N. 2 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 14 novembre 2017

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 14 novembre 2017 (del  Presidente  della
Repubblica). 
 
Presidente della Repubblica - Giudizio di responsabilita'  per  danno
  erariale nei confronti di alcuni dipendenti della Presidenza  della
  Repubblica  -  Sentenza  della  Corte   dei   conti,   sezione   II
  giurisdizionale centrale d'appello, del 19 dicembre 2016,  n.  1354
  trasmessa dalla Procura regionale per  il  Lazio  della  Corte  dei
  conti con nota del 22 marzo 2017 - Sentenza della Corte dei  conti,
  sezione giurisdizionale per il Lazio, del  25  settembre  2012,  n.
  894. 
- Sentenza  della  Corte  dei  conti  -  sezione  II  giurisdizionale
  centrale d'appello, del 19  dicembre  2016,  n.  1354;  Nota  della
  Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti del  22  marzo
  2017, n. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P; Sentenza della Corte  dei
  conti - sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Lazio,  del  25
  settembre 2012, n. 894. 
(GU n.48 del 29-11-2017 )
    Ricorso del Presidente della Repubblica, rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (c.f.  80224030587   -   PEC
roma@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui  uffici  ex  lege  e'
domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi  n.  12,  giusta  decreto
presidenziale in data 10 aprile 2017 (doc. 1),  propone  ricorso  per
conflitto di attribuzione, ai sensi dell'art. 134 Cost.  e  dell'art.
37 legge  n.  87  del  1953,  con  contestuale  richiesta  di  tutela
cautelare, nei confronti  della  Corte  dei  conti,  in  persona  del
Presidente pro tempore in riferimento  alla  sentenza  n.  1354/2016,
depositata il 19 dicembre 2016 della Corte dei conti, della  sez.  II
Giurisdizionale centrale d'appello (doc. 2), trasmessa dalla  Procura
Regionale  per  il  Lazio  della  Corte  dei  conti   con   nota   n.
0005627-22/03/2017-PR_LAZT61-P,  del  22   marzo   2017   (doc.   3),
riguardante l'esecuzione  di  tale  decisione,  recante  condanna  di
alcuni dipendenti della Presidenza della Repubblica (Gianni Gaetano e
Di Pietro Paolo) al risarcimento dei danni verificatisi per  ammanchi
di cassa presso la Tenuta di Castelporziano, nonche' alla sentenza n.
894/2012 del 25 settembre 2012, della sezione Giurisdizionale per  la
Regione Lazio (doc. 4) e ad ogni altro atto  presupposto  e  comunque
connesso o collegato. 
    Con la citata sentenza n. 1354/2016, la Corte  dei  conti,  della
sez. II giurisdizionale centrale d'appello, nel respingere  l'appello
proposto dal signor Paolo Di Pietro  e  nell'accogliere  parzialmente
l'appello proposto dal Procuratore generale,  condannando  i  signori
Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro - gia' dipendenti  del  Segretariato
generale della Presidenza della Repubblica - al pagamento di somme in
favore della Presidenza della Repubblica, ha  confermato  la  propria
«giurisdizione» gia' ritenuta in primo grado. 
    E chiede l'annullamento  della  sentenza  in  epigrafe  indicata,
nonche' di ogni altro atto preordinato, o comunque connesso. 
 
                              In fatto 
 
    La vicenda da cui origina il presente ricorso  per  conflitto  di
attribuzioni tra poteri dello Stato nasce da accertamenti  effettuati
dal Segretariato generale della  Presidenza  della  Repubblica  sulla
gestione   della   contabilita'   della   Tenuta   presidenziale   di
Castelporziano, facente parte della dotazione  del  Presidente  della
Repubblica (ex art. 84 Cost. e art. 1 della legge n. 1077 del  1948),
all'esito  dei  quali  erano  risultati  ammanchi  (relativamente  al
periodo compreso tra il 2002 ed il 2008) per alcuni milioni  di  Euro
(poi quantificati in sede giudiziaria in € 4.631.691,96). 
    Il Segretariato generale della  Presidenza  della  Repubblica  ha
provveduto, a suo tempo,  ad  informare  tempestivamente  l'Autorita'
giudiziaria trasmettendo, con  nota  del  27  marzo  2009,  l'esposto
dell'allora Capo del Servizio ragioneria e tesoreria del Segretariato
generale. 
    L'Autorita' giudiziaria, informata di quanto sopra,  ha  promosso
procedimento penale per determinati reati  nei  confronti  di  alcuni
dipendenti, conclusosi con la sentenza n.  8262/2013  del  23  aprile
2013 (doc. 5) di condanna in via definitiva  di  uno  dei  dipendenti
coinvolti e, relativamente  ad  un  altro  dipendente  imputato,  con
sentenza n. 921/2011 dell'11 aprile 2011  (doc.  6)  di  applicazione
della pena su richiesta delle parti. 
    La  Presidenza  della  Repubblica  ha  agito  tempestivamente  in
giudizio negli anni 2009-2010 dinanzi al giudice ordinario (Tribunale
civile  di  Roma)  ottenendo  (previa  riunione  dei   vari   giudizi
instaurati) la condanna di alcuni dipendenti, come si dira' appresso,
con la favorevole sentenza n. 16997  del  4  agosto  2015  (doc.  7),
avverso   la   quale   pende,   allo    stato,    appello    proposto
dall'Amministrazione in relazione al mancato  accoglimento  in  primo
grado della domanda proposta nei confronti di uno dei  convenuti  (la
Corte  d'appello  ha  fissato   l'udienza   di   precisazione   delle
conclusioni per il giorno 20 novembre 2019). 
    Con tale sentenza (n. 16997 del 2015) del Tribunale ordinario  di
Roma,  seconda  sezione  civile,   adito   dalla   Presidenza   della
Repubblica, sono stati condannati due  dipendenti  al  pagamento,  in
solido fra loro, in favore della Presidenza della  Repubblica,  della
somma  di  €  4.631.691,96,  nonche'  della  ulteriore  somma  di   €
100.000,00 a  titolo  di  risarcimento  del  danno  non  patrimoniale
(precisamente,  di  danno  all'immagine,  parimenti  richiesto  dalla
Presidenza della Repubblica). 
    Parallelamente, la Procura regionale del Lazio  della  Corte  dei
conti, ha avviato a suo tempo un'istruttoria  sugli  stessi  illeciti
correlati all'utilizzo  di  risorse  della  Tenuta  presidenziale  di
Castelporziano. 
    La  Presidenza  della  Repubblica,  venuta   a   conoscenza   del
procedimento  per  responsabilita'  amministrativa  instaurato  dalla
Procura regionale della Corte  dei  conti  nei  confronti  di  alcuni
dipendenti per i medesimi fatti per i quali la Presidenza aveva  gia'
agito in sede civile e ritenendo che l'operato della Corte dei  conti
non fosse rispettoso delle prerogative  connesse  alla  posizione  di
speciale autonomia  del  Presidente  della  Repubblica,  ha  proposto
ricorso per  regolamento  di  giurisdizione  ex  art.  41  codice  di
procedura civile comma 2 e art. 368 codice di  procedura  civile,  di
cui si dira'  in  seguito,  chiedendo  che  la  Corte  di  cassazione
dichiarasse che la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale  per  il
Lazio, con  la  sentenza  n.  894/2012  (con  la  quale  erano  stati
condannati un dipendente al pagamento della somma di € 954.222,00  ed
un altro al pagamento della somma di €  477.000,00),  aveva  leso  le
prerogative presidenziali. 
    Con ordinanza del 20 novembre 2013, n. 26035 (doc. 8), le Sezioni
Unite della Corte di cassazione  hanno  dichiarato  inammissibile  il
ricorso proposto dalla Presidenza della Repubblica (ed  inammissibile
il ricorso incidentale proposto dal signor Di Pietro), rilevando, per
quanto di maggiore interesse in questa sede, quanto segue: «(...)  e'
interessante ricordare la pronuncia n.  129  del  1981  emessa  dalla
Corte costituzionale che ha affermato che non spetta alla  Corte  dei
conti il potere di sottoporre a giudizio contabile i tesorieri  della
Presidenza della Repubblica  (e  della  Camera  e  del  Senato);  con
riferimento ai limiti della giurisdizione contabile nel conflitto con
organi costituzionali di vertice fra  i  quali  la  Presidenza  della
Repubblica. 
    E  cio'  perche'  il  fondamento  normativo  della  giurisdizione
contabile della Corte dei conti posto nell'art. 103 Cost.,  comma  2,
non risulta dotato di un'assoluta ed immediata operativita' in  tutti
i casi. 
    La capacita' espansiva del T.U. n.  1214  del  1934  -  e'  stato
nuovamente rilevato -, incontra,  infatti,  i  limiti  dell'idoneita'
oggettiva delle materie e del rispetto delle  norme  e  dei  principi
costituzionali (v. anche sentenza n. 110 del 1970,  sentenza  n.  102
del 1977). 
    E' stato, quindi, mediante il conflitto  sollevato  davanti  alla
Corte  costituzionale  ad  essere  stato  risolto  quel  caso;   cio'
dimostrando che quello e' lo strumento corretto per  la  denuncia  di
situazioni costituenti materia di conflitto fra poteri dello Stato. 
    Il  conflitto  che  sussiste,  non  solo  nei  casi  in  cui   si
controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione,  ma  anche
quando si discuta  circa  l'estensione  della  giurisdizione  propria
della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia  organizzativa  e
funzionale  rivendicata  dai  tre  organi  costituzionali  che  hanno
sollevato il conflitto» (v. Corte costituzionale n. 129 del  1981  in
motiv.). 
    Nelle more, la Presidenza della Repubblica  provvedeva  comunque,
nei confronti dei singoli dipendenti interessati, ad adottare, in via
amministrativa,  ogni  piu'  opportuna  iniziativa  a  tutela   della
garanzia patrimoniale delle proprie ragioni creditorie, mediante vari
atti di fermo amministrativo, sequestro, pignoramento  ed  iscrizione
di ipoteca. 
    Con atto notificato il  20  novembre  2012  e  depositato  il  12
dicembre 2012, uno  dei  dipendenti  condannato  in  primo  grado  ha
proposto appello avverso  la  citata  sentenza  (n.  894/2012)  della
Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti. 
    Con la sentenza n. 1354/2016, depositata il 19 dicembre 2016,  in
epigrafe indicata,  la  Corte  dei  conti,  sez.  II  Giurisdizionale
centrale d'appello, nel respingere l'appello proposto da uno dei  due
soggetti condannati in primo  grado  e  nell'accogliere  parzialmente
l'appello proposto dal Procuratore generale, confermando  la  propria
«giurisdizione» gia' ritenuta in primo grado, ha condannato  uno  dei
soggetti gia' ritenuti  responsabili  in  primo  grado  al  pagamento
dell'importo di € 4.631.691,96 (allineandosi, cosi', al quantum  gia'
liquidato in sede civile) e ha condannato l'altro  dipendente  -  che
era stato assolto  sia  in  sede  penale  che  civile  -  in  solido,
limitatamente  al  pagamento  della  somma  di  €  550.000,00  (cifra
anch'essa superiore a quella  ritenuta  in  primo  grado)  ricompresa
nella predetta somma di € 4.631.691,96, in  favore  della  Presidenza
della Repubblica. 
 
                               In rito 
 
    Dalle premesse in fatto e dalla sentenza qui impugnata in una  ad
ogni atto ad essa presupposto e collegato, si evince che la Corte dei
conti si e' ritenuta pienamente  legittimata  ad  agire  in  giudizio
nell'interesse  del  Segretariato  generale  della  Presidenza  della
Repubblica.  Cio'  sulla  base  di  un'interpretazione   radicalmente
contrastante con la sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 129 del 1981,
che, come noto, ha escluso la competenza del  giudice  contabile  nei
confronti degli organi costituzionali. 
    La decisione assunta  dalla  Corte  dei  conti  con  la  sentenza
impugnata  (nonche'  ogni  atto  ad  essa  presupposto   e   comunque
connesso),  alla  stregua  della  giurisprudenza  costituzionale  che
verra' anche in seguito richiamata,  si  ritiene  palesemente  lesiva
della  sfera  di  autonomia,  costituzionalmente   garantita,   della
Presidenza della Repubblica. 
    In sostanza, la Corte dei conti si  e'  ritenuta  legittimata  ad
agire ed a proseguire nella iniziativa autonomamente  avviata,  senza
essere  stata  in  proposito  compulsata   dalla   Presidenza   della
Repubblica - che aveva tempestivamente adito il Tribunale  civile  di
Roma  -  pur  nella  consapevolezza  delle  rispettive   attribuzioni
costituzionali, come delineate, in particolare, nella  nota  sentenza
n. 129 del 1981 di codesta ecc.ma Corte. 
    Dal tenore, anche testuale della citata sentenza n. 1354 del 2016
della Corte dei conti, si evince chiaramente come la  stessa  intenda
scardinare il perimetro di attribuzioni costituzionali  delineato  da
codesta ecc.ma Corte, posto che muove proprio dal  presupposto  della
mancata adesione, da parte della stessa, alle affermazioni  contenute
nella citata sentenza n. 129 del 1981. 
    A questo punto, si pone l'esigenza  di  sottoporre  nuovamente  a
codesta  ecc.ma  Corte  la  questione   della   delimitazione   delle
rispettive attribuzioni  costituzionali,  al  fine  di  acclarare  il
corretto ambito di competenze della Corte dei conti. 
    Del resto, con riferimento  all'interesse  a  ricorrere,  codesta
ecc.ma Corte ha ripetutamente affermato che l'ente territoriale o  il
potere dello Stato ricorrente o resistente nel giudizio instaurato da
un   ricorso   per   conflitto   di    attribuzione    non    dispone
dell'attribuzione costituzionale di cui si controverte  (sentenze  n.
44 del 1957, n. 77 del 1958, n. 58 del 1959, n. 3 del  1964,  n.  171
del 1971, a cui si richiamano le piu' recenti  sentenze  n.  389  del
1995 e n. 95 del 2003), sul rilievo che oggetto del conflitto non  e'
tanto la legittimita' dell'atto che l'ha generato, quanto la  lesione
delle attribuzioni costituzionali (sentenza n. 95  del  2003).  Dette
attribuzioni, secondo codesta ecc.ma Corte,  «non  sono  disponibili,
perche' discendono  direttamente  da  norme  costituzionali,  con  la
conseguenza   che   ad   esse   non   puo'   applicarsi    l'istituto
dell'acquiescenza» (sentenza n. 369 del 2010). 
    Appare utile ricordare che l'affermazione da ultimo richiamata e'
stata  resa  nell'ambito  di  giudizi  instaurati  per  ricorso   per
conflitto di attribuzione tra enti,  ma  si  ritiene  che  ben  possa
essere estesa ai conflitti di attribuzione tra  poteri  dello  Stato.
Cio' tanto piu' in ragione della disciplina processuale dei conflitti
tra poteri dello Stato, che,  come  noto,  e'  volta  a  favorire  la
risoluzione   delle    controversie    mediante    apposite    intese
extra-giudiziarie,  come  risulta,  da   un   lato,   dalla   mancata
fissazione, nella legge n. 87 del 1953, di termini di  decadenza  per
la proposizione del ricorso, e, dall'altro, dalla previsione  di  una
struttura  «bifasica»  del  procedimento  di  risoluzione   di   tali
conflitti, funzionale a delimitare il piu' possibile questo  tipo  di
processo (ed i relativi soggetti e oggetto),  cosi'  da  minimizzarne
l'impatto sulle scelte proprie del «campo politico» (sentenze n.  116
del 2003 e n. 58 del 2004). 
    Cio' che con il presente conflitto  si  chiede,  quindi,  e'  che
venga ritenuta l'interferenza, da parte della Corte dei conti,  nella
sfera delle competenze dell'Organo costituzionalmente garantite,  con
annullamento degli atti lesivi della  attribuzione  della  Presidenza
della Repubblica (della sentenza in epigrafe indicata, di  quella  di
primo grado,  nonche'  di  tutti  gli  atti  preordinati  o  comunque
collegati). 
    Con riguardo alla legittimazione soggettiva del Presidente  della
Repubblica a sollevare il conflitto tra poteri, essa risulta pacifica
alla stregua della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 129 del
1981, n. 200 del 2006 e n. 1 del 2013, nonche' ordinanze n.  150  del
1980, n. 354 del 2005 e n. 218 del 2012). 
    L'ammissibilita' del conflitto deve  ritenersi  confermata  anche
sotto il profilo oggettivo, atteso che il  presente  ricorso  non  e'
volto a censurare un error in iudicando (sentenza n.  81  del  2012),
cosi' trasformandosi in  inammissibile  strumento  d'impugnazione  di
decisioni giudiziarie (sentenza n. 259 del 2009 e  ordinanza  n.  117
del 2006), ma prospetta un  conflitto  «per  la  delimitazione  della
sfera  di  attribuzioni  determinata  per  i  vari  poteri  da  norme
costituzionali» (art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953), a
seguito di menomazione della Presidenza della Repubblica  determinata
dall'impugnata sentenza della Corte dei conti. 
    In un recente caso, sotto questo profilo non  dissimile,  codesta
ecc.ma  Corte  ha  infatti  dichiarato  ammissibile  un  ricorso  per
conflitto sollevato da altro organo costituzionale (il Governo  della
Repubblica), con il quale veniva censurata una sentenza  della  Corte
di cassazione. In quel precedente, alla stessa stregua  del  presente
ricorso, il ricorrente contestava,  «l'esistenza  stessa  del  potere
giurisdizionale nei propri confronti (sentenze n. 88 del 2012, n. 195
del 2007 e n. 276  del  2003)»  e,  conseguentemente,  «lamentava  il
superamento, per mezzo della sentenza delle sezioni unite della Corte
di cassazione, dei limiti che tale potere incontra  nell'ordinamento,
a garanzia delle attribuzioni costituzionali del  Governo»  (sentenza
n. 52 del 2016, punto n. 3.2 del «Considerato in diritto»). 
    Pacifica, peraltro, sempre con riguardo ai profili oggettivi  del
conflitto, e' da  ritenersi  l'ammissibilita'  di  un  conflitto  tra
poteri avente ad oggetto atti giurisdizionali (tra le tante, sentenze
n. 66 del 1964, n. 285 del 1990, n. 276 del 2003, n. 195 del 2007, n.
88 del 2012, nonche', da ultimo, n. 52 del 2016). 
    Infine, sempre in rito, si ricorda altresi' che la  legge  n.  87
del 1953 non prevede alcun termine di decadenza per  la  proposizione
del ricorso e che la giurisprudenza costituzionale, una volta ammesso
il conflitto di attribuzione tra poteri su atto  giurisdizionale,  ha
affermato l'ammissibilita' del conflitto anche avverso  una  sentenza
definitiva (sentenze n. 66 del 1964; n.  285  del  1990;  n.  52  del
2016). 
    Si ricorda infine che, proprio avuto  riguardo  alla  vicenda  in
argomento, le SS.UU. della Suprema Corte di cassazione, con la  sopra
citata ordinanza n. 26035  del  2013,  hanno  ribadito,  in  sede  di
regolamento  di  giurisdizione  proposto   dalla   Presidenza   della
Repubblica, che «lo strumento corretto per la denuncia di  situazioni
costituenti materia di conflitto fra poteri dello Stato», e'  appunto
il conflitto di attribuzioni,  evidenziando  altresi'  quanto  segue:
«(...)e' interessante ricordare la pronuncia n. 129 del  1981  emessa
dalla Corte costituzionale che ha affermato che non spetta alla Corte
dei conti il potere di sottoporre a giudizio  contabile  i  tesorieri
della Presidenza della Repubblica (e della Camera e del Senato);  con
riferimento ai limiti della giurisdizione contabile nel conflitto con
organi costituzionali di vertice fra  i  quali  la  Presidenza  della
Repubblica. 
    E  cio'  perche'  il  fondamento  normativo  della  giurisdizione
contabile della Corte dei conti posto nell'art.  103  Cost.,  secondo
comma, non risulta dotato di un'assoluta ed immediata operativita' in
tutti i casi. 
    La capacita' espansiva del T.U., n. 1214  del  1934  -  e'  stato
nuovamente rilevato -, incontra,  infatti,  i  limiti  dell'idoneita'
oggettiva delle materie e del rispetto delle  norme  e  dei  principi
costituzionali (v. anche sentenza n. 110 del 1970,  sentenza  n.  102
del 1977). 
    E' stato, quindi, mediante il conflitto  sollevato  davanti  alla
Corte  costituzionale  ad  essere  stato  risolto  quel  caso;   cio'
dimostrando che quello e' lo strumento corretto per  la  denuncia  di
situazioni costituenti materia di conflitto fra poteri dello Stato. 
    Il  conflitto  che  sussiste,  non  solo  nei  casi  in  cui   si
controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione,  ma  anche
quando si discuta  circa  l'estensione  della  giurisdizione  propria
della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia  organizzativa  e
funzionale  rivendicata  dai  tre  organi  costituzionali  che  hanno
sollevato il conflitto» (v. Corte cost. n. 129 del 1981 in motiv.). 
    Pertanto, si chiede che  codesta  ecc.ma  Corte  affermi  che  il
giudizio di responsabilita' conclusosi con la sentenza n.  1354/2016,
depositata il 19 dicembre 2016 (a seguito delle camere  di  consiglio
del  4  ottobre  e  del  14  dicembre   2016),   della   Sezione   II
Giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei  conti,  trasmessa
alla Presidenza  della  Repubblica,  per  la  sua  esecuzione,  dalla
Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti, con la nota del
22 marzo 2017 richiamata in epigrafe,  riguardante  dipendenti  della
Presidenza della  Repubblica  per  attivita'  comunque  riconducibili
all'ambito  organizzativo  dotato  di  autonomia   costituzionalmente
tutelata,  concreti  interferenza  della  stessa  nelle  attribuzioni
riservate all'organo costituzionale e  che,  per  l'effetto,  annulli
ogni atto lesivo del principio dell'esenzione della Presidenza  della
Repubblica  dalla  giurisdizione   contabile,   nonche'   ogni   atto
presupposto o comunque connesso. 
Nel merito. 
    Con la sentenza summenzionata, trasmessa  alla  Presidenza  della
Repubblica, per la sua esecuzione, dalla  Procura  regionale  per  il
Lazio della Corte dei conti, con la citata nota del  22  marzo  2017,
nonche' con una pluralita' di atti, a partire dall'avvio  dell'azione
di  responsabilita'  per  danno  erariale  da  parte  della   Procura
regionale per il Lazio, la Corte dei conti  ha  ritenuto  la  propria
«giurisdizione»   impropriamente   assimilando,   evidentemente,   la
Presidenza della Repubblica ad una pubblica amministrazione. 
    In tal  modo  la  Corte  dei  conti,  come  si  evidenziera'  nel
prosieguo, da un lato ha esorbitato dai suoi  poteri,  alla  luce  di
quanto previsto dall'art. 103, comma secondo,  Cost.,  dall'altro  ha
invaso   la    competenza    del    Presidente    della    Repubblica
costituzionalmente attribuita dall'art. 84, comma  terzo,  Cost.,  in
evidente contrasto con una chiara consuetudine costituzionale. 
    Ma nella specie non si tratta, come si dira' anche in seguito,  e
come gia' ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione  con
ordinanza del 20 novembre 2013, n. 26035, di «giurisdizione» (in tale
ordinanza e' stato invero ribadito che «lo strumento corretto per  la
denuncia di situazioni costituenti materia di  conflitto  fra  poteri
dello  Stato»,  non  poteva  che  essere  quello  del  conflitto   di
attribuzioni). 
    Si legge infatti nella decisione (cfr. pag.  10  e  segg.)  della
Corte dei conti qui impugnata ed in epigrafe indicata,  quanto  segue
(enfasi aggiunta): «Circa il difetto assoluto di giurisdizione  (...)
si rammenta in primo luogo  che  le  Sezioni  Unite  della  Corte  di
cassazione,  con  ordinanza  n.  26035  del  2013,  hanno  dichiarato
"inammissibili" sia  il  ricorso  per  regolamento  di  giurisdizione
proposto dal Segretariato generale della Presidenza della Repubblica,
in applicazione dell'art. 41, comma 2, codice  di  procedura  civile,
sia il controricorso proposto dal sig. Di Pietro  (...).  Ovviamente,
la decisione di rito non ha  dato  luogo  ad  alcun  giudicato  sulla
giurisdizione  della  Corte  dei  conti  per  la   controversia   qui
all'esame; ravvisa, peraltro, il Collegio che debba essere confermata
la  sussistenza  della  giurisdizione  del  giudice  contabile,  gia'
affermata dalla Sezione territoriale. 
    Appare in  primo  luogo  indubbio,  non  solo  che  deroghe  alla
giurisdizione in favore di una giurisdizione domestica (o autodichia)
debbono essere espressamente previste o  consentite  da  disposizioni
costituzionali (cfr. Cassazione SS.UU. n. 6529/2010, n.  12614/1998),
ma  anche  che  deroghe  di  tal  fatta  sono   sempre   di   stretta
interpretazione (Corte cost. n. 129/1981).  Nella  fattispecie  manca
una  disposizione  costituzionale   che   escluda,   direttamente   o
indirettamente, l'assoggettamento  dei  dipendenti  del  Segretariato
generale  della   Presidenza   della   Repubblica   ai   giudizi   di
responsabilita' per danno erariale di cui conosce la Corte dei conti. 
    In  secondo  luogo,  non  puo'  dubitarsi  che   i   giudizi   di
responsabilita'  per  danno  erariale  siano   diversi   e   distinti
dall'ordinario contenzioso sul rapporto di lavoro dei dipendenti  del
Segretariato generale, ricompreso nell'«autodichia» della  Presidenza
della  Repubblica  riconosciuta  dai  regolamenti  presidenziali   n.
81/1996 e n. 89/1996, peraltro oggetto del conflitto di  attribuzione
tra poteri dello Stato recentemente  sollevato  dalle  Sezioni  Unite
della Cassazione con ordinanza n. 740/2015. 
    Inoltre, i giudizi di  responsabilita'  dinanzi  alla  Corte  dei
conti per il risarcimento del danno  erariale  restano  ben  distinti
anche dai giudizi di  conto  celebrati  dinanzi  alla  stessa  Corte;
giudizi - questi ultimi - che sono caratterizzati, a  differenza  dei
primi (come evidenziato dalla Procura generale),  da  «necessarieta',
ufficiosita',     automaticita',      continuita',      pervasivita',
inquisitorieta'». Ne' risulta, per i giudizi di  responsabilita',  la
«consuetudine  costituzionale»  sulla  base  della  quale  la   Corte
costituzionale, con la sentenza n. 129/1981, aveva  (discutibilmente,
ad avviso del Collegio) ritenuto  di  escludere  il  tesoriere  della
Presidenza della  Repubblica  dall'obbligo  di  presentare  il  conto
giudiziale previsto dall'art. 74 del regio decreto n. 2240/1923. 
    In definitiva, si ritiene  che  per  il  risarcimento  del  danno
erariale causato dai dipendenti  della  Presidenza  della  Repubblica
vigano i principi comuni, nel senso che le due azioni -  l'azione  di
responsabilita'  amministrativa  davanti  al  giudice   contabile   e
l'ordinaria azione civilistica di responsabilita' - coesistono  senza
difficolta' atteso che la giurisdizione  civile  e  quella  contabile
sono reciprocamente  indipendenti  nei  loro  profili  istituzionali,
sicche' il  rapporto  tra  le  due  azioni  si  pone  in  termini  di
alternativita' anziche' di esclusivita', dando luogo a questioni  non
di giurisdizione, ma di proponibilita' della domanda (cfr. Cassazione
SS.UU.  n.  22114/2014,  n.  64/2014,  n.  63/2014,  n.  11/2012,  n.
27092/2009). E, quindi,  il  coesistere  delle  due  diverse  azioni,
aventi presupposti e finalita' diversi, non determina un conflitto di
giurisdizioni, ma soltanto un'eventuale preclusione all'esercizio  di
un'azione quando con l'altra si sia ottenuto il medesimo  bene  della
vita (cosi': Cassazione SS.UU. n. 8927/2014); preclusione  che  nella
specie e' certamente da escludere, tenuto conto che  non  risulta  da
alcun atto di causa che -a seguito del giudizio civile esitato con la
sentenza del Tribunale di Roma n. 16997  del  2015  -  la  Presidenza
della Repubblica sia stata  reintegrata  del  danno  quantificato  in
quella sentenza in euro 4.631.691,96. 
    L'eccezione di difetto assoluto  di  giurisdizione  (...)  va  in
definitiva respinta». 
    La summenzionata  sentenza  pone  diversi  problemi  rispetto  al
principio di diritto che afferma l'esenzione della  Presidenza  della
Repubblica dalla giurisdizione contabile, da cui segue, ed e'  questo
il motivo per cui si ricorre  dinanzi  a  codesta  ecc.ma  Corte,  la
lesione  dell'autonomia  costituzionalmente   garantita   dell'organo
stesso. 
    La esclusiva competenza  della  Presidenza  della  Repubblica  e'
stata infatti palesemente violata. 
    Giova peraltro ricordare che la Presidenza della Repubblica, come
sopra accennato, aveva gia' promosso, a tutela delle proprie autonome
ragioni riguardanti la medesima vicenda, azione  giudiziaria  dinanzi
al Giudice ordinario (Tribunale civile di Roma) che, con sentenza  n.
16697, depositata il  4  agosto  2015  (successivamente  impugnata  e
relativamente alla quale pende tuttora  appello  dinanzi  alla  Corte
d'appello civile di Roma), ha condannato i  signori  Gianni  Gaetano,
all'epoca dei fatti titolare dell'ufficio contabilita'  della  Tenuta
di Castelporziano, e Alessandro Demichelis, al tempo Direttore  della
Tenuta di Castelporziano (quest'ultimo non condannato dalla Corte dei
conti,   che   ha   invece   condannato   il   Di   Pietro,    allora
cassiere-contabile, in solido  con  il  Gaetano,  limitatamente  alla
somma  di  euro  550.000,00   -   compresa   nell'importo   di   euro
4.631.691,96) -, ritenendoli condebitori solidali  e  liquidando,  in
favore della Presidenza attrice, la somma di  €  4.631.691,96,  oltre
alla rivalutazione monetaria ed interessi dal  1°  gennaio  dell'anno
successivo a quello in cui si  e'  verificato  l'ammanco,  al  saldo,
nonche' la somma di € 100.000,00 (sempre in solido  fra  i  medesimi)
oltre agli interessi al tasso legale ex art. 1284 del codice  civile,
con decorrenza dalla data di pubblicazione  della  sentenza  fino  al
pagamento, per «danno non patrimoniale» (all'immagine). 
    Tale  ulteriore  voce  di  danno  (non  patrimoniale),  e'  stata
liquidata dal Giudice civile in relazione ad apposita domanda in  tal
senso formulata  da  parte  attrice,  cioe'  dalla  Presidenza  della
Repubblica,  mentre  non  risulta  essere  stata  presa   in   alcuna
considerazione dalla Procura regionale per il Lazio della  Corte  dei
conti nell'avvio dell'azione di responsabilita', ne',  quindi,  dalla
Sezione giurisdizionale. 
    Conseguentemente,  come  si  dira'  in  seguito,  dall'«eventuale
preclusione all'esercizio di un'azione  quando  con  l'altra  si  sia
ottenuto il medesimo bene della  vita»,  sostenuta  dalla  Corte  dei
conti  nella  sentenza  qui  impugnata  a  sostegno   della   propria
«giurisdizione», potrebbe derivare alla Presidenza  della  Repubblica
un ulteriore danno anche  in  termini  di  mancato  ristoro  del  pur
evidente danno all'immagine subito, neppure richiesto dalla Corte dei
conti. 
    Si precisa, fra l'altro, che, mentre il Giudice ordinario, con la
sentenza n. 16697 depositata il  4  agosto  2015,  ha  condannato  in
favore della Presidenza della Repubblica, in  solido  fra  loro,  per
l'intero (oltre al detto danno non patrimoniale, non liquidato  dalla
Corte dei conti) i sigg.ri Gianni Gaetano e Alessandro Demichelis  al
pagamento della somma di € 4.631.691,96, oltre  accessori,  la  Corte
dei conti ha condannato il signor Gianni Gaetano al  pagamento  della
somma di € 4.631.691,96 oltre accessori ed il signor Paolo Di Pietro,
in solido con il signor Gianni Gaetano, solo limitatamente alla somma
di € 550.000,00, oltre accessori (compresa nel  detto  importo  di  €
4.631.691,96). 
    Giova  peraltro  ricordare,  che,  impregiudicato  quanto   sopra
rilevato, che, come noto, la Corte dei conti puo' applicare  il  c.d.
potere di «riduzione» dell'addebito previsto sin dal regio decreto 18
novembre 1923, n. 2440 (art. 83), a norma  del  quale  la  Corte  dei
conti, «valutate le singole responsabilita' puo' porre a  carico  dei
responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto». 
    Tale disposizione non risulta essere stata abrogata (neppure  dal
Codice di giustizia contabile di cui al decreto  legislativo  n.  174
del 2016, in vigore, come noto, dal 7 ottobre 2016). 
    E' quindi peraltro evidente come, anche in via generale, l'azione
promossa dinanzi al Giudice ordinario possa garantire il recupero  ed
il ristoro  di  tutte  le  voci  di  danno  richieste  e  soprattutto
dell'intero danno subito e non  solo  di  parte  dello  stesso  (come
peraltro e', nella  specie,  confermato  ex  actis,  confrontando  le
rispettive decisioni, una delle quali, come si e' detto, non contiene
alcun riferimento al danno non patrimoniale, e  soprattutto  risulta,
nel suo  complesso,  assai  meno  garantista  della  possibilita'  di
recuperare le somme in questione, in considerazione  del  fatto  che,
come si e' detto, a differenza del Giudice ordinario,  la  Corte  dei
conti ha  condannato  esclusivamente  il  signor  Gianni  Gaetano  al
pagamento dell'intera somma di € 4.631.691,96 ed il signor  Paolo  Di
Pietro, in solido con il signor Gianni  Gaetano,  solo  limitatamente
alla somma  di  €  550.000,00,  (compresa  nel  detto  importo  di  €
4.631.691,96). 
    Quanto sostenuto nella sentenza qui  impugnata  relativamente  al
«coesistere delle due diverse azioni [dinanzi al Giudice ordinario  e
dinanzi alla  Corte  dei  conti  per  danno  erariale,  ndr],  aventi
presupposti e  finalita'  diversi,  non  determina  un  conflitto  di
giurisdizioni, ma soltanto un'eventuale preclusione all'esercizio  di
un'azione quando con l'altra si sia ottenuto il medesimo  bene  della
vita»,  sembra   ancor   piu'   sottolineare   l'interferenza   nelle
attribuzioni presidenziali, dal momento che, essendo gia' intervenuta
la sentenza della Corte dei conti di secondo grado  prima  di  quella
del Giudice ordinario, dinanzi  al  quale  pende  tuttora  l'appello,
sarebbe ormai, ad  avviso  della  Corte  dei  conti,  sostanzialmente
precluso l'ulteriore corso dell'azione  intentata,  per  la  medesima
vicenda, dalla Presidenza della Repubblica, che, sua sponte, ha a suo
tempo adito l'Autorita' giudiziaria ordinaria,  ottenendo,  in  primo
grado, la condanna al  risarcimento  del  danno  patrimoniale  e  non
patrimoniale. 
    La pronuncia della Corte dei conti si sovrappone dunque a  quella
piu'  favorevole,  gia'  resa  dal  Giudice  ordinario,   che   crea,
contrariamente, peraltro, a quanto ritenuto  dalla  Corte  dei  conti
nella  sentenza  qui   impugnata,   un   potenziale   conflitto   tra
«giudicati». 
    Oltre  alla  ulteriore  voce  di  danno  -  non  patrimoniale   -
riconosciuta dal Tribunale civile e non dalla sez. II Giurisdizionale
centrale d'appello della  Corte  dei  conti,  e'  invero  sufficiente
confrontare i dispositivi delle due sentenze (quella qui impugnata  e
quella del Tribunale ordinario di Roma, II sezione civile,  n.  16997
del 4 agosto 2015,  relativamente  alla  quale  pende  tuttora,  come
detto, il giudizio di appello dinanzi alla Corte d'appello civile  di
Roma) per riscontrare che la condanna dell'una e' riferita a soggetti
diversi da quelli dell'altra, con cio' potendo  concretare,  peraltro
in danno della Presidenza della Repubblica per la denegata ipotesi in
cui dovesse accedersi alla tesi sostenuta dalla Corte dei conti,  una
sovrapposizione di decisioni. 
    Ed invero, la Corte dei conti ha condannato  «Gianni  Gaetano  al
pagamento (...) dell'importo di euro 4.631.691,96 oltre rivalutazione
monetaria dal 1° gennaio 2009 alla data di deposito della sentenza di
primo grado e interessi legali sull'importo rivalutato dalla data  di
deposito della sentenza di primo  grado  al  soddisfo»  e  «Paolo  Di
Pietro al pagamento (...) limitatamente alla somma di euro 550.000,00
(compresa  nell'importo  di  euro  4.631.691,96)  con   rivalutazione
monetaria e  interessi  da  calcolarsi  secondo  le  modalita'  sopra
indicate»; il Tribunale civile  di  Roma,  invece,  ha  condannato  i
signori Gianni Gaetano  e  Alessandro  Demichelis  (quest'ultimo  non
condannato, come si e' visto, dalla Corte dei conti) al pagamento, in
solido (per l'intero) fra loro, della somma di «€ 4.631.691,96  oltre
alla rivalutazione monetaria ed interessi dal  1°  gennaio  dell'anno
successivo a quello in cui si  e'  verificato  l'ammanco  al  saldo»,
nonche' ad € 100.000,00 (sempre in solido fra i medesimi) oltre  agli
interessi come da dispositivo; nella stessa  sede  civile,  e'  stato
ritenuto che, relativamente al Di  Pietro,  condannato,  come  si  e'
visto, dalla Corte dei conti, non fosse stata fornita la  prova  «che
(...) avesse prelevato somme di denaro senza restituirle, ne' del suo
coinvolgimento nella verificazione degli ammanchi, ne'  la  prova  di
tale coinvolgimento e' emersa dal processo penale» e che, «pur avendo
il Di Pietro prelevato (e sempre restituito) denaro dalla cassa,  non
sono emersi in maniera adeguata ne' la compartecipazione  consapevole
alle  condotte  gravemente  colpose  e  dolose  del  Gaetano  e   del
Demichelis, le quali hanno determinato o non  impedito  gli  ammanchi
riscontrati, ne' l'attribuzione al Di  Pietro  di  mansioni  tali  da
consentire ed affermare che questi avesse posto  in  essere  condotte
commissive o omissive  eziologicamente  legate  agli  ammanchi  della
contabilita'». 
    Il legislatore ha peraltro anche recentemente confermato di voler
mantenere circoscritto  il  perimetro  dei  dipendenti  ai  quali  la
«notizia di danno erariale» e' riferita, con l'art. 51, comma 7,  del
decreto legislativo n. 174 del 2016, che cosi' recita:  «La  sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata  nei  confronti  dei  dipendenti
delle pubbliche amministrazioni di  cui  all'art.  1,  comma  2,  del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli organismi  e
degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno  delle
stesse, e' comunicata al competente procuratore regionale della Corte
dei   conti   affinche'   promuova   l'eventuale   procedimento    di
responsabilita' per danno  erariale  nei  confronti  del  condannato.
Resta salvo quanto disposto dall'art. 129 delle norme di  attuazione,
di coordinamento  e  transitorie  del  codice  di  procedura  penale,
approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271». 
    Quindi, ancora una volta, il legislatore ha riferito  la  notizia
di danno erariale e con essa l'azione di  responsabilita'  ai  (soli)
«dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1,  comma
2, del decreto legislativo n. 165 del 2001», ed a quelli degli  altri
organismi ed enti  ivi  puntualmente  indicati  (con  elencazione  da
ritenersi,   anche   alla   luce   della   granitica   giurisprudenza
costituzionale in materia, certamente tassativa), ma non  anche,  per
evidente ed  immutato  rispetto  delle  funzioni  presidenziali,  nei
confronti  di  coloro  che  svolgono  attivita'  lavorativa  ad  esse
funzionale. 
    L'erroneita' del presupposto da cui  parte  la  Corte  dei  conti
negli atti qui impugnati risiede, evidentemente, nella confusione tra
organo costituzionale e pubblica amministrazione. 
    L'equivoco, in cui sono palesemente cadute dapprima la Procura e,
successivamente, la Sezione giurisdizionale  della  Corte  dei  conti
poi, risulta palese: esse hanno confuso o voluto confondere, posto il
chiaro tenore  della  sentenza,  un  organo  costituzionale  con  una
pubblica amministrazione  e,  cio'  che  risulta  piu'  grave,  hanno
avviato un'azione di  responsabilita'  nei  riguardi  di  coloro  che
prestavano la propria attivita' lavorativa presso la Presidenza della
Repubblica in chiara ed aperta  violazione  della  Costituzione  (con
particolare riguardo agli articoli 84 e 87), per le  ragioni  che  di
seguito si illustrano. 
    Si ritiene invero che la semplice lettura  della  Costituzione  e
della giurisprudenza costituzionale avrebbero dovuto  scongiurare  il
presente ricorso per conflitto di  attribuzione,  che  la  Corte  dei
conti, nel  confermare,  sul  punto,  la  sentenza  di  primo  grado,
disattendendo l'eccezione di difetto di giurisdizione, ma soprattutto
nel manifestare espressamente una posizione di non condivisione della
sentenza di codesta  ecc.ma  Corte  n.  129  del  1981  (cio'  emerge
palesemente dalle parole con cui la Corte dei  conti  si  esprime  in
sentenza, ove si legge  che  «con  la  sentenza  n.  129/1981,  aveva
(discutibilmente, ad avviso del Collegio) ritenuto  di  escludere  il
tesoriere  della  Presidenza   della   Repubblica   dall'obbligo   di
presentare il  conto  giudiziale  previsto  dall'art.  74  del  regio
decreto n. 2240/1923»), sembra piuttosto aver inteso in qualche  modo
sollecitare. 
    Non solo, ma nella sentenza  de  qua  la  Corte  dei  conti,  pur
ribadendo concetti non condivisibili  di  cui  si  dira'  in  seguito
(perche' palesemente contrastanti con  il  principio  di  unitarieta'
della materia contabile) precisando che i giudizi di  responsabilita'
non sono caratterizzati,  a  differenza  dei  giudizi  di  conto  «da
"necessarieta',     ufficiosita',     automaticita',     continuita',
pervasivita', inquisitorieta'"»,  ritenendoli  dunque,  si  desume  a
contrario, non «necessari», mostra di voler pervicacemente  insistere
nella propria (fino a  quel  momento  ancora  rimediabile)  invasione
delle attribuzioni costituzionali della Presidenza della  Repubblica,
attribuzioni ulteriormente impropriamente invase dalla  sopra  citata
nota del 22 marzo 2017, con la quale  la  Procura  regionale  per  il
Lazio della Corte dei  conti,  ha  trasmesso,  per  l'esecuzione,  la
sentenza in questione. 
    Come sopra evidenziato,  il  legislatore  ha  anche  recentemente
confermato  di  voler  mantenere  circoscritto   il   perimetro   dei
dipendenti ai quali la «notizia di danno erariale» e'  riferita,  con
l'art. 51, comma 7, del decreto legislativo  n.  174  del  2016,  che
cosi' recita: «La sentenza irrevocabile di condanna  pronunciata  nei
confronti dei  dipendenti  delle  pubbliche  amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165,
nonche' degli organismi e degli  enti  da  esse  controllati,  per  i
delitti commessi a danno delle stesse, e'  comunicata  al  competente
procuratore  regionale  della  Corte  dei  conti  affinche'  promuova
l'eventuale procedimento di responsabilita' per  danno  erariale  nei
confronti del condannato (...)». 
    Nonostante quindi il legislatore si  fosse  anche  medio  tempore
correttamente determinato a non contemplare, come in  precedenza  non
ha  mai  contemplato,   i   dipendenti   dell'Organo   costituzionale
nell'ambito dei dipendenti ai quali la notizia di danno  erariale  e'
riferita, sono intervenute sia la sentenza de qua, sia la nota  della
Procura regionale per il Lazio, da ultimo citata, nella quale  ultima
viene tra l'altro menzionato  l'art.  212  del  Codice  di  giustizia
contabile,   ed   allegata   persino   una   circolare   dell'Ufficio
monitoraggio sentenze di condanna  della  Procura  regionale  per  il
Lazio  che,  la  Corte  dei  conti,  «invita»  la  Presidenza   della
Repubblica a «seguire». 
    Risulta davvero aberrante anche solo ipotizzare  che  un  ufficio
della Corte dei  conti  possa  monitorare  l'attivita'  dell'apparato
funzionale all'esercizio  delle  attribuzioni  del  Presidente  della
Repubblica. 
    Tali atti continuano a dimostrare l'ostinazione con cui la  Corte
dei  conti  ha  deliberatamente  cd  anche  testualmente,  attesa  la
asserita, palesata  messa  in  discussione  di  quanto  affermato  da
codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 129 del 1981 - inteso colpire,
impropriamente, le attribuzioni presidenziali, invadendole,  tentando
cosi'  di  incidere  gravemente  sull'autonomia  e  sull'indipendenza
dell'Organo stesso. 
    Inoltre, poiche', come sopra accennato, dai vari  atti  posti  in
essere dalla Corte dei conti, dalla sentenza n.  1354/2016  ed  anche
dalla lettera della Procura regionale per il Lazio del 22 marzo 2017,
di trasmissione della stessa per la sua esecuzione,  emerge  peraltro
una chiara confusione dell'organo  costituzionale  con  una  pubblica
amministrazione, con conseguente, indebita ingerenza della Corte  dei
conti  nell'autonomia  costituzionale  dell'organo,  non   risultera'
irriverente effettuare, nell'odierna altissima sede, la ricostruzione
che segue. 
    Come noto, l'art. 84, terzo comma,  della  Costituzione,  prevede
che «L'assegno e la dotazione del  Presidente  sono  determinati  per
legge». 
    L'art. l della legge  9  agosto  1948,  n.  1077,  in  attuazione
dell'art. 84, terzo comma, Cost., ha previsto che «La  dotazione  del
Presidente della Repubblica, prevista dal terzo  comma  dell'art.  84
della Costituzione, e' costituita  dal  Palazzo  del  Quirinale,  dai
fabbricati San Felice e Martinucci e collegata  autorimessa  siti  in
Roma, via, della Dataria, rispettivamente  ai  nn.  21,  14,  nonche'
dalla tenuta di Castelporziano esclusi tutti  i  terreni  attualmente
affittati, e da tutti i mobili e le pertinenze dei beni medesimi. 
    E'  altresi'  assegnata  alla  dotazione  del  Presidente   della
Repubblica  la  somma  annua  (...)  da  stanziarsi  nello  stato  di
previsione della spesa del Ministero del tesoro e  da  corrispondersi
in dodici mensilita'.». 
    Ai sensi delle citate disposizioni, quindi: 
        se la dotazione del Presidente e' (e  non  puo'  che  essere)
determinata per legge, e se la legge ha previsto,  nell'ambito  della
stessa, la «tenuta di Castelporziano (...) e (...) tutti i  mobili  e
le pertinenze dei beni medesimi», e' evidente che ogni determinazione
su tali  beni  non  puo'  che  essere  rimessa  al  Presidente  della
Repubblica; 
        analogamente, la somma annua assegnata  al  Presidente  della
Repubblica, dell'art. 1, comma 2, della legge n. 1077/1948, ai  sensi
dell'art. 84, terzo comma, e' determinata dalla legge  ed  e'  quindi
obbligatoriamente stanziata, per legge,  nella  misura  dalla  stessa
legge indicata. 
    Cio' comporta che solo ed esclusivamente l'organo  costituzionale
puo' assumere determinazioni con riguardo a tutti i  beni  rientranti
nella  dotazione  prevista   dalla   Costituzione   ed   individuata,
esclusivamente nella sua concreta e  complessiva  consistenza,  dalla
legge. 
    La Corte  dei  conti,  nella  sentenza  qui  impugnata,  pone  la
questione in termini non  corretti,  verosimilmente  per  tentare  di
giustificare  la  sua  indebita   interferenza   nelle   attribuzioni
presidenziali, traendo spunti da tematiche differenti,  comunque  non
attinenti alla fattispecie: qui non  si  tratta,  come  affermato  in
sentenza, di riconoscere o meno «deroghe alla giurisdizione in favore
di una giurisdizione domestica (o autodichia)» - come peraltro emerge
chiaramente anche dalla citata ordinanza delle SS.UU.  n.  26035  del
2013 con riguardo alla stessa vicenda - di negare  o  riconoscere  la
giurisdizione  di  un  giudice  in  luogo  di  un  altro,  bensi'  di
escludere,  in  radice,  interferenze  nel  libero,  indipendente  ed
autonomo esercizio delle funzioni presidenziali,  che,  diversamente,
verrebbe sensibilmente compromesso. 
    La Corte dei  conti,  sostanzialmente,  intende  auto-attribuirsi
quanto non previsto dalla Costituzione ed in contrasto con essa e con
tutta  la  copiosa  giurisprudenza  costituzionale  sopra  richiamata
(expressis  verbis,  come  si  e'  visto,  mettendo  addirittura   in
discussione quanto ritenuto nella sentenza di codesta ecc.ma Corte n.
129 del 1981), nonche' con le disposizioni normative che, nel  tempo,
mai hanno contemplato la Presidenza della Repubblica. 
    La Costituzione disciplina infatti, come noto, nell'ambito  della
Parte II, rubricata «Ordinamento della Repubblica»,  nel  Titolo  II,
tutto  cio'  che  concerne  il  Presidente  della  Repubblica,  dalle
modalita' della sua elezione, alle sue funzioni; 
    in un diverso Titolo, il  III,  dedicato  a  «Il  Governo»,  alla
Sezione II  (dopo  la  I,  dedicata  al  «Consiglio  dei  Ministri»),
rubricata «La pubblica  amministrazione»,  disciplina  «Le  pubbliche
amministrazioni», cioe'  le  strutture  amministrative  serventi  del
Consiglio dei ministri e, dunque, dei singoli Ministri che  ne  fanno
parte (ai sensi dell'art. 92, primo comma Cost., infatti, «Il Governo
della Repubblica e' composto  del  Presidente  del  Consiglio  e  dei
Ministri, che costituiscono  insieme  il  Consiglio  dei  ministri»),
prevedendo che le stesse, «in coerenza con l'ordinamento  dell'Unione
europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita'  del
debito pubblico» (art. 97, primo comma, Cost.). 
    I commi successivi dell'art. 97 Cost., cosi' dispongono: 
        «I pubblici uffici sono organizzati secondo  disposizioni  di
legge,  in  modo  che  siano  assicurati  il  buon  andamento  e   la
imparzialita' dell'amministrazione. 
    Nell'ordinamento  degli  uffici  sono  determinate  le  sfere  di
competenza,  le  attribuzioni  e  le  responsabilita'   proprie   dei
funzionari. 
    Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede  mediante
concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.». 
    Dalla  Carta  costituzionale  discende  quindi   chiaramente   la
peraltro ben nota  distinzione  tra  Presidente  della  Repubblica  e
apparato necessario per l'espletamento delle sue funzioni, qual e' il
Segretariato generale, e  pubblica  amministrazione,  ribadita  dalla
giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 129 del 1981). 
    Codesta ecc.ma Corte ha  infatti  affermato  che  «la  Presidenza
della Repubblica (...) abbisogna di apposito apparato per l'esercizio
delle funzioni presidenziali, in  piena  indipendenza  rispetto  agli
altri poteri dello Stato» (Corte costituzionale, 10 luglio  1981,  n.
129). 
    Non solo, ma, alla luce delle norme contenute nella  Costituzione
riguardanti la Corte dei conti, puo' osservarsi che, contrariamente a
quanto si assume nella decisione qui impugnata, ivi  si  rinviene  il
preciso perimetro delle attribuzioni alla stessa assegnate,  che  non
riguarda  in  alcun  modo  il  Presidente   della   Repubblica   ne',
conseguentemente, la sua dotazione (intesa come  «mezzi»  e  risorse,
anche umane, necessarie per assicurare l'autonomia  e  l'indipendenza
delle funzioni presidenziali, poiche'  funzione  della  dotazione  e'
garantire  una   «base»   all'autonomia   contabile   e   finanziaria
dell'organo   costituzionale   ai   detti   fini),    ivi    incluso,
necessariamente, il Segretariato generale nella sua interezza, di cui
il Presidente puo' e deve liberamente disporre, anche con riguardo al
recupero di eventuali non trasparenti utilizzi di parte della stessa,
ma di  propria,  indipendente  ed  autonoma  iniziativa  (come  nella
specie, risulta ex  actis,  e'  peraltro  avvenuto,  con  «risultati»
maggiormente satisfattivi  degli  interessi  della  Presidenza  della
Repubblica, avendo la medesima  chiesto  ed  ottenuto,  nel  giudizio
dalla  stessa  attivato,  anche  il  risarcimento   del   danno   non
patrimoniale, di cui non v'e' traccia nel giudizio dinanzi alla Corte
dei conti). 
    Ed invero, come pure  e'  ben  noto,  i  commi  secondo  e  terzo
dell'art. 100 Cost. prevedono, rispettivamente,  che  «La  Corte  dei
conti esercita il controllo preventivo di legittimita' sugli atti del
Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio  dello
Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite  dalla  legge,  al
controllo sulla gestione  finanziaria  degli  enti  a  cui  lo  Stato
contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul
risultato del riscontro eseguito. 
    La legge assicura l'indipendenza dei  due  istituti  e  dei  loro
componenti di fronte al Governo». 
    Il perimetro delle attribuzioni e' dunque  chiaramente  definito,
ed il potere/dovere di controllo  altrettanto  chiaramente  delineato
anche laddove si precisa che «La legge  assicura  l'indipendenza  dei
due istituti e dei loro componenti di fronte al Governo.». 
    Nessun rapporto prevede la Costituzione tra la Corte dei conti ed
il Presidente della Repubblica. 
    Ove la Costituzione avesse ritenuto  di  estendere  il  controllo
della Corte  dei  conti  anche  ad  altri  organi  lo  avrebbe  fatto
espressamente, come espressamente  avrebbe,  specularmente,  previsto
l'indipendenza  dell'istituto  e  dei  suoi  componenti   di   fronte
all'organo costituzionale; tale previsione, quindi,  non  sussistendo
neppure in ipotesi  una  possibilita'  di  interferenza,  non  si  e'
evidentemente resa necessaria. 
    L'art.  103  Cost.  prevede  poi  che  «La  Corte  dei  conti  ha
giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica  e  nelle  altre
specificate dalla legge». 
    E' di tutta evidenza che, essendo  la  dotazione  del  Presidente
della  Repubblica,  prevista,  nella  sua  doverosita'  e   specifica
destinazione, dalla  Costituzione,  ed  includendo  la  stessa  tutto
quanto  necessario  all'espletamento  delle  funzioni  presidenziali,
dunque  il  Segretariato  generale,  demandando   la   stessa   norma
costituzionale  alla  legge  (solo)  la  determinazione   della   sua
effettiva  consistenza,   nessun   altro   organo   puo'   ipotizzare
determinazioni o usi diversi da quelli stabiliti dall'organo  cui  e'
destinata,  che  non  potrebbe  assolvere  le  proprie  delicatissime
funzioni - connotate, peraltro, da un livello di massima sicurezza  e
segretezza quale quello  puntualmente  delineato  nella  sentenza  di
codesta ecc.ma Corte  n.  1  del  2013  che,  diversamente  opinando,
verrebbe impropriamente compromesso - se non con  una  struttura  del
tutto peculiare qual e' il Segretariato  generale,  e  men  che  meno
sindacare ex ante o ex  post  cio'  che  la  Costituzione,  sic,  gli
attribuisce. 
    Una  ulteriore  norma  costituzionale  di  interesse   (sia   pur
indirettamente) in questa sede e' poi contenuta nell'art. 113  Cost.,
ai sensi del quale «Contro gli atti della pubblica amministrazione e'
sempre  ammessa  la  tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e   degli
interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria  o
amministrativa. 
    Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata  a
particolari mezzi di impugnazione  o  per  determinate  categorie  di
atti. 
    La  legge  determina  quali  organi  di   giurisdizione   possono
annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con  gli
effetti previsti dalla legge stessa». 
    Anche in questo caso, la Costituzione si riferisce, all'evidenza,
alla sola pubblica amministrazione,  non  anche  agli  atti  adottati
nell'ambito della piena indipendenza e autonomia- anche organizzativa
- del Presidente della Repubblica. 
    Cio'  che  si  intende  qui  rilevare  e',  in   buona   sostanza
l'interferenza, che a termini  di  Costituzione  risulta  di  palmare
evidenza esclusa in  radice,  della  Corte  dei  conti  nei  riguardi
dell'Organo costituzionale e supremo. 
    Poiche' la Costituzione distingue  e  disciplina  puntualmente  e
diversamente  il   Presidente   della   Repubblica   dalla   pubblica
amministrazione, struttura, quest'ultima, «servente» il Consiglio dei
ministri  ed  i  singoli  Ministri   che   di   esso   fanno   parte,
contraddittorio e radicalmente asistematico risulterebbe ritenere  la
struttura «servente»  dell'organo  costituzionale,  non  disciplinata
dalla  Costituzione,  perche'  evidentemente  demandata,  sotto  ogni
profilo, al Presidente della Repubblica, rientrante  nell'ambito  del
perimetro,  piuttosto  chiaramente  individuato  dalla   Costituzione
stessa, della pubblica amministrazione, diverse essendo  le  funzioni
del Presidente della Repubblica e  quelle  del  Governo  inteso  come
comprensivo,  a  termini  di  Costituzione,   del   «Presidente   del
Consiglio»  e   della   «pubblica   amministrazione»,   disciplinati,
entrambi, e non a caso, dal Titolo III Cost., diverso dal Titolo  II,
nel quale l'elezione e le funzioni presidenziali, come si  e'  visto,
sono regolate. 
    Ne' potrebbe sostenersi, a  fronte  della  logica  costituzionale
come sopra richiamata, che possa affermarsi, come nella sentenza  qui
impugnata  si  sostiene,  che  nei  confronti  dei  dipendenti  della
Presidenza della Repubblica «vigano i principi comuni», poiche'  tali
soggetti  fanno  parte  della  struttura  senza  la  quale   l'organo
costituzionale non potrebbe esplicare le proprie funzioni,  qual  e',
appunto, il Segretariato generale, perche',  come  si  e'  visto,  la
Costituzione, ove utilizza locuzioni quali, ad esempio  «rapporto  di
servizio» o «rapporto di impiego», lo fa con  esclusivo  riguardo  al
personale   appartenente   alla   «pubblica   amministrazione»,   non
includente il personale dedicato all'organo costituzionale, al  quale
l'organo   attribuisce   quindi    regole,    diritti,    doveri    e
responsabilita',  poiche'  tale  personale  svolge  compiti  serventi
rispetto a specifiche funzioni, quali sono, per Costituzione,  quelle
presidenziali, non assimilabili a quelle svolte presso le  «pubbliche
amministrazioni». 
    Corollario di quanto sopra, e': 
    che, essendo il Presidente della Repubblica organo costituzionale
autonomamente previsto e distintamente regolato  dalla  Costituzione,
le norme in tema di pubblica  amministrazione,  non  riguardano,  ne'
possono  riguardare,  in  assenza  di  copertura  costituzionale,  il
Presidente  della  Repubblica,  ne'  il  personale  a   tale   organo
costituzionale dedicato; 
    che la dotazione del Presidente della  Repubblica,  prevista  per
l'assolvimento delle sue  funzioni,  appartiene  esclusivamente,  per
diretta previsione costituzionale, di  cui  la  legge  puo'  definire
esclusivamente la consistenza complessiva, all'organo costituzionale,
e non ad altri, comprensiva, quindi, di ogni determinazione su  tutto
cio' che essa, per Costituzione, «contiene» (in termini  di  risorse,
anche ovviamente umane); 
    che  ogni  iniziativa  assunta  da  altro  organo,  diverso   dal
Presidente  della  Repubblica,   comunque   incidente   su   funzioni
presidenziali, solo al medesimo spettanti,  non  puo'  che  risultare
invasiva delle attribuzioni, dell'indipendenza e  dell'autonomia  del
Presidente della Repubblica; come ritenuto da  codesta  ecc.ma  Corte
nella sentenza n. 129 del 1981, la «spiccata autonomia» di cui godono
gli organi costituzionali, «si esprime anzitutto sul piano normativo,
nel senso che agli organi  in  questione  compete  la  produzione  di
apposite   norme   giuridiche,   disciplinanti   l'assetto   ed    il
funzionamento dei loro apparati serventi; ma non si  esaurisce  nella
formazione, bensi' comprende - coerentemente - il momento applicativo
delle  norme  stesse,  incluse  le  scelte  riguardanti  la  concreta
adozione delle misure atte ad assicurarne l'osservanza. Rispetto alla
materia del presente conflitto, cio' significa da un lato che  spetta
alle Camere  del  Parlamento  ed  alla  Presidenza  della  Repubblica
dettare autonomamente le disposizioni  regolamentari  che  ognuno  di
tali  organi  ritenga  piu'  opportune  per  garantire  una  corretta
gestione delle somme affidate ai  rispettivi  tesorieri;  e  comporta
d'altro lato  che  rientri  nell'esclusiva  disponibilita'  di  detti
organi,  senza  di  che  la  loro   autonomia   verrebbe   dimezzata,
l'attivazione dei  corrispondenti  rimedi,  amministrativi  od  anche
giurisdizionali»; 
    che pertanto, con gli atti qui impugnati,  la  Corte  dei  conti,
confondendo l'organo costituzionale con le pubbliche amministrazioni,
in palese contrasto con  la  Costituzione  e  con  la  giurisprudenza
costituzionale, ha esorbitato dai  propri  poteri,  interferendo  con
quelli dell'Organo costituzionale, tra  i  quali  «l'attivazione  dei
corrispondenti  rimedi,  amministrativi  od  anche   giurisdizionali»
(Corte cost., sentenza n. 129 del 1981, cit.). 
    Gli atti adottati dalla Corte dei conti, dall'avvio della  azione
di responsabilita', sino alla sentenza della sez. II  Giurisdizionale
centrale d'appello n. 1354 del 2016,  nonche',  da  ultimo,  la  piu'
volte citata nota della Procura regionale per il Lazio del  22  marzo
2017, risultano manifestamente invasivi della sfera  di  attribuzioni
riservata dalla Costituzione all'organo costituzionale. 
    Dall'illegittimo esercizio, da parte della Corte  dei  conti,  di
poteri spettanti al Presidente della Repubblica, consegue la peraltro
grave - tenuto anche conto delle eccezioni in proposito anche dinanzi
ad essa formulate nelle varie fasi del giudizio, volte a  sollecitare
una re melius perpensa da parte della stessa Corte dei conti, nonche'
del regolamento di  giurisdizione  proposto  dalla  Presidenza  della
Repubblica, di cui si e' detto supra - menomazione di  una  sfera  di
attribuzioni  costituzionalmente  assegnata   al   Presidente   della
Repubblica. 
    Ed invero, le risorse assegnate  all'organo  costituzionale  sono
funzionali all'espletamento delle sue  funzioni  presidenziali,  che,
essendo uniche non possono essere sindacate ne'  «condivise»  con  (e
men che meno auto-attribuite da) terzi,  se  non  per  determinazione
dell'organo stesso. 
    Rientra nella esclusiva disponibilita' dell'organo costituzionale
attivare  i  rimedi  ritenuti  piu'  idonei   a   tutela   dei   beni
assegnatigli. 
    L'esenzione dalla giurisdizione contabile  rappresenta  anche  un
riflesso dell'autonomia normativa di  cui  l'organo  stesso  dispone,
autonomia che non puo' non  comprendere  l'applicazione  delle  norme
stesse. 
    Il Segretariato generale e', come noto, la struttura  di  ausilio
all'organo  costituzionale  nell'espletamento  delle  sue   funzioni,
indispensabile perche' le stesse possano essere svolte. 
    La legge n. 1077/1948, in attuazione di quanto previsto dall'art.
84, terzo comma, Cost., prevede: 
    all'art.  1,  che  «E'  altresi'  assegnata  alla  dotazione  del
Presidente della Repubblica la somma annua di (...)»; 
    all'art. 3, comma l, che: «E' istituito il Segretariato  generale
della Presidenza della Repubblica, nel quale  sono  inquadrati  tutti
gli uffici e i servizi necessari per  l'espletamento  delle  funzioni
del  Presidente  della  Repubblica  e  per  l'amministrazione   della
dotazione prevista dall'art. 1», dotazione che, lo si  ribadisce,  ex
art.  84,  terzo  comma,  Cost.  appartiene   al   Presidente   della
Repubblica); 
    all'art. 4, che «Lo stato giuridico ed economico e  gli  organici
del personale addetto alla Presidenza sono stabiliti con decreto  del
Presidente della Repubblica». 
    Se cosi' e', la locuzione «stato giuridico ed economico» non puo'
non riferirsi anche al regime delle  responsabilita',  poiche',  ogni
riflesso  anche  negativo  dell'utilizzo  del  quantum  assegnato  al
Presidente della Repubblica nell'ambito dello stanziamento riferito e
specificamente destinato alla sua dotazione, non potrebbe  che  avere
riflessi esclusivamente su di essa,  quindi  sull'espletamento  delle
sue funzioni; conseguenza  di  cio'  e'  che  e'  precipuo  ma  anche
esclusivo interesse del Presidente della Repubblica  recuperare,  per
l'ottimale  funzionamento  della  struttura  indispensabile  per   lo
svolgimento delle sue funzioni,  quanto  eventualmente  indebitamente
alla stessa sottratto. 
    Alla luce del contesto costituzionale, sopra richiamato,  risulta
di palmare evidenza che il Segretariato generale,  presso  cui  «sono
inquadrati gli uffici e i servizi necessari per l'espletamento  delle
funzioni del Presidente  della  Repubblica  e  per  l'amministrazione
della  dotazione»   del   Presidente   della   Repubblica,   entrambe
costituzionalmente previste (funzioni e dotazione), costituiscono  un
unicum inscindibile per Costituzione, posto che,  senza  di  esso  il
Capo dello Stato non potrebbe svolgere le funzioni presidenziali, che
a loro volta non potrebbero  essere  svolte  in  assenza  della  pure
prevista dotazione (dunque,  di  ogni  risorsa  facente  parte  della
stessa). 
    E ancora, l'art. 9 della  medesima  legge  prevede  che  «Per  le
esigenze  degli  uffici  del  Segretariato   generale   puo'   essere
distaccato  personale  di  amministrazioni   pubbliche»,   con   cio'
evidentemente allineandosi, puntualmente, al tessuto  costituzionale,
che chiaramente distingue l'organo costituzionale ed il suo personale
da quello delle pubbliche amministrazioni. 
    Codesta ecc.ma Corte  ha  costantemente  definito  il  Presidente
della Repubblica «organo costituzionale, titolare di attribuzioni non
riconducibili alla sfera di competenza dei  tre  tradizionali  poteri
dello Stato, in ordine alle quali il solo Presidente puo'  promuovere
conflitti risolvibili da questa Corte» (cfr.,  tra  le  molte,  Corte
costituzionale ordinanza, 12 novembre 1980, n. 150). 
    Ed e' proprio la sua  non  riconducibilita'  ad  alcuno  dei  tre
poteri dello Stato ad escludere  radicalmente  ogni  interferenza  da
parte  di  uno  di  essi  (nella  specie  quello   giudiziario),   e,
conseguentemente, la sindacabilita' di quanto solo al medesimo organo
spettante. 
    Si ricorda, altresi', ad ogni  buon  conto,  che  codesta  ecc.ma
Corte ha, in piu' occasioni, ribadito che (cfr., tra le molte,  Corte
costituzionale, sentenza 4 marzo 2008, n. 46, riguardante peraltro la
ben diversa materia penale e  riguardante  non  il  Presidente  della
Repubblica, bensi' un parlamentare) «la puntuale  attribuzione  della
giurisdizione   in   relazione   alle    diverse    fattispecie    di
responsabilita' amministrativa  non  opera  automaticamente  in  base
all'art. 103 della Costituzione, ma e' rimessa alla  discrezionalita'
del legislatore ordinario (fra le molte, si vedano le sentenze n.  24
del 1993, n. 773 del 1988, n. 641 e n. 230 del 1987, n. 241 e n.  189
del 1984), e che la Corte dei conti non e' "il giudice naturale della
tutela degli interessi pubblici e della tutela  dei  danni  pubblici"
(sentenza n. 641 del 1987)». 
    E  nella  specie,  come  noto,  trattasi  del  Presidente   della
Repubblica la cui immunita'  e  le  cui  prerogative  -  e  relative,
specifiche eccezioni - sono  previste  dalla  Costituzione  (art.  90
Cost.). 
    Con la pronuncia qui impugnata, la  Corte  dei  conti  ha  invero
affermato la propria «giurisdizione» su «dipendenti» del Segretariato
generale della Presidenza  della  Repubblica,  con  cio'  assimilando
impropriamente  il   peculiare   stato   giuridico   dei   dipendenti
dell'organo costituzionale a quello dei  dipendenti  delle  pubbliche
amministrazioni  (nonche'  confondendo,  come  si  e'  detto   supra,
evidentemente,   l'organo    costituzionale    con    una    pubblica
amministrazione), e, con la nota del  22  marzo  2017  della  Procura
regionale, addirittura invitato  la  Presidenza  della  Repubblica  a
«seguire» le indicazioni  contenute  in  una  circolare  dell'Ufficio
monitoraggio sentenze di condanna (!). 
    Nel  dettaglio,  le  affermazioni  sopra   riportate,   contenute
primariamente ma non solo nella sentenza n.  1354/2016,  appaiono  in
frontale  contrasto  con  la  giurisprudenza  costituzionale  qui  di
seguito richiamata. 
    Gia' nel 1968 codesta ecc.ma Corte (sent. n. 143 del  1968)  ebbe
ad enunciare il principio di «inviolabilita'»  della  gestione  degli
organi costituzionali: «Il controllo della Corte  dei  conti,  com'e'
noto, si esercita, allo scopo di assicurare il rispetto delle  leggi,
sull'azione del Governo e dei rami della pubblica amministrazione che
dipendono da esso (art. 100 della Costituzione e T.U. 12 luglio 1934,
n. 1214). Ne e' esente l'attivita' di quegli  organi,  come  il  Capo
dello Stato, il Parlamento e  questa  Corte,  la  cui  posizione,  ai
vertici dell'ordinamento costituzionale, e' di assoluta indipendenza:
anche  in  materia  di  spese,  poiche'  esse  sono   necessarie   al
funzionamento dell'organo, un riscontro esterno  comprometterebbe  il
libero esercizio delle funzioni politico-legislative  o  di  garanzia
costituzionale che gli sono attribuite. 
    Percio' nell'art. 100 della Costituzione e nel T.U.  delle  leggi
sulla Corte dei conti e' chiaro che il controllo investe gli atti non
in quanto siano amministrativi in senso sostanziale, ma per  la  loro
provenienza  dal  Governo  o   da   altri   organi   della   pubblica
amministrazione; tanto e' vero che proprio per questa provenienza  vi
sono soggetti anche i decreti-legge e le leggi  delegate  e  che  gli
altri decreti presidenziali vi sono sottoposti poiche' "emanano"  dai
"Ministeri" (art. 17 T.U.), cioe' dal Governo: insomma e'  la  natura
dell'organo, e non la natura dell'atto indipendentemente da quella, a
legittimare il  c.d.  riscontro.  Cosicche',  se  e'  discutibile  la
configurazione della Corte dei conti  quale  organo  ausiliario  "del
Governo", non  sembra  dubbio  che  il  suo  controllo  investa  solo
l'azione dell'esecutivo, della quale appunto e' diretto  a  garantire
la legalita': difatti l'art. 100 della Costituzione e' posto entro il
titolo III, dedicato al Governo, e il T.U. non conosce che i Ministri
e le amministrazioni dipendenti (articoli 15, 16, 17,  21  e  art.  1
legge 21 marzo 1953, n.  161).  In  particolare  l'impiego  di  somme
destinate  ad  uno  dei  tre  organi  costituzionali  e'  soggetto  a
sindacato fino a quando sia atto del Governo; ma, appena  esse  siano
giunte a disposizione  dell'organo,  gli  ulteriori  atti  di  spesa,
comunque si concretino, sono atti interni di quest'ultimo  e  percio'
sottratti al riscontro». 
    Risulta di palmare evidenza quindi, che nella  specie  sia  stato
impropriamente attivato  proprio  quel  «riscontro  esterno»  che  ha
concretato una non consentita compromissione  del  «libero  esercizio
delle funzioni» presidenziali (Corte cost., sentenza n. 143 del 1968,
cit.). 
    Va peraltro ad ogni buon conto ricordato che,  in  un  precedente
non molto risalente, la Camera dei  deputati  ha  deliberato  di  non
ottemperare ad una richiesta istruttoria della  Procura  della  Corte
dei conti (Ufficio di Presidenza del 13 aprile 2010). 
    Da quanto detto  segue  che  tutti  i  profili  sopra  richiamati
(incluse le ipotesi  di  responsabilita'  per  danno  erariale)  sono
rimessi, in via esclusiva, all'autonomia costituzionale dell'organo. 
    Occorre poi ricordare che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
affermato la sussistenza  di  deroghe  espresse  alla  giurisdizione,
ammissibili  «soltanto  nei  confronti   di   organi   immediatamente
partecipi del potere  sovrano  dello  Stato,  e  percio'  situati  ai
vertici dell'ordinamento», con cio' includendo, con  tutta  evidenza,
la Presidenza della Repubblica (sentenza n. 110 del 1970). 
    L'orientamento da ultimo richiamato e' stato portato a  ulteriore
compimento dalla sentenza n. 129 del  1981,  in  cui  codesta  ecc.ma
Corte ha espressamente affermato l'esenzione della  Presidenza  della
Repubblica dalla giurisdizione contabile, atteso che  «la  disciplina
dettata  dalle  norme  costituzionali  scritte,  quanto   al   regime
organizzativo  e  funzionale  degli  apparati  serventi  gli   organi
costituzionali, non e' affatto compiuta e dettagliata». Sicche',  «ad
integrazione di esse ed in corrispondenza  alle  peculiari  posizioni
degli organi medesimi, si sono dunque affermati principi non scritti,
manifestatisi e consolidatisi attraverso la ripetizione  costante  di
comportamenti uniformi  (o  comunque  retti  da  comuni  criteri,  in
situazioni identiche o analoghe): vale a dire, nella forma di vere  e
proprie consuetudini costituzionali» (sentenza n. 129 del 1981). 
    E' stato quindi affermato che il principio dell'art.  103  Cost.,
circa la  giurisdizione  della  Corte  dei  conti  nelle  materie  di
contabilita' pubblica, pur conferendo una  capacita'  espansiva  alla
disciplina  dettata  dal  regio  decreto  12  luglio  1934,  n.  1214
(Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti)  per
gli agenti contabili dello Stato, trova  limiti  specifici  (sentenze
Corte costituzionale n. 110 del 1970 e n. 102 del 1977), tra i  quali
il piu' evidente e' quello individuato da codesta ecc.ma Corte  nella
consuetudine   costituzionale   posta   a   presidio   dell'autonomia
organizzativa e contabile della Presidenza della Repubblica (sentenza
n. 129 del 1981). Cio' in virtu' di una deroga  -  che  poggia  sulla
richiamata  consuetudine  costituzionale  -  rispetto  alla  generale
sottoposizione alla giurisdizione contabile,  operante,  per  ragioni
storiche e di salvaguardia della piena autonomia costituzionale degli
organi  supremi,  nei  confronti  delle  Camere  parlamentari,  della
Presidenza della  Repubblica  e  della  Corte  costituzionale  (Corte
cost., sentenze n. 110 del 1970, n. 129 del 1981, n. 209 del 1994, n.
292 del 2001). 
    Nonostante la citata giurisprudenza costituzionale, la Corte  dei
conti, nella sentenza de qua, in palese  contrasto  con  quanto  piu'
volte ribadito da codesta ecc.ma Corte, ha affermato che «(...)  come
ampiamente argomentato dai primi giudici, va confermata, per  ambedue
i dipendenti, la qualita'  di  «agente  contabile»  ai  sensi  e  per
effetti di cui degli articoli 73-74 del regio  decreto  n.  2440  del
1923 e dell'art. 178 del regio decreto n.  827  del  1924.  E'  stato
infatti ormai da tempo chiarito che elementi necessari e  sufficienti
perche' un soggetto rivesta la qualifica  di  agente  contabile  sono
soltanto il carattere pubblico dell'ente per il quale  tale  soggetto
agisca e del denaro o del bene oggetto  della  sua  gestione;  resta,
invece, irrilevante il titolo in base al quale la gestione e' svolta,
che puo' consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio,
in una concessione amministrativa, in un contratto o perfino  mancare
del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi  indifferentemente
secondo gli schemi generali, previsti  o  disciplinati  dalla  legge,
ovvero discostarsene in tutto o in parte (cfr., ex multis, Cassazione
SS.UU. n. 13310/2010)». 
    Verosimilmente la Corte dei  conti  intendeva  fare  riferimento,
nella decisione qui impugnata, all'ordinanza delle Sezioni  Unite  n.
13330 - e non 13310 - del 2010,  ma  il  richiamo  risulta  oltremodo
inconferente rispetto alla fattispecie, sol che si consideri che essa
riguardava un ricorso ex art. 41 codice di procedura civile  proposto
da una Societa' privata (precisamente la «Lottomatica  Videolot  Rete
s.p.a.») e le SS.UU, nel ribadire, conformemente a casi analoghi,  il
principio  richiamato  dalla  Corte  dei  conti,  non  potevano   che
riferirsi, come infatti, come risulta per tabulas si sono riferite  -
ad una  «concessionaria  dell'Azienda  Autonoma  dei  Monopoli  dello
Stato» e per  tale  motivo  e'  stato  ritenuto  che  rivestisse  «la
qualifica di agente della riscossione tenuto al versamento di  quanto
riscosso   e,   dunque,   al   conto   giudiziale   degli    introiti
complessivamente  derivanti  dalla  gestione  telematica  del   gioco
lecito, compreso il compenso del concessionario». 
    Quindi  la  Corte  dei  conti  risulta  aver  in  buona  sostanza
«assimilato» l'organo costituzionale, ancorche'  quoad  effectum,  ad
una concessionaria di una pubblica amministrazione. 
    Dai sopra richiamati  principi,  affermati  dalla  giurisprudenza
costituzionale,  discende  invece  che  i  dipendenti  degli   organi
costituzionali, in caso di sussistenza del  nesso  funzionale  tra  i
fatti dedotti in giudizio e l'esercizio  delle  loro  funzioni,  sono
sottratti alla giurisdizione contabile della Corte  dei  conti  anche
con riferimento al giudizio di responsabilita' per danno erariale del
giudice contabile. 
    In tal senso, si richiamano, oltre alla gia' citata  sentenza  n.
129 del 1981, anche le sentenze di codesta ecc.ma  Corte  n.  68  del
1971 e - soprattutto - n. 209 del 1994. In quest'ultima pronuncia, e'
stato infatti espressamente  riconosciuto  che  «i  dipendenti  della
Camera dei deputati e del Senato, oltreche'  della  Presidenza  della
Repubblica, sono sottratti alla giurisdizione contabile  della  Corte
dei conti», diversamente dai dipendenti delle  assemblee  legislative
regionali che invece «sono soggetti tanto al giudizio di conto quanto
a quello di responsabilita'». 
    Anche la dottrina,  pur  nelle  differenti  valutazioni,  ritiene
unanimemente che sia posto a fondamento del  richiamato  orientamento
della  giurisprudenza  costituzionale  il   riconoscimento   di   una
consuetudine, risalente alla sentenza  n.  129  del  1981,  la  quale
determinerebbe una generale esenzione dalla  giurisdizione  contabile
per  i  supremi  organi   dello   Stato,   quantomeno   pacificamente
riconosciuta con riguardo al giudizio di conto (per tutti:  Sandulli,
1977). 
    Non potrebbe in ogni caso affermarsi che il principio di  diritto
teste'  richiamato,  ripetutamente  ribadito   dalla   giurisprudenza
costituzionale, sia opponibile  alla  Corte  dei  conti  soltanto  in
relazione al giudizio di conto, e non anche in sede  di  giudizio  di
responsabilita' per danno erariale. 
    Cio' per diversi ordini di ragioni. 
    Vale,  anzitutto,  richiamare  il  sopra   richiamato   principio
dell'unitarieta' della materia contabile e delle conseguenti funzioni
attribuite dalla Costituzione alla Corte dei conti, sicche', per  gli
organi costituzionali, all'esenzione dal giudizio di conto  non  puo'
che corrispondere l'esenzione anche dal giudizio di responsabilita'. 
    Infatti, con riguardo, da un lato, alla funzione di controllo  e,
dall'altro, alla funzione  giurisdizionale  (tanto  in  relazione  al
giudizio   di   conto,   quanto   in   relazione   al   giudizio   di
responsabilita'), la giurisprudenza costituzionale  ha  ripetutamente
affermato la funzione unitaria esplicata dalla Corte  dei  conti  nei
sistema. 
    In particolare, con  riguardo  a  quest'ultimo  profilo,  codesta
ecc.ma Corte ha cosi' ricostruito le funzioni in parola: «Il  secondo
comma dell'art. 103 Cost. e' stato piu' volte interpretato da  questa
Corte (sentt. nn. 17/85; 189/84; 241/84; 102/77), nel senso che  alla
Corte dei conti  e'  riservata  la  giurisdizione  sulle  materie  di
contabilita' pubblica, la quale va intesa nel senso  tradizionalmente
accolto  dalla  giurisprudenza  e  dalla  legislazione,  cioe'   come
comprensiva sia dei giudizi di conto che di responsabilita' a  carico
degli impiegati e degli agenti contabili dello  Stato  e  degli  enti
pubblici non economici che hanno il maneggio del pubblico denaro; che
la materia di contabilita' pubblica non e' definibile  oggettivamente
ma  occorrono  apposite   qualificazioni   legislative   e   puntuali
specificazioni non solo rispetto all'oggetto  ma  anche  rispetto  ai
soggetti; che, comunque,  essa  appare  sufficientemente  individuata
nell'elemento soggettivo che attiene alla natura  pubblica  dell'ente
(Stato, regioni, altri enti  locali  e  amministrazione  pubblica  in
genere) e nell'elemento  oggettivo  che  riguarda  la  qualificazione
pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione»  (sentenza  n.
641 del 1987, punto n. 2 del «Considerato in diritto»). 
    Sicche', nella giurisprudenza costituzionale, tanto  le  funzioni
giurisdizionali quanto le funzioni di controllo attribuite alla Corte
dei  conti  rispondono  alle  imprescindibili  esigenze  di  garanzia
funzionali a garantire una visione unitaria della  finanza  pubblica,
ai fini della tutela dell'equilibrio finanziario e di osservanza  del
patto di stabilita' interno  e  degli  obiettivi  da  conseguire  (ex
plurimis, sentenze n. 267 del 2006, n. 179 del 2007, n. 252 del 2013,
n. 39 del 2014). 
    Nello stesso senso, si e' espressa la stessa giurisprudenza della
Corte dei conti, ribadendo, in piu' pronunce, la  «funzione  unitaria
esplicata dalla Corte dei conti» (sentenza delle Sezioni  riunite  n.
30 del 2014), affermando,  tra  l'altro,  che  se  l'esercizio  della
funzione di controllo  e  di  quella  di  giurisdizione,  «nettamente
distinte  per  natura,  per  i  procedimenti  adottati,  per  i  fini
perseguiti e per gli effetti, fosse  corrispondente  ad  una  duplice
attribuzione funzionale, quel rapporto  dovrebbe  essere  risolto  in
termini   di   concorrenza   e   autonomia»,   mentre    «l'esercizio
dell'attivita' di controllo e dell'attivita' giurisdizionale da parte
delle  competenti  sezioni  della  Corte   costituisce   in   effetti
svolgimento della unitaria funzione affidata  alla  Corte  dei  conti
dalle norme costituzionali» (sentenza n. 1653 del 1987 della  Sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana; nello
stesso senso, tra le tante, la sentenza n. 89 del 1990  della  stessa
sezione giurisdizionale siciliana). 
    In secondo luogo, guardando  alla  specifica  disciplina  e  alle
prassi che connotano l'attivita' degli organi costituzionali, occorre
osservare che, contrariamente alle amministrazioni pubbliche, non  e'
prevista alcuna forma di controllo preventivo di  legittimita'  sugli
atti. Da cio' segue  l'impossibilita'  di  ottenere  la  tradizionale
forma di esenzione dalla  responsabilita'  amministrativa  legata  al
superamento del controllo preventivo di legittimita' (art.  1,  comma
1, della legge n. 20 del 1994)  che  esclude  colpe  gravi  per  atti
registrati. Sarebbe del tutto incongruo  sottoporre  un  organo  alla
sola responsabilita'  amministrativo-contabile  quando  esso  non  e'
sottoposto al controllo. Le due funzioni, per ragioni di certezza del
diritto e per la struttura del nostro  diritto  amministrativo,  sono
interconnesse e  devono  essere  necessariamente  compresenti.  Simul
stabunt simul cadent. 
    Sicche' non potrebbe sostenersi la  tesi  della  distinzione  tra
giudizio di conto, per il quale varrebbe l'esenzione della Presidenza
della Repubblica dall'azione della Corte dei  conti,  e  giudizio  di
responsabilita',  a  cui  potrebbero,  in  tesi,   essere   viceversa
assoggettati i dipendenti dell'organo costituzionale, atteso  che  la
mancanza  di  forme  di  controllo  preventivo  sugli  atti  comporta
necessariamente l'impossibilita' di  configurare  la  responsabilita'
amministrativo-contabile dei dipendenti degli organi  costituzionali,
con la  conseguenza  che  principi  e  forme  unitarie  di  controllo
sull'impiego  del  denaro  pubblico,  stante  la   consuetudine   che
determina l'esenzione dalla giurisdizione contabile, non possono  che
essere rimesse all'autonomia dell'argano costituzionale stesso. 
    In definitiva, alla stregua dei richiamati principi  di  diritto,
l'esclusione dalla giurisdizione contabile riguarda tutti i  pubblici
dipendenti nella specie della Presidenza  della  Repubblica,  che  ad
essa sarebbero soggetti, come individuati, in  particolare  dall'art.
44 del richiamato testo unico delle leggi sulla Corte  dei  conti  n.
1214 del 1934, e quindi non soltanto tesorieri, ricevitori,  cassieri
e agenti incaricati di riscuotere, di  pagare,  di  conservare  e  di
maneggiare denaro pubblico o di tenere in custodia valori  e  materie
di proprieta' dello Stato, ma anche di  «coloro  che  si  ingeriscono
anche senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti ai detti
agenti». 
    In  conclusione,  la  stessa  giurisprudenza  costituzionale   ha
ripetutamente corroborato l'impostazione degli organi  costituzionali
qui richiamata,  sul  rilievo  della  distinzione  tra  la  peculiare
condizione di  autonomia  delle  Camere  (e  della  Presidenza  della
Repubblica),  da  un  lato,  e  l'autonomia  delle  altre   assemblee
rappresentative dall'altro. Al  riguardo,  codesta  ecc.ma  Corte  ha
infatti affermato, ad esempio, che «l'analogia  tra  le  attribuzioni
delle  assemblee  regionali  e  quelle  parlamentari  non   significa
identita': le prime si svolgono a  livello  di  autonomia,  anche  se
costituzionalmente garantite, le seconde a livello di sovranita';  e,
dunque, non sono autonomamente applicabili agli organismi assembleari
delle regioni le prerogative  riservate  agli  organi  supremi  dello
Stato e le speciali norme derogatorie che vi si riconnettono» (cosi',
la sentenza n. 245 del 1995; nonche' gia',  nello  stesso  senso,  le
sentenze n. 66 del 1964; n. 110 del 1970; n. 35 del 1981; n. 209  del
1994). 
    Con  cio',   la   giurisprudenza   costituzionale   ha   ribadito
l'esenzione dai controlli e dalla giurisdizione contabile,  in  tutte
le sue forme, per il Parlamento e  la  Presidenza  della  Repubblica,
atteso che ai richiamati  organi  costituzionali  «vengono  garantite
forme di indipendenza e prerogative ben piu' ampie di quelle concesse
ai consigli regionali» (sentenza n. 66 del 1964; nonche' sentenze  n.
129 del 1981 e n. 209 del 1994). 
    Codesta ecc.ma Corte  ha  espressamente  sviluppato  gli  assunti
richiamati anche sul piano dei controlli e dei giudizi affidati  alla
Corte dei conti, affermando che «non e' possibile  [...]  considerare
estesa ai  consigli  regionali  la  deroga,  rispetto  alla  generale
sottoposizione alla  giurisdizione  contabile,  che  si  e'  ritenuto
operare, per ragioni storiche e di salvaguardia della piena autonomia
costituzionale degli  organi  supremi,  nei  confronti  delle  Camere
parlamentari,  della  Presidenza  della  Repubblica  e  della   Corte
costituzionale» (sentenza n. 292 del 2001, con  richiami  anche  alle
sentenze n. 110 del 1970 e n. 129 del 1981; nonche'  sentenza  n.  39
del 2014). 
    Per le  stesse  ragioni,  si  spiega  perche'  i  supremi  organi
rappresentativi  dello   Stato   (Parlamento   e   Presidente   della
Repubblica) siano stati esclusi dalle rinnovate  forme  di  controllo
volte  a  garantire  il  conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica  e  a  prevenire  squilibri   di   bilancio,   espressamente
introdotti dall'art. 1 del decreto-legge  10  ottobre  2012,  n.  174
(Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli
enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle
zone terremotate nel maggio  2012),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1,  della  legge  7  dicembre  2012,  n.  213  (al
riguardo,  si  veda  la  sentenza  n.  39  del   2014   della   Corte
costituzionale). 
    In senso favorevole al pieno riconoscimento dell'esenzione  della
Presidenza   della   Repubblica   e   dei   dipendenti    dell'organo
costituzionale   dalla   giurisdizione   contabile,   puo'   altresi'
richiamarsi la giurisprudenza  costituzionale  che  ha  ripetutamente
affermato,  contrariamente  a  quanto  nella  sentenza  impugnata  si
vorrebbe sostenere, che la giurisdizione della Corte dei conti, nelle
materie di contabilita' pubblica, e'  solo  tendenzialmente  generale
(tanto che  nell'ordinamento  pre-costituzionale  la  si  qualificava
giurisdizione speciale) e che sono  possibili  deroghe  con  apposite
disposizioni legislative, specie nella materia della  responsabilita'
amministrativa non di gestione (tra le tante,  sentenze  n.  129  del
1981, n. 641 del 1987, n. 24 del 1993 e n. 46 del 2008). 
    In altre  parole,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  piu'  volte  avuto
occasione  di  affermare   che   la   puntuale   attribuzione   della
giurisdizione   in   relazione   alle    diverse    fattispecie    di
responsabilita' amministrativa  non  opera  automaticamente  in  base
all'art. 103 della Costituzione, ma e' rimessa alla  discrezionalita'
del legislatore ordinario (ex plurimis, sentenze n. 189 e n. 241  del
1984, n. 230 e n. 641 del 1987, n. 24 del 1993, n. 46 del 2008) e che
la Corte dei conti non e' «il giudice  naturale  della  tutela  degli
interessi pubblici e della tutela dei danni  pubblici»  (sentenze  n.
641 del 1987 e n. 46  del  2008,  punto  n.  5  del  «Considerato  in
diritto»). 
    In considerazione della sopra richiamata  indisponibilita'  delle
attribuzioni costituzionali di cui si controverte (sentenze n. 44 del
1957, n. 77 del 1958, n. 58 del 1959, n. 3 del 1964, n. 171 del 1971,
a cui si richiamano le piu' recenti sentenze n. 389 del 1995 e n.  95
del 2003), attribuzioni che, come ritenuto da  codesta  ecc.ma  Corte
«non sono  disponibili,  perche'  discendono  direttamente  da  norme
costituzionali, con la conseguenza che ad esse  non  puo'  applicarsi
l'istituto dell'acquiescenza» (sentenza n. 369 del 2010),  si  chiede
altresi' che venga assentita la tutela cautelare. 
    Si formula pertanto istanza di sospensione cautelare  degli  atti
impugnati mediante ricorso ai  poteri  attribuiti  a  codesta  ecc.ma
Corte dagli articoli 35 e 40 della legge n. 87 del 1953. E' ben  vero
che,  come  noto,  le  fattispecie  normativamente  previste   teste'
richiamate sono rispettivamente riservate ai giudizi in via di azione
e ai conflitti di attribuzione tra Stato e  regioni  e  tra  regioni.
Nondimeno, deve ritenersi possibile ricorrere all'interpretazione  in
via  analogica  dei  poteri  di  sospensione  in  caso  di  atto  non
legislativo  immediatamente  lesivo  delle  attribuzioni  dell'organo
costituzionale che, in mancanza, risulterebbero menomate. 
    Anche  a   prescindere   da   ogni   considerazione   in   merito
all'effettivita'   del   diritto   alla    tutela    giurisdizionale,
ripetutamente qualificato dalla giurisprudenza di codesta Corte  come
principio supremo dell'ordinamento (ex plurimis, sentenze n. 238 e n.
39 del 2014, punto n. 6.3.9.8 del Considerato in diritto; n.  26  del
1999, punto 3.1. del Considerato in diritto; nonche' n. 526 del 2000;
n. 266 del 2009; n. 10 del 1993; n. 232 del 1989; n. 18 del 1982;  n.
98 del 1965), che  verrebbe  menomato  se  venisse  privato  del  suo
coessenziale profilo della tutela in via cautelare,  deve  ritenersi,
che, contrariamente al problematico ricorso ai  poteri  cautelari  di
sospensione della legge nei giudizi in via incidentale, nei conflitti
tra poteri  debba  ritenersi  implicitamente  ammissibile  la  tutela
cautelare (cfr. ordd. n. 171  del  1997  e  n.  137  del  2000),  ben
potendosi  applicare  in  via  analogica  le  norme  previste  per  i
conflitti tra Stato regione e tra enti. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si chiede che,  previa  tutela  cautelare,  venga  dichiarato  il
difetto  di  potere  della  Corte  dei   conti   ad   esercitare   la
giurisdizione  contabile  nei  confronti   della   Presidenza   della
Repubblica per violazione degli articoli 103, comma  secondo,  e  84,
comma  terzo,  Cost.  nonche'  per  contrasto  con   la   evidenziata
consuetudine costituzionale, e conseguentemente che  venga  annullata
la sentenza indicata in  epigrafe,  unitamente  ad  ogni  altro  atto
presupposto o comunque connesso. 
 
        Roma, 20 aprile 2017 
 
        L'Avvocato generale dello Stato: Massella Ducci Teri 
 
 
          Il Vice Avvocato generale dello Stato: De Bellis 
 
 
                  L'Avvocato dello Stato: Basilica 
 
Avvertenza: 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 225/2017 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica italiana - 1ª Serie speciale n. 44 - del 2 novembre 2017.