N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 2017
Ordinanza del 9 gennaio 2017 del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Impredil srl contro Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' e Comune di Castelvetrano. Miniere, cave e torbiere - Norme della Regione Siciliana - Canone di produzione annuo - Determinazione commisurata alla superficie dell'area coltivabile e ai volumi autorizzati della cava - Applicazione delle modalita' di calcolo anche ai canoni relativi all'anno 2014. - Legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2015. Legge di stabilita' regionale), art. 83, nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'articolo 12 della legge regionale siciliana 15 maggio 2013, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2013. Legge di stabilita' regionale).(GU n.41 del 11-10-2017 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA (Sezione Terza) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 3585 del 2015, proposto da: «Impredil» s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dagli avvocati Giovanni Lentini, C.F. LNTGNN55B11C286P, e Anna Rita Perrone, C.F. PRRNRT76H47D423U, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Rosalba Genna in Palermo, via Siracusa, n. 30; Contro Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita', in persona dell'Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via Alcide De Gasperi, n. 81, e' domiciliato per legge; Comune di Castelvetrano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, per delibera della giunta municipale n. 515 del 2 dicembre 2015 e mandato in calce alla memoria di costituzione, dall'avv. Francesco Vasile, C.F. VSLFNC65C28C286F, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Vito Scalisi in Palermo, via Catania, n. 15. Per l'annullamento: del decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della regione siciliana, parte I, n. 34 del 21 agosto 2015, avente ad oggetto «Modalita' applicative e di controllo del pagamento dei canoni dovuti per le attivita' di estrazione dei giacimenti minerari di cava (ex art. 83 della l.r. 7 maggio 2015, n. 9)»; dell'avviso di pagamento prot. n. 34873 del 19 ottobre 2015, notificato il 23 ottobre 2015, con cui il Distretto minerario di Palermo, ha chiesto il pagamento di un canone di € 10.000,00, da versarsi quanto a 5.000,00 alla Regione Siciliana e quanto ai restanti 5.000,00 al Comune di Castelvetrano; di tutti gli atti successivi e connessi, anche se non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato per l'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita'; Visti l'atto di costituzione in giudizio e la memoria del Comune di Castelvetrano; Vista l'ordinanza cautelare n. 1459 del 21 dicembre 2015; Vista l'ordinanza del CGA n. 202 del 17 marzo 2016; Vista la memoria dei ricorrenti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 26 ottobre 2016 il consigliere Aurora Lento e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. Con ricorso, notificato il 30 ottobre 2015 e depositato il 26 novembre successivo, la societa' «Impredil» s.r.l., premesso di gestire una cava di calcarnite tufacea a Castelvetrano, esponeva che l'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013 aveva innovato la disciplina di settore relativa all'attivita' di estrazione di giacimenti minerari di cave, prevedendo il pagamento di un canone di produzione. Tale canone era stato commisurato «alla quantita' di minerale», ovverosia alla c.d. «resa della cava», che si otteneva sottraendo il volume inutilizzabile dalla quantita' di «materiale» estratto. A distanza di appena due anni era, pero', intervenuta la legge regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015, contenente disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2015, pubblicata sulla gazzetta ufficiale della Regione siciliana, parte I, n. 20 del 15 maggio 2015, il cui art. 83 aveva interamente riformulato tale disposizione nei termini di seguito riportati relativamente alle parti di interesse: «1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e' dovuto un canone di produzione annuo che e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava. Esso e' ottenuto sommando gli importi corrispondenti agli scaglioni di superfici e di volumi autorizzati riportati nelle seguenti tabelle (...). 3. L'Assessore regionale per l'energia ed i servizi di pubblica utilita', sentita la Conferenza permanente Regione - autonomie locali, definisce, con proprio decreto, le modalita' applicative e di controllo del pagamento dei canoni entro 90 giorni dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana. 4. I canoni di produzione sono destinati per il 50 per cento al comune in cui ricade l'area di cava e per il 50 per cento sono versati in entrata nel bilancio regionale. Qualora siano interessati piu' comuni, la quota del 50 per cento e' ripartita sulla base della superficie dell'area di cava ricadente in ciascun comune. 5. I comuni destinatari delle quote di canone di cui al comma 4 impiegano le somme esclusivamente per interventi infrastrutturali di recupero, riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici e ad uso istituzionale. Una quota non inferiore al 50% delle suddette risorse e' riservata agli interventi di manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali. 6. In caso di sospensione dei lavori di coltivazione ai sensi dell'articolo 24 della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127 e successive modifiche ed integrazioni, la quota dei canoni relativa al periodo di sospensione non e' dovuta. Eventuali periodi di attivita' estrattiva inferiori all'anno solare sono calcolati per dodicesimi. 7. Il ritardato pagamento delle somme dovute comporta l'applicazione degli interessi legali. 8. Le presenti disposizioni si applicano anche per il calcolo del pagamento dei canoni relativi all'anno 2014». L'art. 83 aveva, pertanto, modificato, con effetto retroattivo, i criteri di misurazione della base imponibile che, nell'originaria formulazione della norma, erano identificati nella quantita' di minerale estratto, mentre, in quella successiva, nella superficie dell'area coltivabile e nei volumi autorizzati della cava. In applicazione di tale disposizione, l'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' aveva adottato il decreto del 12 agosto 2015, pubblicato sulla gazzetta ufficiale della Regione siciliana, parte I, n. 34 del 21 agosto 2015, avente ad oggetto: «Modalita' applicative e di controllo del pagamento dei canoni dovuti per le attivita' di estrazione dei giacimenti minerari di cava (ex art. 83 della l.r. 7 maggio 2015, n. 9)». L'art. 1 di tale decreto prevedeva che: «I canoni di produzione per le attivita' di estrazione di giacimenti minerari di cava, dovuti dagli esercenti l'attivita' di cava, devono essere corrisposti secondo le modalita' previste all'art. 83 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, pubblicata nel supplemento ordinario n. 1 alla Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 20, parte I, del 15 maggio 2015; il canone di produzione e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava ed e' ottenuto sommando gli importi corrispondenti agli scaglioni di superfici e di volumi come risultanti dalle autorizzazioni secondo le tabelle di cui al comma 1 dell'art. 83 della legge regionale». Il successivo art. 8 disponeva che: «Il pagamento per l'annualita' 2014 deve essere effettuato nel termine di trenta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dei servizi - Distretti minerari competenti per territorio». Precisato che la novella dell'art. 12 aveva determinato una notevolissima maggiorazione del canone (quasi 10 volte quello precedente) dalla stessa dovuto, la ricorrente ha chiesto l'annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, di tale decreto per il seguente unico articolato motivo: Violazione e falsa applicazione: degli artt. 53, 3, 23, 41, 97 e 117, comma 1, della Costituzione. Eccesso di potere sotto i profili: del difetto di presupposto; della manifesta irragionevolezza; della disparita' di trattamento. 1.1 Precisato che il canone dovuto dagli esercenti giacimenti minerari di cave era una prestazione patrimoniale imposta rientrante nell'alveo dell'art. 23 della Costituzione, l'individuazione della base imponibile nella superficie dell'area coltivabile e nei volumi autorizzati comporterebbe una violazione del principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Mentre, infatti, la quantita' di materiale estratto, alla quale si faceva riferimento nella previgente formulazione, esprimeva la resa annuale della cava, la superficie e i volumi non sarebbero stati espressivi del potenziale economico della stessa, tanto piu' che si trattava di un canone dovuto non una tantum, ma annualmente. Sotto tale profilo, non si sarebbe tenuto conto del fatto che la capacita' produttiva della cava era massima all'inizio dell'attivita' estrattiva, ma andava diminuendo nel corso del tempo, cosicche' non si giustificava la sua costante quantificazione rapportata a un profilo statico. 1.2 La previsione dell'applicazione del nuovo criterio di quantificazione anche per il 2014 contrasterebbe con il divieto di retroattivita' della legge e sarebbe irragionevole anche in considerazione della lesione dell'affidamento sull'applicazione del precedente. 1.3. Sussisterebbe irragionevole disparita' di trattamento e conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, considerato che gli esercenti giacimenti minerari di cave di materiale pregiato (ad esempio marmo), aventi superfici e volumi estraibili ridotti, pagherebbero un canone notevolmente inferiore a quello dovuto per i giacimenti di materiale povero (es. inerti), aventi ampie superfici e volumi estraibili, pur conseguendo un reddito notevolmente superiore. 1.4 Sussisterebbe, altresi', violazione dell'art. 41 della Costituzione considerata la vanificazione retroattiva di assetti economici gia' cristallizzati. 1.5 Sarebbe stato violato l'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione europea per i diritti dell'uomo in quanto sarebbero stati ingiustamente vessati gli esercenti le cave al fine di riequilibrare i conti pubblici regionali. Per l'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' si e' costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato. Si e' costituito in giudizio anche il Comune di Castelvetrano che ha depositato una memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, vinte le spese. Con ordinanza n. 1459 del 21 dicembre 2015, l'istanza cautelare e' stata rigettata con la motivazione che la dedotta questione di legittimita' costituzionale non presentava un'evidenza tale da consentire una valutazione prognostica positiva in ordine all'esito del ricorso. Tale decisione e' stata riformata con l'ordinanza del CGA n. 202 del 17 marzo 2016. Con memoria depositata in vista dell'udienza, i ricorrenti hanno insistito nelle loro domande. Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2016, su conforme richiesta dei difensori delle parti presenti come da verbale, il ricorso e' stato posto in decisione. 1. La controversia ha ad oggetto il decreto dell'Assessore della regione siciliana dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015 con cui sono state definite le modalita' applicative del canone di produzione annuo dovuto dai titolari di concessioni per lo sfruttamento di giacimenti minerari di cave. Tale decreto e' stato adottato in esecuzione dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 2015, che ha modificato l'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013, prevedendo che il canone non vada piu' commisurato alla quantita' di minerale estratto, ma alla superficie dell'area coltivabile e ai volumi autorizzati anche con riferimento al precedente anno 2014. Ha ad oggetto anche il provvedimento, con cui il Distretto minerario di Palermo ha rideterminato il canone dovuto dalla ricorrente relativamente al 2014, del quale si deduce l'illegittimita' derivata. I provvedimenti sono censurati esclusivamente con riferimento all'illegittimita' costituzionale della norma applicata. Devono, pertanto, essere esposte le ragioni per le quali questo TAR ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla ricorrente relativamente all'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015 nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013. 2. Per quanto concerne la rilevanza, ci si puo' limitare ad osservare che il decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, oggetto del ricorso, ha individuato le modalita' applicative e di controllo del pagamento del canone dovuto per le attivita' di estrazione dei giacimenti minerari di cava in esecuzione di quanto innovativamente disposto dall'art. 83; la nota del distretto minerario ha, a sua volta, quantificato il canone dovuto per l'anno 2014 in esecuzione di tale decreto. La decisione della controversia dipende, pertanto, dalla valutazione della legittimita' dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015 nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013 e, pertanto, varia il criterio di quantificazione del canone dovuto per i giacimenti minerari di cava con efficacia retroattiva. 3. In merito alla non manifesta infondatezza valga quanto di seguito esposto. Come detto, questo TAR dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, della legge regionale siciliana 15 maggio 2013, n. 9, come sostituito dall'art. 83 della legge regionale siciliana n. 20 del 2015, il quale testualmente prevede che: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e' dovuto un canone di produzione annuo che e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava». Tale disposizione sembra, infatti, contrastare con: il principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione; il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 4. In merito all'art. 53, deve prioritariamente rilevarsi come il canone in questione e', ad avviso di questo TAR, un tributo. Come noto, secondo la giurisprudenza costituzionale, precisato che e' irrilevante il nomen iuris usato dal legislatore, «occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo» (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005), costituiscono indici significativi della natura tributaria di una prestazione imposta: 1) la matrice legislativa, in quanto il tributo nasce «direttamente in forza della legge» (sentenza n. 141 del 2009), risultando irrilevante l'autonomia contrattuale (sentenza n. 73 del 2005); 2) la doverosita' della prestazione (sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta un'ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982), in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti; 3) il nesso con la spesa pubblica, dovendo sussistere un collegamento alla stessa «in relazione a un presupposto economicamente rilevante» (sentenza n. 141 del 2009), nel senso che la prestazione e' destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente impositore (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982). Prima di illustrare le ragioni per le quali questo TAR e' addivenuto alla conclusione che il canone in questione e' un tributo, vanno richiamati i commi 4 e 5 dell'art. 12, laddove si prevede, rispettivamente, che: «4. I canoni di produzione sono destinati per il 50 per cento al comune in cui ricade l'area di cava e per il 50 per cento sono versati in entrata nel bilancio regionale. Qualora siano interessati piu' comuni, la quota del 50 per cento e' ripartita sulla base della superficie dell'area di cava ricadente in ciascun comune»; «5. I comuni destinatari delle quote di canone di cui al comma 4 impiegano le somme esclusivamente per interventi infrastrutturali di recupero, riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici e ad uso istituzionale. Una quota non inferiore al 50% delle suddette risorse e' riservata agli interventi di manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali». A ben vedere: l'obbligo del pagamento trova la sua fonte esclusiva nella legge regionale e non costituisce remunerazione dell'uso di beni pubblici; la prestazione imposta e' finalizzata a dotare i Comuni e la Regione dei mezzi finanziari necessari ad assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali. Per quanto riguarda il secondo elemento, va rilevato che mentre la Regione puo' utilizzare liberamente la propria parte, i Comuni devono destinare le somme al finanziamento di interventi infrastrutturali di recupero, riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici e ad uso istituzionale; nonche' alla manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali. Questa connotazione funzionale, congiunta al fatto che il prelievo si collega all'attivita' economica di gestione dei giacimenti, consente di ritenere il canone in questione uno strumento di riparto, ai sensi dell'art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in ragione della capacita' economica manifestata dai soggetti gestori (sentenza n. 280 del 2011). In definitiva, la prestazione in esame e' un tributo, avente: a) quali soggetti passivi, i concessionari di giacimenti minerari; b) quali soggetti attivi, la Regione e i Comuni; c) quale presupposto economicamente rilevante, la gestione dei giacimenti; d) quale base imponibile, una entita' monetaria commisurata alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava. Qualificato il canone come tributo, va ricordato che nella previgente disciplina lo stesso era quantificato con riferimento alla quantita' di minerale estratto, mentre in quella attuale alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati. Ne deriva che il corrispettivo per l'uso del giacimento non e' piu' commisurato alla sua resa, la quale tende a diminuire nel tempo in dipendenza del suo sfruttamento, ma alla sua estensione, la quale rimane, invece, immutata anche quando la stessa e' quasi esaurita. Tenuto conto che si tratta di un canone dovuto non una tantum, ma annualmente, sembrerebbe essere venuto meno il collegamento con la capacita' contributiva. Si prescinde, infatti, dal guadagno che deriva dal giacimento e si applica un tributo fisso indipendente dallo stesso. 5. Per quanto riguarda la violazione del principio di uguaglianza, va osservato che, com'e' stato ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale, il legislatore ha, anche nei confronti della disciplina dei rapporti giuridici di durata, ampia discrezionalita' nell'emanare norme modificatrici, ma la stessa e' censurabile qualora emergano profili di manifesta irragionevolezza tali da determinare situazioni di disuguaglianza. Nella specie, l'art. 83 determina immotivate discriminazioni all'interno della medesima categoria dei titolari di giacimenti minerari tra quelli che gestiscono cave di piccola dimensione, ma ad elevata resa (es. marmi) e quelli concessionari di cave di grande estensione, ma a bassa resa (inerti). Alla medesima ampiezza corrisponde, infatti, una remunerativita' profondamente diversa con conseguente irragionevolezza del riferimento alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava ai fini della quantificazione del canone. I titolari di giacimenti di materiali «poveri» sono, infatti, tenuto al pagamento di un canone notevolmente piu' elevato rispetto a quello dovuto per quelli di minerali pregiati con conseguente irragionevole disparita' di trattamento. Sembrerebbe, pertanto, che a situazioni differenti si applichi il medesimo trattamento in maniera irragionevole. 6. Come anticipato, questo TAR dubita, altresi', della legittimita' dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 2015 nella parte in cui modifica il comma 8 dell'art. 12, comma 8, della legge regionale siciliana n. 9 del 2013 e prevede che le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche per il calcolo del pagamento dei canoni relativi all'anno 2014. Tale disposizione sembrerebbe, in particolare, contrastare con: l'art. 3; l'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU. Per quanto riguarda il primo dei due parametri evocati, si dubita che sia stato leso il principio dell'affidamento, il quale e' custodito da una delle molteplici declinazioni dell'art. 3, costituita dal principio di irretroattivita' della legge. La norma surriportata produce, infatti, la lesione con effetto retroattivo di un «bene» che i concessionari di giacimenti minerari hanno acquisito sulla base di un legittimo affidamento ingenerato dalle previsioni contenute nella previgente formulazione. Va, sotto tale profilo, rilevato che, secondo un costante orientamento della Corte Costituzionale, il divieto di retroattivita' della legge - pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve di regola attenersi - non e' stato elevato a dignita' costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell'art. 25 della Costituzione. Si e', conseguentemente, ritenuto che il legislatore, nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme con efficacia retroattiva a condizione che la stessa trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (in tal senso Corte Costituzionale, 4 agosto 2003, n. 291). Per quanto riguarda, in particolare, i rapporti di durata si e' precisato che non e' interdetto in termini assoluti il potere di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la loro disciplina, ma e' necessario che le stesse, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non trasmodino in un regolamento irrazionale e non incidano arbitrariamente sulle situazioni sostanziali originate da leggi precedenti, frustrando l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica (sentenza n. 349 del 1985; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del 2009; n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999). Si e', conseguentemente, ritenuto che una mutazione ex lege dei rapporti di durata e' illegittima quando incide sugli stessi in modo «improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del 2014 e n. 302 del 2010, entrambe relative all'incidenza sui rapporti in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori di beni demaniali). L'esame della norma in contestazione e della sua ratio conduce a dubitare che il legislatore abbia operato una scelta ragionevole e non arbitraria alla stregua dei principi evocati. La ricorrente ha rilevato che la modifica del criterio di quantificazione del canone dovuto ha comportato un notevolissimo aumento dello stesso, pari a quasi 10 volte quello precedente. Ne deriva che si e' trovata esposta a un inaspettato e considerevole esborso economico che non e' stata posta nelle condizioni di valutare ex ante nell'organizzazione della propria attivita' imprenditoriale. Mentre per il periodo successivo all'entrata in vigore della disposizione ha, infatti, avuto la possibilita' decidere se aumentare il corrispettivo richiesto ai propri clienti o, addirittura, sospendere o non esercitare piu' l'attivita' estrattiva, tale possibilita' e' stata preclusa in radice per quello antecedente. Sotto tale profilo, va ricordato che il comma 6 dell'art. 12 piu' volte citato dispone che in caso di sospensione dei lavori di coltivazione, la quota dei canoni relativa al periodo di sospensione non e' dovuta ed eventuali periodi di attivita' estrattiva inferiori all'anno solare sono calcolati per dodicesimi. Tutto cio' considerato, sembra a questo TAR che sia stato irragionevolmente leso l'affidamento riposto nella quantificazione del canone in applicazione dei criteri all'epoca vigenti ai fini della individuazione delle proprie strategie imprenditoriali. Concludendo, per le ragioni suesposte, questo TAR solleva - con riferimento agli artt. 3, 117 e 53 della Cost. - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015, n. 9, nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana 15 maggio 2013, n. 9. Il processo deve, pertanto, essere sospeso, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per ogni conseguente statuizione.
P. Q. M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) non definitivamente pronunciando: a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015, n. 9, nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana 15 maggio 2013, n. 9. b) sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79, primo comma, cod. proc. amm.; c) ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per il competente controllo di legittimita' sulle questioni sollevate; d) rinvia ogni definitiva statuizione in rito e nel merito del ricorso in epigrafe, nonche' sulle spese di lite, all'esito del promosso giudizio di legittimita' costituzionale, ai sensi degli artt. 79 e 80 cod. proc. amm. Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza: a) sia notificata a tutte le parti in causa; b) sia comunicata al Presidente della regione siciliana e al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana. Cosi' deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati: Solveig Cogliani, presidente; Nicola Maisano, consigliere; Aurora Lento, consigliere, estensore. Il Presidente: Cogliani L'estensore: Lento