N. 215 SENTENZA 27 settembre - 12 ottobre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati militari - Sanzione penale per i fatti di ingiuria commessi tra
  militari per cause e in circostanze estranee  al  servizio  o  alla
  disciplina militare o, comunque, non afferenti  a  interessi  delle
  Forze armate dello Stato. 
- Codice penale militare di pace, art. 226. 
-   
(GU n.42 del 18-10-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  226  del
codice  penale  militare  di  pace,  promossi  dalla  Corte  militare
d'appello di Roma con ordinanze del 18 febbraio,  dell'11  e  del  26
aprile 2016, iscritte ai nn. 91, 102 e  117  del  registro  ordinanze
2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  19,
21 e 24, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti l'atto di costituzione  di  F.  P.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica del 26 settembre e nella  camera  di
consiglio del 27 settembre 2017 il Giudice relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato Valeria Bonfiglio per F. P. e  l'avvocato  dello
Stato  Enrico  De  Giovanni  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La  Corte  militare  d'appello  di  Roma,  con  tre  distinte
ordinanze di analogo  tenore,  pronunciate  in  altrettanti  giudizi,
rispettivamente del 18 febbraio 2016 (r.o. n. 91 del  2016),  dell'11
aprile 2016 (r.o. n. 102 del 2016) e del 26 aprile 2016 (r.o. n.  117
del 2016), ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3  e  52  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  226
del codice penale militare di pace, nella parte in  cui  sottopone  a
sanzione penale condotte  del  tutto  estranee  al  servizio  o  alla
disciplina militare o, comunque,  non  afferenti  a  interessi  delle
Forze armate dello Stato, le quali, se  poste  invece  in  essere  da
soggetti non appartenenti alle Forze armate, non sono  piu'  previste
dalla legge come reato, per effetto del disposto di cui  all'art.  1,
lettera  c),  del  decreto  legislativo  15  gennaio   2016,   n.   7
(Disposizioni in materia di abrogazione di reati  e  introduzione  di
illeciti con sanzioni pecuniarie civili,  a  norma  dell'articolo  2,
comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67). 
    1.1.- Nell'ordinanza del 18 febbraio 2016 (r.o. n. 91 del  2016),
il rimettente riferisce di essere  chiamato  a  giudicare  in  ordine
all'appello presentato dall'imputato F. P., condannato in primo grado
dal Tribunale militare di Roma alla pena di mesi  tre  di  reclusione
militare per il reato di ingiuria continuata e aggravata ai danni  di
un militare subordinato, commesso per cause estranee  al  servizio  e
alla disciplina militare (ai sensi degli artt. 226 e  47,  numero  2,
cod. pen. mil. pace e dell'art. 81 del codice penale). 
    1.2.- Nell'ordinanza dell'11 aprile 2016 (r.o. n. 102 del  2016),
il giudice a quo espone che l'imputato A. T. e' stato  condannato  in
primo grado per il reato di ingiuria pluriaggravata (ai  sensi  degli
artt. 47, numeri 2 e 4, e 226 cod. pen. mil. pace) per  aver  rivolto
una frase offensiva nei confronti di una caporal maggiore, mentre  si
trovavano entrambi all'interno della mensa unificata di  una  caserma
di Milano. Riferisce il giudice  a  quo  che  essi  condividevano  lo
stesso tavolo insieme ad altri militari; che durante la  consumazione
del pasto l'imputato aveva intrattenuto altri due  militari  presenti
raccontando loro come aveva trascorso la serata  precedente;  e  che,
nel corso di tale racconto, egli aveva rivolto la frase offensiva nei
confronti della caporal maggiore, fino a quel momento  non  coinvolta
nella conversazione. 
    1.3.- Infine, la  Corte  militare  d'appello,  nell'ordinanza  26
aprile 2016 (r.o. n. 117 del 2016), riferisce di  essere  chiamata  a
decidere il ricorso in appello  presentato  da  R.  P.,  imputato  di
ingiuria aggravata (ai sensi degli artt. 226 e  47,  numero  2,  cod.
pen. mil. pace) e minaccia aggravata (ai sensi degli artt. 229 e  47,
numero 2, cod. pen. mil. pace). 
    In merito al primo capo d'imputazione, il rimettente ricorda  che
R. P., tenente colonnello, aveva  rivolto  una  frase  offensiva  nei
confronti di un  maggiore  in  occasione  di  un  acceso  scambio  di
battute, mentre il primo si trovava nel  cortile  condominiale  e  la
persona offesa era alla finestra  del  suo  appartamento,  e  che  la
discussione tra i due sarebbe  scaturita  da  questioni  attinenti  a
rapporti  di  vicinato  e  di  condivisione  condominiale,  sia  pure
relativa ad alloggi militari. 
    2.- In tutte le ordinanze, la Corte militare  d'appello  ricorda,
anzitutto, che il d.lgs. n. 7 del 2016 ha abrogato, tra gli altri, il
reato di ingiuria previsto dall'art.  594  cod.  pen.  (art.  1);  ha
previsto che il medesimo fatto, se commesso dolosamente,  costituisce
un illecito civile, obbligando l'autore, oltre alle restituzioni e al
risarcimento del danno,  al  pagamento  di  una  sanzione  pecuniaria
civile (art. 4); e ha stabilito che tali  disposizioni  si  applicano
anche per i fatti commessi anteriormente all'entrata  in  vigore  del
decreto legislativo (art. 12). 
    Nelle ordinanze e' premesso che tale decreto legislativo  non  ha
ricompreso tra le norme da «depenalizzare» anche il reato militare di
ingiuria previsto e punito dall'art. 226 cod. pen. mil. pace,  e  che
l'effetto   abrogativo   non   potrebbe   essere   desunto   in   via
interpretativa, atteso il carattere tassativo dei reati elencati  nel
decreto, il fatto che spetta al  legislatore  scegliere  quali  reati
«depenalizzare» e,  infine,  la  necessita'  di  assicurare  certezza
giuridica in tale materia. 
    Con riferimento a tutti e tre i casi sottoposti al suo  giudizio,
il  giudice  a  quo  sottolinea  poi  che  si   tratta   di   vicende
riconducibili a contesti  esclusivamente  personali  e  privati,  del
tutto esulanti dalla sfera del servizio e della  disciplina  militare
(come, in particolare, e' dimostrato -  in  tutti  i  procedimenti  -
dall'esclusione della configurabilita' del reato di cui all'art.  196
cod. pen.  mil.  pace,  che  prevede  il  reato  di  ingiuria  ad  un
inferiore). 
    In tutti e tre i casi sarebbe,  dunque,  applicabile  l'art.  226
cod.  pen.   mil.   pace,   che   -   in   seguito   alla   ricordata
«depenalizzazione» - prevede ora il reato  «esclusivamente  militare»
di ingiuria (secondo la definizione contenuta  all'art.  37,  secondo
comma,  cod.  pen.  mil.  pace,  in  base  al   quale   «[e']   reato
esclusivamente militare quello costituito da un fatto che,  nei  suoi
elementi  materiali  costitutivi,  non  e',  in  tutto  o  in  parte,
preveduto come reato dalla legge penale comune»). 
    Ritiene il rimettente che  la  «depenalizzazione»  del  reato  di
ingiuria  di  cui  all'art.  594  cod.   pen.   avrebbe   determinato
un'irragionevole dilatazione della  nozione  di  reato  militare,  in
quanto vi rientrerebbero anche  fatti  potenzialmente  estranei  alla
tutela  degli  interessi  militari  (difettando,  per  il  reato   di
ingiuria, una norma analoga all'art. 199 cod.  pen.  mil.  pace,  che
esclude la configurabilita' di alcuni reati, se  commessi  per  cause
estranee  al  servizio  e  alla  disciplina  militare).  L'intervento
legislativo avrebbe, inoltre, determinato un'irragionevole diversita'
di trattamento tra militari  imputati  di  ingiuria  e  soggetti  non
appartenenti alle Forze armate, in quanto ai primi  si  applicherebbe
ancora la sanzione penale, mentre ai secondi quella civile. 
    A tale conclusione non osterebbe - secondo  il  rimettente  -  la
sentenza n. 186 del 2001, nella quale la Corte costituzionale avrebbe
sottolineato come la lamentata diversita' di  trattamento  troverebbe
giustificazione nella  peculiare  posizione  del  cittadino  inserito
nell'ordinamento militare, poiche' in quella occasione - sempre nella
lettura della Corte militare d'appello -  tale  affermazione  avrebbe
riguardato una diversa ipotesi, ossia l'impossibilita' di subordinare
ad un interesse privato il perseguimento di reati in  cui  e'  insita
un'offesa alla disciplina e al servizio  (cio',  in  particolare,  si
desumerebbe dalle precisazioni contenute  nella  successiva  sentenza
della Corte costituzionale n. 273 del 2009). 
    In ogni caso, sottolineano le ordinanze di rimessione, mentre  la
questione di legittimita' costituzionale decisa con  la  sentenza  n.
186  del  2001  aveva  ad  oggetto  due   differenti   modalita'   di
promovimento dell'azione penale, quella  ora  all'esame  della  Corte
costituzionale pone a raffronto due fattispecie, punite l'una con  la
sanzione penale e l'altra con quella civile. 
    E', inoltre, ancora menzionata la sentenza n. 273 del 2009, nella
quale la Corte costituzionale avrebbe affermato che  la  diffamazione
militare (punita all'art. 227 cod. pen. mil. pace)  e  quella  comune
(di cui all'art. 595 cod. pen.) si distinguono esclusivamente per  la
qualita' del  soggetto  attivo  e  della  persona  offesa,  che,  per
l'integrazione  della  prima  fattispecie,  devono  essere   entrambi
militari. Ad analoghe conclusioni dovrebbe  giungersi  -  secondo  il
giudice a quo - per il reato di ingiuria. 
    Ad  avviso  del  rimettente  un  diverso  esito  risulterebbe  in
contrasto con  la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  che
avrebbe escluso che le  esigenze  della  struttura  militare  possano
essere considerate superiori agli  altri  beni  costituzionalmente  e
ordinariamente tutelati (sono citate le sentenze n. 445 del 2002,  n.
332 del 2000, n. 449 del 1999, n. 78 del 1989 e n. 278 del 1987). 
    Da  ultimo,  la  Corte  militare  d'appello  sottolinea  come  la
formulazione dell'art. 226  cod.  pen.  mil.  pace  non  consenta  di
individuare una connotazione di «militarita'» della condotta che  non
sia la mera qualita' di militari dei soggetti coinvolti: nessun altro
elemento, cioe', consentirebbe al giudice  militare  di  distinguere,
nell'ambito della generale previsione contenuta  nell'art.  226  cod.
pen. mil. pace, un'ingiuria attinente a  interessi  riconducibili  al
servizio o alla disciplina  militare,  o  in  generale  ad  interessi
militari, rispetto ad un'ingiuria che tale  connotazione  non  abbia.
D'altro canto, sarebbe la previsione stessa dell'art. 199  cod.  pen.
mil. pace, in tema di non attinenza al  servizio  e  alla  disciplina
militare,  ad  implicare  l'impossibilita'  di  connotare  il   reato
previsto dall'art. 226 cod. pen. mil. pace come reato  esclusivamente
militare. 
    Pur dovendosi riconoscere, aggiunge il rimettente, che almeno per
una parte delle condotte sussumibili nella previsione di cui all'art.
226  cod.  pen.  mil.  pace  sia  ravvisabile   «una,   anche   lata,
correlazione con gli interessi, l'attivita'  e  l'ordinato  andamento
delle Forze Armate», che puo' giustificare la scelta del  legislatore
di mantenere una tutela di carattere penale, il vizio di legittimita'
costituzionale lamentato sarebbe, invece, palese per  le  ipotesi  in
cui nessun profilo di differenziazione con la norma penale comune sia
riscontrabile  e,  dunque,  «limitatamente   alle   fattispecie   non
connotate da alcun interesse militare». 
    3.- Con atti di identico tenore, rispettivamente depositati il 31
maggio 2016, il 14 giugno 2016 e il 5 luglio 2016, e' intervenuto  in
tutti e tre i giudizi  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Eccepisce preliminarmente la difesa statale, in relazione a tutti
i  giudizi,  l'inammissibilita'  delle  questioni   di   legittimita'
costituzionale, per difetto di  motivazione  sulla  rilevanza  dovuta
alla carente descrizione della  fattispecie  concreta,  essendo  solo
genericamente richiamate, nel corpo del provvedimento,  alcune  delle
modalita' del fatto contestato. 
    Quanto al merito delle censure, l'Avvocatura generale dello Stato
osserva, anzitutto, che la selezione  dei  reati  da  «depenalizzare»
costituisce  una   scelta   riservata   alla   discrezionalita'   del
legislatore, sottratta al sindacato della Corte costituzionale, salvo
il limite della ragionevolezza. 
    Nei casi sottoposti al giudizio della Corte  costituzionale,  non
vi sarebbe comunque - ad avviso della difesa statale - alcuna lesione
dei parametri costituzionali evocati. 
    Dopo aver ricostruito il contenuto degli artt.  196,  199  e  226
cod. pen. mil. pace e il rapporto tra tali disposizioni, l'Avvocatura
generale dello Stato si sofferma, in particolare, sul significato del
reato previsto dall'art. 196 cod. pen. mil. pace (minaccia o ingiuria
a un inferiore). Essa afferma che, senza dubbio, e' tale previsione a
rispondere  all'esigenza  di  tutelare  l'irrinunciabile  bene  della
disciplina  militare,  strettamente  connaturata  al   rispetto   del
rapporto gerarchico intercorrente tra il soggetto appartenente ad  un
grado superiore e quello appartenente ad un grado inferiore (il quale
implica l'osservanza, da parte del primo, dei doveri di comportamento
inerenti  alla  sua  funzione).  Ma  segnala  come   sia,   tuttavia,
possibile,  «in  sintonia  con  gli  orientamenti  della   Consulta»,
enucleare «un concetto di disciplina militare piu'  ampio,  inclusivo
certamente dell'aspetto gerarchico, ma sussistente anche  in  assenza
di esso». Sarebbe proprio la disposizione censurata, l'art. 226  cod.
pen. mil. pace, a completare,  dunque,  la  tutela  della  disciplina
militare, intesa quale coesa e ordinata  convivenza  nell'ambito  del
consorzio militare.  La  stessa  Corte  costituzionale  avrebbe,  del
resto,  individuato  quali  interessi  connaturati  al  concetto   di
disciplina quelli di efficienza e coesione  delle  Forze  armate  (e'
citata la sentenza n. 298 del 1995). 
    Non sarebbe pertanto irragionevole la scelta del  legislatore  di
mantenere una piu' intensa risposta punitiva per  un  identico  fatto
materiale che risulti commesso -  sebbene  per  ragioni  estranee  al
servizio - in un contesto, quello militare, ove l'ordinata convivenza
e' posta a fondamento dell'efficienza stessa delle Forze armate. 
    Osserva,  quindi,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato   che   -
diversamente da quanto sostenuto nelle ordinanze di rimessione -  non
vi  sarebbe  alcuna   «regressione   della   garanzia   dei   diritti
fondamentali di cui sono titolari i  singoli  cittadini  militari  di
fronte  alle  esigenze   della   struttura   militare»,   in   quanto
l'ordinamento militare non si presenta «come un aliud  o  contrario»,
bensi' come un regime basato su deroghe puntuali rispetto al  modello
dell'amministrazione  civile.  La  diversita'  di   trattamento   tra
militari e altri cittadini non fonderebbe le  proprie  ragioni  sulla
tutela di beni superiori, ma di beni diversi. 
    Il differente regime sanzionatorio lamentato dal rimettente nelle
ordinanze  di  rimessione  troverebbe,  dunque,  la  propria  ragione
d'essere nel fatto che l'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016  e
l'art. 226 cod. pen. mil. pace apprestano la loro tutela ad interessi
solo apparentemente uguali. 
    4.- Nel giudizio relativo all'ordinanza di rimessione n.  91  del
2016, si e' costituito innanzi alla Corte  costituzionale,  con  atto
depositato il 30 maggio 2016,  F.  P.,  parte  del  giudizio  a  quo,
chiedendo  che   siano   accolte   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate dalla Corte militare  d'appello  e  che  sia
dichiarata l'illegittimita' costituzionale, per violazione  dell'art.
3 Cost., dell'art. 1 del d.lgs. n. 7 del 2016, nella parte in cui non
prevede l'abrogazione dell'art. 226 cod. pen. mil. pace. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  tre  ordinanze  di  analogo  tenore  la  Corte  militare
d'appello di Roma ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3  e  52
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 226 del codice penale militare di pace, nella parte in  cui
sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o
alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle
Forze armate dello Stato. 
    E' osservato nelle ordinanze di rimessione che tali condotte,  se
poste in essere da soggetti non appartenenti alle Forze  armate,  non
sono piu' previste dalla legge come reato, per effetto  del  disposto
di cui all'art. 1, lettera c), del  decreto  legislativo  15  gennaio
2016, n. 7  (Disposizioni  in  materia  di  abrogazione  di  reati  e
introduzione di illeciti con  sanzioni  pecuniarie  civili,  a  norma
dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67). 
    Tale decreto ha, infatti, abrogato il reato di ingiuria  previsto
dall'art. 594 del codice penale e ha previsto che il medesimo  fatto,
se commesso dolosamente, costituisce un  illecito  civile  e  che  il
responsabile e' condannato, oltre alle restituzioni e al risarcimento
del danno, al pagamento di una sanzione pecuniaria civile. 
    Ad avviso del rimettente, l'abrogazione dell'art. 594  cod.  pen.
avrebbe determinato un'irragionevole dilatazione del  reato  militare
di cui all'art. 226 cod. pen. mil. pace, in quanto tale  disposizione
consente di punire penalmente anche  fatti  che  -  pur  commessi  da
militari nei confronti di altri militari - si rivelano estranei  alla
tutela degli interessi riconducibili al servizio  o  alla  disciplina
militari.   Cio'   produrrebbe   un'ingiustificata   diversita'    di
trattamento  tra  militari  imputati  di  ingiuria  e  soggetti   non
appartenenti alle Forze armate, in quanto ai primi  si  applicherebbe
ancora la sanzione penale, mentre ai secondi quella civile. 
    Oltre al contrasto con l'art. 3 Cost., e'  lamentata  la  lesione
dell'art. 52 Cost., in quanto, punendo con la sanzione militare anche
condotte tenute in un contesto personale e privato, le esigenze della
struttura  militare  finirebbero  per  porsi  in  una  posizione   di
superiorita'   rispetto   ad   altri   beni   costituzionalmente   ed
ordinariamente tutelati. 
    2.- I giudizi hanno ad oggetto la  stessa  norma,  censurata  con
riferimento agli stessi parametri, sotto gli stessi profili e con  le
stesse argomentazioni. Ponendo, pertanto, identiche questioni,  vanno
riuniti e decisi con un'unica pronuncia. 
    3.- In tutti i  giudizi  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
eccepito   l'inammissibilita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale,  assumendo  che  le  ordinanze  di   rimessione   non
avrebbero  adeguatamente  illustrato  le  fattispecie  sottoposte   a
giudizio.  Cio'  determinerebbe  un  difetto  di  motivazione   sulla
rilevanza  delle  questioni  sollevate,  preclusivo  dell'esame   del
merito. 
    Tale eccezione deve essere respinta. 
    Va, in primo luogo, considerato che  i  giudici  di  primo  grado
hanno  gia'  qualificato  in  sentenza  i  fatti  come  astrattamente
riconducibili al reato militare di ingiuria  previsto  dall'art.  226
cod. pen. mil. pace e che i  rimettenti  -  in  qualita'  di  giudici
d'appello   -   espressamente   affermano   di    condividere    tale
qualificazione. 
    Quanto  alla  circostanza  che  le   affermazioni   asseritamente
ingiuriose risultino non collegate  al  servizio  e  alla  disciplina
militare, per il momento e il luogo in  cui  sono  pronunciate,  essa
emerge (per i giudizi di cui alle ordinanze r.o. nn. 102  e  117  del
2016) da  una  (pur  essenziale)  descrizione  dei  fatti  di  causa,
ricavabile da entrambi i provvedimenti ricordati. 
    Vero che parca  di  informazioni  sulla  fattispecie  di  cui  e'
giudizio  risulta  l'ordinanza  r.o.  n.  91  del  2016.   Ma   dalla
motivazione di quest'ultima si evince che la  vicenda  all'esame  del
giudice d'appello  attiene  a  piu'  episodi  di  ingiuria  militare,
contestati nella forma del reato continuato, e che i giudici di prime
cure hanno ritenuto di inquadrarla nella fattispecie di cui  all'art.
226 cod. pen. mil.  pace,  giacche',  pur  essendo  l'imputato  e  la
persona offesa militari rivestiti di grado diverso, la palese assenza
di motivi  attinenti  al  servizio  e  alla  disciplina  impediva  di
ipotizzare la distinta fattispecie di "ingiuria ad inferiore" ex art.
196 cod. pen. mil. pace. La circostanza che la stessa Corte d'appello
affermi di condividere tale valutazione  chiarisce  come,  anche  nel
giudizio di quest'ultima, le frasi  offensive  non  presentino  alcun
collegamento  con  il  servizio  e  la  disciplina  militare,   cosi'
confermandosi l'applicabilita' dell'art. 226 cod. pen. mil. pace e la
rilevanza delle questioni sollevate. 
    4.- Reato «contro la persona» (cosi' il Capo III  del  Titolo  IV
del codice penale militare di pace, nel quale e'  collocato),  l'art.
226 punisce con la reclusione militare (fino a quattro  mesi,  ovvero
fino a sei mesi se l'offesa consiste nell'attribuzione  di  un  fatto
determinato) il militare che offende l'onore o  il  decoro  di  altro
militare presente, sempre che il fatto non costituisca un piu'  grave
reato, in particolare (per quel  che  rileva  nelle  fattispecie  dei
giudizi a quibus) il reato di ingiuria a un inferiore (art. 196  cod.
pen. mil. pace). 
    Per  comune  consenso,   consolidato   attraverso   la   costante
giurisprudenza di legittimita', l'area di applicazione dell'art.  226
cod. pen. mil. pace riguarda, anzitutto, i casi nei quali l'ingiuria,
scambiata tra militari di grado  diverso,  avvenga  per  cause  e  in
circostanze estranee al servizio e  alla  disciplina  militare,  come
definite dall'art. 199 cod. pen. mil. pace.  Il  limite  negativo  di
applicazione   delle   fattispecie   dei   piu'   gravi   reati    di
insubordinazione con ingiuria (art. 189 cod. pen.  mil.  pace)  e  di
ingiuria a un inferiore (art. 196 cod.  pen.  mil.  pace)  si  ricava
appunto dall'art. 199  cod.  pen.  mil.  pace  (nel  testo  novellato
dall'art. 9 della legge 26 novembre 1985, n. 689, recante  «Modifiche
al codice penale militare di pace», quale risulta anche a seguito del
parziale intervento ablativo di questa Corte, operato con sentenza n.
22 del 1991), il quale stabilisce (per la parte qui rilevante) che le
norme relative (tra gli  altri)  ai  reati  di  insubordinazione  con
ingiuria e di ingiuria ad un inferiore non si applicano quando alcuno
dei fatti da esse previsti e' commesso per cause estranee al servizio
e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari  riuniti
per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo  di
una nave militare e di un aeromobile militare. 
    In sostanza, i fatti di ingiuria commessi tra militari  di  grado
diverso non integrano i reati di cui agli artt. 189 e 196  cod.  pen.
mil. pace allorche' risultino collegati in modo del tutto  estrinseco
all'area degli interessi  connessi  al  servizio  e  alla  disciplina
militare, ponendosi con questi in un rapporto di mera occasionalita'.
E, appunto, tali fatti,  non  essendo  qualificabili  come  offensivi
dello specifico interesse  della  disciplina  militare,  sono  invece
riconducibili al meno grave reato di ingiuria  di  cui  all'art.  226
cod. pen. mil. pace, che e' (innanzitutto) reato contro la persona. 
    L'art. 226 cod. pen. mil. pace copre anche, ovviamente,  i  fatti
d'ingiuria commessi tra militari di pari grado, quando in nessun modo
ricollegabili all'area degli interessi connessi al  servizio  e  alla
disciplina militare, ma - si osservi  -  e'  altresi'  applicabile  a
quelli, sempre commessi tra militari di  pari  grado,  che  del  bene
della  disciplina  militare  risultino  invece   offensivi,   perche'
collegati a cause non estranee al servizio  e  alla  disciplina  come
indicate  all'art.  199  cod.  pen.  mil.  pace.  Il  che  induce   a
sottolineare che il reato di cui all'art. 226 cod.  pen.  mil.  pace,
reato innanzitutto contro la persona, non e' estraneo all'area  degli
interessi ricollegabili al bene della disciplina militare. 
    5.- Cio' premesso, le questioni non sono fondate, con riferimento
ad entrambi i parametri costituzionali evocati. 
    5.1.- Le ordinanze di rimessione, come si e' detto, non  chiedono
la  caducazione  dell'intero  art.  226  cod.  pen.  mil.  pace.  Sul
presupposto, appena chiarito, che la disposizione  censurata  punisce
l'ingiuria tra militari di grado diverso se non  c'e'  attinenza  tra
fatti ingiuriosi e disciplina e servizio  militare,  esse  domandano,
invece, una pronuncia che ne dichiari l'illegittimita' costituzionale
nella parte in cui sottopone a sanzione  penale  condotte  del  tutto
estranee al servizio e  alla  disciplina  militare,  o  comunque  non
afferenti ad interessi delle Forze armate. E non ci si  puo'  esimere
dal rilevare, incidentalmente, che la manipolazione  cosi'  suggerita
risulterebbe di non poco momento, giacche' obbligherebbe questa Corte
a circoscrivere l'area di applicazione dell'art. 226 cod.  pen.  mil.
pace  attraverso  formule  uguali  o  analoghe  a  quella   contenuta
nell'art. 199 cod. pen. mil. pace, cosi' scegliendo,  tra  quelle  in
astratto  ipotizzabili,   una   delle   molte   soluzioni   -   nella
disponibilita' del legislatore - per selezionare interessi  non  piu'
meritevoli di tutela penale. 
    In  ogni  caso,  sottolineano  i  rimettenti  che   le   condotte
ingiuriose tuttora penalmente rilevanti per i militari, se  poste  in
essere da soggetti non appartenenti alle Forze armate, non sono  piu'
previste  dalla  legge  come  reato,  per  effetto   dell'abrogazione
dell'art. 594 cod. pen. (art. 1, lettera c, del d.lgs. n. 7 del 2016)
e della sua sostituzione, con efficacia anche  retroattiva  (art.  12
del citato d.lgs.), con il nuovo istituto della  sanzione  pecuniaria
civile, esplicitamente applicabile anche a colui che offende  l'onore
o il decoro di una persona presente (art. 4 del medesimo d.lgs.). 
    La lesione all'art. 3 Cost., secondo le ordinanze di  rimessione,
consisterebbe percio' nell'irragionevole  disparita'  di  trattamento
derivante dalla mancata estensione all'art. 226 cod. pen.  mil.  pace
(nella  parte  appena  precisata)  della  medesima   sorte   cui   il
legislatore ha scelto di sottoporre il "parallelo" reato di  ingiuria
di cui all'art. 594 cod. pen. 
    Quella all'art.  52  Cost.  (considerando  la  giurisprudenza  di
questa Corte richiamata, si intuisce trattarsi  del  terzo  comma  di
tale articolo, pur non esplicitamente citato  ne'  nelle  motivazioni
ne' nei dispositivi delle ordinanze) sarebbe dovuta  alla  prevalenza
delle  esigenze  dell'ordinamento  militare  (che   dovrebbe   essere
informato allo spirito democratico della Repubblica)  insita  in  una
previsione che stabilisce l'irrogazione della pena  della  reclusione
militare anche a fronte di condotte tenute in contesti che con l'area
degli interessi militari paiono privi di connessioni. 
    5.2.- Invero, e innanzitutto, la mancata ricomprensione dell'art.
226 cod. pen. mil. pace nell'ambito della abrogazione di reati che ha
coinvolto l'art. 594 cod. pen. ad opera del  d.lgs.  n.  7  del  2016
rientra sicuramente tra le scelte che il  legislatore  puo'  compiere
discrezionalmente,   incontrando   il    limite    della    manifesta
irragionevolezza. 
    Questa Corte ha stabilito che spetta al Parlamento  una  funzione
centrale tanto nella individuazione dei fatti da sottoporre a pena  e
delle sanzioni loro applicabili, quanto nella selezione delle materie
da depenalizzare (ex multis, sentenze n. 127 del 2017, n. 5 del 2014,
n. 364 del 2004; ordinanza  n.  212  del  2004).  Un  tale  principio
risulta, a maggior ragione, applicabile anche al caso ora  in  esame,
nel quale, in realta', la scelta di politica criminale  compiuta  non
ha determinato la  trasformazione  di  illeciti  penali  in  illeciti
amministrativi, ma - per la prima volta, e con innovazione  ben  piu'
radicale - ha trasferito determinate condotte dal campo  del  diritto
penale, e delle relative  sanzioni,  a  quello  del  diritto  civile,
attraverso la previsione di illeciti, i quali, se commessi con  dolo,
obbligano l'autore, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del
danno, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria  civile,  i  cui
proventi sono  destinati  al  bilancio  dello  Stato  secondo  quanto
previsto dall'art. 10 del d.lgs. n. 7 del 2016. 
    5.3.- E' vero, come osservano i rimettenti, che a  seguito  della
trasformazione dell'ingiuria "comune" da illecito penale  a  illecito
civile, l'ingiuria "militare" ex art. 226  cod.  pen.  mil.  pace  e'
divenuto reato esclusivamente militare, ai sensi  dell'art.  37  cod.
pen. mil. pace. Non puo' essere, tuttavia, considerata  irragionevole
la scelta legislativa di mantenere nell'area del penalmente rilevante
l'ingiuria tra militari, quand'anche i fatti ingiuriosi  si  rivelino
privi di un nesso con la disciplina  e  il  servizio  militare,  come
definito dall'art. 199 cod. pen. mil.  pace.  Cio'  sia  perche',  in
termini  generali,  ogni  eventuale  disparita'  di  trattamento  tra
militari e civili va ovviamente valutata alla  luce  della  peculiare
posizione del cittadino che entra (attualmente  per  propria  scelta)
nell'ordinamento militare, caratterizzato  da  specifiche  regole  ed
esigenze (ordinanze  n.  186  del  2001  e  n.  562  del  2000),  sia
soprattutto  perche',  con  riferimento  particolare   alla   censura
sollevata dai rimettenti, non risulta affatto  irragionevole  imporre
al militare una piu' rigorosa osservanza di regole di  comportamento,
anche relative al comune senso civico, quali  quella  di  non  recare
offesa all'onore o al decoro di altri soggetti inseriti nel  medesimo
ordinamento, continuando cosi' ad assistere con  sanzioni  penali  le
eventuali infrazioni a tali regole. 
    E' vero che le fattispecie di reato di cui all'art. 226 cod. pen.
mil. pace e all'abrogato art. 594 cod. pen. si distinguono  solo  per
la qualita' del soggetto attivo e della persona offesa (oltre che per
tipologia ed entita' della sanzione),  tuttavia  -  a  differenza  di
altre fattispecie oggetto di  scrutinio  da  parte  di  questa  Corte
(sentenze n. 286 del 2008, n. 272 del 1997, n. 448 del 1991, n. 4 del
1974) - e' proprio la  qualifica  militare  di  entrambi  i  soggetti
(colui che offende e colui  che  subisce  l'offesa)  a  rilevare  per
l'individuazione dei beni giuridici protetti dall'art. 226 cod.  pen.
mil. pace. Continuare a punire penalmente  l'ingiuria  tra  militari,
pur per  fatti  ingiuriosi  non  riconducibili  al  servizio  e  alla
disciplina militari, come definiti nell'art. 199 cod. pen. mil. pace,
risponde infatti, oltre che all'esigenza di tutela delle  persone  in
quanto  tali,  anche  all'obiettivo  di  tutelare  il   rapporto   di
disciplina inteso come insieme di regole  di  comportamento,  la  cui
osservanza e' strumentale alla coesione delle Forze armate e, dunque,
ad esigenze di funzionalita' delle stesse. 
    Peraltro, come mostrano anche le fattispecie per cui e'  giudizio
nei processi a quibus, la civile convivenza tra militari, soprattutto
(ma  non  solo)  nei  luoghi  militari,  costituisce  un  presupposto
essenziale  per   la   ricordata   coesione   delle   Forze   armate.
Considerazioni di fatto,  ma  non  del  tutto  indifferenti  ai  fini
dell'esito  di  questo  giudizio  di   legittimita'   costituzionale,
costringono inoltre  a  rilevare  sia  il  permanere  di  episodi  di
"nonnismo", pur dopo  l'eliminazione  della  leva  obbligatoria,  sia
l'insorgenza di ingiurie di natura sessista, a  seguito  dell'accesso
delle donne al servizio militare. 
    Proprio da questo punto di vista, e' importante osservare come  i
reati per i quali e' stabilita la pena della reclusione militare  non
superiore nel massimo a sei mesi - fra  i  quali  l'ingiuria  di  cui
all'art. 226 cod. pen. mil. pace - sono puniti non a querela,  bensi'
su richiesta del comandante di corpo, sulla base di  quanto  disposto
dall'art. 260 dello stesso codice. 
    La ratio di tale disposizione, ha  piu'  volte  osservato  questa
Corte, risiede nella opportunita'  di  attribuire  al  comandante  di
corpo una facolta' di  scelta  tra  l'adozione  di  provvedimenti  di
natura disciplinare e il ricorso  all'ordinaria  azione  penale,  sul
presupposto che vi siano casi in cui,  per  la  scarsa  gravita'  del
reato, l'esercizio incondizionato dell'azione penale puo' causare  al
decoro dell'istituzione  militare  un  pregiudizio  proporzionalmente
maggiore di quello prodotto dal reato stesso  (sentenze  n.  449  del
1991, n. 114 del 1982, n. 189 del 1976, n. 42 del 1975; ordinanze  n.
186 del 2001, n. 562 e n. 410 del 2000, n. 396 del 1996). 
    Si deve,  ora,  aggiungere  che  l'eventuale  accoglimento  delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate,  determinando
l'assorbimento delle vicende ingiuriose  nella  sfera  civilistica  e
"privata" dei  contendenti,  avrebbe  tra  i  suoi  non  trascurabili
effetti anche quello di impedire al comandante di corpo  di  chiedere
il procedimento penale,  a  tutela  di  una  vittima  (dell'ingiuria)
inserita  in  un  contesto  caratterizzato  da  rapporti  di   natura
gerarchica.  Un  accoglimento,  si  osservi,  che  potrebbe   persino
provocare   l'effetto   di    privare    il    suddetto    comandante
dell'opportunita' di avere contezza dei fatti  accaduti,  presupposto
per avviare almeno la (in quell'ipotesi residua) azione disciplinare. 
    5.4.-  Quanto  alla  censura  relativa  all'asserita   violazione
dell'art. 52 Cost. (e in particolare del suo terzo comma,  come  s'e'
detto), e' sufficiente osservare che  il  mantenimento  dell'ingiuria
tra militari nell'area del penalmente rilevante, pur quando  commessa
per cause estranee al servizio  o  alla  disciplina  militare,  trova
ragionevole fondamento nelle, appena ricordate, basilari esigenze  di
coesione dei corpi militari. Sotto questo profilo, tale soluzione non
trasmoda in un contrasto con lo spirito democratico cui va uniformato
l'ordinamento delle Forze armate (sentenza n. 45 del 1992 e ordinanza
n. 322 del 2013). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 226 del codice  penale  militare  di  pace,  sollevate,  in
riferimento agli  artt.  3  e  52  della  Costituzione,  dalla  Corte
militare d'appello di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA