N. 14 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 ottobre 2017

Ordinanza del 3 ottobre 2017 del G.I.P. del Tribunale  di  Lecce  nel
procedimento penale a carico di Y.N.. 
 
Processo penale - Indagini preliminari -  Perquisizioni  e  ispezioni
  compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei  casi  previsti  dalla
  legge o  comunque  non  convalidati  dall'autorita'  giudiziaria  -
  Inutilizzabilita' degli esiti probatori, compreso il sequestro  del
  corpo del reato o  delle  cose  pertinenti  al  reato,  nonche'  la
  deposizione testimoniale in  ordine  a  tale  attivita'  -  Mancata
  previsione. 
- Codice di procedura penale, art. 191. 
(GU n.6 del 7-2-2018 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
          Ufficio del Giudice per le indagini preliminari  
 
    Il G.I.P. dott. Stefano Sernia all'udienza preliminare del giorno
3 ottobre 2017, nel processo pendente nei confronti di N. Y.  nato...
il... sentite le parti, ha pronunziato la seguente ordinanza. 
    A seguito di rituale richiesta di rinvio a  giudizio,  depositata
dal pubblico ministero in data in data 1° marzo 2017,  l'imputato  N.
Y. veniva citato per l'udienza preliminare del 23  maggio  2017,  per
rispondere dell'accusa di detenzione, al fine di cederle a terzi,  di
sostanze stupefacenti del  genere  hashish  e  marijuana,  idonee  al
confezionamento di 23 dosi, sia  dell'una  che  dell'altra  sostanza,
aventi effetto psicotropo. 
    All'udienza preliminare, il difensore  di  fiducia  dell'imputato
dichiarava  di  aderire  all'astensione  dalla  partecipazione   alle
udienze, proclamata per quel giorno dalla associazione di  categoria;
sulla non opposizione del pubblico ministero, e  non  presentando  il
processo  ragioni  di  urgenza,   stante   lo   stato   di   liberta'
dell'imputato, l'udienza veniva quindi rinviata a quella  odierna  in
cui  il  difensore,  nella  sua  qualita'  di  procuratore   speciale
dell'imputato, ha avanzato richiesta di giudizio abbreviato,  che  il
giudice ha conseguentemente ammesso. 
    Il  materiale  probatorio  e'  quindi  cristallizzato  in  quello
raccolto durante le indagini e documentato come in atti. 
    Va  osservato  che  gli  elementi  a  carico  dell'imputato  (che
peraltro non risulta aver rilasciato alcuna dichiarazione,  tantomeno
di natura confessoria) risiedono nei risultati  della  ispezione  del
suo bagaglio (ove vennero rinvenuti 5 stecchette di hashish del  peso
di 5 gr) e della perquisizione personale (che porto' al rinvenimento,
nei suoi slip, di 4 gr. di marijuana) cui lo stesso venne  sottoposto
d'iniziativa di militi appartenenti alla Compagnia di Gallipoli,  che
a  tale   attivita'   particolarmente   invasiva   (si   pensi   alla
perquisizione negli slip)  e  limitatrice  della  liberta'  personale
furono motivati - stando a quanto indicato nel p.v. di  perquisizione
- dall'atteggiamento  asseritamente  sospetto   tenuto   dall'odierno
imputato (del quale peraltro non e' in  nessun  modo  indicato  quali
atti, atteggiamenti o condotte possano aver dato  luogo  al  sospetto
che detenesse sostanze stupefacenti) che, verso le ore 14,00 (ora  in
cui peraltro e' tutt'altro che rara, in quella stagione, la  presenza
di persone che si portino in quei luoghi per le  attivita'  balneari)
si aggirava nei pressi del litorale gallipolino. 
    Nel   caso   concreto,   le   ragioni   della   perquisizione   e
dell'ispezione non sono  evincibili  dal  verbale  di  p.g.,  che  si
risolve in una formula assolutamente non motivata con l'apodittica  -
e  quindi  non  verificabile   -  affermazione  che   l'atteggiamento
dell'imputato  fosse  «sospetto»;  sicche',  nell'assenza   di   ogni
concreta  indicazione   circa   le   ragioni   poste   a   fondamento
dell'esercizio  dei  poteri  di   ispezione   del   bagaglio   e   di
perquisizione personale, queste appaiono  essere  state  eseguite  in
assenza non solo di una pregressa situazione di flagranza del  reato,
ma anche in assenza di altri fondati  motivi  (di  cui  all'art.  103
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/90),   apparendo
inammissibile ritenere che il giudice debba ritenere  la  sussistenza
dei presupposti di tali atti, solo perche' lo affermi,  senza  alcuna
concreta indicazione o spiegazione, la p.g.. 
    Invero, la situazione di flagranza di reato, che evidentemente si
e' manifestata solo dopo  la  perquisizione,  non  puo'  aver  quindi
svolto la funzione di preventiva legittimazione di tale atto, che  la
legge ordinaria (articoli 354 e 356 del codice di procedura penale) e
costituzionale (articoli 13 e 14 della Costituzione) le assegnano  in
deroga al principio  generale  per  cui  simili  atti,  limitando  la
liberta' personale (e della inviolabilita' del domicilio per quel che
attiene alla perquisizione domiciliare), possono essere disposti solo
dall'A.G. e nei casi e modi previsti dalla legge; allo  stesso  modo,
un non meglio specificato «atteggiamento sospetto» non puo' valere  a
significare la  ricorrenza  di  un  fondato  motivo  atto,  ai  sensi
dell'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/90,  a
far ritenere il possesso di sostanze stupefacenti. 
    Cio'  premesso,  va  sottolineata  la  cautela  del   legislatore
costituzionale, che ha assegnato solo  all'Autorita'  giudiziaria  il
potere di disporre atti di  perquisizione  ed  ispezione,  prevedendo
solo in via  eccezionale  quelli  della  p.g.  ed  entro  ambiti  ben
delimitati, fissati dalla legge, e con  rispetto  delle  garanzie  di
liberta' della persona. 
    I limiti fissati dalla legge si atteggiano,  invero,  in  ragione
della previsione costituzionale che li assiste, come  invalicabili  e
di  stretta  interpretazione;  e   qualsiasi   interpretazione   che,
comunque, si risolva in una vanificazione dei limiti posti alla  p.g.
(ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di  tali  limiti;  o
stabilendo l'irrilevanza processuale  di  tali  violazioni)  o  nella
lesione - sia pure mediata -  della  liberta'  personale,  appare  da
rigettarsi. 
    Invero,  l'art.  13  della  Costituzione  (richiamato,  quanto  a
garanzie e forme ivi previste, dall'art.  14  della  Costituzione  in
tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri  domiciliari)  prescrive
che ogni atto di limitazione della liberta' personale - tra  i  quali
annovera non solo l'arresto o il fermo, ma anche le  perquisizioni  e
le   ispezioni   personali,   sia   riservato   ad   «allo   motivato
dell'autorita' giudiziaria e nei soli  casi  e  modi  previsti  dalla
legge»;  riserva  di  legge   e   di   provvedimento   dell'Autorita'
giudiziaria, quindi, cui puo' derogarsi  solo  per  casi  eccezionali
previsti dalla legge, atteso che la  norma  prosegue  prevedendo  che
solo  «in  casi  eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza,   indicati
tassativamente dalla legge, l'autorita' di  pubblica  sicurezza  puo'
adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto  ore  all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li
convalida nelle eccessive quarantotto ore, si  intendono  revocati  e
restano privi di ogni efficacia». 
    Ai   sensi   della   norma   costituzionale   ora    considerata,
costituiscono quindi restrizioni della liberta' personale  -  che  il
Legislatore costituzionale accoglie quindi e tutela  in  un'accezione
particolarmente ampia, ricomprendente tutti i casi in  cui  il  corpo
dell'individuo debba sottostare ad attivita' degli organi pubblici  -
non solo i casi dell'arresto e fermo, ma anche la  sottoposizione  ad
atti   di   ispezione   e   perquisizione   personale;   a   garanzia
dell'effettivita'  della  tutela  di  tali  diritti   personali,   il
Legislatore costituzionale stabilisce in  primo  luogo  che  solo  la
legge puo' e deve indicare i casi ed  i  modi  in  cui  e'  possibile
procedere a tali atti,  riservando  inoltre  il  potere  di  disporli
all'autorita' giudiziaria, che puo' adottarli solo con  provvedimento
motivato. 
    I suddetti  diritti  sono  quindi  assistiti  -  a  sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico  dell'ordinamento  repubblicano
voluto dal Legislatore costituzionale come fondato  sulla  tutela  di
quelle  liberta'  individuali  tendenzialmente  negate  o  fortemente
compresse dal precedente regime  - da  un  corredo  di  significative
cautele date  dalla  riserva  di  legge,  dalla  riserva  del  potere
giudiziario, dall'obbligo di provvedere con atto motivato. 
    Solo in casi eccezionali di necessita'  ed  urgenza,  che  spetta
alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza
(e cioe' alle forze di polizia, che di  tali  compiti  sono  titolari
unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito  un  potere
di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in  caso
di mancata  convalida  da  parte  dell'A.G.  con  provvedimento  che,
sebbene  cio'  non  sia  espressamente  previsto  dalla  norma,  deve
ritenersi debba anch'esso essere motivato, dato che non vi e' ragione
di ritenere che  il  Legislatore  costituzionale,  per  l'ipotesi  di
particolare delicatezza costituzionale data della convalida  (la  cui
funzione  e'  verificare  che  la  p.g.  non  abbia  agito  in   tali
delicatissime materie abusando dei propri poteri, fuori dei  casi  in
cui essi sono loro riconosciuti), abbia voluto esonerare  l'Autorita'
giudiziaria dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti (come
peraltro previsto gia' in via generale dall'art. 111  comma  6  della
Costituzione). 
    Come si e' accennato, tali  garanzie  sono  estese  dall'art.  14
della Costituzione anche al caso  delle  perquisizioni,  ispezioni  e
sequestri domiciliari, giusta il richiamo che tale norma  opera  alle
garanzie prescritte (dall'art. 13 della Costituzione) per  la  tutela
della liberta' personale; caso  che  in  questo  caso  specifico  non
interessa, ma che si ritiene utile menzionare al fine di sottolineare
l'unitarieta' della visione del Legislatore costituzionale in tema di
tutela di liberta' fondamentali della persona. 
    L'ipotesi principale ed originaria prevista dalla legge ordinaria
a legittimare l'intervento eccezionale delle  forze  di  polizia,  e'
datala dai casi di  flagranza  di  reato,  allorche'  gli  organi  di
polizia intervengono in un momento in cui il reato  e'  in  corso  di
esecuzione, o il reo, subito dopo la commissione del reato,  ne  reca
indosso le tracce, o e' inseguito dalla polizia, dalla persona offesa
o da altri:  casi  di  evidenza  probatoria  che,  nel  giudizio  del
legislatore,  rendono   meno   pericolosa   la   deroga   ai   poteri
dell'Autorita' giudiziaria (cfr. sul punto anche Corte  di cassazione
SS.UU. 39131/2015 che ha anche statuito, in tale linea  di  pensiero,
che la c.d. quasi flagranza rileva solo in quanto le forze di polizia
abbiano assistito alla commissione del reato o  abbiano  direttamente
percepito le tracce del reato sulla persona del reo). 
    Non si e' mai dubitato che le ipotesi della flagranza  di  reato,
concorrendo  il  requisito  della  pericolosita'   dell'autore   come
segnalata  dalla  sua  personalita'  o  dalla  gravita'   del   reato
(pericolosita' e gravita' presunte nei casi dei piu' gravi delitti di
cui all'art. 380 del codice di procedura penale, e da  valutarsi  nel
concreto nei casi di cui all'art. 381 del codice di procedura penale)
valgano ad  individuare  delle  ipotesi  generali  di  necessita'  ed
urgenza  tassativamente  ben  delineate,  in   cui   si   giustifichi
l'esercizio provvisorio dei poteri di arresto da  parte  della  p.g.;
cosi', in relazione alla gravita' del  reato  (che  la  legge  ancora
all'entita' della pena o all'appartenenza a ben definite tipologie di
delitto), il pericolo di fuga appare altra situazione  di  necessita'
ed urgenza che  legittimi  l'esercizio  del  potere  di  fermo  e  la
conseguente restrizione della liberta' personale. 
    Allo stesso modo, senz'altro la flagranza del reato  integra  una
situazione di necessita' ed urgenza quanto agli atti di perquisizione
e conseguente sequestro ad opera della p.g., finalizzati ad acquisire
al processo fonti di prova che altrimenti il reo, sapendo  di  essere
stato  scoperto,  provvederebbe  verosimilmente   a   distruggere   o
disperdere; sicche' anche gli  articoli  352  e  354  del  codice  di
procedura penale appaiono rispettosi del dettato costituzionale. 
    Sia per le perquisizioni e sequestri che per gli atti di  arresto
e fermo, la legge prevede poi la necessita' della convalida da  parte
dell'A.G., con provvedimento motivato, ed il  dettato  costituzionale
e' rispettato. 
    Norme speciali  hanno  ampliato  i  casi  in  cui  alla  p.g.  e'
consentito procedere ad atti di ispezione e perquisizione. 
    Oltre all'ipotesi prevista dall'art.  41  TULPS  -  che  peraltro
riguarda le perquisizioni domiciliari e non quelle personali - per la
ricerca di armi di cui, anche per indizio, la polizia  abbia  notizia
dell'esistenza all'interno di locali pubblici o privati, quella  piu'
frequentemente ricorrente e' quella di cui all'art. 103 commi 2  e  3
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90  che  disciplinano,
rispettivamente, le attivita' di controllo ed ispezione dei mezzi  di
trasporto e dei bagagli e degli effetti  personali,  e  gli  atti  di
perquisizione in senso stretto, sia  domiciliari  che  personali;  in
entrambi i casi e' previsto un provvedimento di  controllo  da  parte
dell'Autorita' giudiziaria, nella specie il pubblico  ministero,  che
assumera' le forme della convalida nel caso degli atti  di  ispezione
controllo,  e  quello  dell'autorizzazione  preventiva,  anche  orale
telefonica, nei casi di perquisizione; solo per i casi di particolare
necessita'   ed   urgenza   che   non   consentano   di    richiedere
l'autorizzazione telefonica, la polizia puo'  procedere  ad  atti  di
perquisizione senza previa autorizzazione del pubblico ministero, che
dovra' comunque successivamente convalidare, se del  caso,  l'operato
della p.g. 
    Invero, le norme cosi' recitano: 
        «2. Oltre  a  quanto  previsto  dal  comma  1  [che  riguarda
ispezioni  e  perquisizioni  negli  spazi  doganali,   n.d.r.],   gli
ufficiali  e  gli  agenti  di  polizia  giudiziaria,  nel  corso   di
operazioni di  polizia  per  la  prevenzione  e  la  repressione  del
traffico illecito di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope,  possono
procedere in ogni luogo al controllo e  all'ispezione  dei  mezzi  di
trasporto, dei bagagli e degli effetti personali quando hanno fondato
motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti
o psicotrope. Dell'esito dei controlli e delle ispezioni  e'  redatto
processo verbale in appositi moduli, trasmessi entro quarantotto  ore
al  procuratore  della  Repubblica  il  quale,  se  ne  ricorrono   i
presupposti, li convalida entro le  successive  quarantotto  ore.  Ai
fini dell'applicazione  del  presente  comma,  saranno  emanate,  con
decreto del Ministro dell'interno di concerto con  i  Ministri  della
difesa e delle finanze,  le  opportune  norme  di  coordinamento  nel
rispetto delle competenze istituzionali. 
    3. Gli ufficiali di polizia giudiziaria, quando ricorrano  motivi
di particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere
l'autorizzazione  telefonica  del  magistrato   competente,   possono
altresi' procedere a perquisizioni dandone notizia, senza  ritardo  e
comunque entro quarantotto ore, al procuratore  della  Repubblica  il
quale,  se  ne  ricorrono  i  presupposti,  le  convalida  entro   le
successive quarantotto ore. 
    L'art. 103 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  309/90,
pertanto,  legittima  - nel  corso  di  operazioni  finalizzate  alla
prevenzione e repressione dei reati in  tema  di  stupefacenti  -  le
perquisizioni, anche fuori dei casi di flagranza, allorche'  la  p.g.
abbia «fondato motivo di ritenere» (analogamente alla «notizia  anche
per indizio» secondo quanto prescrive l'art.  41  TULPS  in  tema  di
perquisizioni domiciliari alla ricerca di armi)  che  taluno  detenga
sostanza stupefacente; con l'ulteriore necessita' dell'autorizzazione
telefonica preventiva del pubblico ministero  o,  ove  l'urgenza  non
consenta di ricercarla, successiva comunicazione al P.M. e  convalida
ad opera dello stesso. 
    A parere di questo Giudice, le norme surrichiamate  impongono  la
sussistenza  di  un  requisito  minimo   di   comprovabilita'   della
ricorrenza del presupposto all'esercizio del potere di  perquisizione
da parte della p.g.: non sara' necessaria la preventiva  prova  della
detenzione illegittima di armi o stupefacenti, ma di tale detenzione,
qua  le  condizione  legittimante  la  perquisizione  da   compiersi,
dovranno gia' esservi almeno indizi, sia pure semplici e  non  gravi;
ma non  potra'  procedersi  al  di  sotto  della  soglia  indiziaria,
espressamente  richiesta  dall'art.  41  TULPS,  e  la  cui   assenza
impedirebbe il concretizzarsi del «fondato motivo»  di  cui  all'art.
103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90. 
    Una diversa interpretazione attribuirebbe, di fatto, alla p.g. un
potere  insindacabile  di  procedere  ad  atti  di  perquisizione,  e
vanificherebbe quindi quei  limiti  che  la  Costituzione  ha  invece
ritenuto necessari, sia  pure  demandandone  la  determinazione  alla
legge ordinaria; e la legge ordinaria, per quel che qui interessa, ha
richiesto che la p.g. abbia fondato motivo  di  ritenere  che  taluno
detenga sostanza stupefacente; e l'esistenza di  un  indizio  in  tal
senso deve necessariamente essere verificabile, posto che  altrimenti
si attribuirebbe alla p.g. il potere di ledere ad libitum la liberta'
personale e violare la vita privata e domiciliare della  persona  (in
spregio anche a  quanto  prescritto  dall'art.  8  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo). 
    Se cosi' non fosse, se si ammettesse (come non di rado la Suprema
Corte  ha  affermato)  la  liberta'  della  p.g.   di   procedere   a
perquisizione  in  forza  di  un  mero  inverificabile  e  soggettivo
sospetto, o di un asserito «indizio» che non dovesse  essere  nemmeno
specificato nella fonte (Corte di  cassazione  Sez.  3,  sentenza  n.
19365 del 17 febbraio 2016, ad es., che e' giunta  ad  affermare  che
«Le perquisizioni che la polizia giudiziaria, nel caso di sospetto di
illecita  detenzione  di  sostanze  stupefacenti,  e'  legittimata  a
compiere  in  forza  del  disposto  dell'art.  103  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppongono
necessariamente  la  commissione  di  un  reato,  ma  possono  essere
effettuate sulla base di  notizie  confidenzialmente  apprese,  senza
obbligo di avvertire la persona sottoposta a  controllo  del  diritto
all'assistenza di un difensore; in ogni  caso,  anche  se  effettuate
illegittimamente, non rendono illegittimo l'eventuale sequestro dello
stupefacente  e  delle  altre  cose  pertinenti  al  reato  rinvenute
all'esito  della  perquisizione»),  si  impedirebbe  ogni   controllo
giurisdizionale sulla legittimita'  dell'agire  della  p.g.  e  sulla
attendibilita' dei risultati della sua azione; si  vanificherebbe  la
previsione di inefficacia contenuta nell'art. 13 della  Costituzione;
contravverrebbe di fatto al regime dell'utilizzabilita'  delle  prove
(che pacificamente riguarda anche  gli  indizi)  per  come  stabilito
dalla legge (nella specie, l'art. 191 del codice di procedura  penale
per quel che riguarda il divieto di utilizzazione di prove  acquisite
in violazione di un divieto posto  dalla  legge);  si  vanificherebbe
quindi (incentivandone le violazioni per  l'inesistenza  di  sanzioni
processuali all'utilizzabilita' degli esiti delle  perquisizioni)  la
tutela  costituzionale  della  inviolabilita'   del   domicilio;   si
realizzerebbe,  infine,  una  potenziale   lesione   della   liberta'
personale, atteso che questa verrebbe ad  essere  giurisdizionalmente
limitata  per  effetto  di  una  apparenza  di  flagranza  di   reato
conseguente (e non preesistente) alla perquisizione,  senza  che  sia
possibile verificare la affidabilita' della catena indiziaria che  ha
portato all'emersione di quella situazione di  apparenza  probatoria,
la cui genuinita' dovra' quindi essere assunta per atto di fede. 
    Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto  conseguente,  che,  a
fondamento della ricorrenza di un indizio di detenzione delle armi  o
sostanze stupefacenti: 
        a)  non   possano   essere   utilizzate   fonti   anonime   o
confidenziali, perche' queste sono  in  via  generale  inutilizzabili
(cfr. artt. 195 commi 7, 203 comma 1 del codice di procedura  penale,
che in via generale prevedono l'inutilizzabilita'  delle  deposizioni
de relato fondate su  fonti  che  non  si  intenda  o  non  si  possa
indicare, risolvendosi queste in fonti anonime non utilizzabili  come
gia' previsto dall'art. 240 del codice di  procedura  penale  per  il
divieto di utilizzazione dei documenti  anonimi)  e  non  sussumibili
nella  nozione  di  indizio,  che  indica  l'elemento  di  prova  non
univocamente   concludente   ma   utilizzabile,   posto    che    per
giurisprudenza pacifica ed assolutamente  condivisibile,  l'art.  191
del codice di procedura penale si applica anche agli indizi; 
        b)  l'A.G.  dovra'  poter  conseguentemente   verificare   se
l'elemento posto a fondamento della «notizia» circa l'esistenza delle
armi  nei  locali  da   perquisire,   abbia   dignita'   di   indizio
utilizzabile. 
    Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto  conseguente,  che,  a
fondamento  della  ricorrenza  di  un  indizio   di   detenzione   di
stupefacenti  o  armi,  ai  sensi  degli  articoli  103  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90 e 41 TULPS; 
        c)  non   possano   essere   utilizzate   fonti   anonime   o
confidenziali, perche' queste sono in via generale  inutilizzabili  e
non sussumibili nella nozione di indizio, che  indica  l'elemento  di
prova non univocamente concludente ma utilizzabile; 
        d)  l'A.G.  dovra'  poter  conseguentemente   verificare   se
l'elemento posto a fondamento della «notizia» circa l'esistenza delle
armi  nei  locali  da   perquisire,   abbia   dignita'   di   indizio
utilizzabile. 
    In conclusione, poiche'  nel  verbale  di  perquisizione  non  e'
assolutamente  specificato  in   cosa   consistesse   l'atteggiamento
sospetto dell'imputato, si e' trattato di una  perquisizione  abusiva
perche' assolutamente ingiustificata - in base al  giudizio  ex  ante
che  deve  presiedere  ad  ogni  valutazione  circa  la  legittimita'
dell'operato della p.g. i n tutti gli  atti  che  interferiscono  con
l'esercizio di liberta' costituzionalmente tutelate - e  compiuta  al
di fuori di una situazione di flagranza. 
    Tali attivita' di perquisizione ed ispezione, inoltre, sono state
convalidate dal pubblico ministero con un provvedimento assolutamente
immotivato, consistente nella sola formula «v°, si convalida», e  che
pertanto non permette di  rilevare  (e  valutare)  in  base  a  quali
ragioni   il pubblico   ministero abbia    ritenuto    legittimamente
esercitato il potere che l'art. 13 della Costituzione vuole  limitato
ai casi tassativamente previsti dalla legge e del  tutto  eccezionale
e, in quanto limitativo della liberta' personale  (come  gia'  si  e'
notato l'art. 13 della Costituzione assegna tale natura agli atti  di
ispezione  e  perquisizione   personali)   sottoposto   a   convalida
dell'A.G., sotto espressa pena di inefficacia assoluta degli  effetti
dell'atto illegittimo (cfr. art. 13 comma 3 della Costituzione). 
    Non ricorrendo le ipotesi della  flagranza  o  le  altre  ipotesi
previste da leggi speciali che  a  tanto  facultizzino  le  forze  di
polizia, deve ritenersi che gli atti di  perquisizione,  ispezione  e
sequestro da queste eseguiti siano stati compiuti inviolazione di  un
divieto, derivante dalla generale riserva  di  tali  atti  alla  sola
Autorita' giudiziaria. 
    Come si e'  detto,  gli  articoli  13  e  14  della  Costituzione
prevedono che «in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge, l'autorita' di  pubblica  sicurezza  puo'
adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto  ore  all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li
convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono  revocati  e
restano privi di ogni efficacia»; cio' comporta, a parere  di  questo
Giudice,  che  gli  atti  di  ispezione,  perquisizione  e  sequestro
abusivamente compiuti dalla  p.g.  o  non  motivatamente  convalidati
dall'A.G. rimangano senza effetto  anche  sul  piano  probatorio;  la
legge  ordinaria  ha   quindi   dato   attuazione   alla   previsione
costituzionale, prevedendo casi tassativi per l'esercizio dei  poteri
di arresto, fermo, perquisizione,  ispezione  e  sequestro  da  parte
delle forze di polizia, ed ha introdotto in via generale, con  l'art.
191  del  codice   di   procedura   penale,   la   previsione   della
inutilizzabilita' delle prove acquisite in violazione di  un  divieto
di legge; come pero' si vedra', il diritto vivente quale  discendente
dalla  monolitica  interpretazione   delle   norme   di   legge   (in
particolare, proprio dell'art. 191 del codice  di  procedura  penale)
dettate a sanzione  di  inutilizzabilita'  dell'assunzione  di  prove
vietate dalla legge, non  assegna  conseguenze  di  inutilizzabilita'
agli esiti delle perquisizioni ed ispezioni compiute dalle  forze  di
polizia fuori dei casi in  cui  la  legge  glielo  consente;  con  il
prevedere l'utilizzabilita' probatoria del corpo  di  reato  e  delle
cose pertinenti al reato acquisite grazie  a  tali  perquisizioni  ed
ispezioni,  anche  se  avvenute  in  violazione  di  un  divieto,  la
Giurisprudenza della Suprema Corte (vero e proprio  diritto  vivente,
stante la sua monoliticita'), a parere di questo Giudice, vanifica le
garanzie costituzionali, dando luogo ad un  diritto  vivente  che  si
pone in contrasto con esse, come meglio oltre si dira'. 
    A prescindersi poi dalla gia' chiara lettera dell'art. 13 comma 3
della  Costituzione,  gia'  le  ordinarie  disposizioni   processuali
dovrebbero    condurre    al    risultato    interpretativo     della
inutilizzabilita' degli esiti  della  perquisizione  illegittima,  in
presenza di una norma,  come  l'art.  191  del  codice  di  procedura
penale, che sanziona con l'inutilizzabilita' le  prove  acquisite  in
violazione di un divieto di legge. 
    Nel  caso  in  oggetto  non  rileva   la   questione   circa   la
inadeguatezza costituzionale della norma, nella parte in cui  prevede
la   idoneita'   della   autorizzazione   telefonica   orale    senza
espressamente prevedere  la  necessita'  di  una  sua  documentazione
successiva  con  motivazione  che  soddisfi  i  requisiti  di   forma
richiesti dall'art. 13 della Costituzione; ed  invero,  nel  caso  in
oggetto e' presente una convalida scritta, apposta in calce  al  p.v.
di perquisizione, che si risolve  unicamente  e  semplicemente  nella
formula «si convalida» seguita da  data  e  firma  e  priva  di  ogni
motivazione. 
    Compiuta  tale   preliminare   ricognizione   delle   norme   che
disciplinano la materia, deve quindi ribadire che le prove  a  carico
dell'imputato consistono di quanto rinvenutogli indosso a seguito  di
una perquisizione eseguita al di fuori dei casi e modi previsti dalla
legge,  atteso  che  ne'  ricorreva  una  percepibile  situazione  di
flagranza del reato, ne' risulta ricorressero i  presupposti  di  cui
all'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n.  309/90,  non
potendosi ritenere che un indefinito «atteggiamento  sospetto»  possa
giustificare l'adozione di provvedimenti di p.g. che, per essere  del
tutto eccezionali, devono essere ancorati a  situazioni  oggettive  e
serie,  tali  anche  da  consentire   una   verifica,   all'autorita'
giudiziaria, circa la ricorrenza dei presupposti per l'esito positivo
di tale controllo. Peraltro, degli atti di ispezione e  perquisizione
di cui all'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90
non risultano rispettati neppure forme e modi, e per l'assenza di  un
provvedimento motivato di convalida, e perche' la p.g. ha proceduto a
ispezione del bagaglio e  perquisizione  personale  dell'imputato  in
base ad un non  descritto  e  quindi  non  valutabile  «atteggiamento
sospetto», e perche' il pubblico ministero ha proceduto  a  convalida
dell'operato di p.g. omettendo ogni forma di motivazione. 
    Invero, se quanto operato dalla p.g. a limitazione della liberta'
personale e' sottoposto, per previsione costituzionale, a verifica  e
controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria, che  per  convalidarne
l'operato  deve  emettere  provvedimento   motivato,   cio'   implica
necessariamente che la p.g. debba dare atto degli specifici  elementi
valutati e che l'hanno indotta  a  ravvisare  un  fondato  motivo  di
ritenere  che  possano  essere  rinvenute  sostanze  stupefacenti   o
psicotrope»;  qualsiasi  diversa  interpretazione  che   legittimasse
l'operato della p.g. sulla base di elementi da essa indicati  in  via
del tutto  generica  ed  astratta,  si'  da  impedirne  una  concreta
valutazione, sarebbe necessariamente da ritenersi incostituzionale. 
    Cio' detto, in  forza  di  quanto  previsto  dall'art.  13  della
Costituzione,  cio'  dovrebbe  condurre  all'inutilizzabilita'  della
perquisizione  e  del  sequestro,  in  quanto,   essendo   stata   la
perquisizione  e  l'ispezione  eseguite  fuori  dei   casi   e   modi
tassativamente  previsti  dalla   legge   e   non   convalidate   con
provvedimento motivato dell'A.G., detti atti «si intendono revocati e
restano privi di ogni efficacia»: con linguaggio la cui chiarezza non
e'   stata   finora   adeguatamente   apprezzata,   il    Legislatore
costituzionale  aveva  cioe'  chiaramente  introdotto   la   sanzione
dell'inutilizzabilita'   degli   esiti    degli    atti    di    p.g.
illegittimamente invadenti la sfera della liberta' personale. 
    Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata  non  solo  alla  illegittima
esecuzione di  atti  di  arresto  o  di  fermo,  ma  genericamente  e
complessivamente  al  caso  dell'adozione  dei   «provvedimenti»   di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori  dei  casi  previsti
dalla legge; e -  a  meno  di  voler  affermare  che  il  Legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e  scarsa  padronanza
la lingua italiana i  provvedimenti  in  questione  non  possono  non
essere che tutti quelli contemplati  dalla  norma  stessa,  e  quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13  della
Costituzione tutti ricomprende nell'ambito degli atti che limitano la
liberta' personale. Non appare quindi corretta l'interpretazione  che
voglia  limitare  la  previsione  costituzionale  della  «perdita  di
efficacia»  ai  soli   provvedimenti   soppressivi   della   liberta'
personale, quali l'arresto ed il fermo, atteso che  l'art.  13  della
Costituzione utilizza una formula omnicomprensiva  (i  «provvedimenti
provvisori» adottabili dalla p.g.) che a  tutti  i  provvedimenti  da
detta norma contemplati  risulta  riferirsi,  come  evincibile  anche
dalla  disciplina  adottata  dall'art.  14  della  Costituzione,  che
espressamente li richiama «nominatim»  («ispezioni,  perquisizioni  o
sequestri») prevendone l'adottabilita' da parte della  p.g.  «secondo
le garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale». 
    Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e  di  cui  la  norma  costituzionale  si  e'  preoccupata  di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto  ad  atti  di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti  e  terminati
nella loro esecuzione  (come  e'  necessariamente,  dato  che  ne  e'
prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione),
e' solo  quella  che  attiene  alla  loro  capacita'  probatoria;  la
sanzione di perdita dell'efficacia  equivale  quindi  a  quella,  nel
linguaggio del codice di procedura  repubblicano,  quarant'anni  dopo
l'approvazione della Costituzione, dell'inutilizzabilita'  introdotta
dall'art. 191 del codice di procedura penale per le prove assunte  in
violazione di un divieto di legge. 
    E' bene precisare che l'art. 13 della Costituzione riconnette  la
conseguenza delle perdita di efficacia degli atti  di  polizia,  alla
circostanza che essi non vengano convalidati dall'A.G. in un  termine
dato; ma la  ratio  della  norma  costituzionale  sarebbe  senz'altro
frustrata se la  convalida  si  risolvesse  in  una  pura  forma  non
esprimente un effettivo controllo circa  la  legalita'  dell'atto  di
p.g.; di qui la prescrizione (a parere di questo  Giudice  evincibile
dal comma  2  dell'art.  13  della  Costituzione,  come  si  e'  gia'
osservato) che l'atto di convalida debba essere motivato, poiche'  e'
solo con un atto avente tali  caratteristiche  che  l'art.  13  della
Costituzione consente che l'A.G. incida sulla liberta'  personale:  e
non  avrebbe  senso  prevedere  la  necessita'   dell'atto   motivato
allorche' l'A.G., titolare in via ordinaria di tale  potere,  proceda
di sua iniziativa, e non gia' allorche' debba verificare che la  p.g.
non abbia esorbitato dai (od addirittura abusato dei) casi del  tutto
eccezionali in cui la legge le concede di intervenire in  materia  di
liberta' personale. 
    E' quindi ovvio che, nel sistema  delineato  dall'art.  13  della
Costituzione,  la  convalida  operi  in  quanto  espressione  di   un
effettivo potere di verifica in ordine alla concreta  ricorrenza  dei
presupposti legali di esecuzione della perquisizione  personale  (non
e' un caso, ad es., che lo stesso art.  103  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309/90  prevede,  come  peraltro  e'  ovvio,  che
l'A.G.  convalidera'   la   perquisizione   «ove   ne   ricorrano   i
presupposti»),  e  non  sia  sufficiente  un  mero  provvedimento  di
convalida  assolutamente  immotivato  e  non  riconducibile  ad   una
situazione di concreta ravvisabilita' della  situazione  legittimante
la perquisizione personale: situazione che, nel vigente  sistema,  e'
data fondamentalmente dalla ricorrenza della flagranza  del  reato  o
dalla ricorrenza di fondate ragioni che inducano a ritenere  che  sia
in corso l'esecuzione di un delitto in materia di stupefacenti o armi
(con  riferimento  alle  due  norme  gli  articoli  103  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90 e 41 TULPS  -  legittimanti  la
perquisizione fuori dei casi  di  flagranza,  di  maggiore  rilevanza
statistica). 
    Peraltro, non solo le norme nazionali, costituzionali e di  legge
ordinaria,  impongono  che   la   polizia   giudiziaria   proceda   a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla  legge,  e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' giudiziaria. 
    Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e condivisibile da parte dell'A.G., circa la  ricorrenza  di  ragioni
adeguatamente   giustificatrici   dell'esercizio   del   potere    di
perquisizione, va anche richiamata, per l'assoluta  importanza  della
fonte, che assegna alla decisione rilievo costituzionale ex art.  117
della Costituzione, la sentenza 16 marzo 2017,  Modestou  c.  Grecia,
con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in poi per
brevita' CEDU) ha ritenuto essersi verificata violazione dell'art.  8
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, in un caso in  cui  era  stata  eseguita
perquisizione presso  il  domicilio  personale  e  professionale  del
ricorrente senza alcun controllo  giurisdizionale  ex  ante  e  sulla
scorta di  un  mandato  di  perquisizione  generico;  ne'  era  stato
previsto un immediato controllo giurisdizionale ex post,  considerato
che la Corte d'appello,  adita  dal  ricorrente,  aveva  respinto  la
doglianza non  solo  piu'  di  due  anni  dopo  la  perquisizione  in
questione,  ma  nemmeno  indicando  neppure  i  motivi  «rilevanti  e
sufficienti» giustificativi della perquisizione: sentenza dalla quale
si trae quindi conferma che l'A.G. debba  operare  una  illustrazione
motivata (e condivisibile) delle ragioni della perquisizione, al fine
di rendere verificabile la legittimita' dell'esercizio  del  relativo
potere; statuizione che, se vale  per  le  perquisizioni  autorizzate
dall'A.G.,  deve  a  maggior  ragione  valere  per   quelle   operate
direttamente dalla P.G. e successivamente convalidate dalla A.G.. 
    Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato  che
l'art. 13 della Costituzione  ricollega  la  salvezza  degli  effetti
dell'operato della p.g., ne consegue che, sebbene le  nullita'  degli
atti per difetto di  motivazione  siano  generalmente  rilevabili  ad
eccezione di parte, in questo caso  debba  invece  ritenersi  che  la
ricorrenza di un atto di convalida adeguatamente motivato, nella  sua
funzione costituzionale di salvezza degli effetti dell'atto di  p.g.,
sia un elemento della fattispecie «sanante» la cui  ricorrenza  debba
essere verificata d'ufficio; cosi' come  dovra'  verificarsi  che,  a
prescindere da quanto eventualmente affermato  col  provvedimento  di
convalida (si pensi ad es. al caso di una motivazione non aderente ai
dati  fattuali  emergenti  dagli  atti;  o  che  da   questi   tragga
conclusioni assolutamente illogiche o non giustificate), ricorressero
effettivamente i presupposti  perche'  la  p.g.  esercitasse  i  suoi
poteri previsti in via del tutto  eccezionale  (sul  punto,  relativo
alla portata dell'art. 191 del codice di procedura penale,  si  dira'
meglio oltre). 
    Tanto  premesso,  va  peraltro  preso   atto   che   tali   esiti
epistemologici  sono  estranei  alla  interpretazione  accolta  dalla
giurisprudenza   assolutamente   dominante   che,    a    far    data
dall'insegnamento  espresso  dalle  Sezioni  unite  della  Corte   di
cassazione con la sent. 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto la  piena
utilizzabilita'  probatoria  degli  esiti   delle   perquisizioni   e
sequestri eseguiti dalla p.g. al di fuori  dei  casi  previsti  dalla
legge. 
    In realta', con la suddetta  sentenza,  le  Sezioni  unite  della
Suprema Corte di cassazione hanno in primo luogo affermato  a  chiare
lettere che la conseguenza di un'attivita' di  illecita  acquisizione
della prova, nello specifico una perquisizione illegittima, non  puo'
limitarsi a mere sanzioni amministrative, disciplinari o  penali  nei
confronti   dell'autore    dell'illecito,    ma    deve    comportare
l'inutilizzabilita'  della  prova  stessa,  statuendo  che:  «non  e'
certamente difficile riconoscere che  allorquando  una  perquisizione
sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non  nei
«casi» e  nei  «modi»  stabiliti  dalla  legge,  cosi  come  disposto
dall'art. 13 della Costituzione, si e' in presenza  di  un  mezzo  di
ricerca della prova che non e' piu' compatibile  con  la  tutela  del
diritto di  liberta'  del  cittadino,  estrinsecabile  attraverso  il
riconoscimento dell'inviolabilita'  del  domicilio.  L'illegittimita'
della ricerca di una prova,  pur  quando  non  assuma  le  dimensioni
dell'illiceita' penale (cfr. art. 609 c.p.), non puo' esaurirsi nella
mera  ricognizione  positiva  dell'avvenuta   lesione   del   diritto
soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni
amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati  gli
autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto  di  investigazione
diretta, e' il  mezzo  piu'  idoneo  per  la  ricerca  di  una  prova
preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso  procedimento
acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone
tra la ricerca e la scoperta di cio' che  puo'  essere  necessario  o
utile ai fini della indagine: nessuna prova, diversa  da  quelle  che
possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere
acquisita al processo se una sua ricerca non  sia  stata  compiuta  e
questa non abbia avuto esito positivo. 
    Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca  di  una
prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per
se'  stessa  sottratta  alla   materiale   possibilita'   di   essere
suscettibile di una diretta utilizzazione  nel  processo  penale,  e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che  avvince  la  ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. 
    Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non  e'
esauribile  nell'area  riduttiva  di   una   mero   consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in  numerose  pronunce  di  questa
Corte prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  codice  di  procedura
penale, e com'e' stato, anche in  epoca  successiva,  qualche  volta,
ribadito (cfr. Sez. I -17 febbraio 1976 ric.;  Sez.  VI-  23  gennaio
1973 ric.; Sez. V- 24 novembre 1977 ric.; Sez. I- 15 marzo 1984 ric.;
Sez. VI- 24 aprile 1991 ric.; Sez. V- 12 gennaio 1994 ric. etc.);  la
perquisizione  non  e'   soltanto   l'antecedente   cronologico   del
sequestro, ma rappresenta lo strumento giuridico che rende  possibile
il ricorso al sequestro.» 
    Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero  che  esista
una distinzione concettuale tra la perquisizione,  qual  e  mezzo  di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di  acquisizione
della  prova,  cio'  non  ha   alcuna   rilevanza   ai   fini   della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che: 
        «la  stessa  utilizzabilita'  della  prova  e'   pur   sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento  acquisitivo
che si sottragga, in ogni  sua  fase,  a  quei  vizi  che,  incidendo
negativamente sull'esercizio di  diritti  soggettivi  irrinunciabili,
non  possono  non  diffondere  i  loro  effetti  sul  risultato  che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito.  Del  resto,  non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso  ordinamento  processuale  ad
aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra  perquisizione
e  sequestro:  l'art.  252  codice  di  procedura  penale  impone  il
sequestro delle «cose rinvenute  a  seguito  della  perquisizione»  e
l'art. 103 comma  VII  dello  stesso  codice  espressamente  sancisce
l'inutilizzabilita' dei  risultati  delle  perquisizioni  allorquando
queste sono state eseguite in violazione delle  particolari  garanzie
di cui debbono fruire i difensori per poter  esercitare  congruamente
il diritto di difesa. E non si vede  perche'  a  diverse  ed  opposte
conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una  perquisizione  sia  stata
comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative
che assicurano,  in  concreto,  l'attuazione  di  quella  ineludibile
garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta
dall'art. 13 comma 2° della Costituzione: si tratta pur sempre di  un
procedimento acquisitivo della prova che reca l'impronta  ineludibile
della subita lesione ad un diritto soggettivo, diritto  che,  per  la
sua rilevanza costituzionale, reclama e giustifica la  piu'  radicale
sanzione  di  cui  l'ordinamento   processuale   dispone,   e   cioe'
l'inutilizzabilita' della prova cosi'  acquisita  in  ogni  fase  del
procedimento.» 
    Il prosieguo della statuizione della Suprema Corte  si  risolveva
peraltro nella vanificazione della portata pratica di  tali  principi
appena  enunciati;  continuava  infatti  detta  sentenza   affermando
comunque valido il sequestro, perche' atto dovuto,  allorche'  avesse
ad oggetto il corpo del reato o cose pertinenti al reato;  di  fatto,
l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini  probatori,
sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi
comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo  ne'  al  corpo
del reato, ne' a cose  pertinenti  al  reato;  affermava  infatti  la
Suprema Corte a SS.UU.: 
        «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca  della
prova  del  commesso  reato,   allorquando   assume   le   dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a  tutela  dei
diritti  soggettivi  oggetto  di  specifica  tutela  da  parte  della
Costituzione, non puo', in linea  generale,  non  diffondere  i  suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire,  e'  altrettanto  vero  che  allorquando  quella  ricerca,
comunque effettuata, si  sia  conclusa  con  il  rinvenimento  ed  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale a  quel  sequestro  si  sia  pervenuti:  in  questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto  di  una  situazione  non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un «atto dovuto»,  la
cui omissione esporrebbe  gli  autori  a  specifiche  responsabilita'
penali,  quali  che  siano   state,   in   concreto,   le   modalita'
propedeutiche e funzionali  che  hanno  consentito  l'esito  positivo
della ricerca compiuta. 
    Con cio' non si  intende  affatto  affermare  che  l'oggetto  del
sequestro, a causa della sua intrinseca  illiceita',  ovvero  per  il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in  relazione  al  reato
commesso,  possa,  per  cio'  solo,  dissolvere  quella   connessione
funzionale   che   lega   la   perquisizione   alla    scoperta    ed
all'acquisizione di  cio'  che  si  cercava,  ma  si  vuole  soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste  dall'art.
253 comma 1° del codice di procedura penale, gli aspetti  strumentali
della ricerca, pur rimanendo partecipi del  procedimento  acquisitivo
della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un  obbligo
giuridico che trova la  sua  fonte  di  legittimazione  nello  stesso
ordinamento  processuale  ed  ha  una  sua  razionale  ed   appagante
giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia  giudiziaria
non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente  legati
al suo «status», qualunque sia la situazione - legittima o  no  -  in
cui egli si trovi ad operare». 
    Concludevano quindi le SS.UU. osservando che gli agenti  di  p.g.
avrebbero poi potuto testimoniare sugli  esiti  della  perquisizione,
ferma restano l'inutilizzabilita' di essa in quanti  tale  (e  cioe',
par di capire, del verbale che ne documenta modalita', tempo,  luoghi
e risultato). 
    Da tale arresto delle Sezioni unite ha tratto origine e  sviluppo
una giurisprudenza che, del tutto dimentica dell'insegnamento  ed  ai
principi affermati  dalle  stesse  SS.UU.  nella  prima  parte  della
propria statuizione  (e  che  probabilmente  avrebbero  meritato  una
riflessione e sviluppo ulteriori),  si  ancoravano  alle  statuizioni
circa  la  legittimita'  ed  utilizzabilita'  a  fini  probatori  del
sequestro. 
    Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' di
e'  monoliticamente   assestata   su   tali   esiti   interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro  conseguente
ad una perquisizione illegittima,  e  la  sua  piena  utilizzabilita'
probatoria; si citano, ad es., ed in assenza di  pronunzie  di  segno
contrario, che lo scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: 
    Sez. 3, ordinanza n. 3879 del 14 novembre 1997; Sez. 1,  sentenza
n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, sentenza n. 6712 del 7  dicembre
1998, Sez. 3, sentenza n. 1228 del 17 marzo 2000, Sez. 4, sentenza n.
8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, sentenza n. 3048 del 3  luglio  2000,
Sez. 2, sentenza n. 12393 del 10 agosto 2000,  Sez.  1,  sentenza  n.
45487 del 28 settembre 2001, Sez. 1, sentenza n. 41449 del 2  ottobre
2001, Sez. 1, sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez.  5,  sentenza
n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, sentenza n. 26685 del 14 maggio
2003, Sez. 2, sentenza n. 26683 del 14 maggio 2003, Sez. 1,  sentenza
n. 18438 del 28 aprile 2006, Sez. 2, sentenza n. 40833 del 10 ottobre
2007, Sez. 6, sentenza n. 37800 del 23 giugno 2010, Sez. 1,  sentenza
n. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, sentenza n. 31225 del 25 giugno
2014, Sez. 3, sentenza  n.  19365  del  17  febbraio  2016,  Sez.  2,
sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016. 
    Questo  giudicante  dubita  che  le  norme  vigenti,   per   come
interpretate dalla giurisprudenza assolutamente prevalente (e tale da
dar luogo ad un vero e proprio diritto vivente), siano rispettose del
dettato costituzionale, ed in particolare degli articoli 3, 13, 14  e
117  (con  riferimento  all'art.  8  della  Convenzione  EDU)   della
Costituzione, nella parte  in  cui  le  norme  di  diritto  ordinario
consentono  l'utilizzabilita'  processuale  -  mediante   deposizione
testimoniale  o  lettura  del  verbale  di  quanto  risultante  dalla
perquisizione e dal sequestro - della valenza probatoria degli  esiti
di  una  perquisizione  o  ispezione  e   di   quanto   eventualmente
sequestrato in occasione dell'esecuzione di tali atti, allorche' essi
si  ano  eseguiti  dalla  p.g.  fuori  dei  casi  in  cui  la   legge
costituzionale e quel  la  ordinaria  le  attribuiscono  il  relativo
potere. 
    L'interpretazione   maggioritaria   circa   l'irrilevanza   della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti  si  risolverebbe  quindi,  del  tutto  paradossalmente,  nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali, ma efficacissimi gli atti di p.g. compiuti
in violazione dei diritti costituzionali del cittadino. 
    Tale giurisprudenza, invero: 
        a) sembra operare una con fusione di piani tra  il  sequestro
inutilizzabile ed il sequestro inutile probatoriamente, posto che, di
fatto,  e  data  l'estensione  concettuale  della  nozione  di   cose
pertinenti al reato, finisce con escludere la validita' - in caso  di
perquisizione illegittima - solo del sequestro  inutile:  il  che  e'
assolutamente inconferente rispetto alle  tematiche  e  problematiche
poste dall'art. 191 del codice di procedura penale; 
        b) non considera che il sequestro non e'  una  prova,  ma  il
mezzo che serve ad assicurare al processo  la  res  che  puo'  essere
fonte di prova; 
        c) non considera che la valenza probatoria di una determinata
res e' generalmente data non dalla sola cosa in se'  (la  quale  puo'
generalmente provare la sussistenza del fatto ma non  necessariamente
chi lo abbia commesso, se  non  nel  caso  in  cui  sulla  res  siano
rinvenibili tracce biologiche, papillari o di  altro  genere  che  ne
permettano la riconducibilita' ad un determinato soggetto), ma  anche
dalle circostanze del suo rinvenimento, specie  allorche'  si  tratti
appunto del corpo del reato, essendo il suo possesso  (svelato  dalla
perquisizione) ad essere  indizio  grave  di  commissione  del  reato
stesso; 
        d) non osserva che, pertanto, cio' che sommamente rileva  non
e'  tanto  la  legittimita'  del  sequestro,  quanto   quella   della
perquisizione tramite la quale  si  e'  rinvenuta  la  res  (con  suo
successivo  sequestro),  atteso   che   e'   la   perquisizione   che
generalmente  comprova  quella  relazione  personale  tra   la   cosa
indiziante di delitto e l'autore dello stesso; 
        e) non avverte che la ratio della norma di cui  all'art.  191
del codice di procedura penale, che prevede l'inutilizzabilita' delle
prove acquisite in violazione di un divieto di  legge,  e  quella  di
offrire un valido presidio ai diritti  costituzionalmente  garantiti,
disincentivandone le violazioni  finalizzate  all'acquisizione  della
prova, rendendone inutilizzabili gli esiti probatori (si veda ad  es.
la   disciplina   della   inutilizzabilita'   delle   intercettazioni
illegittime ex art. 271 del codice  di  procedura  penale;  si  pensi
all'inutilizzabilita' ex art. 188 del codice di procedura  penale  di
una confessione assunta sotto tortura o sotto l'effetto di metodi che
possano influire sulle capacita' di autodeterminazione della  persona
dichiarante; si considerino  le  conseguenze  di  un'acquisizione  di
tabulati del traffico telefonico eseguita dalla p.g.  in  assenza  di
provvedimento motivato dell'A.G.); 
        f) non assegna  adeguato  valore  alla  circostanza  che  una
perquisizione domiciliare o personale, eseguita da chi non ne  ha  il
potere, e' un  caso  tipico  di  prova  vietata  dalla  legge  ed  in
violazione di diritti costituzionali della persona (cfr. articoli  13
e 14  della  Costituzione;  art.  8  CEDU),  e  la  conseguenza  deve
necessariamente essere la inutilizzabilita' dei suoi risultati  (come
previsto dall'art. 13 comma 3 della  Costituzione),  conformemente  a
quella che e' la ratio dell'art. 191 del codice di  procedura  penale
che, inibendo  l'utilizzabilita'  degli  esiti  delle  prove  vietate
perche' assunte in  violazione  di  diritti  costituzionali,  intende
appunto scoraggiare la violazione di quei diritti costituzionali; 
        g) non considera che ritenere altrimenti, lasciando aperta la
possibilita' di una sorta di «sanatoria» ex post, legata  agli  esiti
della perquisizione, equivale a negare la tutela  del  cittadino  dai
possibili abusi della p.g.: tutela  assicurata  in  via  generale  ed
astratta dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, ma  che  verrebbe
vanificata dall'incentivazione agli abusi per mancanza di conseguenze
processuali relative alla inutilizzabilita' dei loro risultati; ed  i
drammatici fatti di Genova e di Bolzaneto  appaiono  esserne  storica
conferma e dimostrazione. 
    La scarsa tenuta logica di una simile interpretazione deve invece
condurre a ritenere  che  una  perquisizione  eseguita  in  forza  di
elementi  non  utilizzabili,  e  senza  che   ricorresse   gia'   una
preesistente situazione di flagranza, sia non  solo  illegittima,  ma
anche improduttiva di elementi utilizzabili ai fini  della  prova  in
danno dell'imputato, atteso  che  cio'  non  solo  e'  imposto  dagli
articoli 13 e 14 della Costituzione, ma anche da  una  piana  lettura
dell'art. 191 del codice di procedura penale. 
    Nei casi considerati ricorrerebbero infatti, a parere  di  questo
giudice, i presupposti  di  applicabilita'  della  conseguenza  della
inutilizzabilita' processuale ai sensi dell'art. 191  del  codice  di
procedura penale, in base ad una piana lettura della  norma  ed  alla
ratio della stessa, come colta al punto f) che precede;  ed  infatti,
appare evidente  che  la  p.g.,  allorche'  proceda  ad  un  atto  di
perquisizione fuori dei casi a lei consentiti, compia un atto che  le
e' vietato - e non semplicemente un atto irrituale o nullo, come pure
talora si e' sostenuto in talune pronunzie della Corte di  cassazione
- atteso  che  sia  la  legge  ordinaria  che  quella  costituzionale
prevedono (oltre alla riserva di legge dettata dagli articoli 13 e 14
della  Costituzione)  una  riserva  del   potere   di   perquisizione
all'Autorita'  giudiziaria,  nella  delineazione  di  una  serie   di
garanzie a tutela della effettivita' dello Stato di diritto (e  delle
liberta' individuali che questo deve garantire), in cui i poteri  del
la polizia e degli organi amministrativi sono sottoposti al principio
di  legalita',  prevedendosi  addirittura  una  riserva   di   potere
dell'Autorita' giudiziaria, nei casi che coinvolgono  l'esercizio  di
diritti costituzionali fondamentali dei privati  (quali  la  liberta'
personale e  quella  domiciliare,  che  ex  art.  14  comma  2  della
Costituzione  e'  «aggredibile»  solo  «negli  stessi  casi  e   modi
stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte  per  la  tutela
della liberta' personale»). 
    L'interpretazione dominante che comunque consente di «recuperare»
ed utilizzare gli  esiti  delle  perquisizioni  illegittime,  negando
l'applicabilita' dell'art. 191 del  codice  di  procedura  penale  al
sequestro del corpo del reato o di cosa pertinente al  reato,  appare
pertanto negare concreta attuazione a quanto previsto dagli  articoli
13 e 14 della Costituzione in ordine alla perdita di efficacia  della
perquisizione e delle ispezioni e dei sequestri ad esse  conseguenti,
allorche' eseguiti in violazione dei divieti; l'art. 191  del  codice
di procedura penale,  come  esistente  nel  diritto  vivente,  appare
quindi  in  contrasto  con  i  predetti  articoli  13  e   14   della
Costituzione. 
    Non e' peraltro fuori luogo osservare,  come  peraltro  da  tempo
rilevato non solo dalla dottrina, ma anche dalla Suprema  Corte,  che
la  ragione  d'essere  della   disciplina   delle   inutilizzabilita'
stabilita dall'art. 191 del codice di procedura penale non  e'  tanto
di ordine etico (e cioe', il rifiuto del legislatore  di  riconoscere
valore probatorio  ad  atti  illeciti),  quanto  di  ordine  politico
costituzionale, essendosi rilevato che  l'effettivita'  della  tutela
dei valori costituzionali che piu' facilmente vengono lesi in caso di
assunzione di prova in violazione di un divieto,  riposa  nel  negare
ogni utilizzabilita' a quanto  cosi'  venga  acquisito:  atteso  che,
grazie  a  tale  divieto  di  utilizzabilita',  si  scoraggeranno   e
disincentiveranno quelle pratiche di  acquisizione  della  prova  con
modalita' illegali (e talora francamente  illecite),  che  violano  i
diritti costituzionali a cui presidio sono appunto  posti  i  divieti
rinvenibili nel codice di rito e nelle norme speciali. 
    La giurisprudenza formatasi sulla scorta della  citata  Corte  di
cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto, anche una  violazione
del   l'art.   3   della   Costituzione,   in   quanto   del    tutto
irragionevolmente ed a fronte di una palese identita' di ratio,  nega
la conseguenza dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 del  codice
di procedura penale a casi del tutto  sovrapponibili  ad  altri  (per
certi  versi  addirittura  meno  gravi)  per   i   quali   la   legge
espressamente la prevede:  basti  pensare,  ad  es.,  non  solo  alle
ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla p.g. e  quindi
in  assenza  di  decreto  motivato  dell'A.G.  (caso  sanzionato   di
inutilizzabilita' dall'art.  271  del  codice  di  procedura  penale,
avente la medesima  ratio  dell'art.  191  del  codice  di  procedura
penale), ma anche al caso dell'acquisizione dei tabulati del traffico
telefonico  eseguito  senza  provvedimento  motivato   del   pubblico
ministero, ipotesi che  le  stesse  SS.UU.  della  Suprema  Corte  di
cassazione   hanno   ritenuto   dar   luogo    ad    un'ipotesi    di
inutilizzabilita' della prova perche' acquista in  violazione  di  un
divieto di legge (cfr. Sez. U, sentenza n. 21 del 13 luglio 1998). 
    L'interpretazione stabilizzatasi  dell'art.  191  del  codice  di
procedura  penale,  in  tema  di  conseguenza  di  una  perquisizione
illegittima e di legittimita', per contro, del conseguente sequestro,
si risolve quindi nell'operare anche una ingiustificata disparita' di
trattamento tra  indagati  in  situazioni  del  tutto  analoghe,  con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    L'interpretazione consolidatasi si pone infine in  contrasto  con
l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in
contrasto con l'art. 117 della Costituzione  che  impone  allo  Stato
italiano il rispetto delle Convenzioni internazionali, in  quanto  si
risolve nel non adottare efficaci disencentivi agli abusi delle forze
di polizia, e  di  qualsiasi  organo  dello  Stato  in  genere,  che,
limitando  la  liberta'  della  persona,  si  risolvano  in  indebite
interferenze  nella  sua  vita  privata  o  nel  suo  domicilio,  non
giustificate da oggettive esigenze di prevenzione o  repressione  dei
reati. 
    A parere di  questo  giudicante,  la  conseguenza  della  dedotta
incostituzionalita' e' anche il divieto  di  testimonianza,  per  gli
operatori  di  p.g.,  in  ordine  al  risultato  delle  attivita'  di
ispezione, perquisizione e  sequestro  indebitamente  eseguite;  tale
divieto, invero, appare conseguire alla perdita di ogni efficacia  di
tali attivita'; ammettere tali deposizioni, peraltro, equivarrebbe  a
vanificare  tale  divieto  e  la  ratio  sottostante  ai  divieti  di
utilizzabilita' di cui all'art. 191 del codice di procedura penale. 
    Ne consegue che la questione e' rilevante nel  presente  giudizio
abbreviato anche laddove si volesse ipotizzare l'assoluta  necessita'
ex art. 441 comma 5 del  codice  di  procedura  penale  di  procedere
all'ascolto dei verbalizzanti in  ordine  a  quanto  rinvenuto  sulla
persona e nel bagaglio dell'imputato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1 legge costituzionale n.  1/48,  e  23  della
legge n. 87/53; 
    Dichiara d'ufficio rilevante e non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 191  del  codice
di procedura penale per contrasto con gli articoli 3, 13,  14  e  117
della Costituzione (quanto a quest'ultima norma, con  riferimento  ai
principi di cui all'art. 8  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo),  nella  parte  in  cui  non  prevede  che   la   sanzione
dell'inutilizzabilita' ai fini della prova riguardi anche  gli  esiti
probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose
pertinenti  al  reato,  degli  atti  di  perquisizione  ed  ispezione
compiuti dalla p.g. fuori  dei  casi  tassativamente  previsti  dalla
legge  o  comunque  non  convalidati  dall'A.G.   con   provvedimento
motivato, nonche'  la  deposizione  testimoniale  in  ordine  a  tali
attivita'; 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza,  al  difensore
dell'imputato, all'imputato, al pubblico ministero, ed al  Presidente
del Consiglio dei ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti  dei
due rami del Parlamento; 
    Dispone la successiva trasmissione  della  presente  ordinanza  e
degli atti del procedimento, unitamente  alla  prova  dell'esecuzione
delle notificazioni e delle comunicazioni previste dalla legge,  alla
Corte  costituzionale   per   la   decisione   della   questione   di
costituzionalita' cosi' sollevata; 
    Sospende  il  procedimento  sino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale. 
 
        Lecce, 3 ottobre 2017 
 
                         Il Giudice: Sernia