N. 124 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2017
Ordinanza dell'8 febbraio 2017 del G.U.P. del Tribunale di Napoli Nord nel procedimento penale a carico di A.A. ed altri. Reati e pene - Reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri - Previsione, congiuntamente alla pena detentiva della reclusione da due a cinque anni, della pena proporzionale fissa della multa di 5 euro per ogni grammo convenzionale di prodotto. - Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), art. 291-bis.(GU n.39 del 27-9-2017 )
TRIBUNALE DI NAPOLI NORD Sezione del giudice delle indagini preliminari Il Giudice, dott.ssa Antonella Terzi, all'esito della celebrazione dell'udienza con rito abbreviato a carico di: A A nato a il , C E , nato a il , C P nato a il , E G , nato a il , E C , nato a il , E C nato a il , E F nato a il, E M nato a il, E V nato a il , M E nato a il , P R nato a il , P G nato a il, S M nato a il, V V nato a il ; Imputati: del reato p. e p. dagli articoli 110 c.p. 291-bis, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73 succ. mod. perche', in concorso tra di loro, trasportavano su di un automezzo di nazionalita' italiana con motrice tg e rimorchio tg, nel territorio dello Stato tabacchi lavorati esteri di contrabbando o comunque detenevano occultati all'interno di bobine per cavi elettrici, all'interno di un deposito sito in Teverola, zona industriale ASI, a loro in uso, pacchetti di tabacchi lavorati esteri di varie marche, come indicato nel verbale di sequestro della Guardia di Finanza di Caserta al cui contenuto si rinvia integralmente, del peso complessivo di kg. 4.415,10, sottraendo il predetto quantitativo al pagamento dei diritti di confine. Accertato in Teverola il 22 settembre 2016. Con la recidiva specifica per P R, con la recidiva per P G, con la recidiva specifica per E G, con la recidiva specifica per C P, con la recidiva reiterata e specifica per M E, con la recidiva specifica per A A, con la recidiva reiterata e specifica per E F, con la recidiva specifica per S M; O s s e r v a A seguito di richiesta di rinvio a giudizio veniva fissata l'udienza preliminare. Il P.M. rettificava la contestazione quanto al quantitativo di t.l.e., originariamente indicato in Kg. 4.450, e quanto alla recidiva relativa a taluni degli imputati. I difensori muniti di procura speciale avanzavano richiesta di rito abbreviato che veniva ammesso e all'esito di P.M. chiedeva affermarsi la responsabilita' di tutti gli imputati, riconoscersi a tutti le attenuanti generiche equivalenti alle contestate recidive e condannarsi, con la diminuente del rito, gli imputati recidivi alla pena di anni tre di reclusione ed euro 14.717.000 di multa ciascuno, gli imputati incensurati alla pena di anni due di reclusione ed euro 10.000.000 di multa ciascuno; i difensori chiedevano per tutti il minimo della pena, il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle recidive, l'esclusione delle recidive. Deve premettersi che le risultanze processuali imporrebbero la condanna di tutti gli imputati per il delitto che viene loro contestato in concorso. Univoci in tal senso gli accertamenti di P.G. che hanno portato al sequestro dell'ingente quantitativo di t.l.e. e all'arresto dei prevenuti, sorpresi a scaricare le stecche di sigarette dal veicolo con targa estera, dove erano state abilmente occultate, in un deposito di Teverola. Gli arrestati, peraltro, in sede di udienza di convalida hanno concordemente ammesso i fatti, dichiarando di essere stati reclutati per lo scarico dietro compenso di poche centinaia di euro e di essersi prestati spinti dal bisogno, pur sapendo che i colli contenevano tabacchi di contrabbando. Tanto premesso, nel presente giudizio rileva, ad avviso del giudicante, la questione di costituzionalita' dell'art. 291-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73 per contrasto con gli articoli 3 e 27, commi 1 e 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede, congiuntamente alla pena detentiva della reclusione da due a cinque anni, la pena proporzionale fissa della multa di 5 euro per grammo convenzionale di prodotto, come definito dall'art. 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76, secondo cui un chilogrammo convenzionale di tabacchi lavorati corrisponde a mille sigarette. La Guardia di Finanza ha precisato, con apposita nota, che il quantitativo di prodotto sequestrato (Kg. 4.415,10) e' da intendersi espresso in chilogrammi convenzionali. All'affermazione della penale responsabilita' degli imputati, conseguirebbe, pertanto, accanto alla pena detentiva, modulabile tra il minimo di due e il massimo di cinque anni, una pena pecuniaria proporzionale fissa di euro 22.075.000 da ridurre, per il rito, ad euro 14.717.000. L'eventuale riconoscimento delle attenuanti generiche, ancorche' prevalenti per i recidivi che non si trovano nelle condizioni soggettive di cui all'art. 99 comma IV c.p., l'eventuale esclusione della recidiva e l'applicazione del criterio «moderatore» di cui all'art. 133-bis c.p. consentirebbero, al piu', la riduzione della multa ad euro 6.540.888,89, cifra che rimarrebbe, come e' evidente, gravosa e sicuramente inesigibile a carico di imputati i quali risultano dagli atti per la maggior parte disoccupati o occupati in attivita' del tutto modeste e poco redditizie. La questione appare altresi' non manifestamente infondata. Non si ignora che l'orientamento della Corte costituzionale e' stato costante nel rigettare le eccezioni di incostituzionalita' delle pene fisse e delle pene proporzionali fisse proposte sotto il profilo della personalita' della responsabilita' penale, del carattere rieducativo della pena e del principio di uguaglianza. Tale orientamento trova nondimeno un significativo correttivo nella sentenza n. 50 del 1980, la quale, sul rilievo che l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti contribuisce a rendere quanto piu' possibile personale la responsabilita' penale ai sensi dell'art. 27, primo comma della Costituzione e, nello stesso tempo, e' strumento per finalizzare la pena all'emenda, nella prospettiva di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione, ha precisato che il dubbio di legittimita' costituzionale della pena rigida puo' essere superato in concreto solo a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente «proporzionata» rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo stesso tipo di reato. Del resto, come precisato in termini generali nella sentenza n. 81 del 2014, il trattamento sanzionatorio, rientrando nella «discrezionalita'» del legislatore, e' censurabile sul piano costituzionale solo ove trasmodi, appunto, nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio. Proprio in applicazione di tale ultimo principio, con la recente sentenza n. 236 del 2016 e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 27 Cost., dell'art. 567 secondo comma del codice penale (delitto di alterazione di' stato di famiglia del neonato commesso mediante falso), nella parte in cui stabilisce la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni anziche' la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni prevista per l'omologa violazione di cui al primo comma. Non appare dirimente ai fini di sciogliere i dubbi di costituzionalita', l'ordinanza della Corte n. 475 del 22 novembre 2002, con la quale e' stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 291-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73, argomentandosi che «la graduabilita' della pena detentiva comminata congiuntamente a quella pecuniaria, offrendo al giudice un consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle particolarita' del caso concreto, anche in rapporto a parametri oggettivi e soggettivi diversi dalla semplice dimensione quantitativa dell'illecito esclude, difatti, che la pena edittale del reato in questione possa considerarsi fissa». La pronuncia, infatti, non sembra tenere in debito conto che gli effetti «sproporzionati» di una pena pecuniaria esorbitante rispetto al fatto e alle condizioni economiche dell'autore non verrebbero meno neppure se la pena detentiva fosse ancorata ai minimi edittali. Ne' sembra considerare l'ontologica diversita' tra pene detentive e pene pecuniarie e il rilievo che il contenuto patrimoniale di queste ultime rende la loro funzione rieducativa innegabilmente diversa a seconda dei soggetti che ne sono destinatari. Ebbene, l'art. 291-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73 e' norma a condotta plurima (chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene), che punisce dunque, allo stesso modo, tipologie di comportamenti eterogenei, i quali, in concreto, possono essere dotati di diverso disvalore (altro e' l'attivita' di «facchinaggio prezzolato», altro e' il trasporto e la commercializzazione a scopo di lucro). Cosicche', gia' sotto questo profilo la «rigidita'» della pena pecuniaria pare stridere con il principio della personalita' della responsabilita' penale e della proporzione (articoli 3 e 27, comma 1 Cost.), non essendo la sanzione pecuniaria modulabile in ragione della condotta accertata, neppure, come si e' detto, merce' il ricorso ai correttivi di cui agli articoli 62-bis e 133-bis del codice penale nella loro massima estensione. Nel caso che ne occupa, in vero, pur a fronte della riduzione di cui all'art. 133-bis c.p., del riconoscimento delle attenuanti generiche e della diminuente del rito, si dovrebbe comunque irrogare una pena di oltre sei milioni e mezzo di multa. Il che e' la riprova che il criterio calmierante di cui all'art. 133-bis c.p., previsto dal legislatore proprio in considerazione del fatto che, diversamente da quella detentiva, la pena pecuniaria ha un grado di afflittivita' differente a seconda di coloro cui viene applicata, e' del tutto inefficace quando si sia al cospetto di una sanzione «proporzionale» per la quale non sia fissato un limite edittale massimo. Ancora piu' evidente il contrasto con la funzione di emenda, che intanto puo' essere attuata in quanto il reo percepisca la pena come giusta e adeguata rispetto al disvalore del suo comportamento. In questi termini la citata sentenza n. 236 del 2016: «la severa cornice edittale censurata... risulta, sul piano della ragionevolezza intrinseca, manifestamente sproporzionata al reale disvalore della condotta punita, ledendo congiuntamente il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del fatto commesso (art. 3 Cost.), e quello della finalita' rieducativa della pena (art. 27 Cost.)... L'eccessiva severita' della sanzione... puo' ingenerare nel condannato la convinzione, ostativa a un efficace processo rieducativo, di essere vittima di un ingiusto sopruso... ». Una pena esorbitante rispetto al fatto e, per di piu', ragionevolmente inesigibile, confligge dunque con i principi generali che sorreggono il trattamento punitivo, come delineato dall'art. 27, comma 3 Cost. Nell'ipotesi in esame, invero, mancherebbe nei condannati qualsivoglia percezione della proporzione e della giustizia del trattamento punitivo, straordinariamente severo, vuoi in ragione della loro oggettiva condizione economica, vuoi in rapporto all'entita' dei comportamenti che vengono loro addebitati e dai quali ciascuno avrebbe lucrato poche centinaia di euro. La natura fiscale della violazione contestata (sottrazione del prodotto al pagamento dei diritti di confine) non giustifica, sul piano costituzionale, la parametrazione della multa al quantitativo di prodotto, nella misura straordinariamente elevata di cinque euro a sigaretta, come risultante dal rinvio alla norma extrapenale della legge 7 marzo 1985, n. 76. Basti pensare che per il delitto di detenzione, commercio e trasporto di droghe cosiddette pesanti, rispetto al quale assume rilievo il divieto assoluto di commerciabilita', non previsto invece per il t.l.e., la multa, pur elevata, viene invece modulata secondo una forbice che prevede un minimo di ventiseimila e un massimo di duecentosessantamila euro. L'art. 291-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 43/37 punisce, invece, una condotta di contrabbando, con una sanzione del tutto eccentrica rispetto al sistema, siccome disancorata dall'entita' dell'imposta evasa e modulata sul quantitativo di prodotto. Una scelta che non trova riscontro in alcuna fattispecie analoga o assimilabile e che determina ricadute sanzionatorie del tutto ingiustificate. Invero, in materia di «contrabbando», la pena viene sempre calcolata in rapporto proporzionale ai diritti di confine dovuti, stabilendosi un minimo e un massimo, di regola tra il doppio e il decuplo, ed eventualmente fissandosi una soglia al di sotto della quale non si puo' scendere (vedi gli articoli da 282 a 291 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73 nel testo precedente alla depenalizzazione e gli articoli 40 e 43 del decreto legislativo n. 504/95). Il diverso e incomparabilmente piu' severo trattamento sanzionatorio quando la merce sottratta al pagamento dei diritti di confine e' il t.l.e. non pare rispondere a criteri di intrinseca ragionevolezza, ove si consideri, peraltro, che, accanto alla multa viene prevista la pena della reclusione fino a un massimo di cinque anni, il che gia' soddisfa una esigenza di maggior rigore rispetto alle ipotesi sopra menzionate. Si e' dunque al cospetto di una ingiustificabile incongruenza che puo' essere emendata con riferimento alle grandezze dettate per le analoghe fattispecie di contrabbando, le quali tutelano il medesimo interesse giuridico. Si tratta invero di punti di riferimento gia' rinvenibili nel sistema legislativo e la cui applicazione consente di eliminare la denunciata incongruenza senza invadere il campo della dosimetria sanzionatoria propria del legislatore (sul punto ancora la sentenza n. 236 del 2016).
P. Q. M. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli Nord; Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 291-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 43/73 nella parte in cui prevede la pena pecuniaria di cinque euro di multa per ogni grammo convenzionale di prodotto, come definito dall'art. 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76 per contrasto con gli articoli 3 e 27, commi l e 3 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Dispone che, a cura della Cancelleria, l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati c al Presidente del Senato della Repubblica. L'ordinanza viene comunicata agli imputati, ai loro difensori e al Pubblico Ministero mediante lettura in udienza. Aversa, 8 febbraio 2017 Il Giudice dell'udienza preliminare: Terzi