N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2017

Ordinanza del 16 maggio 2017 del G.I.P. del  Tribunale  di  Roma  nel
procedimento penale a carico di M. F. . 
 
Reati e pene - Omicidio  stradale  -  Lesioni  personali  stradali  -
  Computo delle circostanze - Divieto di prevalenza  e/o  equivalenza
  della circostanza attenuante speciale prevista  dall'art.  589-bis,
  comma 7, cod. pen. 
- Codice penale, art. 590-quater, introdotto dall'art.  1,  comma  2,
  della legge 23  marzo  2016,  n.  41  (Introduzione  del  reato  di
  omicidio stradale  e  del  reato  di  lesioni  personali  stradali,
  nonche' disposizioni di coordinamento  al  decreto  legislativo  30
  aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28  agosto  2000,  n.
  274). 
(GU n.42 del 18-10-2017 )
 
                          TRIBUNALE DI ROMA 
 
 
           Ufficio del giudice per le indagini preliminari 
 
 
                              Ordinanza 
 
    Il Giudice per l'udienza preliminare dott. Costantino De Robbio; 
    premesso che  il  pubblico  ministero  ha  chiesto  il  rinvio  a
giudizio di M. F. per  i  reati  previsti  e  puniti  degli  articoli
589-bis, commi 2 e 8 del codice penale, e 186 lettera C, commi  2-bis
e 22-sexies C.d.S.; 
    che all'udienza del 28 febbraio 2017 il  difensore  ha  sollevato
eccezione di costituzionalita'  dell'art.  590-quater  codice  penale
(introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016 n. 41) in
relazione agli articoli 3, 25 comma 2 e 27 della Costituzione,  nella
parte in  cui  prevede  il  divieto  di  prevalenze  e/o  equivalenza
dell'attenuante speciale prevista  dall'art.  589-bis,  comma  7  del
codice penale rispetto alle  circostanze  aggravanti  previste  dagli
articoli 589-bis, 589-ter, 590-bis e 590-ter del codice penale; 
 
                               Osserva 
 
Sulla rilevanza della questione. 
    L'imputato e' stato tratto a giudizio per il delitto di  omicidio
stradale e lesioni stradali plurime, per avere guidato un'autovettura
in stato di ebbrezza e tamponato un autocarro, in tal modo provocando
la morte di  uno  dei  soggetti  trasportati  su  quest'ultimo  mezzo
nonche' il ferimento di  altro  trasportato  e  del  guidatore  dello
stesso. 
    Dagli atti emergono diversi elementi  che  potrebbero,  all'esito
del giudizio abbreviato, comportare l'attribuzione di responsabilita'
concorrenti con quelle dell'imputato: 
        il guidatore dell'autocarro tamponato era a sua  volta  sotto
l'effetto di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, sicche' anche la
sua  condotta  di  guida  potrebbe  avere  risentito  di  tale  stato
contribuendo al sinistro; 
        il  trasportato  deceduto  non  indossava   la   cintura   di
sicurezza; 
        il tratto di strada su cui e' avvenuto il sinistro presentava
illuminazione non funzionante. 
    L'accertamento di una o piu' di queste circostanze di fatto  come
concause del sinistro  comporterebbe  l'applicazione,  in  misura  da
valutare, della circostanza  attenuante  prevista  dall'art.  589-bis
comma 7, con conseguente diminuzione della pena fino alla meta'. 
    Tale diminuente tuttavia potrebbe operare solo sulla quantita' di
pena determinata  ai  sensi  delle  circostanze  aggravanti  previste
dall'art. 589-bis, poiche' l'art. 590-quater codice penale  impedisce
il bilanciamento delle circostanze aggravanti ed  attenuanti  per  il
reato di omicidio stradale. 
    Nel caso in esame, sono state contestate nel capo di  imputazione
due circostanze aggravanti: l'aggravante di avere guidato in stato di
ebbrezza (art. 589-bis, secondo comma) e quella di avere provocato la
morte di una persona e lesioni personali ad altre due,  in  specie  -
come si e' detto - il conducente dell'autocarro ed un terzo  soggetto
trasportato (art. 589, ottavo comma). 
    In caso di condanna dunque, qualora il giudice scrivente  dovesse
riconoscere sia la diminuente del concorso di colpa che  una  o  piu'
delle circostanze aggravanti contestate, dovrebbero essere  applicati
prima gli aumenti di pena previsti per le aggravanti e  -  solo  dopo
- la diminuzione di pena, stante il predetto divieto di bilanciamento
delle circostanze. 
    Conseguentemente, all'imputato non potrebbe che  essere  irrogata
una sanzione da determinarsi  all'interno  di  una  cornice  edittale
imposta  dalla  norma  (l'art.  590-quater  codice  penale)  la   cui
legittimita' costituzionale e' contestata. 
Sulla non manifesta infondatezza. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  si
osserva quanto segue. Con l'art. 1, comma due, della legge  23  marzo
2016 n. 41 il legislatore ha  introdotto  nel  codice  penale  l'art.
590-quater, che disciplina il computo delle circostanze. 
    La norma introduca per i reati  di  cui  agli  articoli  589-bis,
589-ter, 590-bis  e  590-ter  una  deroga  alla  disciplina  generale
prevista dagli articoli 63 e seguenti del codice penale. 
    In virtu' di tale  nuova  disposizione,  e'  dunque  previsto  il
divieto di equivalenza o di prevalenza delle  circostanze  attenuanti
(diverse da quelle previste  dagli  articoli  98  e  114  del  codice
penale) sulle circostanze aggravanti di cui  agli  articoli  589-bis,
secondo, terzo, quarto,  quinto  e  sesto  comma,  589-ter,  590-bis,
secondo terzo quarto quinto e sesto comma e 590-ter. 
    In caso di concorrenza di una o piu' delle  predette  circostanze
aggravanti e di circostanze attenuanti, le diminuzioni conseguenti al
riconoscimento delle attenuanti si operano sulla  quantita'  di  pena
determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti. 
    E' stato in questo modo esteso ai delitti di omicidio stradale  e
lesioni stradali il meccanismo di limitazione della  discrezionalita'
del giudice penale nella valutazione degli aumenti e  diminuzioni  di
pena gia' introdotto nel nostro sistema penale in  diverse  occasioni
negli ultimi anni. 
    Il  legislatore  ha  in  particolare  previsto  il   divieto   di
bilanciamento delle circostanze per la prima volta  con  la  modifica
operata dalla legge 5 dicembre del 2005 n.  251  all'art.  69,  comma
quarto  del  codice  penale,  introducendo  un  limite  al  principio
generale del giudizio di bilanciamento nel caso di recidiva reiterata
(art. 99, quarto comma codice penale). 
    La Corte costituzionale si e' espressa sulla legittimita' in  via
generale di tale divieto, stabilendo che le deroghe al  bilanciamento
possono essere ritenute  costituzionalmente  legittime,  purche'  non
«trasmondino  nella  manifesta  irragionevolezza   o   nell'arbitrio»
(sentenza n. 68 del 2012). 
    Un importante criterio ermeneutico e' stato offerto, sullo stesso
tema, da altra pronuncia della Corte con la sentenza n. 251 del 2012,
ove si legge che le deroghe al bilanciamento  delle  circostanze  non
sono  legittime  se  determinano  «un'alterazione   degli   equilibri
costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita'
penale». 
    In  piu'  occasioni  la  Corte  ha  ravvisato  in   concreto   il
superamento di questi limiti, dichiarando incostituzionale il divieto
di bilanciamento delle circostanze in relazione: 
        a) all'art. 73, comma 5 del testo unico n. 309/1990 (sentenza
n. 251 del 2012); 
        b) all'art. 648, secondo comma del  codice  penale  (sentenza
105 del 2014); 
        c) all'art. 609-bis, terzo comma del codice penale  (sentenza
74 del 2016). 
    Nella prima delle tre  sentenze  menzionate  la  Corte  ha  fatto
discendere  il  giudizio  di  illegittimita'   costituzionale   dalla
sproporzione delle sanzioni discendente dalla mancata possibilita' di
bilanciare le circostanze rispetto alle pene applicabili laddove tale
divieto non vi fosse stato. 
    Ha in particolare evidenziato che nel caso di recidiva  reiterata
equivalente all'attenuante il massimo edittale  previsto  dal  quinto
comma dell'art. 73 del testo unico sugli stupefacenti per il fatto di
«lieve entita'» (sei anni  di  reclusione)  corrispondeva  al  minimo
della pena da irrogare per la corrispondente ipotesi prevista per  il
reato-base (l'art. 73,  primo  comma  del  testo  unico  n.  309/1990
prevede infatti come noto la pena da sei a venti anni di reclusione). 
    Dunque il minimo della pena detentiva previsto per  il  fatto  di
«lieve entita'» (un anno di reclusione) ne risultava moltiplicato per
sei nei confronti del recidivo reiterato, che subiva cosi'  di  fatto
un  aumento  incomparabilmente  superiore  a  quello   specificamente
previsto dall'art. 99, quarto comma codice  penale  per  la  recidiva
reiterata, che, a seconda dei casi, e' della meta' o di due terzi. 
    Proprio in questo  aumento  sproporzionato  rispetto  all'ipotesi
base e' stata ravvisata l'illegittimita' costituzionale della norma. 
    Un procedimento logico analogo e' stato seguito in occasione  del
secondo intervento (avvenuto con la gia' menzionata sentenza  n.  105
del 2014), laddove  la  Corte  ha  rilevato  che  per  effetto  della
recidiva reiterata il minimo della pena  detentiva  previsto  per  il
fatto di  particolare  tenuita'  della  ricettazione  (15  giorni  di
reclusione) veniva moltiplicato per 48 volte, determinando un aumento
incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto per tale
recidiva dall'art. 99, quarto comma, codice penale, che, come  detto,
e' della meta' o di due terzi. 
    Pur tenendo conto delle differenze tra  la  disciplina  dell'art.
69, quarto comma e quella dell'art. 590-quater del codice penale,  si
puo'  applicare  il  medesimo  ragionamento   seguito   dalla   Corte
costituzionale in queste due ipotesi (il ragionamento  seguito  dalla
terza delle sentenze citate, la n. 74 del  2016,  segue  un  percorso
logico  diverso)   anche   all'ipotesi   speciale   di   divieto   di
bilanciamento delle circostanze che qui interessa. 
    Come  si  e'  visto  in  precedenza,  le  circostanze  aggravanti
contestate sono due: guida in  stato  di  ebbrezza  e  pluralita'  di
eventi  mortali  e/o  lesivi;  a  fronte  di  tali  aggravanti  viene
potenzialmente in gioco - oltre alla  concessione  delle  circostanze
attenuanti generiche previste dall'art. 62-bis  codice  penale  -  la
diminuente speciale prevista dal  comma  settimo  dello  stesso  art.
589-bis del codice penale. 
    L'art. 589-bis, settimo comma prevede che «qualora  l'evento  non
sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole,
la pena e' diminuita fino alla meta'». 
    Il legislatore ritiene  dunque  che  la  pena  dell'autore  della
condotta che ha provocato l'evento morte debba essere assoggettato ad
una pena diminuita, avendo altro conducente  (sia  egli  il  soggetto
rimasto ucciso o un terzo) contribuito causalmente  alla  commissione
dell'evento, perche' a sua colpevole di violazione di norme generiche
o specifiche. 
    Si tratta di una diminuente ad effetto speciale che  puo'  essere
applicata in tutti i casi - che statisticamente si riscontrano  nella
maggior parte dei sinistri stradali -  in  cui  entrambi  i  soggetti
coinvolti abbiano violato norme generali o speciali  e  siano  dunque
«in colpa», anche se in misura sensibilmente differente tra di loro. 
    Nel caso di concorso di colpa, dunque  ,  la  pena  e'  diminuita
«fino alla meta'», proprio per consentire al giudice di  adeguare  la
sanzione al grado effettivo di colpa dell'imputato rispetto al  fatto
contestato. 
    Conseguentemente, la pena prevista dall'art. 589-bis, primo comma
(da 2 a 7 anni) diventa punibile con una  pena  minima  di  un  anno,
quella del secondo comma (8-12 anni) con una pena minima di 4 anni  e
quella del quarto comma (5-10 anni) con una pena minima di due anni e
sei mesi. 
    Ma operando anche l'aumento  delle  circostanze  aggravanti  tale
diminuzione  non  potra'  avere  effetto  se   non   partendo   dalla
fattispecie aggravata,  stante  il  divieto  di  bilanciamento  delle
circostanze. 
    Conseguentemente, il riconoscimento da parte  del  giudice  della
circostanza aggravante  prevista  dall'art.  589-bis,  secondo  comma
comporta una  pena  edittale  minima  di  otto  anni  di  reclusione,
diminuita ai sensi  dell'art.  589-bis,  settimo  comma  in  caso  di
riconoscimento di concorso di colpa a quattro anni di reclusione. 
    Laddove invece non operasse tale divieto e si  potesse  procedere
al  bilanciamento  delle  circostanze  secondo  la  regola   generale
prevista dall'art. 69, secondo comma, in  caso  di  prevalenza  della
circostanza attenuante prevista dall'art. 589, settimo  comma  codice
penale il giudice dovrebbe operare la diminuzione «fino  alla  meta'»
sulla pena prevista per  il  delitto-base  dall'art.  589-bis,  primo
comma codice penale e dunque dal  minimo  edittale  di  due  anni  di
reclusione si scenderebbe ad un anno di reclusione. 
    Per  effetto  della  norma  in  discussione  (590-quater)  dunque
l'imputato  subisce  un  aumento  della  cornice  edittale  pari   al
quadruplo, senza contare l'eventuale ulteriore aumento  di  pena  per
l'altra aggravante contestata (pluralita' di eventi lesivi), che puo'
comportare un ulteriore aumento di pena «fino al triplo»,  dunque  in
ipotesi dagli otto anni  si  passerebbe  ad  un  minimo  edittale  di
ventiquattro anni, da diminuire per effetto dell'attenuante a  dodici
anni di reclusione come pena minima,  pari  al  sestuplo  della  pena
minima applicabile se non esistesse il divieto di bilanciamento delle
circostanze che si assume illegittimo. 
    I predetti aumenti appaiono irragionevoli ed arbitrari, e violano
il criterio di proporzione tra le fattispecie  previste  dalla  norma
penale in esame. 
    Sottrarre  al  giudice  la  possibilita'  di  valutare  nel  caso
concreto la prevalenza  della  diminuente  rispetto  alle  aggravanti
potrebbe comportare infatti un aumento sproporzionato di  pena  anche
nel caso di percentuale minima di colpa dell'imputato. 
    Si pensi al caso in cui un soggetto, che si e' messo  alla  guida
in  stato  di  ebbrezza,  sia  coinvolto  in  un  incidente  stradale
dall'esito mortale e che all'esito del processo si accerti  un  grado
di colpa pari all'1% in capo all'imputato (poiche'  per  il  restante
99% la colpa e' dell'altro conducente rimasto ucciso  nel  sinistro):
in  un  caso  siffatto,  ad   una   percentuale   minima   di   colpa
corrispondera' una conseguenza del tutto sproporzionata  (4  anni  di
pena  minima),  non  potendo  in  alcun  modo  essere   valutata   la
circostanza che la colpa sia minima come prevalente sulla circostanza
aggravante dello stato di ubriachezza. 
    In sostanza la pena da irrogare subisce un aumento esorbitante ed
inevitabile solo per  effetto  dello  stato  di  ebbrezza  e  non  in
relazione al contributo causale dato dall'evento:  in  tal  modo,  il
legislatore mostra di dare allo  stato  di  ebbrezza  un  valore  che
prescinde del tutto dall'effettiva  incidenza  di  tale  stato  nella
causazione della morte della vittima del sinistro. 
    Chi si pone alla guida del mezzo in stato di ebbrezza  si  espone
al rischio  di  eventi  a  cui  puo'  anche  contribuire  in  maniera
pressocche' irrilevante  e  ne  risponde  penalmente:  e'  palese  lo
sconfinamento in una sorta di responsabilita' oggettiva  che  e'  del
tutto avulsa dai parametri costituzionali. 
    Tale profilo di irragionevolezza sembra diretta  conseguenza  del
fatto che la norma dell'art. 590-quater del codice penale e'  l'unica
in cui sia previsto il divieto di bilanciamento  di  circostanze  per
delitti colposi. 
    A cio' va aggiunto che il legislatore sembra conferire  eccessiva
considerazione  all'integrazione  dell'aggravante  dello   stato   di
ebbrezza, senza tenere conto che: 
        a) nel nostro ordinamento  la  guida  in  stato  di  ebbrezza
costituisce  titolo  di  reato  autonomo  ed  e'  punita   a   titolo
contravvenzionale (art. 186 del codice della strada); 
        b) si tratta di  circostanza  che  riguarda  la  persona  del
colpevole e non il fatto, tanto che  come  si  e'  visto  non  sempre
assume valore causale nella determinazione dell'evento. 
    Al  giudice  e'  dunque  imposto  di  assegnare  valore  comunque
prevalente ad una  circostanza  ritenuta  di  non  rilevante  allarme
sociale da altra norma e potenzialmente  avulsa  dal  fatto  rispetto
alle  circostanze  (attenuanti)  anche  se   queste   hanno   diretta
connessione con il fatto per cui si procede e che  hanno  contribuito
all'evoluzione causale che ha determinato l'evento. 
    Tale  limitazione  della  discrezionalita'  del   giudice   nella
valutazione del fatto appare arbitraria ed irragionevole, ed in netto
contrasto con i principi costituzionali richiamati in epigrafe. 
    Ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  della  norma  in  esame
discende dalla comparazione  tra  l'omicidio  stradale  e  l'omicidio
colposo previsto dall'art. 589 del codice penale. 
    E' noto che, fino all'emanazione della  legge  n.  41  del  2016,
l'omicidio commesso con violazione  delle  regole  del  codice  della
strada  era  inserita  come   circostanza   aggravante   nel   corpus
dell'omicidio colposo. 
    Cio' dimostra che non vi e'  alcuna  sostanziale  differenza  tra
l'ipotesi «speciale» di omicidio colposo oggi disciplinata  dall'art.
589-bis e le altre forme di  omicidio  colposo  rimaste  ancorate  al
parametro dell'art. 589 del codice penale. 
    Ed allora, non appare rispondente a criteri di  equita'  che  per
un'ipotesi di omicidio colposo non stradale aggravato  (si  pensi  ad
alcune allarmanti ipotesi  di  colpa  medica  o  agli  infortuni  sul
lavoro) si possa,  attraverso  il  bilanciamento  delle  circostanze,
scendere ad una pena minima di sei  mesi  di  reclusione  mentre  per
l'omicidio stradale aggravato debba partirsi dal minimo  edittale  di
quattro anni di reclusione. 
    Anche sotto questo profilo  pare  innegabile  la  violazione  dei
parametri costituzionali invocati: contrasta infatti con i criteri di
proporzione e uguaglianza della pena che il medesimo evento di  reato
subisca  nelle  due  ipotesi  un  trattamento   sanzionatorio   cosi'
diversificato. 
    Ulteriori spunti in tal senso giungono da  una  recente  sentenza
della  Corte  costituzionale  (la  n.  236  del  2016)  in  tema   di
alterazione di stato (art. 567 del codice penale) che ha sancito  una
novita' anche rispetto ad altre pronunce della stessa Corte. 
    La  questione  era  stata   sollevata   non   in   relazione   ad
un'illegitimita' di trattamento  sanzionatorio  in  comparazione  con
altre norme, ma di per se'. 
    Si era infatti rilevato che la cornice edittale manifesterebbe la
propria irragionevole severita' nell'impedire di fatto al giudice  di
tenere conto delle situazioni concrete in cui il soggetto agisce:  da
qui  l'incostituzionalita'  della  norma,  perche'  tale  circostanza
«oltre ad imporre al giudice di irrogare sanzioni  non  proporzionate
al  reale  disvalore  della  condotta,  aggraverebbe  nel   reo,   la
percezione di subire una condotta ingiusta, svincolata dalla gravita'
della propria condotta, in frontale contrasto  con  il  principio  di
necessaria finalizzazione rieducativa della pena». 
    Secondo la sentenza in esame, dunque una pena eccessiva  lede  il
principio di rieducazione della pena, qualora non  sia  proporzionata
al reale disvalore della condotta punita, ed e' in contrasto con  gli
articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Ricorda infatti la Corte che l'art. 3 della  Costituzione  «esige
che la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del  fatto  illecito
commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia  nel  contempo
alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
individuali. E la tutela del principio di proporzionalita', nel campo
del   diritto   penale,   conduce   a   "negare   legittimita'   alle
incriminazioni che, anche se  presumibilmente  idonee  a  raggiungere
finalita' statuali di prevenzione,  producono,  attraverso  la  pena,
danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed  alla  societa'
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da
quest'ultima con la tutela dei beni e valori  offesi  dalle  predette
incriminazioni" (sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989)». 
    Nello stesso senso, l'art. 49, numero 3), della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il  7  dicembre
2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in  forza
dell'art. 6, comma 1, del Trattato sull'Unione  europea  (TUE),  come
modificato dal Trattato di Lisbona,  firmato  il  13  dicembre  2007,
ratificato e reso esecutivo con  legge  2  agosto  2008  n.  130,  ed
entrato in vigore il 1° dicembre 2009 - a tenore del quale  «le  pene
inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». 
    Laddove dunque - sottolinea ancora la Corte - la proporzione  tra
sanzione  e  offesa  difetti  manifestamente,  perche'  alla   carica
offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa
il legislatore abbia  fatto  corrispondere  conseguenze  punitive  di
entita' spropositata, non ne potra' che discendere una compromissione
ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tendera'
a non prestare adesione, gia' solo per la percezione  di  subire  una
condanna profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68  del  2012),
del tutto svincolata dalla gravita'  della  propria  condotta  e  dal
disvalore da essa espressa. 
    In  tale  contesto,  una  particolare  asprezza  della   risposta
sanzionatoria  determina  percio'  una  violazione  congiunta   degli
articoli  3  e  27  Cost.,  essendo  lesi   sia   il   principio   di
proporzionalita'  della  pena  rispetto  alla  gravita'   del   fatto
commesso, sia quello della finalita' rieducativa della pena (sentenza
n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del
1993). 
    La  valutazione  che  qui  si  sollecita   sulla   illegittimita'
costituzionale della norma in esame dal punto di vista del  contrasto
tra i  valori  costituzionali  richiamati  ed  una  cornice  edittale
eccessivamente   severa   non   implica,   ovviamente,    valutazioni
discrezionali  sulla  dosimetria  della  pena  che  spettano  in  via
esclusiva al Parlamento. Si intende  pero'  sollecitare  l'intervento
della Corte costituzionale, come gia' avvenuto in  diverse  occasioni
in passato, affinche' intervenga per ricondurre a coerenza le  scelte
gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico,  procedendo
puntualmente, ove  possibile,  all'eliminazione  di  ingiustificabili
incongruenze. 
    In  tal  senso,  limitando  il  giudizio  alla  coerenza   e   la
proporzionalita'  delle  sanzioni  rispettivamente   attribuite   dal
legislatore a ciascuna delle due fattispecie di  cui  si  compone  il
reato di omicidio stradale, appare possibile pervenire ad un giudizio
di manifesta irragionevolezza per sproporzione della forbice edittale
censurata, in quanto la fattispecie dell'omicidio stradale  aggravato
dallo stato di ebbrezza  risulta  punita  in  maniera  sproporzionata
rispetto alla fattispecie di omicidio stradale non aggravato prevista
dal primo comma dell'art. 579 del codice penale. 
    Il  divieto  di  bilanciamento  delle  circostanze  impedisce  al
giudice  di  sanare  tale  sproprozione  persino  nei   casi,   sopra
evidenziati,  in   cui   minima   e'   l'incidenza   della   condotta
dell'imputato nella determinazione dell'evento. 
    Conseguentemente,  dovranno  essere   assoggettati   a   sanzione
eccessiva, rispetto agli autori di omicidio stradale con colpa minima
non aggravati dallo stato di ebbrezza, gli autori di eventi  identici
con identica percentuale (minima) di colpa solo perche' in  stato  di
ebbrezza e persino se tale stato non abbia determinato  l'evento:  e'
evidente che una  sanzione  cosi'  congegnata  non  puo'  che  essere
percepita  come  eccessiva  da  chi  la  subisce,   cio'   che   puo'
compromettere la finalita' rieducativa della pena. 
    Anche sotto questo  profilo,  dunque  la  norma  sul  divieto  di
bilanciamento delle circostanze risulta in  contrasto  con  le  norme
costituzionali. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  590-quater   codice   penale
(introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016 n. 41) in
relazione agli articoli 3, 25 comma 2 e 27 della Costituzione,  nella
parte in  cui  prevede  il  divieto  di  prevalenza  e/o  equivalenza
dell'attenuante speciale  prevista  dall'art.  589-bis  comma  7  del
codice penale. 
    Sospende  il  presente   procedimento   ed   ordina   l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale in Roma. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata all'imputato, al difensore, al pubblico ministero in sede,
nonche' al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Roma, 16 maggio 2017 
 
                          Il GIP: De Robbio