N. 258 SENTENZA 8 novembre - 7 dicembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Trascrizione del  decreto  presidenziale  di  concessione
  della cittadinanza - Requisito  del  giuramento  di  fedelta'  alla
  Repubblica e di osservanza  della  Costituzione  e  delle  leggi  -
  Imposizione al disabile impossibilitato ad adempiere l'obbligo. 
- Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), art.
  10; d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 (Regolamento di esecuzione della
  legge  5  febbraio  1992,  n.  91,  recante   nuove   norme   sulla
  cittadinanza), art. 7, comma 2; d.P.R.  3  novembre  2000,  n.  396
  (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento
  dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della  legge
  15 maggio 1997, n. 127), art. 25, comma 1. 
-   
(GU n.50 del 13-12-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORE LLI, Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,
  Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  10  della
legge 5 febbraio  1992,  n.  91  (Nuove  norme  sulla  cittadinanza),
dell'art. 7, comma 1 [recte: 2], del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572 (Regolamento di  esecuzione  della
legge  5  febbraio  1992,  n.   91,   recante   nuove   norme   sulla
cittadinanza), e dell'art. 25, comma 1, del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),
promosso dal giudice tutelare del Tribunale ordinario di  Modena  sul
ricorso proposto  da  A.  S.  nella  qualita'  di  amministratore  di
sostegno di S. K., con ordinanza del 6 dicembre 2016, iscritta al  n.
63 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Udito nella camera di consiglio del 25 ottobre  2017  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il giudice tutelare del  Tribunale  ordinario  di  Modena  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della
legge 5 febbraio  1992,  n.  91  (Nuove  norme  sulla  cittadinanza),
dell'art. 7, comma 1 [recte: 2], del d.P.R. 12 ottobre 1993,  n.  572
(Regolamento di esecuzione  della  legge  5  febbraio  1992,  n.  91,
recante nuove norme sulla cittadinanza), e dell'art. 25, comma 1, del
d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per  la  revisione  e  la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), nelle
parti in cui prevedono l'obbligo di prestazione  del  giuramento  per
l'acquisizione della cittadinanza, anche laddove tale adempimento non
possa essere prestato dalla persona affetta da  disabilita'  a  causa
della sua condizione patologica. 
    Le norme sono state impugnate in riferimento agli artt.  2  e  3,
secondo comma, della  Costituzione,  all'art.  18  della  Convenzione
delle Nazioni  Unite  sui  diritti  delle  persone  con  disabilita',
ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n.  18  (Ratifica
ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone con disabilita', con Protocollo opzionale, fatta a  New  York
il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio  nazionale  sulla
condizione delle persone con disabilita'), nonche' agli artt. 21 e 26
della Dichiarazione O.N.U. dei diritti delle persone con  disabilita'
del 1975 [recte: della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea,  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo con adattamenti il 12 dicembre 2007]. 
    2.- Nel giudizio principale A.  S.,  amministratore  di  sostegno
della figlia S. K., ha richiesto al giudice tutelare  di  autorizzare
la trascrizione del decreto concessivo della  cittadinanza  a  favore
della figlia in assenza del prescritto giuramento, dato che la figlia
non sarebbe in grado di prestare tale  atto,  in  quanto  affetta  da
«epilessia  parziale  con  secondaria  generalizzazione»  e  «ritardo
mentale  grave  in  pachigiria  focale».  La  giovane   beneficiaria,
ascoltata  in  udienza  per  saggiarne  l'idoneita'  a  prestare   il
prescritto giuramento, e' apparsa del tutto disorientata nel tempo  e
nello spazio. 
    3.- Poste tali premesse, il rimettente  si  sofferma  sul  quadro
normativo della materia. 
    In base all'art. 9, comma 1, della  legge  n.  91  del  1992,  la
cittadinanza italiana puo' essere concessa con decreto del Presidente
della Repubblica, sentito il Consiglio  di  Stato,  su  proposta  del
Ministro dell'interno,  allo  straniero  che  risiede  legalmente  da
almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.  L'art.  10  della
medesima  legge  dispone  che  il  «decreto  di   concessione   della
cittadinanza non ha effetto se la persona  a  cui  si  riferisce  non
presta,  entro  sei  mesi  dalla  notifica  del   decreto   medesimo,
giuramento di  essere  fedele  alla  Repubblica  e  di  osservare  la
Costituzione e le leggi dello Stato»,  mentre  l'art.  23,  comma  1,
della legge  n.  91  del  1992,  dispone  che  le  dichiarazioni  per
l'acquisto  della  cittadinanza  «e  la  prestazione  del  giuramento
previste dalla presente legge sono  rese  all'ufficiale  dello  stato
civile del comune dove il dichiarante risiede o intende stabilire  la
propria residenza, ovvero, in caso di residenza  all'estero,  davanti
all'autorita' diplomatica o consolare del luogo di residenza». 
    A sua volta, l'art. 7, comma 2,  del  d.P.R.  n.  572  del  1993,
prevede che «[i]l giuramento di cui  all'art.  10  della  legge  deve
essere prestato entro sei mesi dalla  notifica  all'intestatario  del
decreto di cui agli articoli 7 e 9 della legge» e l'art. 25, comma 1,
del d.P.R. n. 396 del 2000, stabilisce che «[l]'ufficiale dello stato
civile  non  puo'  trascrivere  il  decreto  di   concessione   della
cittadinanza se prima non e' stato prestato il giuramento  prescritto
dall'articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91». Infine,  l'art.
27 del d.P.R. n.  396  del  2000,  prevede  che  «[l]'acquisto  della
cittadinanza italiana ha effetto dal giorno successivo  a  quello  in
cui e' stato prestato il giuramento,  ai  sensi  di  quanto  disposto
dagli articoli 10 e 15 della legge 5  febbraio  1992,  n.  91,  anche
quando la trascrizione del decreto di  concessione  avviene  in  data
posteriore». 
    Da tale disciplina dovrebbe trarsi, ad avviso del rimettente, che
il giuramento sia un adempimento determinante  per  l'acquisto  della
cittadinanza  italiana,  con  la  conseguenza  di  ostacolare   detta
acquisizione da parte della persona  non  in  grado  di  prestare  il
prescritto giuramento a causa di infermita' mentale.  Si  tratterebbe
di una  «lacuna  normativa»  ovvero  di  un  «contrasto  del  tessuto
normativo rispetto ai parametri costituzionali». 
    4.- Il rimettente richiama alcune  pronunce  giurisdizionali  che
hanno tentato di affrontare la questione. 
    Un primo decreto emesso dal  Tribunale  di  Bologna,  in  data  9
gennaio 2009, ha  esonerato  dal  giuramento  l'incapace,  applicando
all'amministrazione di sostegno,  ex  art.  411  del  codice  civile,
l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva con
riferimento all'interdizione. A parere del  Consiglio  di  Stato,  il
giuramento  non  dovrebbe   essere   richiesto   all'interdetto   nei
procedimenti per l'acquisizione della cittadinanza,  in  quanto  atto
personalissimo  non  delegabile  al  tutore  (Consiglio  d[i]  Stato,
sezione prima,  parere  del  13  marzo  1987,  n.  261/85).  In  tale
direzione, peraltro, si e'  espresso  il  Tribunale  di  Mantova  con
decreto del 2 dicembre 2010. 
    5.-  Il  rimettente  reputa  tali  soluzioni   non   convincenti,
escludendo la possibilita' di applicazione  analogica  dell'art.  411
cod. civ. per  estendere  all'amministrazione  di  sostegno  effetti,
limitazioni o decadenze  previsti  dalla  legge  per  l'interdetto  e
l'inabilitato.  La  norma  codicistica,  nella  specie,  ammetterebbe
l'estensione all'amministrazione di sostegno unicamente  di  istituti
disciplinati   espressamente   dalla   legge,   e   non   da    «atti
amministrativi, quali sono  i  pareri  espressi  dal  C[onsiglio]  di
S[tato]». 
    Cio' posto, le possibili soluzioni della quaestio iuris sarebbero
due, «alternative l'una all'altra». 
    6.- Secondo una prima prospettazione, il giuramento implicherebbe
un impegno morale ed una partecipazione  consapevole  alla  comunita'
statuale da parte  del  dichiarante:  l'assunzione  dello  status  di
cittadino  implicherebbe  una  adesione   consapevole   e   cosciente
all'esercizio dei diritti  e  all'adempimento  dei  doveri.  In  tale
prospettiva,   posta   la   natura   personalissima   dell'atto,   la
cittadinanza non potrebbe  essere  acquisita  da  chi  difetti  della
naturale capacita' di comprenderne le conseguenze giuridiche e morali
del giuramento, e il significato che tale atto assume di fronte  alla
collettivita'. 
    7.-  In  base  a  una  diversa  prospettazione,   il   rimettente
sottolinea come  possa  ipotizzarsi  l'illegittimita'  costituzionale
della normativa summenzionata, nella parte in cui non prevede deroghe
all'obbligo della prestazione del giuramento,  quale  condizione  per
l'acquisizione  della   cittadinanza   italiana,   in   presenza   di
«condizioni personali di infermita' mentale in cui  versi  il  futuro
cittadino,  impeditive  [de]l   compimento   dell'atto   formale   in
discorso». 
    La non manifesta infondatezza  della  questione  emergerebbe  dal
contrasto con l'art. 2 Cost., che  riconosce  i  diritti  inviolabili
dell'uomo: «non permettere al disabile psichico l'acquisizione di  un
diritto fondamentale», qual e' lo status di cittadino,  «dal  momento
che  non  e'  in  grado  della  prestazione  dell'atto  formale   del
giuramento, significherebbe, alla  fin  fine,  non  "garantire"  tale
diritto;  escludendo,  cosi',  l'infermo   di   mente   dalla   nuova
collettivita'  in  cui  e'  nato  e  si  e'  formato,  solo  a  causa
dell'impedimento determinato dalla sua condizione psichica di  natura
personale». 
    7.1.- Il rimettente ipotizza poi un contrasto con l'art. 3, comma
secondo, della Costituzione: l'impossibilita' di prestare  giuramento
sarebbe infatti un «significativo "ostacolo"» che impedisce la  piena
realizzazione della personalita' del  disabile  affetto  da  malattia
mentale.  Vi  sarebbe  quindi  una  «disparita'  di  trattamento  tra
cittadini sani e normali, [...] in grado di  prestare  giuramento,  e
quanti sani non siano in quanto affetti da  disabilita'  e  che,  per
effetto  della  mancata  prestazione  del  giuramento,  non   possono
acquistare lo status civitatis». 
    7.2.- Il Tribunale non manca di sottolineare  come  la  normativa
impugnata contrasti con «[i]l quadro legislativo sovranazionale,  cui
l'ordinamento dello Stato e'  tenuto  a  conformarsi».  La  normativa
censurata  contrasterebbe  con  l'art.  18  della  Convenzione  delle
Nazioni  Unite  per  i  diritti  delle  persone  disabili,  il  quale
disporrebbe che «il diritto alla cittadinanza non puo' essere  negato
e dunque i disabili hanno il  diritto  di  acquisire  e  cambiare  la
cittadinanza   e   non   possono   essere   privati   della    stessa
arbitrariamente o a causa della loro disabilita'». 
    La  menzionata  Convenzione  individuerebbe  la   condizione   di
disabilita' «nell'esistenza di barriere di diversa natura e tipologia
che possano ostacolare la piena  ed  effettiva  partecipazione  nella
societa', in condizioni di uguaglianza con gli altri, per le  persone
che  presentano  delle   durature   menomazioni   fisiche,   mentali,
intellettuali o sensoriali». Essa rievocherebbe «i principi enunciati
anche dalla  Dichiarazione  O.N.U.  dei  diritti  delle  persone  con
ritardo mentale del 1971,  dalla  Dichiarazione  O.N.U.  dei  diritti
delle persone con disabilita' del 1975, dagli artt.  21  [...]  e  26
[...] della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  di
Nizza, resa vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009». Proprio  le
disposizioni del diritto  europeo  sottolineerebbero  la  centralita'
della  tutela  dei  diritti  della   persona   nella   fase   attuale
dell'integrazione   dell'Unione   europea   e   richiederebbero    il
riconoscimento della cittadinanza anche ai cittadini di paesi terzi. 
    7.3.- In conclusione, il rimettente sottolinea come la  normativa
censurata, che considera il giuramento alla stregua di una condizione
di efficacia per l'acquisizione  della  cittadinanza,  anche  laddove
l'aspirante cittadino sia in uno stato di disabilita',  lederebbe  la
legittima  aspettativa  del  disabile  a  vedersi   riconosciuta   la
cittadinanza italiana, in presenza dei  requisiti  oggettivi  fissati
dalla legge. Inoltre, «si affaccerebbe  il  rischio  di  lasciare  lo
straniero isolato da quella trama di relazioni di cui, ai fini  dello
status civitatis, costituisce il principale centro di imputazione  di
interessi». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Modena  dubita
della legittimita'  costituzionale  degli  artt.  10  della  legge  5
febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla  cittadinanza),  7,  comma  1
(recte: comma 2), del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  12
ottobre 1993,  n.  572  (Regolamento  di  esecuzione  della  legge  5
febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza)  e  25,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000,
n.  396  (Regolamento  per  la   revisione   e   la   semplificazione
dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo  2,  comma
12, della legge 15 maggio 1997, n.  127),  nelle  parti  in  cui  non
prevedono  l'esenzione  dall'obbligo  del  giuramento  della  persona
affetta da disabilita' la quale, per  le  sue  condizioni,  si  trovi
nell'impossibilita' di adempiere tale obbligo. 
    2.- Secondo il rimettente, in virtu' delle  norme  censurate,  il
decreto presidenziale di concessione della cittadinanza non  potrebbe
essere trascritto nei registri dello  stato  civile  in  assenza  del
giuramento: l'adempimento di tale  obbligo  sarebbe  determinante  ai
fini dell'acquisto della  cittadinanza  italiana,  acquisto  che  non
risulterebbe possibile nel caso in cui la persona non sia in grado di
prestare il prescritto giuramento a causa di disabilita' psichica. Le
disposizioni censurate contrasterebbero, dunque, con l'art.  2  della
Costituzione,  perche'   «non   permettere   al   disabile   psichico
l'acquisizione di un diritto fondamentale», quale sarebbe  lo  status
di  cittadino,  significherebbe   non   «garantire»   tale   diritto,
escludendo l'infermo di mente dalla collettivita' in cui e' nato e si
e' formato, solo  a  causa  dell'impedimento  determinato  dalla  sua
condizione psichica di natura personale. 
    2.1.- Le norme impugnate violerebbero,  poi,  l'art.  3,  secondo
comma, Cost.: l'impossibilita' di prestare  giuramento  costituirebbe
infatti un «significativo "ostacolo"», che impedirebbe  di  fatto  la
piena liberta' ed eguaglianza  del  disabile  affetto  da  infermita'
psichica. Sussisterebbe, quindi, una disparita'  di  trattamento  tra
individui sani, in grado di prestare giuramento, e «quanti  sani  non
siano in quanto affetti da  disabilita'  e  che,  per  effetto  della
mancata prestazione del giuramento, non possono acquistare lo  status
civitatis». 
    2.2.- Le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto  anche
con la disciplina internazionale e sovranazionale e, in  particolare,
con l'art. 18 della Convenzione delle Nazioni  Unite  per  i  diritti
delle persone disabili, ratificata e resa esecutiva con  la  legge  3
marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed  esecuzione  della  Convenzione  delle
Nazioni  Unite  sui  diritti  delle  persone  con  disabilita',   con
Protocollo opzionale,  fatta  a  New  York  il  13  dicembre  2006  e
istituzione  dell'Osservatorio  nazionale  sulla   condizione   delle
persone con disabilita'), nonche' con gli artt. 21 e 26  della  Carta
dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea  (indicata,  per  mero
errore materiale, nel dispositivo dell'ordinanza di  rimessione  come
«Dichiarazione O.N.U. dei diritti delle persone con  disabilita'  del
1975»), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo
il 12 dicembre 2007. 
    2.2.1.- Il citato art. 18 della Convenzione delle  Nazioni  Unite
del 2006 dispone infatti che «il diritto alla cittadinanza  non  puo'
essere negato e dunque i disabili hanno il  diritto  di  acquisire  e
cambiare la cittadinanza e non possono essere  privati  della  stessa
arbitrariamente o a causa della  loro  disabilita'».  La  centralita'
della  tutela  dei  diritti  della  persona  sarebbe  confermata  dai
richiamati artt.  21  e  26  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'UE, che esigono il riconoscimento della  cittadinanza  anche  ai
cittadini disabili di paesi terzi. 
    3.-  Il  giudice  a   quo   ritiene   di   non   potere   offrire
un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate
ne' fare proprio un orientamento della giurisprudenza di  merito  (e'
richiamato il decreto 9 gennaio 2009 del Tribunale di  Bologna)  che,
sulla  scorta  di  un  parere  emesso  dal  Consiglio  di  Stato  con
riferimento all'interdizione, ha ritenuto che l'interdetto non  debba
prestare giuramento (Consiglio di Stato, sezione prima, parere del 13
marzo 1987, n. 261/85). 
    Ad avviso del rimettente, osta a detta  esegesi  l'impossibilita'
di applicare per  analogia  l'art.  411,  ultimo  comma,  del  codice
civile, il quale estende  all'amministrazione  di  sostegno  effetti,
limitazioni  o  decadenze  previste  dalle  norme  che   disciplinano
l'interdizione e l'inabilitazione.  La  norma  del  codice  civile  -
osserva il rimettente - renderebbe applicabile all'amministrazione di
sostegno  gli  istituti  disciplinati  dalla  legge,  non  da   «atti
amministrativi quali sono i pareri espressi dal Consiglio di Stato». 
    Secondo il giudice a quo, il giuramento  tradurrebbe  un  impegno
morale ed una partecipazione consapevole alla comunita'  statuale  da
parte  del  dichiarante:  l'assunzione  dello  status  di   cittadino
implicherebbe un'adesione consapevole e cosciente  all'esercizio  dei
diritti e all'adempimento dei doveri. La  natura  personalissima  del
giuramento comporterebbe che  la  cittadinanza  non  potrebbe  essere
acquisita da colui il  quale  difetta  della  naturale  capacita'  di
comprendere le conseguenze giuridiche e morali del giuramento,  e  il
significato che tale atto assume di fronte alla collettivita'. 
    4.- Preliminarmente, va ribadita la  legittimazione  del  giudice
tutelare, nei procedimenti di volontaria  giurisdizione,  concernenti
l'amministrazione di sostegno, a sollevare questione di  legittimita'
costituzionale in via incidentale (sentenza n. 440 del 2005). 
    5.- Va in proposito osservato che l'amministratore di sostegno ha
richiesto al giudice tutelare  di  autorizzare  la  trascrizione  del
decreto presidenziale di  concessione  della  cittadinanza  emesso  a
favore della figlia. Questa Corte ha gia' affermato che, nel giudizio
in  via  incidentale,  il  riscontro  della  giurisdizione  e   della
competenza  dell'autorita'  rimettente  -  piu'  in   generale,   dei
presupposti di esistenza del giudizio principale -  e'  riservato  al
giudice a quo nell'ambito della valutazione della rilevanza, e non e'
sindacabile dalla Corte a meno che detti  presupposti  non  risultino
«manifestamente o incontrovertibilmente carenti» (sentenza n. 262 del
2015; nello stesso senso, sentenze n. 34 del 2010, n. 241  del  2008,
n. 163 del 1993), cio' che nella specie non e' dato riscontrare. 
    6.- La questione concernente gli artt. 7, comma 2, del d.P.R.  n.
572 del 1993  e  25,  comma  2,  del  d.P.R.  n.  396  del  2000,  e'
inammissibile, avendo ad oggetto disposizioni di rango regolamentare,
prive  di  forza  di  legge,  sottratte,  quindi,  al  sindacato   di
legittimita' di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 254 e  n.  81
del 2016, n. 156 del 2013). 
    7.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10 della legge n. 91 del  1992,  sollevata  in  riferimento
agli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost., e' fondata. 
    Il citato art. 10, in seguito  alla  concessione  allo  straniero
della cittadinanza italiana,  avvenuta  con  decreto  del  Presidente
della Repubblica sulla base dei requisiti previsti dalla legge n.  91
del 1992, ne subordina  la  trascrizione  nei  registri  dello  stato
civile  alla  prestazione  del  giuramento  di  esseri  fedeli   alla
Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. L'acquisizione
dello status di cittadino non risulta possibile, percio', nel caso in
cui la persona non sia in grado di prestare detto giuramento a  causa
di grave disabilita' psichica. 
    7.1.- L'art. 54, comma primo, Cost., che impone al  cittadino  il
dovere di fedelta' alla Repubblica e di osservarne la Costituzione  e
le  leggi,  trova  concreta  espressione,  per  lo  straniero,  nella
prestazione del giuramento, manifestazione  solenne  di  adesione  ai
valori  repubblicani.  Il  giuramento  richiesto  dalla  disposizione
impugnata e' quindi  atto  personale,  che  attiene  direttamente  al
diritto costituzionale, in ragione dei valori incorporati  nella  sua
prestazione.  In  quanto  tale,  non   puo'   essere   reso   da   un
rappresentante legale in sostituzione  dell'interessato,  secondo  le
norme del codice civile. 
    7.2.-  Appare  pertanto  corretta  la  premessa  del  rimettente,
secondo il quale non  e'  possibile  fornire  della  norma  censurata
un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    L'obbligo  di  addivenire  ad  un'interpretazione  conforme  alla
Costituzione  deve,  infatti,  cedere  il  passo   all'incidente   di
legittimita' costituzionale, laddove essa sia  incompatibile  con  il
tenore letterale della disposizione. Come questa Corte ha avuto  modo
di affermare, infatti, quando non  sia  in  grado  di  «trarre  dalla
disposizione alcuna norma conforme alla Costituzione, il  giudice  e'
tenuto  ad  investire  questa  Corte  della  relativa  questione   di
legittimita' costituzionale» (sentenza n. 36 del 2016). 
    8.-  La  natura  del  giuramento  di  cui   all'art.   54   della
Costituzione   richiama   direttamente   i   principi    fondamentali
dell'ordinamento costituzionale. 
    L'art. 2 Cost., nell'imporre alla Repubblica il riconoscimento  e
la garanzia dei diritti inviolabili, «sia  come  singolo,  sia  nelle
formazioni  ove  si  svolge  la   sua   personalita'»,   delinea   un
fondamentale  principio  che  pone  al  vertice  dell'ordinamento  la
dignita' e il valore della persona. 
    In coerenza con tale prospettiva, l'art. 2 Cost. non puo'  essere
disgiunto dall'art. 3, secondo comma, Cost.,  il  quale  affida  alla
Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che impediscono la liberta' e l'uguaglianza nonche' il  pieno
sviluppo della persona. 
    Tale lettura si  collega,  anche  se  non  espressamente  evocato
nell'ordinanza del rimettente, al primo comma del  medesimo  articolo
che, a protezione della stessa inviolabilita' dei diritti, garantisce
il  principio  di  eguaglianza  a   prescindere   dalle   «condizioni
personali». Come questa Corte ha gia' piu'  volte  statuito,  sebbene
l'art. 3 si riferisca espressamente ai soli cittadini,  la  norma  in
esso contenuta  vale  pure  per  lo  straniero  «quando  trattisi  di
rispettare [...] diritti fondamentali» (sentenza n.  120  del  1967),
ancor piu' quando, come nel caso di specie, trattasi di uno straniero
cui sia stata concessa la cittadinanza e che deve solo adempiere  una
condizione per l'acquisizione della stessa. 
    8.1.- Fra le condizioni personali che limitano  l'eguaglianza  si
colloca indubbiamente la condizione di disabilita'. Tale fenomeno  e'
espressamente  considerato  dalla  Costituzione:   assume   esplicito
rilievo nell'art. 38 Cost. che, al primo comma, riconosce il  diritto
all'assistenza sociale per gli inabili al  lavoro,  mentre  al  terzo
comma  riconosce  agli  «inabili»  e   ai   «minorati»   il   diritto
all'educazione e alla formazione professionale. 
    I  summenzionati  principi  sono  stati  attuati  dalla  legge  5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,  l'integrazione
sociale e i diritti  delle  persone  handicappate),  che  disegna  il
fondamentale quadro normativo in materia di  disabilita',  volto  non
solo a prestare assistenza ma anche a favorire l'integrazione sociale
del disabile. Tale disciplina, come ha  avuto  modo  di  sottolineare
questa Corte,  ha  segnato  un  «radicale  mutamento  di  prospettiva
rispetto al modo  stesso  di  affrontare  i  problemi  delle  persone
affette da invalidita', considerati [...]  quali  problemi  non  solo
individuali,  ma   tali   da   dover   essere   assunti   dall'intera
collettivita'» (sentenza n. 167 del 1999). Le condizioni invalidanti,
come dispone l'art. 1  della  citata  legge,  sono  ostacoli  che  la
Repubblica ha il compito di  rimuovere  per  consentire  la  «massima
autonomia possibile» del disabile e il pieno  esercizio  dei  diritti
fondamentali. 
    Su tale  compito  promozionale,  imposto  dalla  Costituzione  ai
pubblici poteri, e' tornata questa Corte la quale, con riferimento al
diritto all'istruzione del portatore di disabilita', ha rimarcato che
sul tema della condizione giuridica  dello  stesso  «confluiscono  un
complesso di valori che attingono ai fondamentali  motivi  ispiratori
del disegno costituzionale» (sentenze n. 275 del 2016 e  n.  215  del
1987), in vista del processo di inserimento nella societa'  (sentenza
n. 80 del 2010). 
    9.- Tale inserimento, ove siano soddisfatte le  altre  condizioni
previste dalla legge che regola l'acquisizione della cittadinanza, e'
evidentemente impedito dall'imposizione normativa del giuramento alla
persona  che,  in  ragione  di  patologie  psichiche  di  particolare
gravita', sia incapace di prestarlo. La  necessita'  di  esso,  e  la
mancata acquisizione della  cittadinanza  che,  in  sua  assenza,  ne
consegue, puo' determinare una forma  di  emarginazione  sociale  che
irragionevolmente esclude  il  portatore  di  gravi  disabilita'  dal
godimento della cittadinanza, intesa  quale  condizione  generale  di
appartenenza alla comunita' nazionale. Puo' inoltre  determinare  una
ulteriore e possibile forma di emarginazione, anche rispetto ad altri
familiari che abbiano conseguito la cittadinanza. 
    Va, pertanto, dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della
disposizione censurata, nella parte in cui non esonera dal giuramento
il disabile incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di una
grave e accertata condizione di disabilita'. 
    10.- L'esonero dal giuramento  deve  operare  a  prescindere  dal
"tipo" di incapacita' giuridicamente rilevante. Cio'  che  rileva  e'
l'impossibilita' materiale di compiere l'atto in ragione di una grave
patologia, non rilevando la  precipua  condizione  giuridica  in  cui
versa il disabile e fermo restando il potere  del  Procuratore  della
Repubblica  di  impugnare  gli  atti,  le  omissioni  e   i   rifiuti
dell'ufficiale di stato civile, ai sensi dell'art. 95, comma secondo,
del d.P.R. n. 396 del 2000, in caso di  distorta  applicazione  della
disciplina sull'esonero dal giuramento. 
    Sono assorbite le censure prospettate in relazione  agli  evocati
parametri internazionali e sovranazionali. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  10  della
legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza),  nella
parte in cui non prevede che sia esonerata dal giuramento la  persona
incapace di  soddisfare  tale  adempimento  in  ragione  di  grave  e
accertata condizione di disabilita'; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 2, del d.P.R. 12 ottobre  1993,  n.
572 (Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio  1992,  n.  91,
recante nuove norme sulla cittadinanza) e dell'art. 25, comma 1,  del
d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per  la  revisione  e  la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della  legge  15  maggio  1997,  n.  127),
sollevata dal giudice tutelare del Tribunale ordinario di Modena, con
l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA