N. 32 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2017

Ordinanza del 22 novembre 2017 del Tribunale di Ravenna  sul  ricorso
proposto da G. Z. G. e G. G. contro Sindaco del  Comune  di  Lugo  e 
Sindaco del Comune di Ravenna.. 
 
Stato civile - Unione civile - Cognome comune  -  Intestazione  della
  scheda  anagrafica   individuale   al   cognome   posseduto   prima
  dell'unione civile - Correzione dell'atto di nascita e della scheda
  anagrafica mediante  annullamento  dell'annotazione  relativa  alla
  scelta del cognome, effettuata a norma dell'art. 4,  comma  2,  del
  decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23  luglio  2016,
  n. 144. 
- Decreto legislativo  19  gennaio  2017,  n.  5  (Adeguamento  delle
  disposizioni dell'ordinamento dello  stato  civile  in  materia  di
  iscrizioni, trascrizioni e annotazioni,  nonche'  modificazioni  ed
  integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili,
  ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20
  maggio 2016, n. 76), art. 8, in combinato disposto  con  l'art.  3,
  comma 1, lett. c), n. 2, del medesimo decreto legislativo. 
(GU n.8 del 21-2-2018 )
 
                        TRIBUNALE DI RAVENNA 
              Sezione civile - volontaria giurisdizione 
 
    Il Tribunale, in composizione collegiale, riunito  in  Camera  di
consiglio, nelle persone dei seguenti magistrati: 
        dott. Roberto Sereni Lucarelli, Presidente; 
        dott. Antonella Allegra, giudice estensore; 
        dott. Alessandra Medi, giudice; 
    Nel procedimento n. r.g.v. 812/2017 promossa da G. Z. G. e G.  G.
nei confronti del sindaco del Comune di Lugo e del sindaco del Comune
di Ravenna e con l'intervento del pubblico ministero. 
    Letto il  ricorso  ex  art.  98,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 396/2000 proposto da G. Z. G.  e  G.  G.  nel  quale  i
ricorrenti deducono: 
        di essersi uniti civilmente in data 24 giugno 2016 presso  il
Comune di Lugo all'indomani dell'entrata in  vigore  della  legge  20
maggio 2016, n. 76, pubblicata in Gazzetta Ufficiale  n.  118  il  21
maggio 2016, ancor prima  della  promulgazione  del  «decreto  ponte»
(D.P.C.M. 144/2016); 
        di aver scelto, in forza dell'art. 1, comma 10 della suddetta
legge, il giorno stesso della celebrazione dell'unione, quale cognome
comune  identificativo  del  vincolo,  quello  di  G.  G.,   con   la
precisazione  che  G.  Z.  non  ha  rinunciato  al  proprio   cognome
d'origine, ma ha dichiarato di voler aggiungere  il  cognome  comune,
anteponendo il proprio cognome Z. a quello comune, e assumendo  cosi'
l'identita' di G. Z. G. e che in seguito a  tale  scelta  sono  state
apportate modifiche della  sua  scheda  anagrafica,  con  conseguente
rinnovazione della carta d'identita', della tessa sanitaria e di ogni
altro documento in cui egli  apparisse  indicato  con  il  precedente
cognome; 
        che  l'art.  3,  comma  1,  lettera  c),  n.  2  del  decreto
legislativo  n.  5/2017  avente  ad   oggetto   l'adeguamento   delle
disposizioni  dello  stato   civile   in   materia   di   iscrizioni,
trascrizioni ed annotazioni, nonche'  modificazioni  ed  integrazioni
normative  per  la  regolamentazione  delle  unioni  civili  (emanato
insieme ad altri, in attuazione della delega  espressa  dall'art.  1,
comma 28, della legge 76/2016), pubblicato in Gazzetta  Ufficiale  in
data 27 gennaio 2017 ha introdotto il comma 3-bis  dell'art.  20  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 disciplinante  il
contenuto e la gestione  delle  schede  anagrafiche  individuali,  ai
sensi del quale «per le parti dell'unione  civile  le  schede  devono
essere intestate  al  cognome  posseduto  prima  dell'unione  civile»
mentre il successivo art.  8  del  medesimo  decreto  legislativo  n.
5/2017 ha disposto che «entro trenta giorni dalla data di entrata  in
vigore del presente  decreto  (e  cioe'  entro  il  13  marzo  2017),
l'ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione di cui
all'art. 98, comma 1 del decreto del Presidente  della  Repubblica  3
novembre 2000, n. 396, annulla l'annotazione relativa alla scelta del
cognome effettuata a norma dell'art. 4,  comma  2,  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144»; 
        che in seguito, in data 8  marzo  2017,  i  ricorrenti  hanno
ricevuto la comunicazione di un  provvedimento  di  variazione  delle
generalita'  nelle  registrazioni  anagrafiche  reso   dall'Ufficiale
d'anagrafe del  Comune  di  Lugo  consistente  nella  «correzione»  -
avvenuta in data 2 marzo 2017 - dell'atto della loro  unione  civile,
iscritto appunto nei registri di stato civile  del  Comune  di  Lugo,
mediante l'annullamento dell'annotazione  relativa  alla  scelta  del
cognome effettuata a norma dell'art.  4,  comma  2  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144, nonche'
di un'annotazione - pure in data 2 marzo 2017 - nell'atto di  nascita
di G. G. Z., conservato presso i  registri  dello  stato  civile  del
Comune di Ravenna, e'  stato  ripristinato  il  cognome  «Z.»,  e  la
conseguente   rettifica   delle    generalita'    risultanti    nelle
registrazioni anagrafiche da «Z. G. G.» a «Z. G.»; 
        che  tale  disposizione  e'  censurabile   sotto   molteplici
profili, perche'  si  traduce  in  una  sostanziale  abrogazione  del
disposto dell'art.  1,  comma  10,  della  legge  76/2016,  negandone
l'originario contenuto precettivo, che aveva voluto  attribuire  alle
parti dell'unione civile il diritto ad assumere un cognome  comune  a
tutti gli effetti, tanto da  consentire  alla  parte  dell'unione  di
rinunciare al cognome originario (come pure esplicitato dall'art.  4,
comma II, del decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  n.
144/2016, cosiddetto decreto ponte); 
        che  cio'  da  un  lato  costituisce  violazione  di  diritti
fondamentali  della  persona  umana,  tutelati  non  solo  a  livello
costituzionale, ma anche a livello sovranazionale (in particolare gli
articoli 1 e  7  della  Carta  dei  dritti  fondamentali  dell'Unione
europea, oltre che dell'art. 8 della Convenzione europea dei  diritti
umani), al punto da consentirne  la  disapplicazione,  in  forza  del
primato del diritto dell'Unione, e dall'altro configura un  vizio  di
eccesso di delega,  comportando  la  violazione  dell'art.  76  della
Costituzione, poiche' la delega contenuta al comma 28 della legge  n.
76/2016 e'  conferita  «fatte  salve  le  disposizioni  di  cui  alla
presente legge»; 
        che il Tribunale dovrebbe quindi  procedere  all'annullamento
di tutte le correzioni, annotazioni e variazioni eseguite in  data  2
marzo 2017 nei registri dello stato civile  relativi  alla  posizione
anagrafica di G. Z. G., con conseguente ripristino  delle  risultanze
anagrafiche in capo al predetto in data precedente al 2 marzo 2017; 
        preso atto del fatto che  il  ricorso  e'  stato  ritualmente
notificato ai Comuni di Lugo  e  di  Ravenna  (rispettivamente  luogo
della celebrazione dell'unione civile e di nascita di  G.  Z.  G.,  i
quali, nel merito si sono limitati ad affermare  di  aver  provveduto
alle  annotazioni  imposte  dalle  disposizioni  contestate,  con  la
precisazione che la procedura di cui  all'art.  98  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  396/2000  non  lascia  margini  di
discrezionalita' all'ufficiale di stato civile, rimettendosi comunque
alle determinazioni del Tribunale e  contestando  preliminarmente  il
Comune di Ravenna la propria legittimazione passiva; 
        lette le conclusioni del pubblico ministero; 
 
                              Premesso 
 
    Che l'eccezione di difetto di  legittimazione  passiva  sollevata
dal Comune di Ravenna non e' meritevole di  accoglimento,  alla  luce
del condivisibile orientamento ormai  consolidato  secondo  il  quale
«Quando il sindaco, nell'adempimento delle sue funzioni, agisce quale
ufficiale  di  Governo,  l'ordinamento  disciplina  un  fenomeno   di
imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto  dell'organo
del  comune,  nel  senso  che  il  sindaco  non  diventa  organo   di
un'Amministrazione dello Stato, ma resta  incardinato  nel  complesso
organizzativo  dell'ente  locale,  senza  che  il  suo   status   sia
modificalo, con  la  conseguenza  che  nel  giudizio  concernente  la
legittimita' del provvedimento da lui adottato egli e' legittimato  a
resistere all'azione annullatoria  e,  conseguentemente,  a  proporre
appello nel caso di soccombenza in primo grado (Consiglio  di  Stato,
sez. V, 17 settembre 2008, n. 4434; v. anche Consiglio di Stato, sez.
VI, 28 giugno 2010, n. 4135)»; 
    Che oltretutto da ultimo, e con specifico riguardo alle  funzioni
conferite al comune quale Ufficiale dello stato civile, il  Consiglio
di Stato (Sez. III, l° dicembre  2016,  n.  5048)  ha  precisato  che
«Oltre ad esservi una obiettiva diversita'  tra  i  poteri  spettanti
agli  organi  dello  Stato  in  materia  di  stato  civile  e  quelli
tipicamente   spettanti   all'Autorita'   che   effettivamente    sia
gerarchicamente superiore ... gli organi comunali -  che  istruiscono
le pratiche e prendono le relative  determinazioni  -  rispondono  in
proprio anche per gli atti emessi nell'esercizio di  poteri  statali.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato non solo che le
notifiche dei ricorsi avverso gli atti emessi dal comune (non importa
se quale Autorita' comunale o in quanto investita di poteri  statali)
debbano aver luogo presso la sede del comune  stesso,  e  non  presso
l'Autorita' statale di riferimento nella sede della Avvocatura  dello
Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 28  aprile  2014,  n.  2221;  Sez.  V  7
settembre 2007, n. 4718; Sez. IV, 13 agosto 2007, n. 4448;  Sez.  IV,
28 marzo 1994, n. 291; Sez. V, 27 ottobre 1986, n. 568), ma anche che
puo' essere ravvisata in tali casi la  responsabilita'  degli  stessi
organi comunali (Cons. Stato, Sez. III,  6  agosto  2014,  n.  4184).
Anche   quando   agisca   come   ufficiale   di   Governo,   infatti,
"l'imputazione giuridica  allo  Stato  degli  effetti  dell'atto  del
sindaco ha natura meramente formale, restando il sindaco  incardinato
nel complesso organizzativo dell'ente locale, senza  alcuna  modifica
del suo status" (Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2015,  n.  2272;  Sez.
IV, 29 aprile 2014, n. 2221; Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1209; Sez.  V,
17 settembre 2008, n. 4434; Sez. IV, 7 settembre 2007, n. 4718;  Sez.
IV, 13 agosto 2007, n. 4448)». 
 
                               Osserva 
 
    Non e' in discussione, nel presente procedimento, il  diritto  in
se' di acquistare, con  l'unione  civile,  un  cognome  comune  e  in
particolare il diritto di G. Z. di acquistare, in seguito  all'unione
civile costituita il 24 giugno 2016, il cognome  comune  G.,  che  ha
infatti acquistato posponendolo al proprio, con dichiarazione resa il
giorno stesso della celebrazione dell'unione (e trasmessa e  annotata
anche dall'ufficiale dello stato civile di  Ravenna,  suo  Comune  di
nascita) acquisendo un'identita' legittimamente riconosciuta in forza
del dettato dell'art. 1, comma 10 della legge  76/2016,  e  riportata
nei nuovi  documenti  d'identita'  e  personali  (carta  d'identita',
passaporto, codice fiscale). 
    Quel  che  rileva  in  questa  sede  e'  invece  il  diritto  del
ricorrente a mantenere  l'identita'  ormai  acquisita  (e  oltretutto
oggetto di significativa divulgazione e notorieta') e la legittimita'
del provvedimento dell'Ufficiale dello stato  civile  del  Comune  di
Ravenna in data 2 marzo  2017  e  del  conseguente  provvedimento  di
variazione emesso dall'ufficiale d'anagrafe del Comune di  Lugo,  con
il quale egli si  duole  di  esser  stato  privato  della  sua  nuova
identita'  personale,  in  forza  dell'applicazione   del   combinato
disposto  dell'art.  3,  comma  I,  lettera  e),  n  2  del   decreto
legislativo n. 5/2017 secondo il  quale  «per  le  parti  dell'unione
civile le schede devono essere intestate al cognome  posseduto  prima
dell'unione civile» e dell'art. 8 del decreto legislativo n.  5/2017,
che aveva appunto disposto che «entro trenta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto (e cioe'  entro  il  13  marzo
2017), l'ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione
di cui  all'art.  98,  comma  1  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n  396,  annulla  l'annotazione  relativa
alla scelta del cognome effettuata a norma dell'art. 4, comma 2,  del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016,  n.
144». 
    E' di tutta evidenza, ad avviso del Tribunale, che l'art.  8  del
decreto legislativo n. 5/2017, nella parte in cui priva la persona di
un cognome gia' acquisito e  utilizzato,  ordinando  retroattivamente
rispetto a una situazione anagrafica  legalmente  acquisita  (perche'
riferita al cognome comune assunto dalle parti di una  unione  civile
costituita  antecedentemente  all'entrata  in  vigore   del   decreto
legislativo n. 5/2017 piu' volte richiamato) configura una violazione
dei diritti al nome, all'identita' e dignita'  personale,  alla  vita
privata e familiare. 
    Vero e', in linea di principio, che la  disciplina  generale  del
diritto al nome e' affidata a norme di rango ordinario (gli  articoli
6 e ss. del codice civile), che sanciscono il diritto al nome in  se'
considerato, con la  previsione  che  in  esso  si  ricomprendono  il
prenome e il cognome e il generale divieto di mutamento dello stesso,
tanto che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome
se non nei casi e con le formalita' dalla legge  indicate  (art.  89,
decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, come  modificato
dal decreto del Presidente della Repubblica n. 54/2012). 
    Non puo' peraltro dubitarsi del suo rilievo costituzionale, e che
da un lato il nome (appunto composto da  nome  e  cognome)  configuri
elemento   costitutivo    fondamentale    dell'identita'    personale
dell'individuo  anche  quale  raccordo  nell'espletamento  delle  sue
relazioni con  le  formazioni  sociali  in  cui  si  esplica  la  sua
personalita', cosi' come tutelato  dall'art.  2  della  Costituzione;
dall'altro che si tratti di elemento distintivo della personalita' al
punto da meritare un'espressa tutela  da  parte  dell'art.  22  della
Costituzione che, sia pure per il solo caso in cui cio'  avvenga  per
motivi politici, prevede che «nessuno puo' essere privato  del  nome»
come del resto  gia'  affermato  dalla  Corte  costituzionale  (sent.
13/1994). 
    La norma delegata in esame appare inoltre a  maggior  ragione  in
contrasto con le disposizioni costituzionali e irragionevole anche in
relazione al principio di uguaglianza sostanziale (ex art,  3  Cost.)
se si considera  che  nessuna  giustificazione  e'  data  del  potere
attribuito allo Stato d'intervenire d'imperio  e  con  una  procedura
senza contraddittorio prevista per la correzione di errori  materiali
(appunto  il  procedimento  di  cui  all'art.  98  del  decreto   del
Presidente  della  Repubblica  n.  396/2009)  al   fine   di   mutare
l'identita' personale di un soggetto  riconosciutagli  ex  lege,  non
consentita se non nel caso di errori appunto materiali. 
    Al contrario e' principio legislativo generale che anche in  caso
di mutamento di  status  l'interessato  debba  interloquire  e  possa
opporsi al  mutamento  del  proprio  cognome  (v.  art.  262,  codice
civile), e di cio' la Corte costituzionale ha gia'  in  passato  dato
conto,  dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art  165,
regio decreto 9 luglio 1939, n.  1238,  per  violazione  dell'art.  2
Cost., nella parte in cui non prevede che, quando la rettifica  degli
atti dello stato civile, intervenuta per ragioni  indipendenti  dalla
volonta' del soggetto cui si riferisce, comporti il  cambiamento  del
cognome,  il  soggetto  stesso  possa   ottenere   dal   giudice   il
riconoscimento del diritto a  mantenere  il  cognome  originariamente
attribuitogli (Corte costituzionale, 3 febbraio 1994, n. 13). 
    Sotto diverso profilo, ma sempre alla  luce  di  quanto  sopra  e
della tutela  del  diritto  all'identita'  personale,  l'art.  8  del
decreto legislativo n.  5/2017  appare  in  contrasto  con  la  norma
costituzionale di cui all'art. 76 Cost. per eccesso di delega: invero
la delega contenuta al comma 28  della  legge  n.  76/2016  e'  stata
conferita al  Governo  «fatte  salve  le  disposizioni  di  cui  alla
presente legge»,  mentre  nessun  potere  di  revoca  o  annullamento
retroattivo  circa  le  iscrizioni  e   annotazioni   effettuate   in
applicazione della legge, con relative ricadute sulla persona e sulla
sua  identificazione  sono  stati  attribuiti,  cosicche'  ben   puo'
condividersi la doglianza del ricorrente secondo la  quale  in  alcun
modo puo' dirsi che la norma  delegata  sia  coerente  con  la  legge
delega. 
    Il  presente  procedimento  non  puo'  quindi   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale della norma della cui applicazione si tratta  (art.  8
del decreto legislativo n. 5/2017), e cio' neppure avendo riguardo ai
principi enunciati e ai diritti  tutelati  dalla  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea  e  dalla  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, e segnatamente gli articoli 1 e 7 della carte  dei
diritti UE (che  enunciano  il  diritto  alla  dignita'  umana  e  il
rispetto della vita privata e della vita  familiare)  e  dell'art.  8
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (che prevede il diritto della persona  al
rispetto della vita privata e familiare), nell'ambito  del  quale  la
Corte europea dei diritti dell'uomo ha individuato  la  tutela  dello
specifico diritto  al  nome,  quale  espressione  dell'incomprimibile
diritto all'identita' e dignita' personale. 
    Quanto alle norme della Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  (nel  loro
significato elaborato dalla Corte europea), infatti, occorre  seguire
il percorso indicato dalla Corte costituzionale (sentenze gemelle 348
e 349/2007 e poi n.  80/2011):  poiche'  l'univoco  tenore  letterale
dell'art.  8  del  decreto  legislativo  n.  5/20l7,  che  impone  la
cancellazione delle  annotazioni  relative  al  nome  precedentemente
effettuate non appare percorribile la soluzione di un'interpretazione
adeguatrice che consenta di  attribuire  alla  norma  un  significato
conforme all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e va quindi  rimesso
alla Corte anche lo scrutinio della legittimita'  costituzione  della
disposizione richiamata in riferimento all'art. 117,  1°  comma,  con
riguardo  al  parametro  interposto  dell'art.  8  della  Convenzione
europea dei diritti umani. 
    Soltanto a sostegno  di  quanto  sopra  detto  si  richiamano  le
previsioni di cui agli  articoli  1  e  7  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione, posto che per espressa previsione dell'art.
51  della  stesa  Carta  e  dell'art.  6  del  Trattato  di  Lisbona,
nonostante  il  «valore  giuridico»  attribuito  ai  diritti  e  alle
liberta'  sanciti  dalla  Carta,  le  disposizioni  della  Carta  non
estendono in  alcun  modo  le  competenze  dell'Unione  definite  nei
trattati. In proposito la Corte costituzionale, ha  chiarito  che  il
sindacato diffuso sulla contrarieta' della norma interna  rispetto  a
tali disposizioni debba essere operato solo in presenza  di  puntuali
antinomie: « ... perche' la Carta dei diritti UE sia  invocabile  ...
occorre che la fattispecie oggetto di legislazione  interna  ...  sia
disciplinata dal  diritto  europeo  -  in  quanto  inerente  ad  atti
dell'Unione, ad atti e comportamenti nazionali che  danno  attuazione
al diritto dell'Unione ... e non gia' da sole norme  nazionali  prive
di ogni legame con tale  diritto»  (Corte  cast.  n.  63/2016;  Corte
costituzionale n. 80/2011). 
    Nel caso in esame non si tratta di applicare specifiche norme del
diritto   dell'Unione,   non   comportando    l'applicazione    della
disposizione contestata limitazioni ai diritti e  liberta'  garantiti
dal Trattato e dell'Unione  in  genere,  quale  il  diritto  ad  ogni
cittadino dell'Unione di circolare e di  soggiornare  sul  territorio
degli Stati membri, ovvero la liberta' di stabilimento  (come  invece
si e' verificato ad esempio allorquando si e' trattato  di  esaminare
la compatibilita'  al  diritto  dell'unione  della  trascrizione  nei
registri dello stato civile di un cognome diverso o ridotto  rispetto
a quello con cui il soggetto era  identificato  in  altro  Paese,  v.
Corte d'appellodi Brescia,  sez.  I,  2  aprile  2012;  Tribunale  di
Bologna 19 luglio 2005; Corte di Giustizia UE Sez.  Grande  sent.  14
ottobre 2008 caso C 353; Sentenza Corte di Giustizia UE C-148/02  del
2 ottobre 2003). 
    Anche  a  tale  riguardo  va  rimessa  comunque  alla  Corte   la
valutazione  della  compatibilita'  della  norma   con   i   principi
costituzionali, affinche' valuti se,  pur  in  difetto  di  immediata
applicabilita' dei principi di cui agli articoli 1 e  7  della  Carta
dei diritti dell'Unione, la norma si ponga altresi' in contrasto - ai
sensi degli articoli 11 e 117 primo comma -  con  i  principi  e  gli
obblighi comunitari richiamati da tali articoli della Costituzione in
virtu' del parametro costituito dai suddetti articoli  1  e  7  della
Carta dei diritti  dell'Unione  (quest'ultimo  oltretutto  pressoche'
coincidente  con  l'art.  8  della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 1, legge costituzionale n. 1 del  1948  e  23,
comma I, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 8 del  decreto  legislativo  n.
5/2017 in combinato disposto con l'art. 3, comma 1,  lettera  c)  del
decreto legislativo n. 5/2017  per  violazione  dell'art.  76  Cost.,
nella parte in cui, eccedendo la delega legislativa, ha legiferato in
contrasto con quanto stabilito dall'art. 1, comma 28, legge 20 maggio
2016, n. 76, nonche' per violazione degli articoli 2,  3,  22,  11  e
117, comma I Cost.,  anche  rispetto  all'art.  8  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (nonche' agli  articoli  1  e  7  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), nella  parte  in
cui, eliminando la incidenza anagrafica del «cognome comune»  di  cui
all'art. 1, comma 10, legge 20  maggio  2016,  n  76,  dispongono  la
cancellazione d'ufficio e senza contraddittorio delle  annotazioni  e
degli aggiornamenti eseguiti in forza dell'art. 1, comma 10, legge 20
maggio 2016, n 76 (e dell'art. 4, comma II del decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n 144), ledendo il diritto
alla  conservazione  del  nome  e  della  identita'  personale  cosi'
conseguita  dalla  parte  unita  civilmente   che   abbia   reso   le
dichiarazioni di cui all'art. 1, comma 10, legge 20 maggio  2016,  n.
76; 
    Rimette gli atti alla Corte costituzionale  affinche'  valuti  la
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera  c),  n.  2
del decreto legislativo n. 5/2017 in combinato disposto con l'art.  8
del decreto legislativo n. 5/2017 per contrasto con gli articoli 2  e
22 della Costituzione, nonche' 117, comma I Cost. (in relazione  agli
articoli 6 della Convenzione EDU, 1  e  7  della  Carta  dei  diritti
fondamentali  dell'Unione  europea),  e   altresi'   per   violazione
dell'art. 76 Cost. per le ragioni sopra espresse; 
    Ordina che l'ordinanza di  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale sia notificata, a cura della cancelleria, alle  parti,
al pubblico  ministero,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e sia comunicata anche ai Presidenti delle  due  camere  del
Parlamento; 
    Sospende il presente  giudizio  fino  all'esito  della  pronuncia
della Corte costituzionale. 
 
        Ravenna, 22 novembre 2017 
 
                      Il Presidente: Lucarelli 
 
 
                                        Il Giudice estensore: Allegra