N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2017
Ordinanza del 16 maggio 2017 del G.I.P. del Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di M. F. . Reati e pene - Omicidio stradale - Lesioni personali stradali - Computo delle circostanze - Divieto di prevalenza e/o equivalenza della circostanza attenuante speciale prevista dall'art. 589-bis, comma 7, cod. pen. - Codice penale, art. 590-quater, introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonche' disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274).(GU n.42 del 18-10-2017 )
TRIBUNALE DI ROMA Ufficio del giudice per le indagini preliminari Ordinanza Il Giudice per l'udienza preliminare dott. Costantino De Robbio; premesso che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio di M. F. per i reati previsti e puniti degli articoli 589-bis, commi 2 e 8 del codice penale, e 186 lettera C, commi 2-bis e 22-sexies C.d.S.; che all'udienza del 28 febbraio 2017 il difensore ha sollevato eccezione di costituzionalita' dell'art. 590-quater codice penale (introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016 n. 41) in relazione agli articoli 3, 25 comma 2 e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenze e/o equivalenza dell'attenuante speciale prevista dall'art. 589-bis, comma 7 del codice penale rispetto alle circostanze aggravanti previste dagli articoli 589-bis, 589-ter, 590-bis e 590-ter del codice penale; Osserva Sulla rilevanza della questione. L'imputato e' stato tratto a giudizio per il delitto di omicidio stradale e lesioni stradali plurime, per avere guidato un'autovettura in stato di ebbrezza e tamponato un autocarro, in tal modo provocando la morte di uno dei soggetti trasportati su quest'ultimo mezzo nonche' il ferimento di altro trasportato e del guidatore dello stesso. Dagli atti emergono diversi elementi che potrebbero, all'esito del giudizio abbreviato, comportare l'attribuzione di responsabilita' concorrenti con quelle dell'imputato: il guidatore dell'autocarro tamponato era a sua volta sotto l'effetto di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, sicche' anche la sua condotta di guida potrebbe avere risentito di tale stato contribuendo al sinistro; il trasportato deceduto non indossava la cintura di sicurezza; il tratto di strada su cui e' avvenuto il sinistro presentava illuminazione non funzionante. L'accertamento di una o piu' di queste circostanze di fatto come concause del sinistro comporterebbe l'applicazione, in misura da valutare, della circostanza attenuante prevista dall'art. 589-bis comma 7, con conseguente diminuzione della pena fino alla meta'. Tale diminuente tuttavia potrebbe operare solo sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle circostanze aggravanti previste dall'art. 589-bis, poiche' l'art. 590-quater codice penale impedisce il bilanciamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti per il reato di omicidio stradale. Nel caso in esame, sono state contestate nel capo di imputazione due circostanze aggravanti: l'aggravante di avere guidato in stato di ebbrezza (art. 589-bis, secondo comma) e quella di avere provocato la morte di una persona e lesioni personali ad altre due, in specie - come si e' detto - il conducente dell'autocarro ed un terzo soggetto trasportato (art. 589, ottavo comma). In caso di condanna dunque, qualora il giudice scrivente dovesse riconoscere sia la diminuente del concorso di colpa che una o piu' delle circostanze aggravanti contestate, dovrebbero essere applicati prima gli aumenti di pena previsti per le aggravanti e - solo dopo - la diminuzione di pena, stante il predetto divieto di bilanciamento delle circostanze. Conseguentemente, all'imputato non potrebbe che essere irrogata una sanzione da determinarsi all'interno di una cornice edittale imposta dalla norma (l'art. 590-quater codice penale) la cui legittimita' costituzionale e' contestata. Sulla non manifesta infondatezza. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, si osserva quanto segue. Con l'art. 1, comma due, della legge 23 marzo 2016 n. 41 il legislatore ha introdotto nel codice penale l'art. 590-quater, che disciplina il computo delle circostanze. La norma introduca per i reati di cui agli articoli 589-bis, 589-ter, 590-bis e 590-ter una deroga alla disciplina generale prevista dagli articoli 63 e seguenti del codice penale. In virtu' di tale nuova disposizione, e' dunque previsto il divieto di equivalenza o di prevalenza delle circostanze attenuanti (diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale) sulle circostanze aggravanti di cui agli articoli 589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 589-ter, 590-bis, secondo terzo quarto quinto e sesto comma e 590-ter. In caso di concorrenza di una o piu' delle predette circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti, le diminuzioni conseguenti al riconoscimento delle attenuanti si operano sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti. E' stato in questo modo esteso ai delitti di omicidio stradale e lesioni stradali il meccanismo di limitazione della discrezionalita' del giudice penale nella valutazione degli aumenti e diminuzioni di pena gia' introdotto nel nostro sistema penale in diverse occasioni negli ultimi anni. Il legislatore ha in particolare previsto il divieto di bilanciamento delle circostanze per la prima volta con la modifica operata dalla legge 5 dicembre del 2005 n. 251 all'art. 69, comma quarto del codice penale, introducendo un limite al principio generale del giudizio di bilanciamento nel caso di recidiva reiterata (art. 99, quarto comma codice penale). La Corte costituzionale si e' espressa sulla legittimita' in via generale di tale divieto, stabilendo che le deroghe al bilanciamento possono essere ritenute costituzionalmente legittime, purche' non «trasmondino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012). Un importante criterio ermeneutico e' stato offerto, sullo stesso tema, da altra pronuncia della Corte con la sentenza n. 251 del 2012, ove si legge che le deroghe al bilanciamento delle circostanze non sono legittime se determinano «un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale». In piu' occasioni la Corte ha ravvisato in concreto il superamento di questi limiti, dichiarando incostituzionale il divieto di bilanciamento delle circostanze in relazione: a) all'art. 73, comma 5 del testo unico n. 309/1990 (sentenza n. 251 del 2012); b) all'art. 648, secondo comma del codice penale (sentenza 105 del 2014); c) all'art. 609-bis, terzo comma del codice penale (sentenza 74 del 2016). Nella prima delle tre sentenze menzionate la Corte ha fatto discendere il giudizio di illegittimita' costituzionale dalla sproporzione delle sanzioni discendente dalla mancata possibilita' di bilanciare le circostanze rispetto alle pene applicabili laddove tale divieto non vi fosse stato. Ha in particolare evidenziato che nel caso di recidiva reiterata equivalente all'attenuante il massimo edittale previsto dal quinto comma dell'art. 73 del testo unico sugli stupefacenti per il fatto di «lieve entita'» (sei anni di reclusione) corrispondeva al minimo della pena da irrogare per la corrispondente ipotesi prevista per il reato-base (l'art. 73, primo comma del testo unico n. 309/1990 prevede infatti come noto la pena da sei a venti anni di reclusione). Dunque il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di «lieve entita'» (un anno di reclusione) ne risultava moltiplicato per sei nei confronti del recidivo reiterato, che subiva cosi' di fatto un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto dall'art. 99, quarto comma codice penale per la recidiva reiterata, che, a seconda dei casi, e' della meta' o di due terzi. Proprio in questo aumento sproporzionato rispetto all'ipotesi base e' stata ravvisata l'illegittimita' costituzionale della norma. Un procedimento logico analogo e' stato seguito in occasione del secondo intervento (avvenuto con la gia' menzionata sentenza n. 105 del 2014), laddove la Corte ha rilevato che per effetto della recidiva reiterata il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di particolare tenuita' della ricettazione (15 giorni di reclusione) veniva moltiplicato per 48 volte, determinando un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto per tale recidiva dall'art. 99, quarto comma, codice penale, che, come detto, e' della meta' o di due terzi. Pur tenendo conto delle differenze tra la disciplina dell'art. 69, quarto comma e quella dell'art. 590-quater del codice penale, si puo' applicare il medesimo ragionamento seguito dalla Corte costituzionale in queste due ipotesi (il ragionamento seguito dalla terza delle sentenze citate, la n. 74 del 2016, segue un percorso logico diverso) anche all'ipotesi speciale di divieto di bilanciamento delle circostanze che qui interessa. Come si e' visto in precedenza, le circostanze aggravanti contestate sono due: guida in stato di ebbrezza e pluralita' di eventi mortali e/o lesivi; a fronte di tali aggravanti viene potenzialmente in gioco - oltre alla concessione delle circostanze attenuanti generiche previste dall'art. 62-bis codice penale - la diminuente speciale prevista dal comma settimo dello stesso art. 589-bis del codice penale. L'art. 589-bis, settimo comma prevede che «qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole, la pena e' diminuita fino alla meta'». Il legislatore ritiene dunque che la pena dell'autore della condotta che ha provocato l'evento morte debba essere assoggettato ad una pena diminuita, avendo altro conducente (sia egli il soggetto rimasto ucciso o un terzo) contribuito causalmente alla commissione dell'evento, perche' a sua colpevole di violazione di norme generiche o specifiche. Si tratta di una diminuente ad effetto speciale che puo' essere applicata in tutti i casi - che statisticamente si riscontrano nella maggior parte dei sinistri stradali - in cui entrambi i soggetti coinvolti abbiano violato norme generali o speciali e siano dunque «in colpa», anche se in misura sensibilmente differente tra di loro. Nel caso di concorso di colpa, dunque , la pena e' diminuita «fino alla meta'», proprio per consentire al giudice di adeguare la sanzione al grado effettivo di colpa dell'imputato rispetto al fatto contestato. Conseguentemente, la pena prevista dall'art. 589-bis, primo comma (da 2 a 7 anni) diventa punibile con una pena minima di un anno, quella del secondo comma (8-12 anni) con una pena minima di 4 anni e quella del quarto comma (5-10 anni) con una pena minima di due anni e sei mesi. Ma operando anche l'aumento delle circostanze aggravanti tale diminuzione non potra' avere effetto se non partendo dalla fattispecie aggravata, stante il divieto di bilanciamento delle circostanze. Conseguentemente, il riconoscimento da parte del giudice della circostanza aggravante prevista dall'art. 589-bis, secondo comma comporta una pena edittale minima di otto anni di reclusione, diminuita ai sensi dell'art. 589-bis, settimo comma in caso di riconoscimento di concorso di colpa a quattro anni di reclusione. Laddove invece non operasse tale divieto e si potesse procedere al bilanciamento delle circostanze secondo la regola generale prevista dall'art. 69, secondo comma, in caso di prevalenza della circostanza attenuante prevista dall'art. 589, settimo comma codice penale il giudice dovrebbe operare la diminuzione «fino alla meta'» sulla pena prevista per il delitto-base dall'art. 589-bis, primo comma codice penale e dunque dal minimo edittale di due anni di reclusione si scenderebbe ad un anno di reclusione. Per effetto della norma in discussione (590-quater) dunque l'imputato subisce un aumento della cornice edittale pari al quadruplo, senza contare l'eventuale ulteriore aumento di pena per l'altra aggravante contestata (pluralita' di eventi lesivi), che puo' comportare un ulteriore aumento di pena «fino al triplo», dunque in ipotesi dagli otto anni si passerebbe ad un minimo edittale di ventiquattro anni, da diminuire per effetto dell'attenuante a dodici anni di reclusione come pena minima, pari al sestuplo della pena minima applicabile se non esistesse il divieto di bilanciamento delle circostanze che si assume illegittimo. I predetti aumenti appaiono irragionevoli ed arbitrari, e violano il criterio di proporzione tra le fattispecie previste dalla norma penale in esame. Sottrarre al giudice la possibilita' di valutare nel caso concreto la prevalenza della diminuente rispetto alle aggravanti potrebbe comportare infatti un aumento sproporzionato di pena anche nel caso di percentuale minima di colpa dell'imputato. Si pensi al caso in cui un soggetto, che si e' messo alla guida in stato di ebbrezza, sia coinvolto in un incidente stradale dall'esito mortale e che all'esito del processo si accerti un grado di colpa pari all'1% in capo all'imputato (poiche' per il restante 99% la colpa e' dell'altro conducente rimasto ucciso nel sinistro): in un caso siffatto, ad una percentuale minima di colpa corrispondera' una conseguenza del tutto sproporzionata (4 anni di pena minima), non potendo in alcun modo essere valutata la circostanza che la colpa sia minima come prevalente sulla circostanza aggravante dello stato di ubriachezza. In sostanza la pena da irrogare subisce un aumento esorbitante ed inevitabile solo per effetto dello stato di ebbrezza e non in relazione al contributo causale dato dall'evento: in tal modo, il legislatore mostra di dare allo stato di ebbrezza un valore che prescinde del tutto dall'effettiva incidenza di tale stato nella causazione della morte della vittima del sinistro. Chi si pone alla guida del mezzo in stato di ebbrezza si espone al rischio di eventi a cui puo' anche contribuire in maniera pressocche' irrilevante e ne risponde penalmente: e' palese lo sconfinamento in una sorta di responsabilita' oggettiva che e' del tutto avulsa dai parametri costituzionali. Tale profilo di irragionevolezza sembra diretta conseguenza del fatto che la norma dell'art. 590-quater del codice penale e' l'unica in cui sia previsto il divieto di bilanciamento di circostanze per delitti colposi. A cio' va aggiunto che il legislatore sembra conferire eccessiva considerazione all'integrazione dell'aggravante dello stato di ebbrezza, senza tenere conto che: a) nel nostro ordinamento la guida in stato di ebbrezza costituisce titolo di reato autonomo ed e' punita a titolo contravvenzionale (art. 186 del codice della strada); b) si tratta di circostanza che riguarda la persona del colpevole e non il fatto, tanto che come si e' visto non sempre assume valore causale nella determinazione dell'evento. Al giudice e' dunque imposto di assegnare valore comunque prevalente ad una circostanza ritenuta di non rilevante allarme sociale da altra norma e potenzialmente avulsa dal fatto rispetto alle circostanze (attenuanti) anche se queste hanno diretta connessione con il fatto per cui si procede e che hanno contribuito all'evoluzione causale che ha determinato l'evento. Tale limitazione della discrezionalita' del giudice nella valutazione del fatto appare arbitraria ed irragionevole, ed in netto contrasto con i principi costituzionali richiamati in epigrafe. Ulteriore profilo di irragionevolezza della norma in esame discende dalla comparazione tra l'omicidio stradale e l'omicidio colposo previsto dall'art. 589 del codice penale. E' noto che, fino all'emanazione della legge n. 41 del 2016, l'omicidio commesso con violazione delle regole del codice della strada era inserita come circostanza aggravante nel corpus dell'omicidio colposo. Cio' dimostra che non vi e' alcuna sostanziale differenza tra l'ipotesi «speciale» di omicidio colposo oggi disciplinata dall'art. 589-bis e le altre forme di omicidio colposo rimaste ancorate al parametro dell'art. 589 del codice penale. Ed allora, non appare rispondente a criteri di equita' che per un'ipotesi di omicidio colposo non stradale aggravato (si pensi ad alcune allarmanti ipotesi di colpa medica o agli infortuni sul lavoro) si possa, attraverso il bilanciamento delle circostanze, scendere ad una pena minima di sei mesi di reclusione mentre per l'omicidio stradale aggravato debba partirsi dal minimo edittale di quattro anni di reclusione. Anche sotto questo profilo pare innegabile la violazione dei parametri costituzionali invocati: contrasta infatti con i criteri di proporzione e uguaglianza della pena che il medesimo evento di reato subisca nelle due ipotesi un trattamento sanzionatorio cosi' diversificato. Ulteriori spunti in tal senso giungono da una recente sentenza della Corte costituzionale (la n. 236 del 2016) in tema di alterazione di stato (art. 567 del codice penale) che ha sancito una novita' anche rispetto ad altre pronunce della stessa Corte. La questione era stata sollevata non in relazione ad un'illegitimita' di trattamento sanzionatorio in comparazione con altre norme, ma di per se'. Si era infatti rilevato che la cornice edittale manifesterebbe la propria irragionevole severita' nell'impedire di fatto al giudice di tenere conto delle situazioni concrete in cui il soggetto agisce: da qui l'incostituzionalita' della norma, perche' tale circostanza «oltre ad imporre al giudice di irrogare sanzioni non proporzionate al reale disvalore della condotta, aggraverebbe nel reo, la percezione di subire una condotta ingiusta, svincolata dalla gravita' della propria condotta, in frontale contrasto con il principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena». Secondo la sentenza in esame, dunque una pena eccessiva lede il principio di rieducazione della pena, qualora non sia proporzionata al reale disvalore della condotta punita, ed e' in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Ricorda infatti la Corte che l'art. 3 della Costituzione «esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali. E la tutela del principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale, conduce a "negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni" (sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989)». Nello stesso senso, l'art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 6, comma 1, del Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 - a tenore del quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». Laddove dunque - sottolinea ancora la Corte - la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perche' alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entita' spropositata, non ne potra' che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del tutto svincolata dalla gravita' della propria condotta e dal disvalore da essa espressa. In tale contesto, una particolare asprezza della risposta sanzionatoria determina percio' una violazione congiunta degli articoli 3 e 27 Cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del fatto commesso, sia quello della finalita' rieducativa della pena (sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993). La valutazione che qui si sollecita sulla illegittimita' costituzionale della norma in esame dal punto di vista del contrasto tra i valori costituzionali richiamati ed una cornice edittale eccessivamente severa non implica, ovviamente, valutazioni discrezionali sulla dosimetria della pena che spettano in via esclusiva al Parlamento. Si intende pero' sollecitare l'intervento della Corte costituzionale, come gia' avvenuto in diverse occasioni in passato, affinche' intervenga per ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze. In tal senso, limitando il giudizio alla coerenza e la proporzionalita' delle sanzioni rispettivamente attribuite dal legislatore a ciascuna delle due fattispecie di cui si compone il reato di omicidio stradale, appare possibile pervenire ad un giudizio di manifesta irragionevolezza per sproporzione della forbice edittale censurata, in quanto la fattispecie dell'omicidio stradale aggravato dallo stato di ebbrezza risulta punita in maniera sproporzionata rispetto alla fattispecie di omicidio stradale non aggravato prevista dal primo comma dell'art. 579 del codice penale. Il divieto di bilanciamento delle circostanze impedisce al giudice di sanare tale sproprozione persino nei casi, sopra evidenziati, in cui minima e' l'incidenza della condotta dell'imputato nella determinazione dell'evento. Conseguentemente, dovranno essere assoggettati a sanzione eccessiva, rispetto agli autori di omicidio stradale con colpa minima non aggravati dallo stato di ebbrezza, gli autori di eventi identici con identica percentuale (minima) di colpa solo perche' in stato di ebbrezza e persino se tale stato non abbia determinato l'evento: e' evidente che una sanzione cosi' congegnata non puo' che essere percepita come eccessiva da chi la subisce, cio' che puo' compromettere la finalita' rieducativa della pena. Anche sotto questo profilo, dunque la norma sul divieto di bilanciamento delle circostanze risulta in contrasto con le norme costituzionali.
P. Q. M. Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 590-quater codice penale (introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016 n. 41) in relazione agli articoli 3, 25 comma 2 e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza e/o equivalenza dell'attenuante speciale prevista dall'art. 589-bis comma 7 del codice penale. Sospende il presente procedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale in Roma. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'imputato, al difensore, al pubblico ministero in sede, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, 16 maggio 2017 Il GIP: De Robbio