N. 193 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 2017
Ordinanza del 3 novembre 2017 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Barozzi Ennio contro Commissione nazionale per le societa' e la borsa - Consob. Borsa - Abuso di informazioni privilegiate - Illeciti depenalizzati dalla legge n. 62 del 2005 commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge - Trattamento sanzionatorio - Applicabilita' della confisca per equivalente. - Legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2004), art. 9, comma 6(GU n.2 del 10-1-2018 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Seconda sezione civile composta dagli ill.mi signori magistrati: dott. Stefano Petitti - Presidente; dott. Guido Federico - consigliere; dott. Alberto Giusti - consigliere; dott. Antonello Cosentino - rel. consigliere; dott. Milena Falaschi - consigliere, ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 9298-2010 proposto da: Barozzi Ennio, elettivamente domiciliato in Roma, via Paolo Emilio n. 7, presso lo studio dell'avvocato Achille Chiappetti, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Giovanni Arieta, Renato Sirna, Elisa Bonzani; ricorrente e c/ricorrente all'incidentale; Contro Consob - Commissione nazionale per le societa' e la borsa, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via G.B. Martini n. 3, presso lo studio dell'avvocato Fabio Biagianti, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Rocco Vampa, Maria Letizia Ermetes; controricorrente con ricorso incidentale condizionato; Avverso la sentenza n. 265/2009 della Corte d'appello di Brescia, depositata il 25 febbraio 2009; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 settembre 2017 dal Consigliere dott. Antonello Cosentino; Udito il pubblico ministero in persona del Sostituto procuratore generale dott. Lucio Capasso che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale; Uditi gli avvocati Achille Chiappetti e Giovanni Arieta, difensori del ricorrente, che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto dell'incidentale; Uditi gli avvocati Fabio Biagianti e Rocco Vampa, difensori della controricorrente e ricorrente incidentale, che hanno chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale condizionato. Premessa 1. - Il Collegio e' investito dell'esame di un ricorso proposto contro una sentenza con cui la Corte d'appello di Brescia ha rigettato l'opposizione a un provvedimento sanzionatorio adottato dalla Commissione nazionale per le societa' e la borsa - Consob in fattispecie di abuso di informazioni privilegiate commesso dall'insider secondario. Con tale provvedimento sanzionatorio la Consob ha applicato la sanzione amministrativa pecuniaria di € 216.402, la sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di nove mesi nonche' la confisca per equivalente di beni di proprieta' del trasgressore per un valore di € 6.182.919. La violazione sanzionata e' stata commessa nell'anno 2002, quando l'abuso di informazioni privilegiate dell'insider secondario costituiva reato ai sensi dell'art. 180, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF). La pena comminata per tale reato era la reclusione fino a due anni e la multa da venti a seicento milioni di lire. Era inoltre prevista la confisca diretta dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato e dei beni che ne costituiscono il profitto (salvo che essi appartenessero a persona estranea al reato). L'art. 9 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - legge comunitaria 2004) ha depenalizzato tale condotta, trasformandola in illecito amministrativo; contestualmente, riformulando l'art. 187-bis del TUF, ne ha previsto la punizione con una sanzione pecuniaria da euro ventimila a euro tre milioni (sanzione poi quintuplicata dall'art. 39, comma 3, della legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante «Disposizioni per le tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), nonche' - ove non sia possibile la confisca diretta - con la confisca per equivalente, disciplinata dall'art. 187-sexies del TUF. In particolare, l'art. 9, comma 6, della stessa legge n. 62 del 2005 ha aggiunto che, limitatamente agli illeciti depenalizzati, la confisca per equivalente si applica anche alle violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, purche' il procedimento penale non sia stato definito. 2. - All'esito dell'udienza pubblica svoltasi il 5 giugno 2015, questa Corte di cassazione, con ordinanza 14 settembre 2015, n. 18028, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli articoli 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998, e 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998 e l'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005 sono stati impugnati nella parte in cui prevedono che la confisca per equivalente si applica anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate. 3. - La Corte costituzionale, con sentenza n. 68 del 2017, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale. La Corte costituzionale ha ritenuto: inammissibile la questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, perche' priva di motivazione; inammissibile la questione avente per oggetto l'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998, perche' tale disposizione non ha la portata lesiva che il giudice rimettente le attribuisce. Infatti - ha sottolineato il giudice delle leggi - «la norma in questione si limita a disciplinare la confisca per equivalente, mentre e' soltanto all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005 che va attribuita la scelta del legislatore di rendere questo istituto di applicazione retroattiva, dando cosi' luogo al dubbio di costituzionalita' che ha animato il giudice a quo»; inammissibile la questione di costituzionalita' dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, perche' basata «su un erroneo presupposto interpretativo», ossia «sulla base di una considerazione parziale della complessa vicenda normativa verificatasi nel caso di specie». L'ordinanza di rimessione ha «omesso di tenere conto del fatto che la natura penale, ai sensi dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, del nuovo regime punitivo previsto per l'illecito amministrativo comporta un inquadramento della fattispecie nell'ambito della successione delle leggi nel tempo e demanda al rimettente il compito di verificare in concreto se il sopraggiunto trattamento sanzionatorio, assunto nel suo complesso e dunque comprensivo della confisca per equivalente, si renda, in quanto di maggior favore, applicabile al fatto pregresso, ovvero se esso in concreto denunci un carattere maggiormente afflittivo. Soltanto in quest'ultimo caso, la cui verificazione spetta al giudice a quo accertare e adeguatamente motivare, potrebbe venire in considerazione un dubbio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, nella parte in cui tale disposizione prescrive l'applicazione della confisca di valore e assoggetta pertanto il reo a una sanzione penale, ai sensi dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in concreto piu' gravosa di quella che sarebbe applicabile in base alla legge vigente all'epoca della commissione del fatto». 4. - Ripreso il processo e discussa la causa all'udienza del 14 settembre 2017, con la presente ordinanza di rimessione la Corte di tassazione propone, nell'ambito dello stesso giudizio a quo, una nuova questione di legittimita' costituzionale, nei termini di seguito precisati, limitandola all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, reimpostando il petitum e integrando la motivazione dell'ordinanza di rinvio si' da eliminare i vizi e le lacune riscontrati dalla Corte costituzionale, e che avevano impedito l'esame nel merito del dubbio sollevato. Descrizione dei fatti di causa 1. - In data 8 gennaio 2003 il Presidente delta Consob ha segnalato alla Procura della Repubblica di Milano il presunto reato di abuso di informazioni privilegiate - di cui all'art. 180 del decreto legislativo n. 58 del 1998 - per avere Emilio Gnutti, Ornella Pozzi, Maurizia Gallia, Ennio Barozzi, Romeo Liberini, Antonietta Comensoli e Osvaldo Savoldi acquistato obbligazioni UNIPOL 2000-2005 2,25% e UNIPOL 2000-2005 3,75%, nel corso dell'anno 2002. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 10597 del 19 ottobre 2005, ha prosciolto gli imputati (ad eccezione di Emilio Gnutti) in ragione della depenalizzazione del reato contestato, avvenuta a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, e ha trasmesso gli atti alla Consob. La Consob, ritenuta accertata la violazione di cui all'art. 187-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 58 del 1998, dopo aver disposto a carico di Ennio Barozzi la misura del sequestro di beni di sua pertinenza, fino al raggiungimento del valore equivalente al prodotto dell'illecito, ha applicato a carico del medesimo la sanzione amministrativa pecuniaria di € 216.402, la sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del 1998, nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies dello stesso TUF, la confisca di beni di sua proprieta' per un valore di € 6.182.919. 2. - Ennio Barozzi ha proposto opposizione dinanzi alla Corte d'appello di Brescia; la Consob si e' costituita e ha chiesto il rigetto dell'opposizione. 3. - Con sentenza depositata il 25 febbraio 2009, l'adita Corte d'appello ha rigettato l'opposizione. La Corte territoriale ha escluso che la depenalizzazione abbia portato ad un aggravio della sanzione applicata al trasgressore, rilevando che la nuova disciplina, conseguente alla riforma del 2005, e' piu' favorevole rispetto alla precedente, giacche' la condotta integra un illecito amministrativo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria e non piu' un delitto per il quale era prevista anche la pena della reclusione. La Corte di Brescia ha altresi' escluso l'incostituzionalita' della retroattivita' della confisca per equivalente, e cio' data la sua natura amministrativa. I principi di legalita' e di irretroattivita' - hanno affermato i giudici di appello - sono oggetto di copertura costituzionale soltanto per la materia penale, sicche' il legislatore, quanto all'illecito depenalizzato di abuso di informazioni privilegiate, ben puo' prevedere lo strumento della confisca per equivalente anche per i comportamenti precedenti alla entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, non configurandosi in tal modo nessuna violazione della legge 24 novembre 1981, n. 689. 4. - Per La Cassazione della sentenza della Corte d'appello il Barozzi ha proposto ricorso, affidato a nove motivi. La Consob ha resistito con controricorso e ha a sua volta proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi. Il ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva. 5. Con il primo motivo di ricorso Ennio Barozzi denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 11 della legge n. 689 del 1981 e dell'art. 187-bis, comma 5, del decreto legislativo n. 58 del 1998, cosi' come introdotto dall'art. 9 della legge n. 62 del 2005. Nel ritenere legittima la sanzione pecuniaria applicata dalla Consob, la Corte d'appello avrebbe addebitato a ciascun incolpato la complessiva operazione di acquisto delle obbligazioni, cosi' prescindendo dal piano individuale di valutazione della gravita' della condotta e dell'elemento soggettivo, apprezzando una gravita' d'insieme della condotta in spregio al principio della responsabilita' personale e della rilevanza della personalita' dell'agente e delle sue condizioni economiche ai fini della determinazione della sanzione. Con il secondo motivo, il Barozzi denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998, in relazione agli articoli 3, 5 e 12 della legge n. 689 del 1981, nonche' omessa e contraddittoria motivazione. La censura si riferisce alla dichiarata sussistenza, da parte della Corte d'appello, di un concorso di persone nel medesimo illecito, pur se nella ricostruzione della vicenda la stessa Corte ha rilevato che le condotte significative erano state poste in essere prevalentemente dalla Gallia (assistente di Gnutti). In sostanza, la Corte d'appello si sarebbe limitata a indagare in ordine alla unitarieta' del contesto temporale e spaziale nel quale maturarono gli eventi, desumendone la sostanziale riferibilita' della condotta ad un unico agente, ma imputando l'illecito a piu' persone in asserito concorso tra loro. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 117 e 97 della Costituzione con riguardo alla direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; solleva altresi' questione di legittimita' costituzionale dell'art. 187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998, per violazione degli articoli 117 e 97 della Costituzione, in relazione alla direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, con relativa istanza di rimessione della questione alla Corte costituzionale, nonche' contraddittoria motivazione sul punto. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello abbia ritenuto «congrua e adeguata» la misura della sanzione pecuniaria irrogata dalla Consob in suo danno e sostiene che vi sarebbe stata la violazione dei principi del diritto comunitario, vincolanti per il giudice nazionale ex art. 117, primo comma, della Costituzione. In particolare, il ricorrente rileva che, nel mentre la citata direttiva prescrive che le sanzioni siano sufficientemente dissuasive e che a tal fine debbano essere proporzionate alla gravita' della violazione e agli utili realizzati e applicate coerentemente (considerando n. 38) e tiene distinte le ipotesi in cui la provenienza dell'informazione sia legata a una professione o a una funzione e quella in cui la fonte sia connessa allo svolgimento di attivita' criminali (considerando n. 17), ovvero ancora l'ipotesi in cui l'abuso delle informazioni venga effettuato sapendo o dovendo sapere del loro carattere privilegiato (considerando n. 18), il legislatore nazionale avrebbe accomunato nell'unico trattamento sanzionatorio piu' condotte di abuso di informazioni privilegiate diverse tra loro. L'art. 187-bis del TUF - rileva il ricorrente - prevede la medesima sanzione edittale per l'insider primario, per l'insider in grado di operare a seguito di attivita' delittuose, per gli insider secondari che agiscono con la consapevolezza della natura privilegiata della informazione della quale dispongono e per gli insider secondari che agiscono con colpa, dovendo conoscere in base all'ordinaria diligenza il carattere privilegiato della informazione. Inoltre, a tutte le categorie considerate viene applicato lo stesso regime di aggravamento della sanzione (comma 5). Con il quarto mezzo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998, per avere la Corte d'appello disatteso il principio tempus regit actum, avendo applicato retroattivamente l'istituto della confisca per equivalente di cui all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, vale a dire una normativa meno favorevole per l'autore della condotta rispetto a quella vigente al momento della commissione del fatto. Il quinto motivo riguarda la violazione e falsa applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, anche in relazione agli articoli 3 e 25 della Costituzione. Con esso il ricorrente eccepisce l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 187-sexies, comma 2, del TUF e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in relazione agli articoli 3 e 25 della Costituzione e all'art. 117 della Costituzione, per violazione dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Secondo il ricorrente, la confisca per equivalente difetterebbe della finalita' di prevenzione tipica delle misure di sicurezza, essendo diretta a privare il reo di qualsiasi beneficio economico derivante dal comportamento criminoso, aggredendo anche beni manchevoli del carattere della pericolosita' e della pertinenza con l'illecito stesso. Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 187-octies, comma 3, lettera d), del TUF e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, prospettando l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli ora richiamati, in relazione agli articoli 3, 25 e 117 della Costituzione, quest'ultimo come conseguenza della violazione dell'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, con relativa istanza di rimessione alla Corte costituzionale. La complessiva doglianza si riferisce alla natura di «misura penale a carattere preventivo» del sequestro dei beni che possono formare oggetto di confisca ex art. 187-sexies del TUF, con la conseguente illegittimita' della applicazione retroattiva dell'istituto, nonche' all'incompetenza dell'Ufficio di Procura della Repubblica che ha disposto l'autorizzazione del sequestro per equivalente. Con il settimo motivo di ricorso il Barozzi deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge n. 689 del 1981 ed eccepisce l'illegittimita' costituzionale degli articoli 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998, e 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, per violazione dell'art. 3 della Costituzione e dei principi di ragionevolezza, legalita' e irretroattivita' delle sanzioni amministrative ex art. 1 della legge n. 689 del 1981. L'ottavo mezzo concerne la denuncia di violazione e falsa applicazione degli articoli 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in relazione ai principi sanciti nella direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; con esso viene eccepita l'illegittimita' costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in combinato disposto con l'art. 187-bis dello stesso decreto legislativo, per violazione dell'art. 117 della Costituzione. Con il nono motivo di ricorso il Barozzi denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in combinato disposto con l'art. 187-sexies, comma 2, TUF, in relazione all'art. 14 della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in combinato disposto con il citato art. 187-bis, per violazione degli articoli 117, 3 e 97 della Costituzione. A conclusione del motivo il ricorrente formula il quesito di diritto se, in sede di determinazione della sanzione dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate, di cui all'art. 187-bis del testo unico della finanza, l'autorita' irrogante debba attenersi - alla stregua di quanto disposto dall'art. 14 della direttiva 2003/6/CE - anche al rispetto del criterio della proporzionalita' delle sanzioni in concreto applicate e se queste ultime debbano intendersi come il complesso delle penalita' amministrative irrogate all'insider, ivi compresa la misura della confisca per equivalente. 8. - Il ricorso incidentale condizionato della Consob e' affidato a due motivi. Con il primo motivo, la Consob denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 19, 20, 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, dell'art. 100 del codice di procedura civile, degli articoli 187-sexies, 187-septies e 187-octies del decreto legislativo n. 58 del 1998, nonche' violazione dei principi generali in tema di interesse ad agire, legitimatio ad processum e principio della domanda, criticando la sentenza nel capo in cui la Corte d'appello ha esaminato il motivo di opposizione relativo al sequestro, pur reputandolo infondato in relazione a ciascuna censura sollevata da parte ricorrente. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la Consob denuncia altra violazione e falsa applicazione degli articoli 19, 20, 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, dell'art. 100 del codice di procedura civile, degli articoli 187-sexies, 187-septies e 187-octies del decreto legislativo n. 58 del 1998, nonche' violazione dei principi generali in tema di interesse ad agire, legitimatio ad processum e principio della domanda, sostenendo l'inammissibilita' del motivo inerente il sequestro sotto il diverso profilo della carenza di interesse, per il Barozzi, nel formulare un motivo di opposizione avente ad oggetto vizi propri del sequestro, non idonei a confutare il successivo potere, riservato in capo alla Consob, di emanare il provvedimento di confisca. Ritenuto in diritto 1. - Con il provvedimento sanzionatorio adottato dalla Consob e' stata applicata, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria di € 216.402 e alla sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di nove mesi, la misura della confisca per equivalente di beni di proprieta' del trasgressore per un valore di € 6.182,919, giudicata legittima dalla Corte d'appello. Tra i motivi di ricorso per cassazione vi e' la illegittimita' dell'applicazione della misura della confisca per equivalente, introdotta dalla legge n. 62 del 2005, perche' i fatti sono stati commessi in epoca anteriore all'entrata in vigore di tale legge. La premessa da cui muove il ricorrente e' che la confisca per equivalente abbia natura, non di misura di sicurezza con finalita' preventive, ma di misura con connotati sostanzialmente sanzionatori afflittivi, sicche' la stessa non potrebbe trovare applicazione se non con riguardo a illeciti amministrativi commessi dopo la entrata in vigore della legge n. 62 del 2005; essa sarebbe quindi inapplicabile nel caso di specie, in quanto i fatti di insider trading contestati sono stati commessi nel 2002. 2. - Il Collegio esclude di poter giungere gia' in via interpretativa a dichiarare l'illegittimita' della misura della confisca. Infatti, la pretesa del ricorrente di affermare la non applicabilita', nel caso di specie, della confisca per equivalente di cui all'art. 187-sexies del TUF, trova un ostacolo letterale insuperabile nella disposizione di cui all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, il quale prevede espressamente l'applicabilita' delle disposizioni della parte V, titolo I-bis, del testo unico approvato con il decreto legislativo n. 58 del 1998 «anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito». 3. - Ritiene questo giudice a quo che nondimeno si ponga, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, un dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, nella parte in cui prevede che la confisca per equivalente, disciplinata dall'art. 187-sexies del TUF, si applica, allorche' il procedimento penale non sia stato definito, anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 62 del 2005 - che le ha depenalizzate introducendo l'autonomo illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, configurato ora dall'art. 187-bis del TUF - e cio' pur quando il complessivo trattamento sanzionatorio generato attraverso la depenalizzazione sia in concreto meno favorevole di quello applicabile in base alla legge vigente al momento della commissione del fatto. 4. - Occorre premettere che la misura della confisca per equivalente in questione ha un contenuto sostanzialmente afflittivo, che eccede la finalita' di prevenire la commissione di illeciti, perche' non colpisce beni in «rapporto di pertinenzialita'» con l'illecito. La giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte e' univoca in tal senso con riferimento alle disposizioni che prevedono la confisca per equivalente quale misura applicabile a seguito della commissione di specifici reati per i quali la detta misura e' espressamente prevista. Cassazione pen., Sez. II, n. 31988 del 2006 ha cosi' affermato che, nel caso in cui il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche sia costituito da piu' violazioni commesse prima e dopo l'entrata in vigore della legge che ha previsto per detto reato l'applicazione della confisca per equivalente, questa misura puo' riguardare esclusivamente le violazioni commesse successivamente all'entrata in vigore della legge stessa. In questa medesima direzione, Cassazione pen., Sez. U., n. 18374 del 2013 ha affermato che la confisca per equivalente, introdotta per i reati tributari dall'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non essendo estensibile ad essa la regola dettata per le misure di sicurezza dall'art. 200 del codice penale, non si applica ai reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge citata. Soprattutto, e' la giurisprudenza della Corte costituzionale a riconoscere la natura prevalentemente afflittiva e sanzionatoria di questa peculiare forma di confisca. Le ordinanze n. 97 del 2009 e n. 301 del 2009 hanno infatti affermato che la confisca per equivalente prevista dall'art. 322-ter del codice penale non puo' avere natura retroattiva, perche' - «in ragione della mancanza di pericolosita' dei beni che ne costituiscono oggetto, unitamente all'assenza di un 'rapporto di pertinenzialita' (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato ed i beni» - da' luogo a una misura «'eminentemente sanzionatoria', tale da impedire l'applicabilita' a tale misura patrimoniale del principio generale della retroattivita' delle misure di sicurezza, sancito dall'art. 200 del codice penale». E - con specifico riferimento alla confisca per equivalente prevista dall'art. 187-sexies del TUF - la sentenza n. 68 del 2017 ha gia' statuito che «[essa] si applica a beni che non sono collegati al reato da un nesso diretto, attuale e strumentale, cosicche' la privazione imposta al reo risponde ad una finalita' di carattere punitivo, e non preventivo», precisando che «lo stesso legislatore si mostra consapevole del tratto afflittivo e punitivo proprio della confisca per equivalente, al punto da non prevederne la retroattivita' per i fatti che continuano a costituire reato (art. 187 del decreto legislativo n. 58 del 1998)». 4.1. La soluzione, ad avviso del Collegio, non muta in considerazione del fatto che, nella specie, la confisca per equivalente e' prevista quale sanzione accessoria per un illecito amministrativo. Infatti, alla confisca per equivalente prevista per l'illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate deve essere assegnata natura penale ai sensi dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in quanto essa svolge «con tratti di significativa afflittivita' una funzione punitiva» (Corte costituzionale, sentenza n. 68 del 2017). Del resto, le nozioni di sanzione penale e di sanzione amministrativa non possono essere desunte, semplicemente, dal nomen iuris utilizzato da legislatore, ne' dall'autorita' chiamata ad applicarla, ma devono essere ricavate, in concreto, tenuto conto delle finalita' e della portata del precetto sanzionatorio di volta in volta contemplato. La preoccupazione di evitare che singole scelte compiute da taluni degli Stati aderenti alla Convenzione, nell'escludere che un determinato illecito ovvero una determinata sanzione restrittiva appartengano all'ambito penale, possano determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali riserva alla materia penale, e' alla base dell'indirizzo interpretativo che, fin dalle sentenze 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, e 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania, ha portato la Corte europea dei diritti dell'uomo all'elaborazione di propri criteri, in aggiunta a quello della qualificazione giuridico-formale attribuita nel diritto nazionale, al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. Tali criteri sono stati individuati nella rilevante severita' della sanzione, nell'elevato importo di questa inflitto in concreto e comunque astrattamente irrogabile, nelle complessive ripercussioni sugli interessi del condannato, nella finalita' sicuramente repressiva. E, proprio in applicazione di quei criteri, la stessa Corte europea (sentenza 307A/1995, Welch c. Regno Unito) ha ritenuto assistita dalla garanzia dell'art. 7 della Convenzione l'applicazione di una confisca di beni riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente; e (sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia) ha riconosciuto carattere penale alle sanzioni per insider trading qualificate dal nostro diritto interno come amministrative. Va inoltre ricordato che la Corte costituzionale, con riferimento all'applicazione retroattiva di' disposizioni che introducono sanzioni amministrative, ha richiamato, con la sentenza n. 104 del 2014, il principio, gia' enunciato dalla sentenza n. 196 del 2010, secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Si tratta di un principio di derivazione convenzionale, ma desumibile anche dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione: infatti, il precetto costituzionale - data l'ampiezza della sua formulazione - «puo' essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a vere e proprie misure di sicurezza), e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (sempre sentenze n. 196 del 2010 e n. 104 del 2014). Deve inoltre aggiungersi che, come ha chiarito la Corte costituzionale (sentenze n. 49 del 2015, n. 68 del 2017 e n. 109 del 2017), le sanzioni che il legislatore costruisce come amministrative restano tali nel nostro ordinamento, ma sono ulteriormente assistite dalle garanzie previste dall'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ove abbiano carattere sostanzialmente penale alla luce della Convenzione. L'adozione di criteri sostanziali per la definizione della materia penale e' funzionale ad una piu' ampia garanzia dell'individuo: essa si muove infatti «nel segno dell'incremento delle liberta' individuali, e mai del loro detrimento (...), come invece potrebbe accadere nel caso di un definitivo assorbimento dell'illecito amministrativo nell'area di cio' che e' penalmente rilevante» (sentenza n. 68 del 2017). 5. - Ad avviso del Collegio, e' l'intero trattamento sanzionatorio introdotto dalla legge di depenalizzazione per l'illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate di cui al nuovo art. 187-bis del TUF a rivestire natura sostanzialmente penale, integrando esso i caratteri di afflittivita' delineati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, dato l'elevato importo della sanzione prevista. 6. - Ritiene questo giudice a quo che la confisca per equivalente sia legittimamente applicabile ai fatti pregressi di abuso di informazioni privilegiate, senza dar luogo a dubbi di costituzionalita', solo quando il nuovo trattamento sanzionatorio per l'illecito depenalizzato, complessivamente e unitariamente considerato, possa ritenersi non peggiorativo rispetto a quello precedentemente previsto. Invero, come ha chiarito la Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 68 del 2017, «il passaggio dal reato all'illecito amministrativo, quando quest'ultimo conserva natura penale ai sensi dell'art. 7 della Convenzione, permette l'applicazione retroattiva del nuovo regime punitivo soltanto se e' piu' mite di quello precedente. In tal caso, infatti, e solo in tal caso, nell'applicazione di una pena sopravvenuta, ma in concreto piu' favorevole, non si annida alcuna violazione del divieto di retroattivita', ma una scelta in favore del reo». Non in ogni caso e', quindi, costituzionalmente vietato applicare retroattivamente la confisca per equivalente. «Infatti, qualora il complessivo trattamento sanzionatorio generato attraverso la depenalizzazione, nonostante la previsione di tale confisca, fosse in concreto piu' favorevole di quello applicabile in base alla pena precedentemente comminata, non vi sarebbero ostacoli costituzionali a che esso sia integralmente disposto». 6.1. - Il dubbio di legittimita' costituzionale risiede invece nella previsione di applicabilita' - assoluta, incondizionata e inderogabile - della confisca per equivalente, quand'anche il complessivo risultato sanzionatorio risultante dalla riforma sia in concreto meno favorevole per il trasgressore rispetto a quello che sarebbe applicabile in base alla legge vigente all'epoca della commissione del fatto. 7. - Al fine di stabilire quale sia il trattamento piu' favorevole in tema di successione di leggi incriminatrici nel tempo, la giurisprudenza penale di questa Corte ha enunciato i seguenti principi: la disposizione piu' favorevole deve essere individuata tenendo conto della disciplina nel suo complesso e non di singoli e specifici aspetti della stessa (Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 14198 del 2016); deve aversi riguardo al complessivo trattamento sanzionatorio scaturente dall'applicazione della legge preesistente o di quella sopravvenuta senza che si possa procedere ad una combinazione delle disposizioni piu' favorevoli della nuova legge con quelle piu' favorevoli della vecchia, in quanto cio' comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella in vigore, occorrendo invece applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, piu' vantaggiosa per il reo (Cass. pen., Sez. III, n. 23274 del 2004); l'individuazione del regime di maggior favore per il reo ai sensi dell'art. 2 del codice penale deve essere operata in concreto, comparando le diverse discipline sostanziali succedutesi nel tempo (Cass. pen., Sez. IV, n. 49754 del 2014). 7.1. - Va precisato che il principio dell'efficacia retroattiva della norma sopravvenuta piu' favorevole implica che, qualora questa sia in concreto meno favorevole, debba applicarsi la precedente, ancorche' non piu' in vigore. Cio' non puo' accadere nel caso della depenalizzazione, perche' all'autorita' amministrativa non e' consentito in alcun modo applicare la sanzione penale, anche se in ipotesi piu' favorevole rispetto a quella amministrativa (sostanzialmente penale). Inoltre, il giudice penale, in presenza di un'ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, nell'individuare quale trattamento in concreto si presenti piu' favorevole, deve tenere conto di tutti gli istituti propri del diritto penale, quali la sospensione condizionale della pena, la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, l'indulto, la prescrizione del reato. Nel caso in esame, pertanto, il confronto tra le diverse discipline non puo' che assumere un carattere peculiare, trattandosi di ordinamenti sanzionatori diversi, l'uno penale e l'altro amministrativo, che possono essere posti sullo stesso piano solo perche' il secondo va considerato sostanzialmente penale alla stregua della convenzione EDU. 7.2. - Ora, ponendo a raffronto i due quadri sanzionatori in successione, emerge quanto segue. Il complessivo trattamento sanzionatorio per il delitto di abuso di informazioni privilegiate, previsto al momento della commissione del fatto dall'art. 180 del decreto legislativo n. 58 del 1998, era della reclusione fino a due anni, congiunta con la multa da venti a seicento milioni di lire, cui doveva aggiungersi la confisca soltanto in forma diretta. La condanna, inoltre, ai sensi ai sensi dell'art. 182 del medesimo decreto legislativo n. 58 del 1998 (allora vigente), comportava sempre l'applicazione delle pene accessorie previste dagli articoli 28, 30, 32- bis e 32-ter del codice penale per una durata non inferiore a sei mesi e non superiore a due anni, nonche' la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani, di cui uno economico, a diffusione nazionale. Era prevista, inoltre, la possibilita' per il giudice di aumentare la multa fino al triplo quando, per la rilevante offensivita' del fatto, le qualita' personali del colpevole o l'entita' del profitto che ne era derivato, essa appariva inadeguata anche se applicata nel massimo. Il trattamento sanzionatorio di cui all'art. 9 della legge n. 62 del 2005 consiste, invece, nella sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro tre milioni di cui all'art. 187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998 (non potendosi tener conto dell'ulteriore modifica apportata dall'art. 39, comma 3, della legge n. 262 del 2005 che ha quintuplicato la sanzione). Anche in questo caso il comma 5 del citato art. 187-bis prevede che le sanzioni possano essere aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole ovvero per l'entita' del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. Inoltre ai sensi dell'art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del 1998 sono previste le sanzioni amministrative accessorie della perdita temporanea dei requisiti di onorabilita' per gli esponenti aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle societa' di gestione del mercato, nonche' per i revisori e i promotori finanziari e, per gli esponenti aziendali di societa' quotate, dell'incapacita' temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell'ambito di societa' quotate e di societa' appartenenti al medesimo gruppo di societa' quotate per una durata non inferiore a due mesi e non superiore a tre anni. Infine, ai sensi del successivo art. 187-sexies, e' prevista l'ulteriore sanzione accessoria della confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e, qualora non sia possibile eseguire tale confisca, la stessa puo' avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilita' di valore equivalente. 7.2. - Nei fenomeni di depenalizzazione finora non si e' mai posto il problema dell'applicabilita' del principio di retroattivita' della norma piu' favorevole: essendosi, da un lato, sempre ritenuto che tale principio non trovi applicazione nel campo delle sanzioni amministrative, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 689 del 1981, e presumendosi, dall'altro, che il trattamento sanzionatorio successivo, per la sua stessa natura amministrativa, sia sempre da considerare piu' favorevole rispetto a quello precedente, avente natura penale. Anche in questo caso, con l'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, il legislatore ordinario muove dalla presunzione che la sanzione amministrativa sia sempre piu' favorevole di quella penale, perche' soltanto quest'ultima ha un contenuto stigmatizzante e normalmente ha o puo' avere un'incidenza sulla liberta' personale. Ma si tratta di una postulato che non e' esatto in assoluto, e che non lo e' nell'ipotesi all'esame del Collegio rimettente. L'affermazione secondo la quale la pena detentiva deve sempre considerarsi come piu' gravosa rispetto a quella pecuniaria trova significative eccezioni nei casi in cui la stessa pena detentiva non possa essere eseguita per effetto dell'applicazione di altri istituti, come, ad esempio, la sospensione condizionale della pena ex art. 163 e ss. del codice penale Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di successione di leggi penali, con riguardo ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace (nella specie si trattava del delitto di lesioni), non puo' applicarsi il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 52 del decreto legislativo n. 274 del 2000, ancorche' in linea di principio piu' favorevole, qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, in quanto il successivo art. 60, escludendo esplicitamente la concessione del beneficio della pena sospesa, rende in concreto le nuove disposizioni meno favorevoli all'imputato (Cass. pen., Sez. V, n. 7215 del 2006; Cassazione pen., Sez. V, n. 46793 del 2004). 7.3. - Deve precisarsi che, nella specie, non emerge dagli atti l'esistenza di situazioni impeditive della concessione, in favore del ricorrente, della sospensione condizionale della pena. Dunque, nei suoi confronti, la pena detentiva di due anni di reclusione era ragionevolmente destinata a rimanere condizionalmente sospesa, e quindi non eseguita, o, qualora fosse rimasta nel limite di sei mesi, ad essere convertita in pena pecuniaria in una misura estremamente ridotta (secondo il criterio di ragguaglio allora vigente). Inoltre il ricorrente avrebbe potuto beneficiare dell'indulto di cui alla legge n. 241 del 2006. Tutto cio' premesso, dal punto di vista del ricorrente, se si guarda alla reale carica di afflittivita' della sanzione, e' agevole rendersi conto che questi si e' visto sottratta la possibilita' di usufruire del beneficio della sospensione condizionale della pena (che si estende anche alle pene accessorie), della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria (che avrebbe portato ad una multa inferiore perfino rispetto a quella inflittagli con la sola sanzione amministrativa pecuniaria applicata in via principale, senza tener conto della ulteriore sanzione accessoria della confisca per equivalente), e dell'indulto; soprattutto, alla fattispecie non sarebbe stata applicabile la sanzione accessoria della confisca per equivalente ex art. 186-sexies del TUF. Nei suoi confronti, dunque, l'applicazione della sanzione penale in concreto sarebbe stata piu' favorevole rispetto alla sanzione pecuniaria amministrativa irrogata, oggetto di certa riscossione, di ammontare massimo notevolmente superiore e, si ribadisce, con l'aggiunta di una sanzione accessoria del tutto nuova, imprevedibile ed estremamente gravosa quale quella della confisca per equivalente per un valore pari a € 6.182.919. Per il trasgressore incensurato, pertanto, l'applicazione ai fatti pregressi della nuova ipotesi della confisca per equivalente determina un trattamento sanzionatorio per l'illecito depenalizzato complessivamente piu' sfavorevole. 7.4. - Questa valutazione trova conferma nel trattamento penale applicato al concorrente nel reato, Emilio Gnutti, insider primario, il quale ha riferito la notizia privilegiata all'odierno ricorrente. Come risulta dalla documentazione prodotta dalla difesa del ricorrente - ammissibile in quanto rilevante ai fini dell'individuazione in concreto del trattamento piu' favorevole - Gnutti e' stato condannato con sentenza del Tribunale di Milano del 25 ottobre 2006 alla pena della reclusione di sei mesi e al pagamento di € 100.000 di multa con pena sospesa. Questa pronuncia e' stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Milano che, con sentenza pronunciata in data 12 novembre 2007 sull'accordo delle parti, ritenuta la continuazione tra i fatti oggetto del giudizio e altri reati giudicati con pregressa sentenza della Corte d'appello di Brescia irrevocabile dal 10 luglio 2006, ha rideteminato la pena complessiva a suo carico in € 140.520 di multa, ferma la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici e dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e della incapacita' di contrattare con la pubblica amministrazione per un anno e due mesi. La pena e' stata calcolata partendo da una pena base di mesi sei di reclusione - reclusione convertita, ai sensi dell'art. 53 legge n. 689 del 1981, in 6.840 euro di multa e aumentata fino ad € 20.520, pari al triplo della pena convertita ex articoli 133-bis del codice penale, 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 e 180, comma 4, decreto legislativo n. 58 del 1998 - ed € 120.000 di multa. La stessa Corte d'appello, successivamente, in sede di incidente di esecuzione, ha ridotto la suddetta pena a 10.000 euro di multa, in applicazione dell'indulto di cui alla legge n. 241 del 2006. Pertanto, il complessivo trattamento sanzionatorio dell'originario concorrente nel reato, Emilio Gnutti, si e' concretizzato nella complessiva multa di € 10.000, nonostante questi fosse l'insider primario, la cui condotta doveva ritenersi necessariamente piu' grave di quella del ricorrente, tanto da continuare ad essere penalmente rilevante. La Consob, invece, all'esito del procedimento sanzionatorio, ritenuta sussistente la violazione di cui all'art. 187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998, ha applicato al ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di € 216.402, la sanzione accessoria dell'interdizione degli uffici direttivi per un periodo di nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del 1998, nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies del medesimo decreto, la confisca per equivalente di beni di sua proprieta' per un valore di € 6.182.919. 8. - A parere di questo collegio cio' che risulta determinante ai fini della valutazione di maggiore gravosita' e' proprio l'applicazione retroattiva della sanzione accessoria della confisca per equivalente ex art. 186-sexies decreto legislativo n. 58 del 1998, sanzione non prevista e non prevedibile al momento della consumazione dell'illecito. Tale sanzione accessoria, infatti, determina una tale sproporzione nella pena complessivamente inflitta, rispetto a quella che sarebbe scaturita dall'applicazione del citato art. 180 del decreto legislativo n. 58 del 1998, da rappresentare l'elemento che rende in concreto maggiormente afflittivo il complessivo trattamento sanzionatorio derivante dalla legge di depenalizzazione. In altri termini, il dubbio di legittimita' costituzionale risiede nel fatto che la previsione dell'applicabilita' - in modo incondizionato, inderogabile e non graduabile - della confisca per equivalente rende il complessivo risultato sanzionatorio previsto dalla riforma, in concreto, meno favorevole per il trasgressore. A parere del Collegio, una volta eliminata l'applicazione della confisca per equivalente ai fatti antecedenti la sua introduzione, il trattamento sanzionatorio amministrativo (anche se nella sostanza penale) che residua, riacquista quella valenza complessiva di maggior favore naturalmente correlata alle sanzioni amministrative rispetto a quelle corrispondenti penali. Il Collegio non ritiene, infatti, di poter condividere l'assunto, prospettato nella memoria e nella discussione orale della difesa di parte ricorrente, secondo cui dovrebbe attribuirsi valore di principio generale, immanente alla disciplina di qualunque depenalizzazione, alla disposizione recata dall'art. 8, comma 3, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (il quale recita: «Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non puo' essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.»). Al riguardo il Collegio osserva che non vi sono ragioni per ritenere che tale disposizione - che detta la disciplina transitoria della depenalizzazione recata dal decreto legislativo n. 8 del 2016 - esprima un principio di carattere generale idoneo a fungere da tertium comparationis nel vaglio di legittimita' costituzionale delle difformi discipline transitorie dettate da altre, e precedenti, leggi di depenalizzazione. Cio' posto, va considerato che la comparazione tra la sanzione penale e quella amministrativa non puo' risolversi in una stretta equiparazione quantitativa, in quanto la sanzione penale ha una pluralita' di effetti negativi, incidendo con forza peculiare non soltanto sulla liberta', ma anche sul complessivo profilo pubblico della persona, segnandolo con lo «stigma» del disvalore sociale derivante da una sentenza di condanna del giudice penale (basti pensare al rilievo, anche pratico, della condizione di incensuratezza). Nel caso dell'insider secondario, dunque, la sanzione penale risulterebbe in concreto meno favorevole della sanzione amministrativa pecuniaria, pur quantitativamente piu' elevata, ove quest'ultima non risultasse accompagnata anche dalla sanzione accessoria della confisca per equivalente. 9. - Di qui la sollevata questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, nella parte in cui prescrive l'applicazione della confisca di valore e assoggetta pertanto il trasgressore a una sanzione penale in concreto piu' gravosa di quella che sarebbe applicabile in base alla legge vigente all'epoca della commissione del fatto. Ad avviso del Collegio, il contrasto con l'art. 3 della Costituzione si profila in riferimento al principio di ragionevolezza, per eccesso di contenuto sanzionatorio rispetto allo scopo della retroattivita' della nuova disciplina sanzionatoria, che era di evitare che rimanessero impunite, nella fase transitoria della depenalizzazione, condotte comunque illecite, laddove l'aggiunta della retroattivita' della confisca per equivalente costituisce un aggravamento sproporzionato non destinato a trovare la propria giustificazione nel riempimento del vuoto punitivo. Secondo questo giudice a quo, la norma denunciata contrasta inoltre con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Infatti, in base al precetto costituzionale, ogni intervento sanzionatorio e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato. Invece, il legislatore ha imposto di applicare retroattivamente la confisca per equivalente solo perche' si riferisce a un illecito qualificato come amministrativo nell'ordinamento interno, mentre, nel regime transitorio, avrebbe potuto consentirne l'applicazione - versandosi in un'ipotesi di depenalizzazione accompagnata dall'introduzione di un corrispondente illecito amministrativo - soltanto ove la nuova sanzione completi un trattamento sanzionatorio nel complesso piu' mite della pena prevista per l'originario reato. Infine, il dubbio di non manifesta infondatezza sussiste in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 7 della convenzione europea, perche' la norma censurata prescrive l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente - «pena» secondo la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e quindi ricompresa nel nucleo delle garanzie che la convenzione riconosce all'individuo in materia penale - anche qualora il complessivo trattamento sanzionatorio per l'illecito amministrativo sia meno favorevole in concreto del precedente trattamento sanzionatori applicabile al reato. 10. - La questione sollevata e' rilevante ai fini della definizione del ricorso per cassazione. 10.1. - Innanzitutto perche' l'impugnato art. 9, comma 6, della n. 62 del 2005 e' la norma applicabile nel processo. I motivi di ricorso per cassazione investono, infatti, anche la legittimita' dell'applicazione retroattiva della confisca per equivalente ad un fatto di abuso di informazioni privilegiate commesso nel 2002, ed e' appunto la norma censurata a prevedere l'applicazione di tale misura anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di depenalizzazione. 10.2. - In secondo luogo perche' dall'esito del giudizio di costituzionalita' dipende la sorte di alcuni dei motivi del ricorso per cassazione. 10.3. - Infine - sempre sul piano della rilevanza - il Collegio evidenzia che la questione relativa alla legittimita' della applicazione della confisca presenta il requisito dell'attualita', non essendo superata dal deposito, ai sensi dell'art. 372 del codice di procedura civile, della sentenza con la quale il GUP del Tribunale di Bologna ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Giovanni Consorte e di Ivano Sacchetti in ordine al reato loro ascritto per il reato di abuso di informazioni privilegiate nell'ambito della stessa vicenda del prestito obbligazionario Unipol, perche' il fatto non sussiste. Occorre premettere che il ricorrente sostiene bensi' che l'avvenuta assoluzione dei due imputati perche' il fatto non sussiste comporterebbe il venir meno dell'elemento costitutivo della fattispecie, consistente nella informazione privilegiata e, poiche' l'informazione in questione sarebbe la stessa oggetto di contestazione nel presente giudizio a titolo di illecito amministrativo, ritiene che, per effetto del principio dell'efficacia riflessa del giudicato, dovrebbe pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata per insussistenza dell'illecito. Sennonche', tale assunto non e' condivisibile per diverse ragioni. In primo luogo osta alla configurabilita' stessa dell'efficacia riflessa della sentenza emessa in un giudizio penale, la disposizione di cui all'art. 187-duodecies del decreto legislativo n. 58 del 1998, a norma del quale «il procedimento amministrativo di accertamento e il procedimento di opposizione di cui all'art. 187-septies non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione». Premesso che non rilevano, nella specie, le problematiche concernenti la possibilita' della applicazione di una doppia sanzione - amministrativa e penale - per il medesimo fatto a carico del medesimo soggetto, la richiamata disposizione stabilisce un regime di assoluta autonomia tra procedimento penale e procedimento sanzionatorio amministrativo, sicche' risulta esclusa la possibilita' stessa di far valere nel procedimento amministrativo l'efficacia della pronuncia adottata in sede penale; senza dire che, nel caso di specie, non ricorre neanche una situazione di opponibilita' a Consob della pronuncia adottata in sede penale in considerazione del fatto che Consob non risulta essere stata parte di quel procedimento. Osta, inoltre, alla esplicazione di qualsivoglia efficacia dell'invocato giudicato nel presente giudizio il rilievo che le condotte contestate in sede penale, lungi dall'essere identiche a quelle oggetto della contestazione della Consob, sono diverse, in ragione delle qualita' soggettive rivestite dagli imputati nel processo penale e dal ricorrente nel presente giudizio. Infine, la sussistenza dell'illecito deve, nel presente giudizio, ritenersi coperta dal giudicato. Invero, nessuno dei motivi del ricorso principale contesta l'accertamento in fatto svolto dalla Corte d'appello e la conclusione alla quale essa e' pervenuta circa la natura privilegiata delle informazioni utilizzate. Il ricorrente, invero, ha posto in discussione esclusivamente i profili attinenti all'aspetto sanzionatorio, dubitando della legittimita' delle sanzioni irrogategli.
P.Q.M. La Corte, visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - legge comunitaria 2004), nella parte in cui prevede che la confisca per equivalente, disciplinata dall'art. 187-sexies del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), approvato con il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica, allorche' il procedimento penale non sia stato definito, anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 62 del 2005 - che le ha depenalizzate introducendo l'autonomo illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, configurato ora dall'art. 187-bis del TUF -, e cio' pur quando il complessivo trattamento sanzionatorio generato attraverso la depenalizzazione sia in concreto meno favorevole di quello applicabile in base alla legge vigente al momento della commissione del fatto; dispone la sospensione del presente giudizio; ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri; ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 settembre 2017. Il Presidente: Petitti