N. 68 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 settembre 2017

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria l'8 settembre 2017 (della Provincia autonoma di Trento). 
 
Ambiente  -  Disposizioni  concernenti  la  valutazione  di   impatto
  ambientale di determinati progetti pubblici e privati -  Competenze
  in materia di VIA e  di  verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA  -
  Modalita'  di  svolgimento  del   procedimento   di   verifica   di
  assoggettabilita' a VIA - Provvedimento unico in materia ambientale
  per i procedimenti di VIA di competenza statale  -  Disciplina  del
  procedimento di  VIA  di  competenza  regionale  -  Modifiche  agli
  Allegati alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile  2006,
  n. 152 - Disposizioni transitorie e finali - Modifiche alla legge 7
  agosto 1990, n. 241 - Abrogazioni e modifiche. 
- Decreto legislativo  16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione  della
  direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
  aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE,  concernente  la
  valutazione  dell'impatto  ambientale   di   determinati   progetti
  pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14  della  legge  9
  luglio 2015, n. 114), intero testo  e,  in  particolare,  artt.  5,
  comma 1; 8; 16, commi 1 e 2; 22, commi da 1 a 4; 23, comma 4; 24; e
  26, comma 1, lett. a). 
(GU n.43 del 25-10-2017 )
    Ricorso della Provincia Autonoma di  Trento  (codice  fiscale  n.
00337460224), in  persona  del  presidente  pro  tempore  Ugo  Rossi,
autorizzato dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 1372  del
25 agosto 2017 (doc. 1), rappresentata  e  difesa,  come  da  procura
speciale del 31 agosto 2017, n. 28405 di repertorio (doc.  2)  rogata
dal dott. Guido  Baldessarelli,  Ufficiale  rogante  della  provincia
autonoma,  dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon   (codice   fiscale
FLCGDM45C06L736E, PEC  giandomenico.falcon@  ordineavvocatipadova.it)
di   Padova,   dall'avv.   Nicolo'   Pedrazzoli    (codice    fiscale
PDRNCL56R01G428C,     PEC     nicolo.pedrazzoli@pectrentoavvocati.it)
dell'Avvocatura della Provincia di Trento  e  dall'avv.  Luigi  Manzi
(codice           fiscale            MNZLGU34E15H501Y,            Pec
luigimanzi@ordineavvocatiroma.org) di Roma, con domicilio  eletto  in
Roma nello studio di questi in via Confalonieri, n.  5,  telefax  per
comunicazioni 06/3211370, contro  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  del
decreto  legislativo  16  giugno  2017,  n.  104,  «Attuazione  della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  16
aprile 2014, che modifica la  direttiva  2011/92/UE,  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio  2015,
n.  114»,  nella  sua  interezza  e  in  particolare  delle  seguenti
disposizioni: 
    art. 5, comma 1, in relazione ai commi 2, 3, 7, 8 e 9, del  nuovo
art. 7-bis, introdotto nel decreto legislativo n. 152 del 2006, se ed
in quanto riferibili alle Province autonome; 
    art. 8, che sostituisce l'art. 19 del decreto legislativo n.  152
del 2006, se  ed  in  quanto  questo  sia  riferibile  alle  Province
autonome; 
    art.  16,  comma  1,  che  sostituisce  l'art.  27  del   decreto
legislativo n. 152 del 2006; 
    art.  16  comma  2,  che  introduce  l'art.  27-bis  nel  decreto
legislativo n. 152 del 2006, se ed in quanto riferibile alle Province
autonome; 
    art. 22, che modifica gli allegati alla parte seconda del decreto
legislativo n. 152 del 2006, in relazione ai commi 1, 2, 3  e  4,  se
riferibili alle Province autonome; 
    art. 23, comma 4; 
    art. 24, che modifica l'art. 14 della legge n. 241 del  1990,  se
riferibile alle Province autonome; 
    art. 26, comma 1, lettera a), in quanto le abrogazioni  che  esso
reca negli  allegati  III  e  IV  della  parte  seconda  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006  siano  riferibili  anche  alle  province
autonome; 
 
                           per violazione 
 
    degli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione, anche in
riferimento alla violazione degli articoli 31, 32, e 41  della  legge
n. 234 del 2012 e alla violazione della legge 9 luglio 2015, n.  114,
e in particolare quanto all'oggetto della delega,  e  ai  principi  e
criteri direttivi, nonche' alle procedure previste dall'art. 1, comma
1; 
    dell'art. 8 (in particolare n. 1, n. 3, n. 5, n. 6, n. 11, n. 13,
n. 16, n. 17, n. 18, n. 20 e n. 21), dell'art. 9 (in  particolare  n.
3, n. 9 e n. 10) e dell'art. 16  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale),  nonche'  delle
relative norme di attuazione; 
    del decreto legislativo 16 marzo 1992,  n.  266,  in  particolare
degli articoli 2 e 4; 
    del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987,  n.
526, in particolare degli articoli 7 e 8; 
    del decreto del Presidente della Repubblica  22  marzo  1974,  n.
381, in particolare dell'art. 19-bis; 
    dell'art. 3, in combinato disposto con l'art. 97, dell'art.  117,
primo comma,  terzo  comma,  quarto  comma,  quinto  e  sesto  comma,
dell'art. 118 e dell'art. 120 della Costituzione, anche in  combinato
disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3; 
    del principio di leale collaborazione. 
 
                                Fatto 
 
    Nella Gazzetta Ufficiale del 6 luglio  2017,  n.  156,  e'  stato
pubblicato il decreto legislativo 16 giugno  2017,  n.  104,  recante
«Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo  e  del
Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva  2011/92/UE,
concernente la valutazione  dell'impatto  ambientale  di  determinati
progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli  1  e  14  della
legge 9 luglio 2015, n. 114», che modifica diverse  disposizioni  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,  «Norme  in  materia
ambientale». 
    Ovviamente la Provincia autonoma di Trento, che pure  ha  diretto
potere e dovere, in relazione alle proprie competenze, di attuare  le
direttive dell'Unione europea, non ha nulla da  obiettare  a  che  lo
Stato compia tempestivamente o gia' in ritardo (come per  vero  anche
in questo caso) il proprio dovere attuativo. 
    Il fatto e', tuttavia, che al di fuori di  qualunque  criterio  o
principio di delega il  Governo  ha  utilizzato  l'occasione  offerta
dall'emanazione del decreto delegato per compiere, in relazione  alle
Regioni e, ove cosi' debba essere inteso, alla ricorrente  provincia,
un'operazione di drastica riduzione delle loro competenze  sotto  due
distinti profili. 
    Da una parte, il decreto legislativo  sposta  una  rilevantissima
serie  di  procedure  di  valutazione  di  impatto  ambientale  dalla
competenza  regionale  (o,  nel  nostro   caso,   provinciale)   alla
competenza statale. Si noti che, benche' si parli di «valutazione  di
impatto ambientale», tali procedure comprendono in realta' in pratica
tutte le autorizzazioni connesse  all'opera  pubblica  (comprese,  ad
esempio,   quelle   agli   scarichi,   al   vincolo    idrogeologico,
paesaggistica, ecc.): si tratta  dunque  di  un'enorme  quantita'  di
competenze della ricorrente provincia che verrebbero assorbite  nella
procedura di VIA statale e dunque nella decisione ultima degli organi
statali. 
    Dall'altra parte,  anche  per  le  residue  opere  lasciate  alla
competenza della VIA regionale  (in  questo  caso,  provinciale),  la
liberta' della provincia autonoma di conservare la propria disciplina
viene praticamente ridotta a profili marginali, stante il vincolo che
viene posto a seguire il modello procedimentale statale, reso  semmai
ancor piu' rigido dal nuovo art. 27-bis del  decreto  legislativo  n.
152 del 2006. 
    Inoltre, neppure vengono rispettate le pur consolidate regole che
riguardano il rapporto tra ordinamento statale  e  ordinamento  delle
Province autonome, poste dalle norme di attuazione dello  Statuto  di
cui al decreto legislativo n. 266 del 1992. 
    Tutte queste censure verranno svolte nel presente ricorso con  la
necessaria analiticita': premeva tuttavia chiarirne  sin  dall'inizio
il senso e le ragioni generali. 
    Stante la complessita' delle disposizioni oggetto della  presente
impugnazione, l'illustrazione delle diverse norme sara'  compiuta  in
relazione ai singoli motivi di impugnazione, mentre qui di seguito si
sintetizza la struttura complessiva del ricorso. 
    Esso solleva, nel primo gruppo di motivi di censura (A),  i  vizi
di  legittimita'  costituzionale  che  colpiscono  l'intero   decreto
legislativo, per violazione del termine  di  esercizio  della  delega
(motivo I) e per violazione e per  abuso  del  procedimento  previsto
dalla delega, con l'effetto che l'atto risulta comunque  tardivamente
emanato (motivo II), nonche' i vizi che si riferiscono specificamente
alle norme del decreto legislativo che hanno radicalmente alterato il
consolidato assetto di competenze in materia di VIA,  in  assenza  di
principi e criteri direttivi in tal senso nella  delega  ed  anzi  in
contrasto con questi (motivo III). 
    Un secondo gruppo  di  censure,  raccolte  nella  sezione  B  del
ricorso, deduce la legittimita' costituzionale delle disposizioni che
pretendono di conformare di procedimenti  amministrativi  provinciali
in materia di VIA secondo il  rigido  modello  statale,  ignorando  -
oltre ai principi della delega e le regole  sul  rapporto  tra  fonti
statali e fonti provinciali - la competenza generale della  provincia
sull'organizzazione  dei  propri  procedimenti  amministrativi  e  le
competenze settoriali della  stessa,  comprensive  della  cura  degli
interessi ambientali, nonche'  il  potere  della  provincia  di  dare
attuazione alle direttive europee. 
    In questa  sezione  sono  quindi  impugnate  le  norme  contenute
nell'art. 5, comma 1, in relazione ai commi 7, 8 e 9, del nuovo  art.
7-bis, introdotto nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (motivo IV)
e l'art. 23, comma 4 (motivo V) che impongono doveri  di  adeguamento
incompatibili, sotto il profilo procedurale  e  sostanziale,  con  lo
statuto di autonomia della Province autonome, come  conformato  anche
dalle norme di attuazione e in particolare dal decreto legislativo n.
266 del 1992. 
    Nella medesima sezione sono poi  articolate  le  censure  portate
contro le norme richiamate da  quelle  che  impongono  il  contestato
dovere di adeguamento, in quanto si tratta di norme irragionevolmente
analitiche, non giustificate dalla finalita' della  delega  e  lesive
delle competenze provinciali (motivo VI). 
    Infine, l'ultima sezione  (C)  contiene  le  censure  svolte  nel
motivo VII contro l'art. 16, comma  1,  che  novella  l'art.  27  del
decreto legislativo n. 152 del  2006,  che  regola  il  provvedimento
unico in materia ambientale di  competenza  statale  con  secondo  lo
schema della conferenza di  servizi  con  modalita'  sincrona,  senza
pero' tenere conto della specifica posizione degli enti ad  autonomia
costituzionale  e  senza  garantire  in   modo   adeguato   la   loro
partecipazione, cosi' ledendo le competenze materiali della provincia
assorbite dal provvedimento unico. 
    La Provincia autonoma sottolinea fin d'ora che  essa  ritiene  di
essere  legittimata  a  far  valere  anche  l'ultima  censura   sopra
riassunta e articolata nel motivo VII, nonche'  i  vizi  del  decreto
legislativo  (tardivita',  eccesso  di  delega)   sostanziati   dalla
violazione di parametri estranei al riparto di competenze  tra  Stato
ed autonomie, e le altre censure che invocano parametri extra Statuto
e extra titolo V. 
    La ricorrente osserva, infatti, che  le  norme  recate  dall'atto
normativo impugnato - le quali vanno denunciate, in ogni  caso,  come
temporalmente  e   proceduralmente   (motivi   I   e   II),   nonche'
sostanzialmente (motivo III) fuori delega, oltre che irragionevoli  e
sproporzionate (motivo VI) o comunque  lesive  (VII)  -  incidono  su
diverse competenze provinciali. 
    A titolo di esempio, e rinviando ai successivi motivi  da  III  a
VII per l'ulteriore illustrazione della incidenza delle  disposizioni
oggetto di specifiche censure, si osserva che il decreto  legislativo
impugnato interviene in  vasti  ambiti  di  materia  che  lo  Statuto
speciale o l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,  in  combinazione
con l'art. 10 della legge cost. n. 3  del  2001,  attribuiscono  alla
potesta' legislativa e regolamentare delle Province autonome. 
    Lo Statuto, infatti, attribuisce alle province  autonome  in  via
esclusiva  la  potesta'  legislativa  e   la   correlativa   potesta'
amministrativa (art. 16 St.), in  un'ampia  gamma  di  materie  quali
«tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare»
(art. 8, n. 3, St.), «urbanistica e piani regolatori» (art. 8, n.  5,
St.), «tutela del paesaggio» (art. 8, n.  6,  St.),  «porti  lacuali»
(art. 8, n. 11, St.), «opere di prevenzione e di pronto soccorso  per
calamita' naturali» ed in altri termini, «protezione civile» (art. 8,
n. 13, St.), «alpicoltura e parchi per la protezione  della  flora  e
della fauna» (art. 8, n. 16, St.), «viabilita', acquedotti  e  lavori
pubblici  di  interesse  provinciale»   (art.   8,   n.   17,   St.),
«comunicazioni e trasporti di interesse provinciale» (art. 8, n.  18,
St.), «turismo  e  industria  alberghiera»  (art.  8,  n.  20,  St.),
«agricoltura, foreste e  corpo  forestale»  (art.  8,  n.  21,  St.),
«artigianato» (art. 8, n. 9, St.), «commercio» (art. 9, n. 3, St.,  e
art. 117, quarto comma, Cost., combinato con l'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001), nonche',  in  via  concorrente,  nella  materia
della «igiene e sanita'» (art. 9, n. 10 St.), ed  ora  «tutela  della
salute» (art. 117, terzo comma,  Cost.,  in  combinato  disposto  con
l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), e, ancora, nella  materia
della «utilizzazione delle acque pubbliche» (art. 9, n. 9, St.). 
    La  Provincia  autonoma  di  Trento  osserva  che  essa  ha  gia'
provveduto a disciplinare, nell'esercizio  effettivo  delle  potesta'
statutarie ad essa attribuite nelle varie materie sopra  individuate,
anche la valutazione d'impatto ambientale, con la  legge  provinciale
17 settembre 2013,  n.  19,  recante  «Disciplina  provinciale  della
valutazione dell'impatto ambientale. Modificazioni della legislazione
in materia di ambiente e territorio  e  della  legge  provinciale  15
maggio 2013, n.  9  (Ulteriori  interventi  a  sostegno  del  sistema
economico e delle famiglie)»  e  con  il  regolamento  di  esecuzione
emanato con decreto del Presidente della Provincia 20 luglio 2015, n.
9-23/Leg. La l. p. n. 19 del 2013 e' stata da ultimo  modificata  con
la l. p. n. 11 del 2016 e integrata con la deliberazione della Giunta
provinciale del 27 gennaio 2017, n. 96. 
 
                               Diritto 
 
A. Censure relative al rapporto tra la legge di delega e  il  decreto
legislativo delegato. 
    Un primo gruppo di tre censure si riferisce al  rapporto  tra  la
legge di delega e il decreto legislativo delegato. Le prime due  sono
radicali e investono, in realta', l'intero  decreto  legislativo,  in
quanto tardivo ed emanato con violazione  e  abuso  del  procedimento
previsto dalla delega. La  terza  si  riferisce  specificamente  alle
parti del decreto legislativo  che  -  in  assenza  di  indirizzi  di
delega, e anzi in contrasto con essi  -  sconvolgono  il  riparto  di
competenze tra lo Stato e le regioni. 
I. Illegittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo, per
tardivita' dell'esercizio della delega, con violazione degli artt. 76
e 77, primo comma, Cost. 
    La Provincia autonoma ritiene  che  il  decreto  legislativo  sia
stato emanato tardivamente rispetto al  termine  di  esercizio  della
delega e che quindi esso sia illegittimo per contrasto con l'art.  76
Cost. (in quanto e' stato violato il termine prescritto  dalla  legge
di delegazione), e con l'art.  77,  primo  comma,  Cost.  (in  quanto
l'adozione del decreto  legislativo  a  termine  scaduto  costituisce
violazione del divieto per il Governo di adottare atti con  forza  di
legge senza delegazione delle Camere, salvi i  casi  straordinari  di
necessita' e di urgenza che autorizzano l'adozione di decreti legge). 
    L'assunto e' fondato in base alle argomentazioni che seguono. 
    La formula di emanazione del  decreto  legislativo  dichiara  che
l'atto e' stato emanato dal Presidente della Repubblica il giorno  16
giugno 2017, ed e alla data di emanazione che si deve  far  capo  per
verificare la tempestivita' dell'esercizio della delega, come risulta
dall'art. 14, comma 2, della legge n. 400 del  1988  -  a  mente  del
quale «l'emanazione del decreto legislativo deve  avvenire  entro  il
termine fissato dalla legge di delegazione»  -  e  prima  ancora  dal
costante insegnamento di codesta Corte costituzionale,  come  risulta
dalla sentenza n. 91 del 1962, ove gia' si osserva che «questa  Corte
ha gia' dato risposta piu' di una volta nel senso che il dies ad quem
per l'esercizio, da parte  del  Governo,  delle  deleghe  legislative
conferitegli dal Parlamento ai sensi dell'art. 76 della  Costituzione
e' quello della emanazione» (in senso conforme  si  vedano  anche  le
successive sentenze nn. 39  del  1959  e  34  del  1960,  nonche'  la
sentenza n. 184 del 1981). Nel presente  caso  peraltro,  il  decreto
sarebbe tardivo, ad avviso della ricorrente Provincia autonoma, anche
se si guardasse alla deliberazione del decreto da parte del Consiglio
dei ministri, avvenuta nella riunione del  9  giugno  2017,  come  si
legge nel preambolo del decreto. 
    Il termine per l'esercizio della  delega,  fissato  dall'art.  1,
comma 2, della legge 9 luglio 2015, n. 114 «Delega al Governo per  il
recepimento delle direttive europee  e  l'attuazione  di  altri  atti
dell'Unione europea  -  Legge  di  delegazione  europea  2014»,  deve
infatti ritenersi scaduto in data il 16 gennaio 2017. 
    A tale conclusione deve pervenirsi in  quanto  tale  disposizione
della legge di delegazione non individua essa stessa il  termine  per
l'esercizio della delega, ma lo definisce per relationem,  stabilendo
che «i termini per l'esercizio delle deleghe di cui al comma  1  sono
individuati ai sensi dell'art. 31, comma 1, della legge  24  dicembre
2012, n. 234». E il disposto richiamato, a sua volta,  prescrive  che
«in relazione alle deleghe legislative  conferite  con  la  legge  di
delegazione europea per il recepimento delle  direttive,  il  Governo
adotta i  decreti  legislativi  entro  il  termine  di  quattro  mesi
antecedenti a  quello  di  recepimento  indicato  in  ciascuna  delle
direttive». 
    Ora, se si considera che  l'art.  2  della  direttiva  2014/52/UE
fissa il termine per il proprio recepimento al  16  maggio  2017,  la
delega e' scaduta quattro mesi prima di tale  data  e  dunque  al  16
gennaio 2017. 
    La  tardivita'  dell'emanazione  (e  dell'adozione)  del  decreto
legislativo e' dipesa, verosimilmente, dal fatto che  il  Governo  ha
calcolato il termine di esercizio della delega basandosi sul  vecchio
testo dell'art. 31, comma l, della legge n. 231 del 2012 (che fissava
il termine nei «due mesi antecedenti a quello di recepimento indicato
in ciascuna delle direttive»), senza  considerare  che  il  testo  e'
stato nel frattempo modificato dall'art. 29, comma 1, lett. b)  della
legge 29 luglio 2015, n. 115, «Disposizioni per  l'adempimento  degli
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea -
legge europea 2014», il quale  ha  rideterminato  i  termini  per  le
deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per
il recepimento delle direttive  -  e  dunque  anche  il  termine  per
l'esercizio della delega conferito dalla legge  n.  114  del  2015  -
fissandolo in «quattro  mesi  antecedenti  a  quello  di  recepimento
indicato in ciascuna delle direttive». 
    Ne' varrebbe affermare che al momento  della  entrata  in  vigore
della legge di delega n. 114 del 2015 la modifica dell'art. 31  della
legge n. 234 del 2012 non era ancora  vigente,  e  che  dunque  debba
applicarsi la normativa di rinvio nel vecchio testo,  senza  che  sia
rilevante la modifica subito dopo deliberata dal Parlamento. 
    Un simile argomento e' smentito dal fatto che il  rinvio  operato
dall'art. 1, comma 2, della legge di  delegazione  n.  114  del  2015
secondo il quale «i termini per l'esercizio delle deleghe di  cui  al
comma 1 sono individuati ai sensi dell'art. 31, comma 1, della  legge
24 dicembre 2012, n. 234», non  puo'  che  intendersi,  unitamente  a
tutti gli altri numerosi rinvii alla  stessa  fonte  contenuti  nella
legge di delega, in modo unitario e inscindibile, che come un  rinvio
alla fonte, comprensivo di tutte le  eventuali  successive  modifiche
che tale fonte dovesse includere. 
    Cosi', solo per individuare un altro fondamentale rinvio  operato
dalla legge n. 114 del 2015, si ricordera',  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 1, i principi e i criteri direttivi da  seguire  nell'esercizio
della delega sono quelli «di cui agli articoli 31 e 32 della legge 24
dicembre 2012, n. 234»: e certo nessuno vorra' dubitare che ove medio
tempore  fossero  intervenuti  mutamenti   in   tali   indirizzi   il
legislatore delegato avrebbe dovuto seguire i nuovi,  e  che  sarebbe
stato  completamente  illegittimo  rifarsi  ai  precedenti  non  piu'
vigenti. 
    Del  resto,  anche  in  altri  contesti  codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale ha avuto occasione di sottolineare che  il  rinvio  si
presume formale e mobile,  anziche'  materiale  o  recettizio,  e  si
ribadisce che  «il  rinvio  recettizio  e'  ravvisabile  solo  se  la
volonta' del legislatore di recepire  mediante  rinvio  sia  espressa
oppure sia desumibile da elementi univoci e  concludenti»  (cosi'  la
sentenza n. 258 del 2014, al punto 8): indirizzo che e' coerente, del
resto, con l'idea che l'ordinamento giuridico sia un insieme di norme
che ordinatamente si evolve, tanto  che  il  Governo,  nell'esercizio
delle delega puo' e deve «tenere in considerazione  i  mutamenti  del
quadro normativo,  entro  cui  viene  a  collocarsi  la  legislazione
delegata» (cosi Corte cost., sentenza n. 219 del 2013, punto 14.1). 
    Dunque, dovendosi  tenere  conto  dell'anticipo  del  termine  ai
quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna
delle direttive introdotto dall'art. 29,  comma  1,  lett.  b)  della
legge 29 luglio 2015, n. 115, il termine per l'esercizio della delega
e' venuto a scadenza, come sopra esposto, il 16 gennaio 2017. 
    Del  resto,  anche  ove,  differenziando  senza  alcun   appiglio
testuale i diversi  rinvii,  si  volesse  intendere  come  recettizio
proprio e solo il rinvio ai termini «individuati ai  sensi  dell'art.
31, comma  1»,  il  termine  per  l'esercizio  della  delega  sarebbe
comunque scaduto al 16 marzo  2017,  dal  momento  che  il  carattere
«secco» e recettizio del rinvio  al  comma  1  escluderebbe,  per  la
stessa ragione, di ammettere la possibilita' di proroga prevista  dal
successivo comma 3 dello stesso art.  31.  Cosi',  il  fatto  che  il
Governo abbia preteso - peraltro in sostanziale  abuso  della  legge,
come si argomentera' nel motivo II di ricorso  -  di  giovarsi  della
proroga del termine previsto dal comma 3,  significa  che  lo  stesso
Consiglio dei ministri ha  interpretato  il  rinvio  come  un  rinvio
dinamico, cioe' come un rinvio alla fonte e non come un  rinvio  alla
norma fissata una volta per tutte nel tempo. 
    In  ogni  modo,  la   conseguenza   e'   sempre   la   tardivita'
dell'esercizio della delega, in violazione degli  articoli  76  e  77
Cost. 
    Poiche' decreto delegato e', sotto i diversi profili  argomentati
nel presente ricorso, riduttivo delle competenze e delle  prerogative
della ricorrente Provincia autonoma,  la  violazione  degli  articoli
indicati ridonda (nella misura e nei limiti in cui questo accade)  in
lesione  dell'autonomia  provinciale.  In  proposito,  con  specifico
riferimento al rapporto tra delega e decreto legislativo delegato, si
veda a conferma, tra le molte, la sentenza n. 219 del 2013, al  punto
11,  in  cui  e'  affermata  l'ammissibilita'  delle  «questioni   di
carattere  generale  sollevate  con  riferimento  all'art.  76  della
Costituzione, e che investono i presupposti stessi della decretazione
delegata»,  stante  la  diretta  incidenza  delle   norme   impugnate
sull'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Regioni, «sicche'
e' palese, oltre  che  congruamente  motivata,  la  ridondanza  delle
violazioni prospettate sulla sfera di competenza propria del  sistema
regionale», oppure, nello stesso senso, la sentenza n. 303 del  2003,
al punto 35). 
    Di qui la legittimazione a far valere il vizio sopra indicato. 
II. In subordine: illegittimita' dell'intero decreto legislativo, per
violazione delle procedure  stabilite  dall'art.  1,  commi  1  e  3,
nonche' dall'art. 31, comma 3. Conseguente  violazione  dell'art.  76
Cost. e dell'art. 117, primo comma, Cost.  In  subordine,  violazione
del principio di leale collaborazione. 
    Al punto precedente si e' evidenziato come, sia che si  consideri
il rinvio che l'art. l, comma 2, della legge di  delegazione  n.  114
del 2015 all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del  2012  come  di
carattere formale  (e  dunque  dovendosi  considerare  le  successive
modifiche secondo la tesi che ad avviso della ricorrente Provincia e'
corretta), sia che lo si consideri di carattere recettizio  al  testo
della norma vigente alla data di entrata in  vigore  della  legge  di
delegazione e dunque considerando il termine per la delega fissato in
due mesi antecedenti alla scadenza  della  direttiva,  ai  sensi  del
testo originario dell'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del  2012,
il decreto legislativo e' in ogni caso  illegittimo  per  tardivita',
con violazione sia dell'art. 76 che dell'art. 77, primo comma, Cost. 
    Per ritenere emanato entro il termine il decreto  legislativo  n.
104 del 2017, infatti, non basta affermare, in base  ad  un  asserito
carattere   recettizio   del   rinvio,   che   sarebbe    irrilevante
l'anticipazione di esso introdotta dall'art. 29, comma  1,  lett.  b)
della legge 29 luglio 2015, n. 115, ma occorre anche  affermare  che,
nonostante  il  contestualmente  asserito  carattere  recettizio  del
rinvio, esso si rivolge non solo - come e' - al comma 1  della  legge
n. 234 del 2012, ma anche al comma 3,  che  in  determinati  casi  ne
consente la proroga. 
    Solo  in  questo  caso,   infatti,   l'emanazione   del   decreto
legislativo n. 104 del 2017 risulterebbe -  ma  solo  prima  facie  -
tempestiva,  in  forza  della  proroga  prevista   da   tale   comma.
Sennonche', come detto, l'estensione del rinvio al comma 3  dell'art.
31 risulta contraria al suo tenore letterale e in contraddizione  con
la supposta sua natura recettizia. 
    Anche in tale ipotesi, tuttavia, l'emanazione del decreto sarebbe
affetta da un vizio di procedura che  ne  determina  l'illegittimita'
sotto il profilo, per cosi' dire, di abuso  del  procedimento  e  per
violazione della delega sotto un diverso aspetto. 
    In subordine, pertanto, la Provincia autonoma svolge il  presente
motivo di impugnazione. 
    La ricorrente osserva che, interpretando il rinvio  dell'art.  1,
comma 2, della legge n. 114 del 2015 come rinvio fisso il termine per
l'esercizio della delega il termine sarebbe stato destinato a scadere
nei due mesi antecedenti il  termine  previsto  per  il  recepimento,
cioe' il 16 marzo 2017. 
    L'ultimo giorno utile per l'esercizio della delega, e  dunque  il
giorno entro il quale il decreto legislativo  avrebbe  dovuto  essere
emanato, il Governo - palesemente in ritardo - ha trasmesso lo schema
di decreto alle competenti commissioni parlamentari (atto del governo
sottoposto a parere parlamentare n. 401 reca la  dicitura  «trasmesso
alla Presidenza il 16 marzo  2017»)  evidentemente  al  fine  di  far
scattare il meccanismo di proroga di cui all'art. 31, comma 3,  terzo
periodo, della legge n. 234 del 2012, ove e' stabilito  che  «qualora
il termine per  l'espressione  del  parere  parlamentare  di  cui  al
presente comma ovvero i diversi termini previsti  dai  commi  4  e  9
scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza  dei  termini  di
delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi  sono
prorogati di tre mesi». 
    Cosi' facendo, tuttavia, esso ha violato la legge di delega sotto
un diverso profilo. 
    Infatti, l'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del  2015  prevede
che gli schemi  dei  decreti  legislativi  recanti  attuazione  delle
direttive elencate  nell'allegato  B  -  e  dunque  anche  quello  di
attuazione della direttiva 2014/52/UE  che  e'  indicata  al  n.  28)
dell'allegato B - «sono trasmessi, dopo l 'acquisizione  degli  altri
pareri previsti dalla legge, alla Camera dei  deputati  e  al  Senato
della Repubblica affinche' su di essi  sia  espresso  il  parere  dei
competenti organi parlamentari». 
    Analogamente, l'art. 31, comma 3, al  primo  periodo,  stabilisce
che la legge di delegazione europea indica le direttive in  relazione
alle quali sugli schemi dei decreti  legislativi  di  recepimento  e'
acquisito il parere delle competenti Commissioni  parlamentari  della
Camera dei  deputati  e  del  Senato  della  Repubblica;  al  secondo
periodo, aggiunge che «in tal caso gli schemi dei decreti legislativi
sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla
legge,  alla  Camera  dei  deputati  e  al  Senato  della  Repubblica
affinche'  su  di  essi  sia  espresso  il  parere  delle  competenti
Commissioni parlamentari». 
    In quel momento, dunque, il Governo,  che  non  lo  aveva  ancora
fatto, avrebbe dovuto provvedere ad acquisire  il  parere  non  delle
Commissioni  parlamentari,  ma,  in  particolare,  della   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano, previsto come obbligatorio dall'art.
2, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del  1997,  ai  sensi  del
quale  «la  Conferenza  Stato-regioni  obbligatoriamente  sentita  in
ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o  di
regolamento del Governo nelle materie di competenza delle  regioni  o
delle province autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro
venti giorni». Alla Conferenza Stato-regioni, infatti, lo  schema  di
decreto legislativo e'  stato  trasmesso  per  il  prescritto  parere
soltanto lo stesso 16 marzo 2017, con nota n. 3736  del  Dipartimento
affari generali e legislativi della Presidenza del Consiglio (come si
legge nella premessa parere della Conferenza Stato Regioni n.  61/CSR
del 4 maggio 2017). 
    In quel momento, dunque, esso non poteva  essere  trasmesso  alle
Commissioni parlamentari, non essendo stati ancora acquisiti -  e  in
sostanza neppure richiesti - i previ pareri necessari.  Dunque,  tale
trasmissione e' avvenuta in violazione delle procedure prescritte sia
dall'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015, sia dell'art.  31,
della legge  n.  232  del  2012,  la  cui  osservanza  e'  prescritta
dall'art. 1, comma 1, della legge di delegazione. 
    Tale inversione dell'ordine dei pareri costituisce anzitutto  una
diretta violazione della legge di delega n. 114 del 2015 -  dell'art.
1, comma 1, combinazione con il comma 3, e con l'art.  31,  comma  3,
della legge n. 234 del 2012 - e segnatamente di uno specifico  limite
che il Parlamento ha prescritto in via generale nella  legge  n.  232
del 2012 ed ha voluto puntualmente ribadire nella legge di delega per
l'attuazione della direttiva 2014/52/U.E. 
    In  secondo  luogo,  e'  evidente  che  tale  inversione  non  ha
carattere  accidentale,  ma  e'  meramente  strumentale  al  fine  di
ottenere, in violazione della legge di delega, la proroga del termine
in scadenza, eludendo sia il termine perentorio per l'esercizio della
delega sia il termine per il recepimento della direttiva, fissato  al
16 maggio 2017, con violazione, sotto questo  profilo,  dello  stesso
art. 117, primo comma, Cost. 
    In sostanza, il Governo si e' autoprorogato il termine, non nelle
circostanze previste dalla legge di delega (mancanza del solo  parere
delle Commissioni  parlamentari,  dopo  che  gli  altri  erano  stati
acquisiti), ma come mera copertura del proprio ritardo: ed e' davvero
ovvio escludere che cio' sia consentito (del resto sin dalla sentenza
n. 163 del 1963 codesta ecc.ma Corte ha espressamente escluso che  il
termine sia «prolungabile ad arbitrio  dell'organo  cui  e'  affidato
l'esercizio stesso»). 
    Sembra invece evidente  che  cio'  costituisce  violazione  delle
procedure previste dalla legge di delega, e che cio'  si  traduce  in
violazione dell'art. 76 Cost. 
    In questa situazione, dato il carattere  illegittimo  ed  elusivo
delle procedure seguite,  neppure  puo'  considerarsi  rispettato  il
termine per  l'esercizio  della  delega,  con  ulteriore  profilo  di
tardivita' dell'emanazione. 
    L'evidenza dei vizi sopra denunciati consente di proporre solo in
ulteriore subordine l'ulteriore censura di violazione  del  principio
costituzionale di leale collaborazione, sancito anche dall'art.  120,
secondo  comma,  Cost.,  realizzata  mediante  la  stessa  inversione
dell'ordine dei pareri. 
    Cio' consente comunque di osservare che tutte le violazioni sopra
indicate ridondano in lesione delle prerogative costituzionali  della
ricorrente Provincia, non solo in relazione al contenuto  lesivo  del
decreto legislativo, gia' sopra evidenziato, ma  anche  in  relazione
all'omissione della previa acquisizione del parere  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano. Essa ha  un  sicuro  riflesso  sulle
attribuzioni costituzionali degli enti autonomi e  quindi  su  quelle
Provincia autonoma di Trento incise dal decreto legislativo,  perche'
impedisce alle Camere di prendere cognizione  della  posizione  delle
regioni  e  delle  province  autonome  e  di  esprimersi  sulle  loro
osservazioni. Tale vizio, quindi, e' ex se lesivo  delle  prerogative
della Provincia ricorrente incise dal decreto legislativo, perche' la
regola per cui i pareri delle commissioni parlamentari sono  acquisti
dopo quello della Conferenza Stato-Regioni e' posta anche a  presidio
delle attribuzioni degli enti autonomi. Non e' quindi dubbio  che  la
ricorrente sia legittimata a fare valere tale violazione. 
III.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma   1,   che
introduce nel decreto legislativo n.  152  del  2006  il  nuovo  art.
7-bis, in relazione ai commi 2 e 3 di questo, dell'art. 22, commi  1,
2, 3 e 4, e dell'art. 26, comma 1, lett. a), del decreto  legislativo
n. 104 del 2017, tutti se ed  in  quanto  applicabili  alle  Province
autonome. 
    a. Oggetto e ragione dell'impugnazione. 
    La Provincia autonoma di Trento impugna l'art. 5,  comma  1,  che
introduce l'art. 7-bis nel decreto legislativo n. 152  del  2006,  in
relazione: 
      al comma 2, nella  parte  in  cui  esso  individua  i  progetti
sottoposti a VIA in sede statale  con  rinvio  all'allegato  II  alla
parte seconda del decreto  legislativo  n.  152  del  2006  e  quelli
sottoposti  a  verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA   con   rinvio
all'allegato II-bis alla parte seconda dello stesso decreto; 
      al comma 3, nella  parte  in  cui  esso  individua  i  progetti
sottoposti a VIA in sede regionale con rinvio  all'allegato  III  del
decreto   legislativo   e   quelli   sottoposti   a    verifica    di
assoggettabilita' a VIA in sede regionale con rinvio all'allegato  IV
alla parte seconda del decreto. 
    Contestualmente la Provincia autonoma impugna  anche  l'art.  22,
commi 1, 2, 3 e 4, che intervengono sul decreto  legislativo  n.  152
del 2006 modificandone gli allegati II (incrementando  le  competenze
dello Stato in materia  di  VIA:  comma  1),  introducono  l'allegato
II-bis  (che  elenca   i   progetti   soggetti   alla   verifica   di
assoggettabilita'  ambientale  di  competenza  statale:  comma  2)  e
riducono  le  competenze  degli  enti  autonomi  in  materia  di  VIA
(allegato III: comma 3) e di  verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA
(allegato IV: comma 4), e simmetricamente l'art. 26, comma  1,  lett.
a)  del  decreto  legislativo,  nella  parte  in   cui   dispone   le
corrispondenti abrogazioni nell'allegato III e nell'allegato IV  alla
parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006. 
    Per effetto di tali disposizioni una lunga serie di funzioni gia'
di competenza provinciale - anche per statuto, come si dira' subito -
sono state avocate alla competenza  dello  Stato.  Tali  disposizioni
sono impugnate nell'ipotesi che le norme da esse introdotte - che non
menzionano espressamente le Province autonome  -  debbano  intendersi
come applicabili anche alla Provincia autonoma di Trento. 
    In ordine a questo punto, si osserva che il  decreto  legislativo
n. 104 del 2017 non contiene alcuna clausola  di  salvaguardia  delle
competenze delle autonomie speciali, nonostante la richiesta  in  tal
senso formulata dalla  Conferenza  delle  Regioni  e  recepita  dalla
Conferenza Stato-regioni nel parere reso in  data  4  maggio  2017  e
nonostante i pareri delle  Commissioni  parlamentari  che  ugualmente
hanno sollecitato il Governo ad inserire nel decreto la  clausola  di
garanzia  (la  Commissione  affari  costituzionali  della  Camera  ha
ritenuto  necessaria   la   richiesta   al   Governo   per   ottenere
l'«inserimento nell'art. 23, comma 3, di una disposizione che,  ferma
restando la competenza statale, sia finalizzata  a  salvaguardare  le
condizioni di specialita' delle Regioni e delle Province autonome  di
Trento e Bolzano»; la Commissione ambiente della  stessa  Camera  dei
deputati ha espresso parere  favorevole  condizionato,  tra  l'altro,
all'inserimento  del  «seguente  articolo:  art.  28   (clausola   di
salvaguardia) - 1. Le disposizioni del presente decreto si  applicano
nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di  Trento
e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e  le  relative
norme di attuazione»; analoghe richieste sono  state  espresse  dalle
Commissioni del Senato). 
    Tuttavia, le disposizioni qui impugnate operano  con  la  tecnica
della novella e modificano allegati III e IV della parte seconda  del
decreto  legislativo  n.  152  del  2006  che  sono   rispettivamente
intitolati «Progetti di competenza delle  Regioni  e  delle  Province
autonome di Trento e di Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica
di assoggettabilita' di competenza delle  regioni  e  delle  province
autonome di Trento e di Bolzano». Inoltre, il nuovo art. 7-bis, comma
5,  del  decreto  legislativo  n.  152  del  2006  introdotto  sempre
dall'art. 5, comma 1, qui impugnato, precisa che «in sede  regionale,
l'autorita' competente e' la pubblica amministrazione con compiti  di
tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le
disposizioni delle leggi regionali o delle  province  autonome»  e  i
successivi commi 7, 8  e  9  del  medesimo  art.  7-bis  (oggetto  di
impugnazione nei successivi motivi  IV  e  V)  menzionano  ancora  le
province. 
    Questi dati normativi lasciano supporre che  le  norme  impugnate
pretendano di applicarsi anche alla Provincia di Trento. 
     b. Trasferimenti di competenza specificamente individuati. 
    Fermo  rimanendo  che  la  Provincia  contesta  la   legittimita'
dell'intera operazione di spostamento di funzioni, si  segnalano  qui
quelli che essa ha specificamente individuato. L'art. 5, comma 1, del
decreto legislativo 104 del 2017 introduce l'art. 7-bis  nel  decreto
legislativo n. 152 del 2006, stabilendo quanto segue: 
      "1. Dopo l'art. 7 del decreto legislativo  3  aprile  2006,  n.
152, e' inserito il seguente: 
    «Art. 7-bis (Competenze in  materia  di  VIA  e  di  verifica  di
assoggettabilita' a VIA). - 1. La verifica di assoggettabilita' a VIA
e la VIA vengono effettuate ai diversi livelli istituzionali, tenendo
conto dell'esigenza  di  razionalizzare  i  procedimenti  ed  evitare
duplicazioni nelle valutazioni. 
    2. Sono sottoposti a VIA  in  sede  statale  i  progetti  di  cui
all'allegato  II  alla  parte  seconda  del  presente  decreto.  Sono
sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA in  sede  statale  i
progetti di cui all'allegato II-bis alla parte seconda  del  presente
decreto. 
    3. Sono sottoposti a VIA in sede regionale,  i  progetti  di  cui
all'allegato III  alla  parte  seconda  del  presente  decreto.  Sono
sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA in sede regionale  i
progetti di cui all'allegato  IV  alla  parte  seconda  del  presente
decreto. 
    L'art. 22, comma 1, del  decreto  legislativo  n.  104  del  2017
prevede infatti quanto segue (in corsivo  le  disposizioni  che  sono
oggetto di specifica contestazione): 
    "1. All'allegato II alla parte seconda del decreto legislativo  3
aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni: 
      a) al punto 2), sono aggiunti, infine, i seguenti sottopunti: 
        «impianti termici per la  produzione  di  energia  elettrica,
vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a  150
MW; 
        impianti eolici per la produzione di energia elettrica  sulla
terraferma con potenza complessiva superiore a 30 MW.»; 
      b) al  punto  4-bis)  le  parole:  «facenti  parte  della  rete
elettrica di trasmissione nazionale» sono abrogate; 
      c) il punto 7) e' sostituito dai seguenti: 
        «7)  perforazione  di  pozzi  finalizzati  alla   ricerca   e
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma  e  in
mare; 
        7.1) coltivazione di idrocarburi  liquidi  e  gassosi,  sulla
terraferma e in mare, per un quantitativo estratto  superiore  a  500
tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 m³ al giorno per  il
gas naturale; 
        7.2) rilievi geofisici attraverso l'uso della tecnica  airgun
o esplosivo.»; 
      d) il punto 7-quater) e' sostituito dal seguente: 
        «7-quater) impianti geotermici  pilota  di  cui  all'art.  1,
comma 3-bis, del decreto legislativo  11  febbraio  2010,  n.  22,  e
successive modificazioni, nonche' attivita' di ricerca e coltivazione
di risorse geotermiche in mare.»; 
      e) dopo il punto 7-quater e' inserito il seguente: 
        «7-quinquies)  attivita'  di  ricerca  e  coltivazione  delle
seguenti sostanze minerali: minerali utilizzabili per l'estrazione di
metalli, metalloidi e loro composti; 
        grafite, combustibili solidi, rocce asfaltiche e bituminose; 
        sostanze radioattive.»; 
      f) il punto 8 e' sostituito dal seguente: 
        «8) Stoccaggio: 
          di  petrolio,  prodotti  chimici,  prodotti  petroliferi  e
prodotti petrolchimici con capacita' complessiva superiore  a  40.000
m³; 
          superficiale di gas naturali con una capacita'  complessiva
superiore a 40.000 m³; 
          sotterraneo artificiale di gas combustibili in serbatoi con
una capacita' complessiva superiore a 80.000 m³; 
          di prodotti di gas di petrolio liquefatto e di gas naturale
liquefatto con capacita' complessiva superiore a 20.000 m³; 
          di prodotti combustibili solidi con  capacita'  complessiva
superiore a 150.000 tonnellate.»; 
      g) il punto 9 e' sostituito dal seguente: 
        «9) Condutture di diametro superiore a 800 mm e di  lunghezza
superiore a 40 km per  il  trasporto  di  gas,  petrolio  e  prodotti
chimici e per il trasporto dei flussi di biossido di  carbonio  (CO²)
ai fini dello stoccaggio geologico, comprese le relative stazioni  di
spinta»; 
      h) al punto 10), il secondo e terzo sottopunto sono  sostituiti
dai seguenti: 
    «autostrade e strade extraurbane principali; 
    strade extraurbane a quattro  o  piu'  corsie  o  adeguamento  di
strade extraurbane esistenti a due corsie per renderle  a  quattro  o
piu' corsie, con una lunghezza ininterrotta di almeno 10 km;»; 
      i) al punto 11, primo periodo, dopo la parola  «tonnellate»  e'
inserito il seguente periodo: 
        «, nonche' porti con funzione turistica e da  diporto  quando
lo specchio d'acqua e' superiore  a  10  ettari  o  le  aree  esterne
interessate superano i 5 ettari  oppure  i  moli  sono  di  lunghezza
superiore ai 500 metri»; 
      l) al punto 17-bis, dopo la parola: «allegato» sono inserite le
seguenti: «e nell'allegato III al presente decreto». 
    2. Dopo l'allegato II alla parte seconda del decreto  legislativo
3 aprile 2006, n. 152, e' inserito il seguente: 
      «Allegato II-Bis 
        Progetti sottoposti alla  verifica  di  assoggettabilita'  di
competenza statale 
    1. Industria energetica ed estrattiva: 
      a) impianti termici per la  produzione  di  energia  elettrica,
vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore  a  50
MW; 
      b) installazioni di oleodotti e gasdotti e  condutture  per  il
trasporto di  flussi  di  CO²  ai  fini  dello  stoccaggio  geologico
superiori a 20 km; 
      c) impianti per la cattura di  flussi  di  CO²  provenienti  da
impianti che non rientrano  negli  allegati  II  e  III  al  presente
decreto ai fini  dello  stoccaggio  geologico  a  norma  del  decreto
legislativo 14 settembre 2011, n. 162, e successive modificazioni; 
      d) elettrodotti aerei  esterni  per  il  trasporto  di  energia
elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di
lunghezza superiore a 3 Km. 
    2. Progetti di infrastrutture: 
      a) interporti, piattaforme intermodali e terminali intermodali; 
      b) porti e impianti portuali  marittimi,  fluviali  e  lacuali,
compresi i porti con funzione peschereccia, vie navigabili; 
      c) strade extraurbane secondarie di interesse nazionale; 
      d) acquedotti con una lunghezza superiore ai 20 km; 
      e) aeroporti (progetti non compresi nell'allegato II); 
      f) porti  con  funzione  turistica  e  da  diporto,  quando  lo
specchio d'acqua e' inferiore o uguale a 10 ettari, le  aree  esterne
interessate non superano i 5  ettari  e  i  moli  sono  di  lunghezza
inferiore o uguale a 500 metri; 
      g)  coltivazione  di  idrocarburi  liquidi  e  gassosi,   sulla
terraferma e in  mare,  per  un  quantitativo  estratto  fino  a  500
tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 m³ al giorno per  il
gas naturale; 
      h) modifiche o estensioni di progetti di cui all'allegato II, o
al presente allegato  gia'  autorizzati,  realizzati  o  in  fase  di
realizzazione,  che  possono  avere   notevoli   impatti   ambientali
significativi  e  negativi  (modifica  o   estensione   non   inclusa
nell'allegato II).» 
    3. All'allegato III alla parte seconda del decreto legislativo  3
aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni: 
      a) il punto c-bis) e' sostituito dal seguente: 
        «c-bis)  Impianti  eolici  per  la  produzione   di   energia
elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 1  MW,
qualora disposto all'esito della verifica di assoggettabilita' di cui
all'art. 19»; 
      b) il punto af-bis) e' sostituito dal seguente: 
        «af-bis) strade urbane di scorrimento; 
    All'allegato IV alla parte  seconda  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni: 
      a) al punto 1, la lettera e), e' sostituita dalla seguente: 
        «e)  impianti  di  piscicoltura  intensiva   per   superficie
complessiva oltre i 5 ettari;»; 
      b) il punto 2, e' sostituito dal seguente: 
        «2. Industria energetica ed estrattiva: 
          a) attivita' di ricerca  sulla  terraferma  delle  sostanze
minerali di miniera di cui all'art. 2, comma 2, del regio decreto  29
luglio 1927,  n.  1443,  ivi  comprese  le  risorse  geotermiche  con
esclusione degli impianti geotermici pilota di cui all'art. 1,  comma
3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e  successive
modificazioni, incluse le relative attivita' minerarie; 
          b) impianti industriali non termici per  la  produzione  di
energia, vapore ed acqua calda con potenza complessiva superiore a  1
MW; 
          c) impianti industriali  per  il  trasporto  del  vapore  e
dell'acqua  calda,  che  alimentano  condotte   con   una   lunghezza
complessiva superiore ai 20 km; 
          d) impianti eolici per la produzione di  energia  elettrica
sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 1 MW; 
          e) estrazione  di  sostanze  minerali  di  miniera  di  cui
all'art. 2, comma 2, del regio  decreto  29  luglio  1927,  n.  1443,
mediante dragaggio marino e fluviale; 
          f) agglomerazione industriale di carbon fossile e lignite; 
          g) impianti di superficie dell'industria di  estrazione  di
carbon fossile e di minerali metallici nonche' di scisti bituminose; 
          h) impianti per la produzione di energia idroelettrica  con
potenza nominale di concessione superiore a 100  kW  e,  per  i  soli
impianti idroelettrici che rientrano nella casistica di cui  all'art.
166 del presente decreto ed all'art. 4, punto 3.b,  lettera  i),  del
decreto del Ministro dello sviluppo  economico  del  6  luglio  2012,
pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale  n.  159
del 10 luglio 2012, con potenza nominale di concessione  superiore  a
250 kW; 
          i) impianti di gassificazione e liquefazione del carbone;»; 
      c) al punto 7 la lettera h) e' sostituita dalla seguente: 
        «h) strade extraurbane secondarie non comprese  nell'allegato
II-bis e strade urbane con lunghezza  superiore  a  1.500  metri  non
comprese nell'allegato III;». 
    Corrispondentemente, l'art. 26, comma 1, lett. a), stabilisce che
dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le
seguenti disposizioni: 
      a) il comma 2 dell'art. 4; i commi 3 e 4 dell'art. 7;  i  commi
1-bis, 1-ter e 2 dell'art. 10; i commi 1 e 2 dell'art. 34;  il  punto
4-ter dell'allegato II alla parte seconda; le lettere c), h), h-bis),
l), z) ed ab) dell'allegato III alla parte seconda; i pun 7.e), 7.f),
7.g), 7.m), 7.p), 7.q) e 7.z) dell'allegato IV alla parte seconda del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. 
    L'effetto combinato di tali disposizioni  e'  quello  di  avocare
allo  Stato  la  competenza   sulla   VIA   e   sulla   verifica   di
assoggettabilita' a VIA in ordine  a  progetti  che  rientrano  nella
sicura  competenza  legislativa  ed  amministrativa  (art.  16  dello
Statuto) della Provincia autonoma ed in particolare  quelli  relativi
a: 
      impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore
e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW; 
      impianti eolici per la produzione di  energia  elettrica  sulla
terraferma con potenza complessiva superiore a 30 MW; 
      elettrodotti aerei per il trasporto di  energia  elettrica  con
tensione nominale superiore a 100 kV e  con  tracciato  di  lunghezza
superiore  a  10  Km,  che  nella  normativa  previgente   ricadevano
nell'ambito di competenza statale solo se «facenti parte  della  rete
elettrica di trasmissione nazionale»; 
      stoccaggio di petrolio, prodotti chimici, prodotti  petroliferi
e prodotti petrolchimici con capacita' complessiva superiore a 40.000
m³; 
      sotterraneo artificiale di gas combustibili in serbatoi con una
capacita' complessiva superiore a 80.000 m³; 
      strade extraurbane principali (definite dal Codice della strada
all'art. 2); rientravano nell'ambito di competenza statale, anche nel
testo previgente, le autostrade, nonche'  le  strade  riservate  alla
circolazione automobilistica  o  tratti  di  esse,  accessibili  solo
attraverso svincoli o intersezioni controllate  e  sulle  quali  sono
vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli e le strade a
quattro o piu' corsie o raddrizzamento  e/o  allargamento  di  strade
esistenti a due corsie al massimo  per  renderle  a  quattro  o  piu'
corsie, sempre che la nuova strada o il tratto di strada  raddrizzato
e/o allargato abbia una lunghezza ininterrotta di almeno 10 km; 
      porti con funzione turistica e da diporto  quando  lo  specchio
d'acqua e' superiore a  10  ettari  o  le  aree  esterne  interessate
superano i 5 ettari oppure i moli sono di lunghezza superiore ai  500
metri; 
      tutti gli impianti per la cattura di flussi di CO², provenienti
anche da impianti che nel testo previgente rientravano  nell'allegato
III e quindi nell'ambito di competenza regionale; 
      impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore
e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW; 
      installazioni di oleodotti  e  gasdotti  e  condutture  per  il
trasporto di  flussi  di  CO²  ai  fini  dello  stoccaggio  geologico
superiori a 20 km; 
      elettrodotti  aerei  esterni  per  il  trasporto   di   energia
elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di
lunghezza superiore a 3 Km; 
      interporti, piattaforme intermodali e terminali intermodali; 
    porti (non turistici) e impianti portuali marittimi,  fluviali  e
lacuali, compresi i porti con funzione peschereccia, vie navigabili; 
    strade extraurbane secondarie (definite dal Codice  della  strada
all'art. 2) «di interesse nazionale» (in precedenza, invece, tutte le
strade extraurbane secondarie erano soggette a screening regionale  e
pertanto  resterebbero   alla   competenza   regionale   quelle   non
qualificabili di «interesse nazionale»); 
    acquedotti con una lunghezza superiore ai 20 km; 
    aeroporti (progetti non compresi nell'allegato II); 
    porti con funzione turistica e da  diporto,  quando  lo  specchio
d'acqua  e'  inferiore  o  uguale  a  10  ettari,  le  aree   esterne
interessate non superano i 5  ettari  e  i  moli  sono  di  lunghezza
inferiore o uguale a 500 metri; 
    modifiche o estensioni di progetti di  cui  agli  allegati  II  e
II-bis gia' autorizzati, realizzati o in fase di  realizzazione,  che
possono avere notevoli impatti ambientali significativi e negativi. 
     c. Impatto sulle competenze provinciali e profili di censura. 
    Trattasi di progetti che rientrano nelle  materie  di  competenza
della Provincia, quali 
      la  produzione,  trasporto  e  distribuzione  dell'energia,  di
competenza concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., combinato con
l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, per  quanto  riguarda  gli
impianti di produzione della energia, gli elettrodotti, lo stoccaggio
di combustibile; 
      i porti lacuali, di competenza primaria art. 8, n.  11),  dello
Statuto; e piu' in generale i porti, di  competenza  concorrente,  ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. e dell'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001: il turismo, di competenza primaria ex art. 8, n.
20), dello Statuto, o se piu' favorevole di competenza residuale,  ai
sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. e dell'art. 10  della  legge
cost. n. 3 del 2001, per quanto riguarda i progetti in materia  porti
con funzione turistica e da diporto e di porti non turistici; 
      la «viabilita',  acquedotti  e  lavori  pubblici  di  interesse
provinciale»  e  le   «comunicazioni   e   trasporti   di   interesse
provinciale», di potesta' primaria ai sensi dell'art. 8, numeri 17) e
18) dello statuto, per  le  strade  extraurbane  secondarie,  le  vie
navigabili, gli interporti e piattaforme e terminali intermodali, gli
acquedotti di lunghezza superiore ai 20 km; 
      le miniere e cave, ai sensi dell'art. 8, n. 14 per  i  progetti
relativi alle attivita' estrattive; 
      gli aeroporti, di competenza  concorrente  ai  sensi  dell'art.
117, terzo comma, Cost., in combinazione con l'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001. 
    Tali progetti intersecano inoltre le  competenze  provinciali  in
materia di «urbanistica e piani regolatori»  (art.  8,  n.  5,  dello
Statuto) e di «tutela del paesaggio» (art. 8, n. 6, dello Statuto), e
proprio per i profili che attengono  alla  VIA  e  alla  verifica  di
assoggettabilita' a VIA, i titoli sui quali si radica  la  competenza
della Provincia autonoma in materia di ambiente, e dunque, oltre alle
materie appena citate quelle in punto di «opere di prevenzione  e  di
pronto soccorso  per  calamita'  naturali»  (art.  8,  n.  13,  dello
Statuto) - in altri termini di «protezione civile», di «alpicoltura e
parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8,  n.  16,
dello Statuto), «agricoltura, foreste e corpo forestale» (art. 8,  n.
21, dello Statuto) e di «igiene e sanita'»  (art.  9,  n.  10,  dello
Statuto), ora di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.,
in combinato disposto con l'art. 10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3) e di «utilizzazione delle acque pubbliche»  (art.
9, numero 9, dello Statuto). 
    Nell'ambito di queste materie, le  competenze  amministrative,  e
quindi  anche  quelle  in  materia  di   VIA   e   di   verifica   di
assoggettabilita', sono di  spettanza  dalle  province  autonome,  ai
sensi dell'art. 16 dello Statuto (il comma 1 stabilisce infatti nelle
materie e nei limiti entro cui la regione o la Provincia puo' emanare
norme  legislative,  le   relative   potesta'   amministrative   sono
esercitate rispettivamente dalla regione e dalla Provincia). 
    Cio' premesso, si espongono di seguito i vizi  di  illegittimita'
costituzionale che ad avviso della ricorrente Provincia affliggono le
norme impugnate. 
III.1. Violazione dell'art. 76 Cost. ed  eccesso  di  delega,  stante
l'assenza nella delega di un  principio  che  autorizzi  l'avocazione
allo Stato di una serie di funzioni gia' esercitate dalle  Regioni  e
dalla  province  autonome  e  per  violazione  dei  principi  dettati
nell'art. 32 della legge n. 234 del 2012. 
    L' avocazione allo Stato di una larghissima serie  di  competenze
gia' esercitate dalle Regioni e dalle province  autonome  costituisce
un   dirompente   intervento   nell'ordinamento   delle    competenze
istituzionali. Esso e' avvenuto non solo senza che alcuna norma della
legge di delega - o della direttiva - autorizzasse il Governo  ad  un
simile appropriazione di competenza,  ma  in  quadro  di  principi  e
criteri direttivi che escludevano un simile compito o obiettivo. 
    E'  costante  l'insegnamento  di  codesta  Corte   costituzionale
secondo il quale l'introduzione di norme aventi contenuto  innovativo
rispetto alla  disciplina  previgente  necessita  la  indicazione  di
principi e di criteri direttivi idonei  a  circoscrivere  le  diverse
scelte   discrezionali   dell'esecutivo,   mentre   tale    specifica
indicazione  puo'  anche  mancare  allorche'  le  nuove  disposizioni
abbiano carattere di sostanziale conferma delle precedenti (cosi', ad
esempio, tra le molte, la sentenze n. 350  del  2007  e  n.  162  del
2012). In altri termini, tanto piu' innovativa e' la norma  contenuta
nel decreto legislativo, tanto piu' denso deve  essere  il  principio
della  legge  di  delega  che  regge  la  norma  delegata,  anche  in
considerazione del  carattere  comunque  derogatorio  della  funzione
normativa delegata rispetto all'ordine normale delle  competenze  (in
tal senso la sentenza n. 171 del 2007, punto 3). 
    Cio' vale in generale. Ma si consideri che il decreto legislativo
n. 152 del 2006, oggetto delle modifiche introdotte  con  il  decreto
legislativo n. 104 del 2017, era stato  emanato  sulla  base  di  una
delega che espressamente prevedeva, tra l'altro, il  rispetto  «delle
attribuzioni delle regioni e degli  enti  locali,  come  definite  ai
sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n.
59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112»  e  il  rispetto
del principio di sussidiarieta', e che inoltre faceva «salve le norme
statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a  statuto
speciale e delle Province autonome di Trento  e  di  Bolzano»  (cosi'
l'art. 1, comma 8, della 1. 15 dicembre 2004, n. 308). 
    Il decreto legislativo n. 112 del 1998  disciplinava  la  materia
all'art. 71, riservando allo  Stato  (in  relazione  alle  Regioni  a
statuto ordinario, le seguenti opere e  impianti:  «a)  le  opere  ed
impianti il cui impatto ambientale investe piu' regioni; b) le  opere
e infrastrutture  di  rilievo  internazionale  e  nazionale;  c)  gli
impianti industriali di particolare e rilevante impatto; d) le  opere
la cui autorizzazione e' di competenza dello Stato» (comma 1). 
    Si consideri dunque che il riparto delle competenze tra lo  Stato
e le Regioni (e in questo  quadro  tra  lo  Stato  e  la  particolare
autonomia della ricorrente Provincia) tocca un elemento  fondamentale
del rapporto tra gli enti che  compongono  la  Repubblica,  ai  sensi
dell'art. 114 della Costituzione. Sembra evidente che, in assenza  di
un diverso indirizzo parlamentare, tali aspetti non  dovevano  e  non
potevano essere toccati. 
    Ma, come detto, nel presente caso, invece, non  solo  manca  ogni
principio in proposito, ma la delega e' stata conferita  ad  un  fine
circoscritto e limitato, che e'  quello  di  recepire  una  direttiva
europea  che  nulla  dice  in  punto  di  competenze,  visto  che  il
Considerando 37 prende atto diverse «strutture  istituzionali»  degli
Stati membri, autorizzandoli a  «designare  piu'  autorita'»  per  le
competenze in materia di VIA. 
    Anche la ratio della delega non offre dunque sostegno alle  norme
qui censurate. 
    Al contrario, l'analisi del compito affidato  dimostra  che  esso
non comprendeva alcun intervento sui rapporti di  competenza  tra  lo
Stato e le Regioni. Esso, infatti, non  puo'  ritenersi  compreso  in
alcuno degli oggetti della delega, quali fissati nell'art.  14  della
legge n. 114 del 2015: non nella «semplificazione,  armonizzazione  e
razionalizzazione  delle  procedure   di   valutazione   di   impatto
ambientale» (lett. a), non nel «rafforzamento  della  qualita'  della
procedura di valutazione di impatto ambientale» (lett. b), non  nella
«revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio»  (lett.  c)
ne'  nella  «destinazione  dei  proventi  derivanti  dalle   sanzioni
amministrative  per  finalita'  connesse   al   potenziamento   delle
attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio  ambientale,  alla
verifica del rispetto delle condizioni previste nel  procedimento  di
valutazione  ambientale,  nonche'  alla  protezione  sanitaria  della
popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali» (lett. d). 
    Appare  evidente  l'intento  del  legislatore  delegante  di  non
mettere  affatto   in   questione   il   riparto   delle   competenze
istituzionali. Dovevano invece,  al  contrario,  essere  osservati  i
criteri generali stabiliti dall'art. 32,  comma  1,  lett.  g)  della
legge  n.  234  del  2012,  che  impongono,  quando  si   verifichino
sovrapposizioni  di  competenze  tra  amministrazioni   diverse,   il
«rispetto   dei   principi   di   sussidiarieta',   differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze  delle  regioni  e
degli altri enti territoriali». 
    Di qui l'illegittimita'  per  aver  operato  senza  delega  e  in
violazione dei contenuti stabiliti per il decreto delegato. 
III.2. Violazione dell'art. 8 (in particolare n. 1, n. 3, n. 5, n. 6,
n. 11, n. 13, n. 14, n. 16, n. 17, n. 18, n. 20 e n. 21), dell'art. 9
(in particolare n. 3, n. 9 e n. 10) e dell'art. 16  dello  Statuto  e
degli artt. 117, terzo e quarto, Cost., in combinazione con l'art. 10
della legge cost. n. 3 del  2001.  Violazione  dell'art.  118,  primo
comma,  Cost.   Eccesso   di   delega,   per   mancanza   di   intesa
costituzionalmente necessaria. 
    Sul  piano  sostanziale,  inoltre,  la  sottrazione  di  funzioni
investe  competenze  amministrative  che  spettano   alla   Provincia
autonoma per Statuto o per Costituzione, come si e' illustrato sopra. 
    Le  prime  non  possono  essere  oggetto  di  una   chiamata   in
sussidiarieta', vigendo per esse il  principio  del  parallelismo  ai
sensi dell'art. 16 dello Statuto. 
    Le seconde possono essere attratte a livello statale, sussistendo
i presupposti per la chiamata in sussidiarieta' precisati da  codesta
Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  303  del  2003  e   nella
giurisprudenza costituzionale successiva. 
    Nessuno dei presupposti, ne' sostanziale ne' procedurale, ricorre
pero' nel presente caso. 
    Si  osserva,  anzitutto,  che  l'apprezzamento   delle   esigenze
unitarie compiuto dal decreto legislativo non e' ne' ragionevole, ne'
proporzionato, dal momento che l'intestazione allo Stato riguarda  un
numero elevatissimo di funzioni che secondo la  legislazione  vigente
erano gia' esercitate dalle Regioni e dalle province autonome. 
    Fermo rimanendo che  l'onere  di  provare  la  sussistenza  delle
esigenze unitarie grava sulla Presidenza del  Consiglio,  trattandosi
di  giustificare  una  scelta  derogatoria  rispetto  all'ordine   di
attribuzione sancito dall'art. 118, primo comma, Cost. e  oggetto  di
«scrutinio stretto di costituzionalita'» (cosi' la  sentenza  n.  303
del 2003, al punto  2.2),  si  evidenzia  (i)  che  l'assenza  di  un
interesse e' stata concordemente affermata  da  parte  regionale  nel
parere reso in sede di Conferenza  permanente;  (ii)  che  la  stessa
legislazione statale aveva gia' sancito  un  generale  riparto  delle
funzioni negli allegati II-IV del  decreto  legislativo  n.  152  del
2006, riparto che viene ora stravolto dalle norme qui impugnate, come
sopra illustrato. 
    Manca poi il requisito dell'accordo con le  Autonomie  regionali,
se si considera che  l'attrazione  in  sussidiarieta'  non  e'  stata
preceduta da intesa con le Regioni  e  le  province  autonome,  e  in
particolare in presenza di un dissenso formalmente manifestato  dalla
Provincia autonoma di Trento. 
    Tale circostanza induce ad evidenziare, oltre alla violazione del
principio di leale di collaborazione, anche un vizio  di  eccesso  di
delega, se  si  considera  che  nel  presente  caso  la  delega  deve
ritenersi integrata  da  un  limite  implicito  -  costituzionalmente
condizionato - che impone l'acquisizione dell'intesa, secondo  quanto
ritenuto da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 251
del 2016 per il  caso  di  intreccio  di  competenze  non  risolubile
mediante il criterio  di  prevalenza  e  come  gia'  affermato  dalla
sentenza  n.  303  del  2003  al  punto  2.2  per  la   chiamata   in
sussidiarieta', in cui si sancisce che la valutazione  dell'interesse
pubblico sottostante all'assunzione di funzioni  regionali  da  parte
dello Stato deve essere «oggetto  di  un  accordo  stipulato  con  la
Regione interessata». 
    Di  qui  l'illegittimita'  della  sottrazione  delle   competenze
provinciali, anche sotto l'indicato profilo. 
B.  Censure  relative  alle  restrizioni  introdotte  alle   potesta'
legislativa provinciale nella conformazione del procedimento di via e
alle modalita' di adeguamento alla normativa statale. 
    Con un secondo gruppo di censure la Provincia autonoma di  Trento
contesta  la  legittimita'  costituzionale  delle  disposizioni   che
pretendono di conformare i procedimenti amministrativi provinciali in
materia di VIA secondo il  dettagliatissimo  modello  che  lo  stesso
decreto legislativo impone,  senza  considerare:  (i)  la  competenza
della   Provincia   sull'organizzazione   dei   propri   procedimenti
amministrativi; (ii) le  competenze  materiali  della  Provincia  nei
diversi settori in cui incide la disciplina  di  VIA,  nonche'  nella
generale materia dei lavori pubblici provinciali,  comprensiva  della
cura degli interessi ambientali; (iii) la competenza della  Provincia
in materia di attuazione delle direttive  europee;  (iv)  gli  stessi
principi della legge di delega. 
    La Provincia contesta altresi' la norma che impone un adeguamento
in termini incompatibili, nei tempi  e  nei  modi,  con  le  garanzie
offerte dalle norme  di  attuazione  statutarie  recate  dal  decreto
legislativo n. 266 del 1992,  che  regolano  in  rapporti  tra  fonti
statali e fonti provinciali. 
    In tale prospettiva, la Provincia impugna: 
      gli articoli 5, comma 1; 8; 16 comma 2,  nelle  parti  in  cui,
modificando il decreto legislativo n. 152 del  2006,  rispettivamente
introducono in esso: i commi 7 e 8, nonche' il comma 9, 
      dell'art. 7-bis (art. 5, comma 1); l'art. 19 (art.  8);  l'art.
27-bis (art. 16, comma 2); 
      l'art. 23, comma 4, che prevede  l'adeguamento  delle  province
autonome al decreto legislativo 104 del 2017; 
      l'art. 24, che modifica l'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n.
241, recante la disciplina organica del procedimento amministrativo. 
IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1,  nella  parte
in cui introduce i commi 7,  8  e  9,  dell'art.  7-bis  del  decreto
legislativo n. 152 del 2016. 
    I commi 7 ed 8 dell'art. 7-bis, introdotto dall'art. 5, comma  1,
qui impugnato in parte qua, impongono alle Regioni e, per quanto  qui
interessa, alle province autonome un  obbligo  di  conformazione  nei
termini che seguono: 
      «7.  Qualora  un  progetto  sia  sottoposto   a   verifica   di
assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e
le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano che le  procedure
siano svolte in conformita' agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a 29
del presente decreto. Il procedimento di VIA di competenza  regionale
si svolge con le modalita' di cui all'art. 27-bis. 8. Le Regioni e le
Province autonome di Trento e di  Bolzano  disciplinano  con  proprie
leggi o regolamenti l'organizzazione  e  le  modalita'  di  esercizio
delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia  di  VIA,
nonche' l'eventuale  conferimento  di  tali  funzioni  o  di  compiti
specifici agli altri enti  territoriali  sub-regionali.  La  potesta'
normativa di cui al presente comma e' esercitata in conformita'  alla
legislazione europea e nel rispetto di quanto previsto  nel  presente
decreto, fatto salvo il potere di  stabilire  regole  particolari  ed
ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per  le  modalita'
della consultazione del pubblico  e  di  tutti  i  soggetti  pubblici
potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti  e
delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la
destinazione alle finalita' di cui all'art. 29, comma 8, dei proventi
derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.
In ogni caso non sono derogabili i termini procedimentali massimi  di
cui agli articoli 19 e 27-bis». 
    Il nuovo comma 9 si rivolge  anch'esso  alle  province  autonome,
facendole destinatarie di oneri di comunicazione che presuppongono la
loro soggezione alla disciplina introdotta  dai  commi  precedenti  e
l'applicabilita' ad esse delle modifiche agli  allegati  II,  II-bis,
III e IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 («a decorrere dal 31
dicembre 2017, e con cadenza  biennale,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano informano il Ministero  dell'ambiente
e della tutela del  territorio  e  del  mare  circa  i  provvedimenti
adottati e i procedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA e di
VIA, fornendo: a) il numero di progetti di cui agli allegati III e IV
sottoposti  ad  una  valutazione  dell'impatto  ambientale;   b)   la
ripartizione delle valutazioni  dell'impatto  ambientale  secondo  le
categorie dei progetti di cui agli allegati III e IV; c) il numero di
progetti  di  cui  all'allegato   IV   sottoposti   a   verifica   di
assoggettabilita' a VIA;  d)  la  durata  media  delle  procedure  di
valutazione dell'impatto ambientale; e) stime generali dei costi medi
diretti delle valutazioni dell'impatto ambientale, incluse  le  stime
degli effetti  sulle  piccole  e  medie  imprese»).  Il  comma  9  e'
impugnato quindi non in relazione agli obblighi  di  comunicazione  -
meramente informativi - che esso prescrive, bensi' nei limiti in  cui
esso rende applicabile alla Provincia autonoma l'intero art. 7-bis  e
l'operazione  di  modifica  degli  allegati  effettuata  dal  decreto
legislativo n. 104 del 2017 con  le  norme  impugnate  al  precedente
motivo III, al quale per questo profilo si rinvia integralmente. 
    Il neointrodotto comma 7, al primo periodo,  impone  dunque  alla
Provincia autonoma di regolare le proprie  procedute  in  materia  di
verifica di assoggettabilita' a VIA o di VIA in conformita' a  quanto
dispongono gli articoli da 19 a 26 e dal  27-bis  a  29  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006 (ovviamente come modificato). 
    Le  norme  richiamate   -   tutte   di   estremo   dettaglio   ed
autopplicative  (e  contestate  sotto  questo   profilo   nel   punto
successivo, nella denegata ipotesi  che  l'obbligo  di  conformazione
fosse ritenuto legittimo) - regolano le «modalita' di svolgimento del
procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA»  (art.  19),  la
«definizione del livello di dettaglio degli elaborati progettuali  ai
fini  del  procedimento  di  VIA»  (art.  20),  la  «definizione  dei
contenuti dello studio di impatto ambientale» (art.  21,  in  realta'
dedicato ancora  alla  definizione  del  livello  di  dettaglio),  lo
«studio di impatto  ambientale»  (art.  22,  ove  in  realta'  se  ne
definiscono i contenuti), la «presentazione dell'istanza,  avvio  del
procedimento di  VIA  e  pubblicazione  degli  atti»  (art.  23),  la
«consultazione del pubblico, acquisizione dei pareri e  consultazioni
transfrontaliere» (art. 24), la «inchiesta pubblica»  (art.  24-bis),
la «valutazione degli impatti  ambientali  e  provvedimento  di  VIA»
(art. 25), la «integrazione  del  provvedimento  di  VIA  negli  atti
autorizzatori» (art.  26),  il  «provvedimento  autorizzatorio  unico
regionale» (art. 27-bis), il «monitoraggio» (art. 28) e  il  «sistema
sanzionatorio» (art. 29). 
    Al secondo periodo la disposizione del comma 7 rende  vincolante,
in tutti i suoi aspetti (e dunque nei  termini,  nelle  modalita'  di
istruttorie e  nella  forma  decisoria)  la  disciplina  statale  del
procedimento di VIA di competenza regionale,  nei  termini  stabiliti
dall'art. 27-bis, contestualmente introdotto dall'art. 16,  comma  2,
dello stesso decreto legislativo n. 104 del 2017. 
    Il  comma  8  dell'art.  7-bis  ribadisce  questi   obblighi   di
conformazione, vincolando la capacita' delle regioni e delle province
autonome di regolare «l'organizzazione e le  modalita'  di  esercizio
delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia  di  VIA»
(nonche' «l'eventuale conferimento di  tali  funzioni  o  di  compiti
specifici agli  altri  enti  territoriali  sub-regionali»)  non  solo
all'ovvia conformita' alla direttiva, ma anche al «rispetto di quanto
previsto  nel  presente  decreto»,  con  la  sola   possibilita'   di
introdurre  stabilire  regole  particolari  ed   ulteriori   per   la
semplificazione   dei   procedimenti,   per   le   modalita'    della
consultazione,  per  il  coordinamento  dei  provvedimenti  e   delle
autorizzazioni  di  competenza  regionale  e   locale,   e   per   la
destinazione dei proventi derivanti dall'applicazione delle  sanzioni
amministrative pecuniarie alle finalita' ambientali. 
    Il comma 9 dell'art. 7-bis conferma che la disciplina si  rivolge
anche alla province autonome ed e' dunque contestato limitatamente  a
questo effetto. 
    Gli  oggetti   cosi'   disciplinati   dal   legislatore   statale
costituiscono materia che la Provincia autonoma  di  Trento  ha  gia'
organicamente  regolato,  nell'esercizio  della   propria   autonomia
legislativa, mediante la legge provinciale 17 settembre 2013, n.  19,
«Disciplina provinciale della  valutazione  dell'impatto  ambientale.
Modificazioni della legislazione in materia di ambiente e  territorio
e della legge provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori  interventi
a sostegno del sistema economico  e  delle  famiglie)»,  con  cui  la
Provincia autonoma ha  dato  esecuzione  alla  direttiva  2011/92/UE,
concernente la valutazione dell'impatto ambientale. 
    Del resto, la competenza della Provincia sulla  VIA  non  e'  mai
stata contestata, nemmeno  dal  legislatore  statale,  visto  che  il
decreto legislativo n. 152 del 2006 reca una  specifica  clausola  di
salvaguardia nell'art. 35, comma 2-bis, a mente del quale «le regioni
a statuto speciale  e  le  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano
provvedono alle finalita' del presente decreto ai sensi dei  relativi
statuti»  proprio  a  chiusura  della  parte  seconda   del   decreto
legislativo n.  152  del  2006  intitolate  alle  «procedure  per  la
valutazione  ambientale  strategica   (vas),   per   la   valutazione
dell'impatto  ambientale  (via)  e  per  l'autorizzazione   integrata
ambientale (ippc)». E' gia' stato notato sopra che tale  salvaguardia
era espressamente richiesta dall'art. 1,  comma  8,  della  legge  di
delega n. 308 del 2004. 
    Ora, tale clausola deve essere ritenuta operante, se si considera
che le norme qui impugnate  sono  introdotte  con  la  tecnica  della
novella nel corpo del titolo III  della  parte  seconda  del  decreto
legislativo n. 152  del  2006  e  dunque  in  una  sezione  dell'atto
normativo in cui le competenze provinciali sono  garantite  dall'art.
35, comma 2-bis. 
    Sennonche' le disposizioni  qui  contestate  sono  esplicite  nel
rivolgersi alle province autonome (salvo che l'art. 16, comma 2,  che
introduce l'art. 27-bis, il quale non le menziona mai), e manca,  nel
decreto  legislativo  n.  104  del  2017,  l'ulteriore  clausola   di
salvaguardia sollecitata sia dalla Conferenza permanente  nel  parere
del  4  maggio  2017  sia  dal  Parlamento  nei  pareri  resi   dalle
commissioni parlamentari di Camera e Senato al Governo. 
    La Provincia ritiene che l'obbligo,  sancito  dalle  disposizioni
impugnate, di adeguamento a norme redatte con un  simile  livello  di
analiticita' sia incostituzionale per i  motivi  che  di  seguito  si
espongono. 
4.1. Violazione dell'art. 8 (in particolare n. 1, n. 3, n. 5,  n.  6,
n. 11, n. 13, n. 16, n. 17, n. 18, n. 20 e n. 21);  dell'art.  9  (in
particolare n. 3, n.  9  e  n.  10,  dell'art.  16  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  31  agosto  1972,  n.   670,   Statuto
speciale),  nonche'  delle  relative  norme  di   attuazione   e   in
particolare  dell'art.  19-bis  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 381 del 1974; dell'art. 117, terzo e quarto  comma,  in
combinazione con l'art. 10  della  legge  cost.  n.  3  del  2001,  e
dell'art. 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica  n.  381
del 1974. 
    Violato e', anzitutto, l'art. 8,  comma  1,  dello  statuto,  che
assegna una generale potesta' primaria  di  auto-organizzazione  alla
Provincia autonoma, comprensiva sia  della  disciplina  generale  dei
procedimenti amministrativi provinciali (v. la legge  provinciale  30
novembre  1992,  n.  23,  «Principi  per  la  democratizzazione,   la
semplificazione  e  la   partecipazione   all'azione   amministrativa
provinciale e norme in materia di procedimento amministrativo»,  piu'
volte modificata ed aggiornata), sia del procedimento di  valutazione
di impatto ambientale. 
    La competenza  della  Provincia  in  materia  di  disciplina  del
procedimento di VIA, infatti, e' indubitabile, essendo  non  solo  da
tempo e costantemente praticata (v. la legge  provinciale  29  agosto
1988, n. 28, «Disciplina della valutazione dell'impatto ambientale  e
ulteriori norme di tutela dell'ambiente», poi sostituita  dalla  gia'
citata  la  legge  provinciale  17  settembre  2013,   n.   19),   ma
espressamente  riconosciuta  dalla  normativa  di  attuazione   dello
Statuto speciale e precisamente  dall'art.  19-bis  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  22  marzo  1974,  n.  381,  «Norme  di
attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto  Adige
in materia di urbanistica ed opere pubbliche», aggiunto  dall'art.  8
del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463, Ai  sensi  di  tale
decreto, persino per le  opere  soltanto  delegate  dallo  Stato,  le
Province di Trento  e  di  Bolzano,  per  il  rispettivo  territorio,
applicano la normativa provinciale in materia di organizzazione degli
uffici,  di  contabilita',  di  attivita'  contrattuale,  di   lavori
pubblici e di valutazione di impatto ambientale». 
    E' evidente che le norme di attuazione  stataria  riconoscono  lo
spazio per la legislazione provinciale in materia di VIA per funzioni
delegate, tale spazio ci sara', a fortiori, per le  funzioni  proprie
delle provincie, che ad essa spettano in forza  degli  arti.  8  e  9
dello Statuto e dell'art.  117,  terzo  e  quarto  comma,  Cost.,  in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    Si evidenzia, quindi, anche la violazione  dell'art.  19-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 e delle
singole competenze materiali  in  cui  ricadano  i  singoli  progetti
sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilita', come  ad  esempio
le competenze primarie sulla «tutela e conservazione  del  patrimonio
storico, artistico e popolare» (art. 8, n. 3,  St.),  «urbanistica  e
piani regolatori» (art. 8, n. 5, St.), «tutela del  paesaggio  «(art.
8, n. 6, St.), «porti lacuali»  (art.  8,  n.  11,  St.),  «opere  di
prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali» ed in  altri
termini, «protezione civile» (art. 8, n.  13,  St.),  «alpicoltura  e
parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8,  n.  16,
St.),  «viabilita',  acquedotti  e  lavori  pubblici   di   interesse
provinciale» (art. 8, n. 17,  St.),  «comunicazioni  e  trasporti  di
interesse  provinciale»  (art.  8,  n.  18,  «turismo   e   industria
alberghiera» (art. 8, n. 20,  St.),  «agricoltura,  foreste  e  corpo
forestale» (art. 8, n. 21, St.), «artigianato» (art. 8, n.  9,  St.),
«commercio» (art. 9, n. 3, St., in combinato disposto con l'art.  117
della Costituzione e con l'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3), e quelle concorrenti nella materia della «igiene
e sanita'» (art. 9, n. 10, St.), oggi «tutela della salute» ai  sensi
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  nonche'  la   lesione   della
corrispondente autonomia amministrativa garantita dall'art. 16  dello
Statuto. 
    Si  precisa  che,  almeno  per  quanto  riguarda  le   competenze
statutarie, queste non possono dirsi incise dalla competenza  statale
in materia di ambiente ex art. 117, secondo comma, lett.  s),  Cost.,
essendo tale incisione preclusa  dalla  clausola  di  maggior  favore
sancita dall'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    Si richiama, in proposito, la sentenza n. 233 del  2013,  ripresa
dalla successiva sentenza n. 51 del 2016,  relativa  alla  competenza
della Provincia autonoma di Trento  in  materia  di  sistema  idrico,
competenza che si radica nello statuto, e che configura un sistema di
attribuzioni il quale - nelle parole di codesta ecc.ma Corte -  "«non
e' stat[o] sostituit[o] dalla competenza  esclusiva  dello  Stato  in
materia di tutela della concorrenza e  di  tutela  dell'ambiente»,  a
seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione,
considerato  che  «la  suddetta  riforma,  in  forza  del   principio
ricavabile dall'art. 10 della legge costituzionale 18  ottobre  2001,
n. 3, non  restringe  la  sfera  di  autonomia  gia'  spettante  alla
Provincia autonoma» (sentenza n. 357 del 2010)». Se talora si leggono
nella giurisprudenza espressioni che possono suggerire il  contrario,
e' evidente che esse non possono essere intese come la negazione  del
fondamentale principio di «non  restrizione»  stabilito  dalla  legge
costituzionale, ma come espressione abbreviata di un  limite  interno
della competenza provinciale, che dovrebbe  per  vero  semmai  essere
analiticamente individuato. 
4.2. Violazione dell'art. 117, quinto comma, Cost.,  e  120,  secondo
comma, Cost., come attuato dalla legge n. 232 del 2012, e dell'art. 7
della decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987. 
    La Provincia  autonoma  dispone  del  potere  di  dare  immediata
attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie nelle materie
di competenza esclusiva - salvo adeguarsi, nei limiti previsti  dallo
statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti  atti
comunitari - fin dall'entrata in vigore dell'art. 7 del  decreto  del
Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526,  di  attuazione
dello Statuto, potere che e' stato esteso alle materie di  competenza
concorrente dall'art. 9, commi 1 e 2, della legge 9  marzo  1989,  n.
86. 
    Tale potere e' previsto in via  generale  dell'art.  117,  quinto
comma, Cost., la cui legge di attuazione - la legge 24 dicembre  2012
n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla
formazione  e  all'attuazione  della  normativa  e  delle   politiche
dell'Unione europea» - tiene peraltro ferme, per le regioni a statuto
speciale e per le province autonome, «quanto previsto nei  rispettivi
statuti speciali e nelle relative norme di attuazione» (art. 59). 
    Il potere della.  Provincia  autonoma  di  dare  esecuzione  alle
direttive europee e' sempre stato riconosciuto da codesta Corte anche
quando erano coinvolti profili di tutela ambientale (come ad  esempio
per la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, relativa alla conservazione
degli habitat naturali e seminaturali e della  flora  e  della  fauna
selvatica), fin dalla sentenza n. 425 del 1999. 
    Ora, nel presente caso le  norme  richiamate  dalle  disposizioni
impugnate vengono  a  sovrapporsi  e  a  condizionare  la  disciplina
provinciale, recando una disciplina che  non  ha  i  caratteri  della
suppletivita'  e  della  cedevolezza  richiesti  per   la   eventuale
finalita' sostitutiva dall'art. 41, comma 1, della legge n.  234  del
2012 (ai sensi del quale «i provvedimenti di  attuazione  degli  atti
dell'Unione europea possono essere adottati dallo Stato nelle materie
di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome  al
fine di porre rimedio all'eventuale inerzia  dei  suddetti  enti  nel
dare attuazione ad atti dell'Unione europea» e «si applicano, per  le
regioni e per le province autonome nelle  quali  non  sia  ancora  in
vigore  la  relativa  normativa  di  attuazione,  a  decorrere  dalla
scadenza del termine  stabilito  per  l'attuazione  della  rispettiva
normativa dell'Unione europea e perdono comunque efficacia dalla data
di entrata in vigore dei  provvedimenti  di  attuazione  di  ciascuna
regione e Provincia autonoma», recando «l'esplicita indicazione della
natura sostitutiva del potere esercitato  e  del  carattere  cedevole
delle disposizioni in  essi  contenute»);  ne'  esse  possono  essere
avvalorate come «limiti statutari», che possano vincolare le potesta'
della Provincia autonoma chiamata ad attuare la direttiva. 
    Di qui la violazione dell'art. 117, quinto comma, e 120,  secondo
comma, Cost., nonche' dell'art. 7 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 526 del 1987. 
4.3.  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e  difetto   di
proporzionalita', con violazione degli artt. 3 e 97 Cost. 
    Costringendo   la    Provincia    ad    uniformarsi    a    norme
dettagliatissime,  le  norme  impugnate  sono  incompatibili  con  il
principio di ragionevolezza e sproporzionate, perche' costringono  la
legislazione regionale e provinciale ad un grado di  uniformita'  che
e' eccessivo rispetto al fine attuare la direttiva europea e che  non
consente alle autonomie speciali di tenere conto  delle  peculiarita'
istituzionali,  organizzative  e  territoriali,  salvo  che   per   i
limitatissimi profili considerati dall'art. 7-bis, comma 8. 
    Per questa ragione la prescrizione di un  modello  procedimentale
unitario  ridonda  poi  in  una  violazione  del  principio  di  buon
andamento della amministrazione, sancito dall'art. 97, secondo comma,
Cost., violazione che si evidenzia anche sotto il diverso profilo che
sarebbe irrazionale - e fonte di cattiva amministrazione - consentire
una legislazione locale se questa deve essere meramente  riproduttiva
di quella nazionale. 
    Convergono ad illustrare la sussistenza dei vizi  qui  denunciati
le seguenti circostanze  gia'  ricordate  nel  ricorso:  (i)  che  la
precedente  versione  del  decreto  legislativo  n.  152   del   2006
consentisse margini di variazione ben piu' ampi: (ii) che  le  stesse
Camere, nel chiedere l'introduzione della  clausola  di  salvaguardia
per le autonomie speciali, abbia ritenuto insussistente la necessita'
di una disciplina unitaria; (iii)  che  la  normativa  di  attuazione
statutaria prevede una disciplina provinciale della VIA; (iv) che  la
direttiva attuata non esige affatto un unico livello di  regolazione;
(v) che infine neppure nei principi di  delega  di  cui  all'art.  14
della legge n. 114 del 2005 si parla  mai  di  «uniformita'»,  bensi'
soltanto di  «armonizzazione»,  tipica  espressione  allusiva  ad  un
elevato  grado  di  liberta'  autonomia  degli  ulteriori  poteri  di
normazione (vi  e'  qui  dunque  anche  violazione  dei  principi  di
delega). 
    La Provincia autonoma e' legittimata a fare valere la  violazione
dei predetti principi costituzionali in  ragione  del  fatto  che  il
vizio ridonda  sulle  competenze  provinciali,  comprimendo  in  modo
eccessivo  la  liberta'  di  conformazione  dei  procedimenti,  nelle
materie  di  competenza  statutaria  gia'  ampiamente  descritte  nel
presente ricorso (come ad esempio i lavori pubblici,  la  viabilita',
gli acquedotti, urbanistica, porti lacuali,  trasporti  di  interesse
provinciale),   ed   incidendo   sulla    corrispondente    autonomia
amministrativa (art. 16 dello Statuto). 
 V. In subordine al punto precedente.  Illegittimita'  costituzionale
delle  disposizioni  nelle  quali  viene  stabilita   la   necessaria
conformazione,  in  particolare  dell'art.  8,  nella  parte  in  cui
introduce l'art. 19 e dell'art. 16,  comma  2,  nella  parte  in  cui
introduce l'art. 27-bis. Violazione degli  artt.  8,  9  e  16  dello
statuto, nonche' degli artt. 117,  quinto  comma,  1  e  20,  secondo
comma, Cost., e  dell'art.  7  della  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  526  del  1987.   Contrasto   con   i   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e  buon  andamento.  Violazione  dei
principi di delega. Illegittimita' dell'art. 24, ove applicabile alla
ricorrente Provincia, anche per violazione dell'art.  2  del  decreto
legislativo n. 266 del 1992. 
    Ove  codesta  Corte  costituzionale  accogliesse   le   questioni
prospettate nel  precedente  motivo  IV  la  Provincia  autonoma  non
sarebbe tenuta all'adeguamento agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a
29 del decreto legislativo n. 152 del 2006, se non nei limiti di  cui
allo Statuto. 
    Per la denegata ipotesi, invece, la Provincia contesta l'art.  8,
nella parte in cui introduce l'art. 19 nel decreto legislativo n. 152
del 2006, e l'art. 16, comma 2, nella parte in cui  introduce  l'art.
27-bis. 
    Il nuovo art.  19,  infatti,  reca  una  disciplina  estremamente
analitica  del  svolgimento   del   procedimento   di   verifica   di
assoggettabilita' a VIA, dalle modalita' di trasmissione dello studio
preliminare alle modalita' di  pubblicazione,  alla  istruttoria,  ai
termini del procedimento,  ai  modi,  ai  tempi  e  ai  limiti  delle
possibilita' di interlocuzione con gli interessati. 
    Il nuovo art. 27-bis, invece, reca  la  disciplina  -  ugualmente
analitica e  minuziosa  -  del  procedimento  di  VIA  di  competenza
regionale. 
    L'art. 16, comma 2, che introduce  l'art.  27-bis,  e'  impugnato
nella ipotesi che la disposizione da esso introdotta  sia  vincolante
e/o applicabile anche alle province autonome, come sembra indicare il
nuovo art. 7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9,  qui  impugnati  (in
senso contrario potrebbero deporre l'art.  7-bis,  comma  7,  secondo
periodo, per cui «il procedimento di VIA di competenza  regionale  si
svolge con le modalita' di cui all'art. 27-bis», e  lo  stesso  testo
dell'art. 27-bis, a partire dalla sua intitolazione, che non cita  le
province autonome). 
    Tali disposizioni, se  vincolanti  per  la  Provincia,  sarebbero
afflitti dagli  stessi  vizi  prospettati  al  precedente  punto  IV,
perche'   invadono   le   competenze   relative    alla    disciplina
dell'organizzazione e delle singole materie della province autonome e
la competenza provinciale in punto di attuazione del diritto europeo,
con  norme  eccessivamente  analitiche  e   dettagliate,   e   quindi
sproporzionate. 
    Per  la  stessa  ragione  sopra  indicata  e'  anche  violato  il
principio  di  delega  che  limitava  l'intervento  del   legislatore
delegato alla «armonizzazione» delle procedure, e non  consentiva  la
totale uniformita'. 
    Per corrispondenti ragioni risulta illegittimo,  ove  applicabile
anche alla Provincia ricorrente, l'art. 24,  che  nel  sostituire  il
comma 4, dell'art. 14, comma 4, della legge n.  241  del  1990,  cosi
dispone: «Qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto
ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni,  intese,
concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque
denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo
progetto, vengono acquisiti nell'ambito  di  apposita  conferenza  di
servizi, convocata in modalita' sincrona ai sensi dell'art. 14-  ter,
secondo quanto previsto dall'art. 27-bis del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152». 
    Vale la pena di notare che in questo  caso,  ancor  piu'  che  in
generale, che cosi' concepito solo formalmente il procedimento che ne
risulta puo' considerarsi  attinente  alla  valutazione  dell'impatto
ambientale, dal momento che esso assume il carattere della  decisioni
su ogni profilo di un progetto, costretto nelle modalita'  specifiche
della conferenza di servizi disciplinata dalla  legislazione  statale
anziche' dalla disciplina provinciale, con interi ambiti  di  materia
illegittimamente sottratti alla disciplina regionale,  sostituita  da
quella statale. In altre parole,  qui  la  disciplina  statale  della
conferenza di servizi non opera  come  limite  verticale  all'interno
della materia, ma come diretta disciplina del fattispecie,  sottratta
alla disciplina provinciale. Evidente e' qui altresi'  la  violazione
dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del  1992,  che  vieta  la
sostituzione  di  discipline  statali  alle  discipline  provinciali,
ponendo invece il rispettivo  rapporto  nei  termini  di  un  dovere,
adeguamento limitato dalle regole statutarie e presidiato da  codesta
ecc.ma Corte costituzionale. 
    Anche questa censura e'  formulata  per  l'ipotesi  che  si  tale
disposizione si dovesse ritenere applicabile alle province  autonome,
nonostante che essa menzioni solo progetti di competenza regionale (e
non provinciale), sia perche' essa viene immessa nella legge  n.  242
del 1990, che contiene, nell'art. 29, comma 2-quinquies, la  clausola
di garanzia per cui «le regioni a  statuto  speciale  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle
disposizioni del presente articolo secondo i rispettivi statuti e  le
relative   norme   di   attuazione».   Sicche'    dovrebbe    prevale
l'interpretazione costituzionalmente conforme,  anche  in  forza  del
citato art.  2  del  decreto  legislativo  n.  266,  che  come  detto
risulterebbe altrimenti violato. 
VI.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  23,  comma   4,   per
violazione  dell'art.  266  del  1992  e  dell'autonomia  legislativa
garantita dall'art. 8 e 9 dello Statuto. Violazione degli  art.  117,
quinto comma, Cost. e 120, secondo comma, Cost. Violazione  dell'art.
8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987. 
    Costituzionalmente illegittimo  appare  altresi'  l'art.  23  del
decreto  legislativo  104  del  2017,  dedicato   alle   Disposizioni
transitorie e finali, nella parte in  cui  al  comma  4  impone  alla
ricorrente obblighi  di  adeguamento  contrastanti  con  le  garanzie
contenute nell'art. 2 del decreto legislativo 266 del 1992. 
    Tale disposizione di attuazione statutaria, cui la giurisprudenza
di  codesta  Corte  costituzionale  ha  sempre  riconosciuto  valenza
parametrica,  regola  specificamente  i  rapporti  tra   legislazione
statale e legislazione regionale, prevedendo che la Provincia  adegui
la propria legislazione a quella statale che la  condiziona  entro  i
sei mesi successivi alla pubblicazione della legge dello Stato  nella
Gazzetta Ufficiale, o nel  piu'  ampio  termine  da  esso  stabilito,
restando  nel  frattempo  applicabili  le  disposizioni   legislative
provinciali  preesistenti,  fino  al  loro  adeguamento  o  al   loro
annullamento ad opera di codesta Corte costituzionale su  ricorso  in
via successiva del Governo. 
    L'immediata applicabilita' nel territorio provinciale e' prevista
per le «norme comunitarie direttamente applicabili» e dunque non  per
la disciplina statale di attuazione  del  diritto  europeo,  che  del
resto la Provincia autonoma ha il  potere  e  il  dovere  di  attuare
autonomamente nelle materie di competenza. 
    A fronte di  queste  regole  l'art.  23,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 104 del 2017 stabilisce invece che «le  Regioni  e  le
Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  adeguano   i   propri
ordinamenti esercitando le potesta' normative di cui all'art.  7-bis,
comma 8,  del  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,  come
introdotto  dall'art.  5  del  presente  decreto,  entro  il  termine
perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore  del  presente
decreto» ed aggiunge che «decorso inutilmente il suddetto termine, in
assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti  idonee  allo
scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all'art. 117,  quinto
comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli  41
e 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234». 
    La disposizione appare illegittima, nei confronti della Provincia
autonoma di Trento, in primo luogo in  quanto  disciplina  con  legge
ordinaria una materia gia' coperta dalle norme  di  attuazione  dello
statuto,  ma  e'  ovvio  che  la   contestazione   si   rivolge   poi
specificamente al contenuto dispositivo della norma. 
    A parte il fatto che sia richiamato l'art. 7-bis,  comma  8,  del
decreto legislativo n. 152 del  2006  (esso  stesso  oggetto  qui  di
impugnazione) come  «fonte»  delle  potesta'  normative  provinciali,
rileva in primo luogo che il termine per l'adeguamento previsto dalla
disposizione sia ridotto da sei  mesi  ai  centoventi  giorni  (dalla
entrata in vigore dell'atto), in palese contrasto con la citata norma
di  attuazione,  rileva,  in  secondo  luogo,  che  tale  termine  di
adeguamento sia definito perentorio, perche' se cosi' fosse (e  se  a
tale  espressione  si  dovesse  dare  un  significato  giuridicamente
preciso) la Provincia, decorso il termine, perderebbe definitivamente
il potere  di  adottare  proprie  norme  di  adeguamento  al  diritto
europeo: con chiara  violazione  della  autonomia  legislativa  della
Provincia  e  dell'art.  117,  quinto  comma,  Cost.,  come   attuato
dall'art. 41 della legge n. 234 del 2012,  e  dall'art.  120,  quinto
comma, Cost.,  che  vogliono  i  poteri  sostitutivi  esercitati  nel
rispetto del principio di leale collaborazione  e  di  sussidiarieta'
(il che impedisce il loro utilizzo quando vi e'  stato  un  esercizio
sia pure tardivo, e preclude altresi' che il potere sostitutivo abbia
effetti definitivamente espropriativi  di  una  competenza  normativa
costituzionalmente garantita). 
    Ancora, la disposizione appare illegittima  ove  stabilisce  che,
decorso il termine «perentorio», si applicano i poteri sostitutivi di
cui all'art. 117, quinto comma, della  Costituzione,  secondo  quanto
previsto dagli articoli 41 e 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. 
    Ove tale  disposizione  fosse  intesa  nel  senso  di  consentire
l'utilizzo del potere sostitutivo per introdurre  una  disciplina  di
adeguamento al decreto legislativo e non solo  alla  direttiva,  tale
previsione sarebbe illegittima per violazione dell'art. 8 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987, di attuazione  dello
Statuto,  perche'  -  secondo   l'insegnamento   di   codesta   Corte
costituzionale - il generale potere sostitutivo del Governo non  puo'
essere utilizzato nei confronti degli enti ad autonomia differenziata
per le competenze radicate negli statuti, per le quali «continueranno
nel  frattempo  ad  operare  le  specifiche   tipologie   di   potere
sostitutivo in essi  (o  nelle  norme  di  attuazione)  disciplinate»
(sentenza n. 236 del 2004, punto 4.1). E l'art.  8  del  decreto  del
Presidente della Repubblica citato prevede un potere sostitutivo solo
per il caso  di  «accertata  inattivita'  degli  organi  regionali  e
provinciali che comporti inadempimento agli obblighi  comunitari»,  e
comunque previa concessione di un ulteriore  termine  alla  Provincia
autonoma. 
    Ugualmente illegittima la norma deve essere considerata se intesa
non nel senso di  una  autorizzazione  al  successivo  esercizio  dei
poteri di cui all'art. 41 della legge n. 234  del  2012,  bensi'  nel
senso di una qualificazione delle norme del  decreto  legislativo  n.
104 del 2017 anche come norme  sostitutive,  ai  sensi  dell'art.  41
della legge n. 234 del 2012, capaci di imporsi direttamente - decorso
il termine - nell'ordinamento provinciale, 
    Le norme del decreto legislativo  n.  104  del  2017  non  hanno,
infatti, le caratteristiche  richieste  dall'art.  41  per  le  norme
sostitutive, e in  particolare  sono  sprovviste  della  cedevolezza,
pretendendosi cogenti; inoltre,  l'effetto  direttamente  sostitutivo
della legislazione provinciale appare  incompatibile  con  l'art.  2,
commi 1, 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992. 
    C. Censure relative alla disciplina di procedimenti  statali  che
coinvolgono competenze provinciali. 
    In questa sezione la Provincia svolge le  censure  relative  alla
disciplina  del  provvedimento  unico  in   materia   ambientale   di
competenza statale, che il legislatore delegato ha regolato nell'art.
16, comma 1, in modo non rispettoso delle competenze provinciali. 
VII.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  comma  1,   che
introduce nel decreto legislativo n. 152 del  2006,  l'art.  27,  per
violazione dell'autonomia amministrativa  della  Provincia  (art.  16
dello Statuto, in relazione agli artt. 8 e  9;  art.  4  del  decreto
legislativo n. 266  del  1992)  e  per  violazione  dei  principi  di
sussidiarieta' e di leale collaborazione (art. 118 e 120 Cost.). 
    L'art. 16, comma 1, novella l'art. 27 del decreto legislativo  n.
152 del 2006, che regola il provvedimento unico in materia ambientale
per i procedimenti di VIA di competenza statale. 
    Il nuovo art. 27 stabilisce «nel caso di procedimenti di  VIA  di
competenza  statale,  il  proponente  puo'  richiedere  all'autorita'
competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito  di
un provvedimento unico comprensivo di  ogni  autorizzazione,  intesa,
parere,  concerto,  nulla  osta,  o  atto  di  assenso   in   materia
ambientale, richiesto dalla normativa vigente per la realizzazione  e
l'esercizio del progetto (comma 1, primo periodo). 
    Il comma 2 dispone che «il provvedimento unico di cui al comma  1
comprende il rilascio dei  seguenti  titoli  laddove  necessario:  a)
autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della
parte II del  presente  decreto;  b)  autorizzazione  riguardante  la
disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee di
cui all'art. 104 del presente decreto; c) autorizzazione  riguardante
la disciplina dell'immersione  in  mare  di  materiale  derivante  da
attivita' di escavo e attivita' di posa in mare di cavi e condotte di
cui  all'art.   109   del   presente   decreto;   d)   autorizzazione
paesaggistica di cui all'art. 146 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42;  e)
autorizzazione culturale di cui  all'art.  21  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42; f) autorizzazione riguardante il  vincolo  idrogeologico
di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, e al  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n 616; g) nulla  osta  di
fattibilita' di cui all'art. 17, comma 2, del decreto legislativo  26
giugno 2015, n. 105; h) autorizzazione antisismica di cui all'art. 94
del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». 
    I commi successivi dell'art. 27 qui impugnato  regolano  le  fasi
del procedimento che seguono  alla  iniziativa  e,  al  comma  8,  la
disposizione  stabilisce  che  «l'autorita'  competente  convoca  una
conferenza di servizi» alla quale partecipano il proponente  e  tutte
le Amministrazioni competenti o comunque  potenzialmente  interessate
al rilascio del provvedimento di VIA  e  dei  titoli  abilitativi  in
materia  ambientale  richiesti  dal  proponente».   La   disposizione
precisa, nei suoi vari periodi: che  «la  conferenza  di  servizi  si
svolge secondo le modalita' di cui all'art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5,
6 e 7, della legge 7  agosto  1990,  n.  241»;  che  «il  termine  di
conclusione  dei  lavori  della   conferenza   di   servizi   e'   di
duecentodieci giorni»; che «la determinazione motivata di conclusione
della conferenza di servizi, che costituisce il  provvedimento  unico
in materia ambientale, reca l'indicazione espressa del  provvedimento
di VIA  ed  elenca,  altresi',  i  titoli  abilitativi  compresi  nel
provvedimento unico»; che «la decisione di rilasciare i titoli di cui
al comma 2 e' assunta sulla base del provvedimento di  VIA,  adottato
dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,
di concerto con il Ministro dei beni e delle  attivita'  culturali  e
del turismo, ai sensi dell'art. 25» che «i termini previsti dall'art.
25, comma 2, quarto periodo, sono ridotti alla meta' e,  in  caso  di
rimessione  alla  deliberazione  del  Consiglio  dei   ministri,   la
conferenza di servizi e' sospesa per il termine di cui  all'art.  25,
comma 2, quinto periodo»; che «tutti i termini  del  procedimento  si
considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli
2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241». 
    Il comma 9 prevede che «le condizioni e le  misure  supplementari
relative all'autorizzazione integrata ambientale di cui al  comma  2,
lettera a), e contenute nel provvedimento  unico,  sono  rinnovate  e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita'  di  cui  agli
articoli  29-octies,  29-decies  e  29-quattuordecies»  e   che   «le
condizioni e le  misure  supplementari  relative  agli  altri  titoli
abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono rinnovate e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' previste dalle
relative disposizioni  di  settore  da  parte  delle  amministrazioni
competenti per materia». 
    Infine, il comma 10 stabilisce che «le disposizioni contenute nel
presente articolo  si  applicano  in  deroga  alle  disposizioni  che
disciplinano i procedimenti riguardanti il solo  primo  rilascio  dei
titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2». 
    La Provincia non contesta, ovviamente, la  competenza  statale  a
regolare proprie funzioni, pur  osservando  che  tali  funzioni  sono
state  incrementate  in  misura  esorbitante  (e,  ad  avviso   della
ricorrente Provincia, illegittima, come esposto  sopra)  dalle  norme
impugnate al precedente punto III del presente ricorso. Ed in effetti
l'intera   disposizioni   sembra   scritta   come   se    tutte    le
«Amministrazioni» coinvolte fossero amministrazioni statali. 
    Sennonche', taluni almeno dei provvedimenti cosi' indicati (quali
quelli relativi agli scarichi  nel  sottosuolo,  alla  autorizzazione
paesaggistica, alla autorizzazione culturale  e  alla  autorizzazione
riguardante  il  vincolo   idrogeologico)   sono   provvedimenti   di
competenza della  Provincia  autonoma  di  Trento,  che  ha  potesta'
legislativa ed amministrativa  in  materia  di  acque,  di  tutela  e
conservazione del patrimonio storico,  artistico  e  culturale  e  di
tutela del paesaggio (art. 8, nn. 3, 6, 17 e 24, e art. 9,  comma  9,
in combinazione con l'art. 16 dello Statuto). 
    Essa lamenta, dunque, che nel regolare proprie funzioni, lo Stato
abbia ulteriormente espropriato la Provincia della potesta' decisoria
in relazione a provvedimenti che sono rimasti di  sua  competenza,  i
quali vengono  surrogati  o  assorbiti  dal  provvedimento  unico  in
materia ambientale. 
    Cosi' facendo, in altre parole, lo Stato finisce per  esercitare,
mediante i meccanismi di decisione finale della Conferenza di servizi
statale,  le  funzioni  amministrative   proprie   della   ricorrente
Provincia,  in  violazione  dell'art.  16  dello   Statuto,   nonche'
dell'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992. 
    Inoltre, la ricorrente osserva  che  il  legislatore  statale  ha
scelto il modulo  procedimentale  della  conferenza  di  servizi  con
modalita' sincrona, prevista dall'art. 14-ter della legge n. 241  del
1990, richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7. 
    Ora, la norma impugnata richiama soltanto la  disposizione  (art.
14-ter, comma 7) che prevede la possibilita'  per  la  Conferenza  di
servizi di deliberare sulla base delle posizioni prevalenti  espresse
dalle  amministrazioni  partecipanti  alla  conferenza,  mentre   non
richiama  l'art.  14-quinquies,  che   regola   i   rimedi   per   le
amministrazioni dissenzienti. 
    Ove il rinvio contenuto nel novellato art. 27, comma 8,  al  solo
art. 14-ter (anziche'  all'art.  14-ter  e  seguenti)  e  la  mancata
menzione dell'art. 14-quinques fossero da intendere come una volonta'
legislativa di escludere l'applicabilita'  della  disciplina  dettata
dall'art. 14-quinques per i dissensi qualificati,  e  in  particolare
per quelli  manifestati  dalle  province  autonome,  la  disposizione
impugnata sarebbe ulteriormente illegittima: (i) per violazione della
autonoma amministrativa della Provincia autonoma in relazione a tutte
le competenze  da  essa  esercitate  in  materia  ambientale  (acque,
paesaggio, opere idrauliche, viabilita'), che  verrebbero  scavalcate
da una decisione deliberata da organi di altro ente, per di  piu'  su
iniziativa del soggetto proponente;  (ii)  per  violazione  anche  la
potesta' legislativa della Provincia, visto che secondo il  comma  10
il  procedimento  unico  comporta  deroga   alle   disposizioni   che
disciplinano  i  procedimenti  dei  titoli  abilitativi  in   materia
ambientale di cui al comma 2, in relazione al primo  rilascio;  (iii)
per violazione del principio di sussidiarieta', l'assorbimento  della
funzione dell'ente autonomo non avverrebbe in una  cornice  di  leale
collaborazione. 
    L'istituto del rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella
sua conformazione rispettosa della leale collaborazione,  e'  infatti
una garanzia che deve essere assicurata  come  condizione  necessaria
per la legittimita' costituzionale delle previsioni di conferenze  di
servizi decisorie, ove siano coinvolti enti di livello regionale  (si
veda, in tal senso, la sentenza n. 179 del 2012,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' dell'art. 49, comma 3, lettera b, del  decreto-legge
n. 78 del 2010, «nella parte in cui prevede che, in caso di  dissenso
espresso in sede di conferenza di servizi da una  regione  o  da  una
Provincia autonoma, in una delle materie di propria  competenza,  ove
non sia stata raggiunta, entro il breve  termine  di  trenta  giorni,
l'intesa, «il  Consiglio  dei  ministri  delibera  in  esercizio  del
proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei presidenti delle
regioni o delle  province  autonome  interessate»,  senza  che  siano
previste ulteriori  procedure  per  consentire  reiterate  trattative
volte a superare le divergenze»). 
    Questa ulteriore censura non avrebbe ragione  di  essere  ove  il
richiamo all'art. 14-quater (e attraverso di questo al  14-quinques),
contenuto nell'art. 14-ter,  comma  7,  potesse  assicurare  comunque
l'applicazione della disciplina di garanzia  per  il  dissenso  della
ricorrente Provincia. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Per le esposte ragioni la  Provincia  autonoma  di  Trento,  come
sopra  rappresentata  e  difesa,  chiede  che  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale  del
decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, recante «Attuazione della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  16
aprile 2014, che modifica la  direttiva  2011/92/UE,  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio  2015,
n. 114», nella sua interezza e negli artt. 5, comma 1; 8; 16, commi 1
e 2; 22 commi 1, 2, 3 e 4; 23, comma 4; 24; 26, comma 1, lettera  a),
nelle parti, nei termini e  sotto  i  profili  esposti  nel  presente
ricorso. 
    Padova - Trento - Roma, 3 settembre 2017 
    Allegati 
      1) Delibera di Giunta provinciale del 25 agosto 2017, n. 1372; 
      2) Procura speciale n. rep. 28405 del 31 agosto 2017. 
 
                          prof. avv. Falcon 
 
 
                           avv. Pedrazzoli 
 
 
                             avv. Manzi