suolo, ivi comprese la difesa della  costa  e
degli abitati costieri e alla gestione del demanio idrico; 
          la tutela della qualita' dell'aria; 
          l'inquinamento acustico; 
          la tutela delle acque dall'inquinamento; 
          le   funzioni   di   autorita'    competente    concernenti
l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) e l'autorizzazione  unica
ambientale (AUA); 
          parchi ed aree protette; 
        e) le funzioni in materia di energia, comprese le funzioni di
controllo sugli impianti termici per la climatizzazione; 
        f) le funzioni in materia di osservatorio sociale; 
        g) le funzioni in materia di strade regionali,  limitatamente
alla progettazione e costruzione delle  opere  relative  alle  strade
stesse. 
    Sono state altresi' oggetto  di  trasferimento  alla  Regione  le
funzioni di autorita' competente in materia di valutazione di impatto
ambientale (VIA) relative a progetti afferenti alle suddette materie,
nonche' le connesse funzioni di autorita' competente all'applicazione
delle sanzioni amministrative. 
    Lo svolgimento di tali  attivita'  richiede  risorse  finanziarie
aggiuntive  che  non  hanno  accompagnato  la   ridefinizione   delle
competenze tra  i  livelli  di  governo  assegnatati  delle  suddette
funzioni. 
    Sebbene il  problema  sia  stato  posto  a  livello  nazionale  e
nonostante una specifica richiesta inviata dalla Regione Toscana allo
Stato, quest'ultimo, pur avendo operato la relativa  quantificazione,
non ha previsto alcun  trasferimento  all'Amministrazione  ricorrente
delle risorse tagliate alle province che, in Toscana, non  esercitano
piu' funzioni divenute di competenza regionale. 
    Le impugnate disposizioni, intervenendo nuovamente sul comma  418
dell'art. 1 della legge n. 190/2014, avrebbero dovuto, in  attuazione
della sentenza della Corte costituzionale n. 205/2016,  prevedere  la
riassegnazione  alle  regioni  e  agli  enti  locali  delle   risorse
sottratte alle province e  citta'  metropolitane  per  effetto  delle
norme della legge n. 190/2014. Cosi' pero' non  e'  avvenuto  e  tale
omissione produce proprio quella violazione dell'art. 119,  commi  1,
2, 3 e  4,  che  la  Corte  costituzionale  aveva  escluso  solo  nel
presupposto che il legislatore statale provvedesse a riassegnare agli
enti subentranti nell'esercizio delle funzioni a seguito del riordino
istituzionale, le risorse prelevate dallo Stato da province e  citta'
metropolitane e incamerate dallo Stato medesimo.  Attualmente  quindi
le funzioni non fondamentali riallocate dalle province non  hanno  il
finanziamento statale richiesto, in quanto i risparmi di  province  e
citta' metropolitane riversati allo Stato non sono stati  riassegnati
agli  enti   subentranti   nell'esercizio   delle   stesse   funzioni
fondamentali, cosi' come peraltro previsto anche dal principio di cui
all'art. 1, comma 97, lettera b) della legge n. 56/2014. 
    La rivendicazione in oggetto non e' puramente formale, perche' la
totalita' delle funzioni acquisite dalla Regione rende inevitabile il
conseguente aumento di fabbisogno finanziario  che  viene  totalmente
vanificato  con  l'omissione  qui  denunciata.   L'art.   119   della
Costituzione, nei commi 1, 2 e 3  riconosce  l'autonomia  finanziaria
regionale e individua le fonti di finanziamento delle attivita' della
regione stessa. 
    Chiude il modello cosi' delineato  un  preciso  vincolo,  che  e'
definito nel quarto comma dell'art. 119, nel quale si stabilisce  che
«le  risorse  derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi  precedenti
consentono ai comuni, alle province,  alle  citta'  metropolitane  ed
alle regioni di finanziare integralmente le funzioni  pubbliche  loro
attribuite»;  le  impugnate  disposizioni  violano  tale   previsione
costituzionale,  non  permettendo  alle  regioni  di  disporre  delle
risorse necessarie per il corretto esercizio delle loro funzioni. 
    Pertanto e' incostituzionale l'art. 16, ai commi  1  e  2,  nella
parte in cui non prevede la riassegnazione alle regioni e  agli  enti
locali, subentrati  nell'esercizio  delle  funzioni  provinciali  non
fondamentali,  delle  risorse  sottratte  alle  province   e   citta'
metropolitane, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2, 3 e 4, della
Costituzione. 
2. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo  39  per  violazione
dell'articolo 97, dell'articolo 117 quarto comma e dell'articolo  119
della  Costituzione  e  per  violazione  del  principio  della  leale
collaborazione. 
    La norma prevede  che  una  quota  del  Fondo  nazionale  per  il
concorso dello Stato agli oneri per  il  trasporto  pubblico  locale,
pari al 20%, sia riconosciuta alle regioni, a condizione che entro il
30 giugno di ciascun anno le stesse  abbiano  certificato  l'avvenuta
erogazione alle province e citta'  metropolitane  delle  risorse  per
l'esercizio delle funzioni ad esse conferite;  la  certificazione  e'
formalizzata tramite intesa in conferenza  unificata  da  raggiungere
entro il 10 luglio di ogni anno. In caso di mancata intesa  sara'  il
Consiglio dei ministri, su proposta del Dipartimento per  gli  affari
regionali, a deliberare in merito al riconoscimento in  favore  della
Regione del suddetto 20% del fondo per il trasporto pubblico locale. 
    La norma presenta profili di dubbia costituzionalita' per diversi
motivi. 
    2.a) Preliminarmente la disposizione subordina l'erogazione della
quota che serve per finanziare il trasporto  pubblico  locale  ad  un
fatto  del  tutto  estraneo  alla  programmazione,  organizzazione  e
gestione del servizio stesso. Infatti la eventuale riduzione del  20%
del  fondo  trasporti  viene   ad   essere   configurata   come   una
penalizzazione per le regioni che non abbiano erogato  alle  province
le risorse per le funzioni alle stesse conferite non gia' in  materia
di trasporto pubblico, ma in tutti gli ambiti  in  cui  ogni  Regione
abbia attribuito funzioni alle province medesime. Infatti la norma fa
riferimento alla legge regionale di attuazione  dell'accordo  sancito
tra Stato e regioni in sede di Conferenza unificata dell'11 settembre
2014 e quindi a tutte le funzioni oggetto del riordino istituzionale,
a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56. 
    Cio' determina la violazione  dell'art.  97  della  Costituzione,
sotto il  profilo  del  buon  andamento  dell'azione  amministrativa,
perche' incide sulla possibilita' per la Regione  di  far  fronte  al
corretto  esercizio  delle  funzioni  per  carenza  delle  necessarie
risorse finanziarie. 
    L'eventuale inadempienza regionale nel finanziare le province per
l'esercizio delle funzioni trasferite viene infatti a riversarsi,  in
modo del tutto illogico, sulle aziende che  gestiscono  il  trasporto
pubblico locale e quindi, alla fine, sulla collettivita'. 
    2.b) La prevista «sanzione» limita quindi le competenze regionali
in materia di trasporto pubblico locale, materia che, com'e' noto, e'
attribuita in via esclusiva alle  regioni  ai  sensi  dell'art.  117,
quarto comma della Costituzione e  contrasta  con  il  meccanismo  di
finanziamento delle funzioni delineato dall'art. 119, commi 1, 2, 3 e
4, della Costituzione in quanto taglia il finanziamento del trasporto
pubblico locale in modo arbitrario, senza alcuna correlazione con  la
programmazione e gestione  del  servizio  e  con  le  necessita'  del
medesimo. 
    2.c) La disposizione viola, sotto un  ulteriore  profilo,  l'art.
119 della Costituzione  in  quanto,  com'e'  noto,  a  seguito  della
sentenza della Corte costituzionale n. 205/2016  gia'  richiamata  al
precedente punto 1, lo Stato  e'  tenuto  ad  attribuire  le  risorse
conseguenti al riordino istituzionale agli enti che  sono  subentrati
nella titolarita' delle funzioni oggetto di riordino (nel  caso  alla
Regione). Poiche' nessuna di queste risorse e' stata ancora  erogata,
non puo' lo Stato ulteriormente penalizzare le regioni con  un  altro
taglio  in  alcun  modo  correlato   all'esercizio   delle   funzioni
concernenti il trasporto pubblico locale: percio'  deve  essere  data
alle regioni  la  disponibilita'  delle  risorse  del  fondo  per  il
finanziamento delle funzioni riassegnate ad altri enti in  attuazione
della legge n. 56/2014 e della sentenza della Corte costituzionale n.
205/2016 e poi, in ipotesi, da tali risorse  lo  Stato  procedera'  a
decurtare eventuali risorse che le  regioni  non  abbiano  trasferito
alle province per le funzioni non fondamentali  conferite,  ove  tale
inadempienza effettivamente sia riscontrata  e  sia  imputabile  alle
regioni stesse. 
    2.d) La disposizione  infine  e'  ulteriormente  incostituzionale
perche' non rispetta  il  principio  della  leale  collaborazione  in
quanto, al secondo comma, prevede un potere sostitutivo nei confronti
delle regioni non conforme all'art. 8 della legge 5 giugno  2003,  n.
131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3),  il  quale  assegna
all'ente inadempiente un congruo termine  per  provvedere  e  prevede
l'audizione  dell'ente  inadempiente  da  parte  del   Consiglio   de
ministri, nonche' la  partecipazione  del  Presidente  della  Regione
interessata alla riunione del Consiglio dei  ministri  che  adotta  i
provvedimenti necessari. 
3 - Illegittimita' costituzionale dell'articolo  48,  commi  4  e  6,
lettera a), per violazione degli articoli  77,  117  terzo  e  quarto
comma, della Costituzione e per violazione del principio della  leale
collaborazione. 
    L'art. 48  concerne  «Misure  urgenti  per  la  promozione  della
concorrenza e la lotta all'evasione tariffaria nel trasporto pubblico
locale». 
    In sintesi, la norma stabilisce  che  le  regioni  definiscono  -
sentite le citta' metropolitane, gli enti di area vasta ed  i  comuni
capoluogo - i bacini dei servizi di  mobilita',  rilevanti  anche  ai
fini della pianificazione e del  finanziamento  degli  interventi  di
mobilita' urbana sostenibile, basati su un'utenza  minima  di  almeno
350.000 abitanti. Il comma quarto dell'articolo dispone che i  bacini
di mobilita', ai fini dello svolgimento delle procedure di  gara  per
l'affidamento  del  servizio  di  trasporto,   con   l'obiettivo   di
promuovere la piu' ampia partecipazione alle gare, sono articolati in
piu' lotti, tenuto conto delle caratteristiche della domanda e  salvo
eccezioni  motivate;   tali   eccezioni   motivate   sono   stabilite
dall'Autorita' di regolazione dei  trasporti,  alla  quale  la  norma
affida, in via esclusiva e senza nessuna intesa con  la  Regione,  il
compito di «definire i criteri per la determinazioni delle  eccezioni
al principio della minore estensione territoriale dei lotti  di  gara
rispetto ai bacini di pianificazione,  tenendo  conto  della  domanda
effettiva e di quella  potenziale,  delle  economie  di  scala  e  di
integrazione tra servizi» (comma 6, lettera a) del medesimo art. 48). 
    Le   citate   disposizioni   riproducono   la   parte    relativa
all'organizzazione  del  servizio  di   trasporto   pubblico   locale
contenuta nel  decreto  legislativo  che  era  stato  predisposto  in
attuazione della legge Madia n. 124/2014; decreto  poi  ritirato  dal
Governo, a seguito  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
251/2016  che,  com'e'   noto,   ha   dichiarato   costituzionalmente
illegittimo l'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l),  m),  n),  o),
p), s), t) e u), della legge n. 124/2015, nella parte in  cui  recava
una delega legislativa al Governo per la definizione della disciplina
generale in materia di regolazione e organizzazione  dei  servizi  di
interesse economico generale di ambito locale;  l'incostituzionalita'
e' derivata  dalla  considerazione  che  la  disciplina  dei  servizi
pubblici locali presenta un  intreccio  di  competenze  tra  Stato  e
regioni, che impone, per la sua approvazione, il raggiungimento della
previa intesa con le regioni. 
    In particolare nella sentenza n. 251/2016  e'  affermato  che  in
tale ambito la Corte ha ravvisato «una competenza legislativa statale
esclusiva a disciplinare il regime dei  servizi  pubblici  locali  di
interesse economico "per gli aspetti che hanno una diretta  incidenza
sul mercato"» (sentenze n. 160 del 2016 e n.  325  del  2010)  e  che
siano volti, "in via primaria, alla tutela e  alla  promozione  della
concorrenza"  (sentenza  n.  325  del   2010),   nel   limite   della
proporzionalita' e adeguatezza dell'intervento (sentenze n.  160  del
2016, n. 443 del 2007, n. 272 del 2004), ma ha  anche  ravvisato  una
competenza legislativa regionale residuale (che  si  accompagna  alla
competenza regolamentare degli enti locali di cui all'art. 117, sesto
comma, della Costituzione) a disciplinare  tutti  quei  profili  (ivi
compreso il trasporto pubblico locale) che non  siano  strumentali  a
garantire la concorrenza. Da questi riferimenti emerge con  chiarezza
che le impugnate disposizioni  dell'art.  19  contengono  principi  e
criteri direttivi entro cui si  intrecciano  previsioni  strettamente
finalizzate alla tutela della concorrenza  (lettera  b,  che  attiene
alla soppressione dei regimi di esclusiva, comunque  denominati,  non
conformi ai principi generali in materia di concorrenza;  lettera  g,
inerente alla definizione dei regimi tariffari),  riconducibili  alla
competenza  statale,  e   previsioni   palesemente   eccedenti   tale
finalita', inerenti  alla  gestione  e  organizzazione  dei  medesimi
servizi (lettera b, che  prescrive  la  soppressione  dei  regimi  di
esclusiva, comunque denominati, non indispensabili per assicurare  la
qualita' e  l'efficienza  del  servizio;  lettera  d,  relativa  alla
definizione dei criteri per  l'organizzazione  territoriale  ottimale
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;  lettera  h,  che
impone la definizione delle modalita' di tutela degli utenti; lettera
p,  che  dispone  l'introduzione  e  il  potenziamento  di  forme  di
consultazione dei  cittadini  e  della  partecipazione  diretta  alla
formulazione di  direttive  alle  amministrazioni  pubbliche  e  alle
societa' di  servizi  sulla  qualita'  e  sui  costi  degli  stessi),
espressione della competenza legislativa regionale residuale, insieme
a previsioni incidenti in ambiti ancora diversi, come quelle inerenti
alla  disciplina  dei  rapporti  di  lavoro   (lettera   t).   Queste
disposizioni  sono  tenute  insieme  da  forti  connessioni,  proprio
perche' funzionali al progetto di riordino  dell'intero  settore  dei
servizi pubblici locali  di  interesse  economico  generale.  Sebbene
costituiscano espressione di interessi  distinti,  che  corrispondono
alle diverse competenze legislative dello Stato e delle regioni, esse
risultano inscindibili l'una dall'altra, inserite  come  sono  in  un
unico progetto. Nel dare attuazione a principi e criteri direttivi in
esse contenuti,  il  Governo  supera  lo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale se rispetta  il  principio  di  leale  collaborazione,
avviando le procedure inerenti all'intesa con regioni e  enti  locali
nella   sede    della    Conferenza    unificata.    E',    pertanto,
costituzionalmente illegittimo l'art. 19, lettere b), c), d), g), h),
l), m), n), o), p), s), t) e u), nella parte  in  cui,  in  combinato
disposto con l'art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo adotti  i
relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziche' previa
intesa, in sede di Conferenza unificata». 
    Il legislatore nazionale, con la  norma  oggetto  della  presente
impugnativa,   anziche'   seguire   l'iter   indicato   dalla   Corte
costituzionale e quindi un procedimento  basato  sull'intesa  con  le
regioni, ha estrapolato dall'originario decreto dei servizi  pubblici
la parte relativa al trasporto pubblico locale, l'ha inserita  in  un
decreto-legge in nome  di  una  non  meglio  chiarita  necessita'  ed
urgenza (che e' difficile ipotizzare, visto  che  si  tratta  di  una
disciplina di organizzazione di  un  servizio;  tra  l'altro  non  si
comprende perche' l'urgenza sarebbe limitata solo al trasporto e  non
riguardi  invece  anche  gli  altri  servizi  pubblici   locali)   e,
completamente aggirando le  regole  della  leale  collaborazione,  ha
introdotto  una  disciplina   molto   impattante   sulle   competenze
regionali. 
    L'impatto  si  comprende  solo  pensando  che   la   disposizione
vanificherebbe la  previsione  contenuta  nell'art.  84  della  legge
regionale n. 65/2010 il quale dispone: «A decorrere  dal  1°  gennaio
2012 e' istituito l'ambito territoriale ottimale per  lo  svolgimento
delle funzioni in materia di trasporto  pubblico  locale  coincidente
con l'intera circoscrizione territoriale regionale, a cui corrisponde
un unico lotto di gara». 
    La Regione Toscana ha indetto  tale  gara  articolata  sul  lotto
unico regionale, con un enorme lavoro di razionalizzazione della rete
e dei servizi, informandone  l'Autorita'  di  regolazione  trasporti,
l'Autorita' garante della  concorrenza  e  del  mercato;  l'Autorita'
nazionale anticorruzione. 
    Le citate disposizioni contenute nell'art. 48 in  esame  appaiono
lesive delle attribuzioni regionali per molteplici motivi. 
    3.a) In primo luogo si deduce l'insussistenza dei presupposti che
giustificano  il  ricorso  alla  decretazione  d'urgenza,  ai   sensi
dell'art.  77,  secondo  comma,  della   Costituzione.   Infatti   la
disposizione detta una nuova disciplina  per  l'organizzazione  e  la
gestione del trasporto pubblico locale  e  quindi  si  tratta  di  un
riassetto  ordinamentale  del  tutto   estraneo   alla   natura   del
decreto-legge, ne' le misure introdotte fronteggiano una  circostanza
accidentale ed eccezionale suscettibile di essere disciplinata in via
d'urgenza  Si  deduce  altresi'  il  difetto   di   omogeneita'   del
decreto-legge, ravvisabile sia dall'epigrafe  del  provvedimento  che
dal preambolo dove si afferma la necessita' ed urgenza di  provvedere
con misure, pero', del tutto eterogenee tra di loro. 
    Quanto premesso determina una violazione  dell'art.  77,  secondo
comma  della  Costituzione.  E'  noto  che  la  violazione  di   tale
disposizione costituzionale puo' essere prospettata dalle regioni con
il ricorso in via principale ove  la  stessa  determini  una  lesione
delle  competenze  regionali;  infatti  la  Corte  costituzionale  ha
motivato la ridondanza di una questione prospettata in relazione alla
suddetta  norma  costituzionale  sull'assunto   che   la   violazione
denunciata risulti «potenzialmente idonea a determinare  una  lesione
delle attribuzioni costituzionali delle regioni», incidendo le  norme
impugnate su un ambito materiale di potesta' legislativa  concorrente
(sentenza n 22 del 2012; n. 80/2012). 
    Nel caso in esame, come sopra gia' evidenziato,  l'oggetto  della
disciplina qui contestata  incide  sulle  attribuzioni  regionali  in
materia di trasporto pubblico locale, materia rientrante  nell'ambito
delle competenze residuali delle  regioni  di  cui  al  quarto  comma
dell'art. 117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto  che,  ancor
prima della riforma del  Titolo  V  della  Costituzione,  il  decreto
legislativo 19 novembre  1997,  n.  422  [...]  aveva  ridisciplinato
l'intero  settore,  conferendo  alle  regioni  ed  agli  enti  locali
funzioni e compiti relativi a tutti i "servizi pubblici di  trasporto
di interesse regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed
in qualsiasi forma affidati" ed escludendo solo i trasporti  pubblici
di interesse nazionale». (Corte costituzionale sentenza n. 222/2005). 
    Il decreto-legge nel  caso  in  esame  e'  stato  utilizzato  per
anticipare una disciplina contenuta nel decreto legislativo  relativo
a tutti i servizi pubblici locali di natura imprenditoriale che,  nel
rispetto  del   principio   stabilito   da   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale, avrebbe dovuto basarsi  su  un'intesa  Stato-regioni.
Invece con il ricorso al  decreto-legge  si  e'  elusa  tale  regola,
anticipando la  disciplina  della  riorganizzazione  dei  servizi  di
trasporto pubblico locale. Non solo: la ridondanza  sulle  competenze
regionali e' ulteriormente resa evidente dalla  vanificazione  che  i
commi quarto e sesto  impugnati  determinano  della  legge  regionale
toscana che ha istituito il lotto  unico  regionale  come  bacino  di
programmazione e di organizzazione della gara per  l'affidamento  del
servizio. 
    Pertanto la eccepita violazione dell'art. 77  della  Costituzione
determina   una   sicura   lesione   delle   attribuzioni   regionali
costituzionalmente garantite in materia di trasporto pubblico locale. 
    3.b) In secondo luogo si  deduce  la  violazione  della  potesta'
regionale in materia di  organizzazione  del  servizio  di  trasporto
pubblico  locale,  materia  affidata,  come   gia'   rilevato,   alla
competenza residuale della Regioni ai  sensi  dell'art.  117,  quarto
comma della Costituzione, perche'  la  Regione  viene  privata  della
possibilita' di decidere come organizzare il servizio di trasporto  e
il livello ottimale di gestione. 
    In merito va  rilevato  che  non  esiste  un  modello  di  ambito
territoriale astrattamente migliore di  altri,  adatto  per  tutti  i
contesti territoriali e regionali, ma  bisogna  verificare  caso  per
caso   le   esigenze   del   territorio   e   gli    obiettivi    che
nell'organizzazione del servizio si vogliono raggiungere come ente di
governo e proprio per questo la dimensione del  lotto  deve  rimanere
una scelta discrezionale dell'ente di  governo  -  nel  rispetto  del
principio della piu' ampia partecipazione che il legislatore  statale
stabilisce - e non puo' essere imposta per norma statale. 
    Nel caso della ricorrente, ad esempio, la  Regione  si  e'  posta
come obiettivo quello di omogeneizzare  l'offerta  (partendo  da  una
situazione in cui si ha frammentarieta' della stessa e  corrispettivi
molto diversificati anche per territori similari), ridurre  in  tutta
la regione l'eta' media del parco bus, razionalizzare  la  rete.  Era
quindi necessario un progetto industriale unitario  e  non  gia'  una
pluralita' di diversi operatori focalizzati unicamente sulla gestione
locale del servizio. La previsione di un  lotto  su  scala  regionale
(lotto unico) non esclude peraltro la possibilita'  di  articolazioni
di piccoli lotti (art. 88 della legge regionale toscana  n.  65/2010)
per garantire i servizi in zone  particolarmente  disagiate  (aree  a
domanda debole). 
    Dunque l'organizzazione del  servizio  non  puo'  essere  imposta
«dall'alto»; anche la Regione Toscana ha tenuto conto  che  in  certi
contesti  sarebbe  stato  meglio  per  ragioni  anche  concorrenziali
affidare il servizio in  lotti  separati  di  minori  dimensioni;  e'
l'ente di governo che deve scegliere per il proprio  territorio  come
organizzarsi. Per la Regione Toscana il 10% dei  servizi  sono  fuori
dal lotto unico e anch'essi sono in corso di affidamento. 
    3.c)  In  terzo  luogo  e'  violato  il  principio  della   leale
collaborazione  sancito  dalla  Corte  costituzionale  nella   citata
sentenza n. 251/2016 che avrebbe imposto, nel  caso  in  esame,  come
gia' rilevato, che  la  disciplina  fosse  emanata  d'intesa  con  le
regioni. 
    3.d)  Ancora  ed  ulteriormente  si  deduce  la  violazione   del
principio della leale collaborazione, perche' il compito di  definire
le deroghe alla regola della obbligatoria suddivisione dei bacini  di
mobilita' in piu' lotti ai  fini  della  gara,  e'  affidato  in  via
esclusiva all'Autorita' di regolazione  dei  trasporti,  senza  alcun
coinvolgimento  delle  regioni  che,  invece,  sono  titolari   della
potesta' in materia di trasporto,  a  conoscenza  della  realta'  del
proprio territorio e  quindi  possono  offrire  elementi  conoscitivi
importanti  ai  fini  dell'articolazione  delle   gare   che   devono
perseguire l'unica finalita'  di  avere  il  migliore  aggiudicatario
idoneo a rendere il piu' efficiente servizio agli utenti. 
    3.e) Sotto altro profilo,  si  eccepisce  l'ulteriore  violazione
dell'art. 117  della  Costituzione,  perche'  non  e'  invocabile  la
competenza statale in materia di tutela della concorrenza, in  quanto
e' del tutto indimostrato e non vero che l'articolazione  del  bacino
in piu' lotti garantisca piu' efficienza e maggiore concorrenza. 
    Il  comma  quarto  qui  contestato   prevede   infatti   che   la
suddivisione del bacino in piu' lotti sia la regola obbligatoria  per
le regioni e cio' viene giustificato «con l'obiettivo  di  promuovere
la piu' ampia partecipazione alle medesime»  gare  per  l'affidamento
della gestione del servizio. 
    Ma  questo  obiettivo  non  significa  esercizio  della  potesta'
statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza: l'obiettivo
infatti ben puo'  essere  posto  alla  Regione,  lasciando  alla  sua
autonomia legislativa l'individuazione delle modalita'  organizzative
piu'  adeguate   per   l'erogazione   del   servizio   nel   rispetto
dell'obiettivo posto. Resterebbe cosi'  salvaguardata  la  competenza
regionale, nonche' il controllo da parte dello Stato di sindacare  le
scelte regionali eventualmente non idonee per raggiungere l'obiettivo
di promuovere la piu' ampia partecipazione alle  gare.  Le  impugnate
disposizioni invece eliminano ogni spazio al legislatore regionale. 
    A conferma, si richiama la sentenza n. 251/2016 ove e'  affermato
che eccedono dall'ambito della tutela della concorrenza di competenza
statale le previsioni «inerenti alla gestione  e  organizzazione  dei
medesimi servizi (lettera b, che prescrive la soppressione dei regimi
di esclusiva, comunque denominati, non indispensabili per  assicurare
la qualita' e l'efficienza del servizio;  lettera  d,  relativa  alla
definizione dei criteri per  l'organizzazione  territoriale  ottimale
dei  servizi  pubblici  locali  di   rilevanza   economica»   (enfasi
aggiunta). 
    La fondatezza  della  tesi  esposta  e'  avvalorata  anche  dalla
vigente legislazione. L'art. 51 del decreto legislativo  n.  50/2016,
che ha sostituito l'art. 2, comma  1-bis  del  «vecchio»  Codice  dei
contratti, decreto legislativo n. 163/2006 prevede che «Nel  rispetto
della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia  nei
settori ordinari che  nei  settori  speciali,  al  fine  di  favorire
l'accesso delle microimprese, piccole e medie  imprese,  le  stazioni
appaltanti  suddividono  gli  appalti  in  lotti  funzionali  di  cui
all'articolo 3, comma 1, lettera qq), ovvero in  lotti  prestazionali
di cui all'articolo 3,comma 1, lettera ggggg),  in  conformita'  alle
categorie o  specializzazioni  nel  settore  dei  lavori,  servizi  e
forniture. Le stazioni appaltanti motivano  la  mancata  suddivisione
dell'appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera di  invito  e
nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139». 
    Dunque proprio il codice appalti, che e' impostato sul necessario
rispetto della concorrenza, affida alla singola  stazione  appaltante
l'onere  di  scegliere   la   deroga   rispetto   alla   suddivisione
dell'appalto in piu' lotti, con un  onere  motivazionale  circa  tale
scelta. Questa regola e' applicata dalla Regione ricorrente sia nelle
proprie leggi che negli atti amministrativi  adottati  in  attuazione
delle stesse, con riferimento  a  tutti  i  settori  in  cui  vengono
espletati appalti (rifiuti, risorse idriche,  sanita'  ecc).  Non  si
comprende perche' al trasporto pubblico locale non si debba applicare
la stessa regola. 
    Nello stesso senso e' la disciplina europea. 
    Il «considerando» n. 78 della  direttiva  2014/24/UE,  dopo  aver
posto in evidenza la necessita' di garantire la partecipazione  delle
piccole-medie imprese alle gare pubbliche ed il  correlato  strumento
della suddivisione in lotti, si occupa anche della  possibile  scelta
della stazione appaltante di non procedere all'articolazione in lotti
e, oltre a prevedere la necessita' della motivazione, considera anche
le possibili ragioni giustificative di  una  tale  scelta:  evidenzia
quindi che «tali motivi potrebbero per esempio consistere  nel  fatto
che l'amministrazione aggiudicatrice ritiene  che  tale  suddivisione
possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere  l'esecuzione
dell'appalto eccessivamente difficile dal punto di  vista  tecnico  o
troppo  costosa,  ovvero  che  l'esigenza  di  coordinare  i  diversi
operatori  economici  per  i  lotti  possa  rischiare  seriamente  di
compromettere la corretta esecuzione dell'appalto». 
    Peraltro, secondo il consolidato orientamento  giurisprudenziale,
«l'opzione sottesa alla suddivisione o meno in lotti dell'appalto  e'
espressiva  di  scelta  discrezionale  non  suscettibile  di   essere
censurata in base a criteri di merce  opportunita',  tanto  piu'  nel
caso in cui - come  quello  in  esame  -  l'unitarieta'  sia  imposta
dall'oggetto dell'appalto  e  dalle  modalita'  esecutive  scaturenti
dalle situazione materiale e giuridica dei luoghi entro cui  operare.
(Consiglio di Stato, sezione V, 16 marzo 2016, n. 1081). 
    Pertanto le disposizioni dell'art. 48 in esame ledono le facolta'
di scelta discrezionale che la stazione appaltante sempre detiene  in
merito all'organizzazione della  gara.  Inoltre  l'imposizione  della
pluralita' di  lotti  determinerebbe  una  lievitazione  degli  oneri
economici per la stazione appaltante, in aperta antitesi  quindi  con
la logica sottesa al ricorso ai soggetti aggregatori, che  e'  quella
della razionalizzazione  e  della  semplificazione  dei  processi  di
acquisto e fornitura di beni e servizi. 
    Basti pensare che il decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 11 marzo 2013  (recante  Definizione  dei  criteri  e  delle
modalita' con cui ripartire il Fondo nazionale per il concorso  dello
Stato agli oneri del trasporto pubblico  locale,  anche  ferroviario,
nelle regioni a statuto ordinario) ha imposto parametri molto  rigidi
da rispettare per poter avere il finanziamento  del  fondo  nazionale
trasporti, riguardanti, tra l'altro  il  progressivo  incremento  del
rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi e la definizione di
livelli occupazionali appropriati. 
    L'individuazione del lotto unico di  gara  scelto  dalla  Regione
Toscana in base alle peculiarita' del proprio territorio permette  il
raggiungimento di questi obiettivi  che  invece  la  norma  in  esame
ignora completamente. 
    Ma, soprattutto, va considerato che l'obiettivo della piu'  ampia
partecipazione alla gara (dichiarato  dal  legislatore  nel  comma  4
dell'art. 48, a «motivazione» della pluralita' dei lotti),  ben  puo'
essere garantito anche dal  lotto  unico  regionale;  e'  sufficiente
infatti che i requisiti di fatturato richiesti per la  partecipazione
siano parametrati su importi non proibitivi e che lascino  aperta  la
possibilita' di ampia partecipazione degli  operatori  economici  del
settore;  inoltre  gli  operatori   possono   utilizzare   tutto   lo
strumentario proprio del diritto degli appalti che consente anche  ai
piu' piccoli di accedere al  mercato  degli  appalti  pubblici  (ATI,
avvalimento),  essendo  istituti  creati  proprio  per  favorire   la
partecipazione alle gare anche alle imprese medio piccole,  su  lotti
di maggiori dimensioni  (nella  gara  toscana  infatti  vi  e'  stata
concorrenza effettiva e partecipazione). 
    L'obbligatoria suddivisione in piu' lotti puo' invece determinare
un risultato di inefficienza del servizio, perche'  non  permette  di
ridurre gli squilibri tra le diverse  zone  territoriali  all'interno
della Regione, compensando quelle maggiormente redditizie con  quelle
che lo sono meno. In Toscana, ad esempio, un unico gestore  regionale
ben potra' investire anche in aree  economicamente  meno  attrattive,
perche' puo' beneficiare dei vantaggi che  trae  dalla  remunerazione
del servizio in zone piu' redditizie. Inoltre va  anche  sottolineato
che un soggetto industriale di dimensioni  consistenti,  come  quello
che si avrebbe per la gestione del lotto unico, puo'  meglio  gestire
anche processi industriali  di  riorganizzazione  in  relazione  alle
politiche  in  materia  occupazionale  (imposte   dal   decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 sopra richiamato)
e presenta maggiore solidita' per attuare investimenti. 
    Questo permette di perseguire l'obiettivo, di cui la  Regione  e'
titolare in virtu' delle  competenze  in  materia  di  trasporti,  di
omogeneizzazione dell'offerta sia  in  termini  quantitativi  (stessa
proporzione fra domanda  ed  offerta  ovunque)  che  qualitativi  (ad
esempio eta' media dei bus uguale in tutte le zone) che  deve  valere
per tutto il territorio regionale. 
    Pertanto le impugnate disposizioni sono lesive  delle  competenze
regionali in materia di trasporto pubblico locale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude affinche'  piaccia  all'Ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1 e 2,
dell'art. 39 e dell'art. 48, comma  4  e  comma  6,  lettera  a)  del
decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito  in  legge  21  giugno
2017, n. 96, per violazione degli articoli 77,  117  terzo  e  quarto
comma, 119, commi  1,  2,  3  e  4  della  Costituzione  nonche'  del
principio della leale collaborazione. 
    Si deposita la deliberazione della giunta regionale n. 819 del 31
luglio 2017 di autorizzazione a stare in giudizio. 
      Firenze-Roma, 21 agosto 2017 
 
                              Avv. Bora