N. 32 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2017
Ordinanza del 22 novembre 2017 del Tribunale di Ravenna sul ricorso proposto da G. Z. G. e G. G. contro Sindaco del Comune di Lugo e Sindaco del Comune di Ravenna.. Stato civile - Unione civile - Cognome comune - Intestazione della scheda anagrafica individuale al cognome posseduto prima dell'unione civile - Correzione dell'atto di nascita e della scheda anagrafica mediante annullamento dell'annotazione relativa alla scelta del cognome, effettuata a norma dell'art. 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144. - Decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5 (Adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonche' modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76), art. 8, in combinato disposto con l'art. 3, comma 1, lett. c), n. 2, del medesimo decreto legislativo.(GU n.8 del 21-2-2018 )
TRIBUNALE DI RAVENNA Sezione civile - volontaria giurisdizione Il Tribunale, in composizione collegiale, riunito in Camera di consiglio, nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Roberto Sereni Lucarelli, Presidente; dott. Antonella Allegra, giudice estensore; dott. Alessandra Medi, giudice; Nel procedimento n. r.g.v. 812/2017 promossa da G. Z. G. e G. G. nei confronti del sindaco del Comune di Lugo e del sindaco del Comune di Ravenna e con l'intervento del pubblico ministero. Letto il ricorso ex art. 98, decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 proposto da G. Z. G. e G. G. nel quale i ricorrenti deducono: di essersi uniti civilmente in data 24 giugno 2016 presso il Comune di Lugo all'indomani dell'entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 118 il 21 maggio 2016, ancor prima della promulgazione del «decreto ponte» (D.P.C.M. 144/2016); di aver scelto, in forza dell'art. 1, comma 10 della suddetta legge, il giorno stesso della celebrazione dell'unione, quale cognome comune identificativo del vincolo, quello di G. G., con la precisazione che G. Z. non ha rinunciato al proprio cognome d'origine, ma ha dichiarato di voler aggiungere il cognome comune, anteponendo il proprio cognome Z. a quello comune, e assumendo cosi' l'identita' di G. Z. G. e che in seguito a tale scelta sono state apportate modifiche della sua scheda anagrafica, con conseguente rinnovazione della carta d'identita', della tessa sanitaria e di ogni altro documento in cui egli apparisse indicato con il precedente cognome; che l'art. 3, comma 1, lettera c), n. 2 del decreto legislativo n. 5/2017 avente ad oggetto l'adeguamento delle disposizioni dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni ed annotazioni, nonche' modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili (emanato insieme ad altri, in attuazione della delega espressa dall'art. 1, comma 28, della legge 76/2016), pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 27 gennaio 2017 ha introdotto il comma 3-bis dell'art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 disciplinante il contenuto e la gestione delle schede anagrafiche individuali, ai sensi del quale «per le parti dell'unione civile le schede devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile» mentre il successivo art. 8 del medesimo decreto legislativo n. 5/2017 ha disposto che «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (e cioe' entro il 13 marzo 2017), l'ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione di cui all'art. 98, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, annulla l'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell'art. 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144»; che in seguito, in data 8 marzo 2017, i ricorrenti hanno ricevuto la comunicazione di un provvedimento di variazione delle generalita' nelle registrazioni anagrafiche reso dall'Ufficiale d'anagrafe del Comune di Lugo consistente nella «correzione» - avvenuta in data 2 marzo 2017 - dell'atto della loro unione civile, iscritto appunto nei registri di stato civile del Comune di Lugo, mediante l'annullamento dell'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell'art. 4, comma 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144, nonche' di un'annotazione - pure in data 2 marzo 2017 - nell'atto di nascita di G. G. Z., conservato presso i registri dello stato civile del Comune di Ravenna, e' stato ripristinato il cognome «Z.», e la conseguente rettifica delle generalita' risultanti nelle registrazioni anagrafiche da «Z. G. G.» a «Z. G.»; che tale disposizione e' censurabile sotto molteplici profili, perche' si traduce in una sostanziale abrogazione del disposto dell'art. 1, comma 10, della legge 76/2016, negandone l'originario contenuto precettivo, che aveva voluto attribuire alle parti dell'unione civile il diritto ad assumere un cognome comune a tutti gli effetti, tanto da consentire alla parte dell'unione di rinunciare al cognome originario (come pure esplicitato dall'art. 4, comma II, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 144/2016, cosiddetto decreto ponte); che cio' da un lato costituisce violazione di diritti fondamentali della persona umana, tutelati non solo a livello costituzionale, ma anche a livello sovranazionale (in particolare gli articoli 1 e 7 della Carta dei dritti fondamentali dell'Unione europea, oltre che dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani), al punto da consentirne la disapplicazione, in forza del primato del diritto dell'Unione, e dall'altro configura un vizio di eccesso di delega, comportando la violazione dell'art. 76 della Costituzione, poiche' la delega contenuta al comma 28 della legge n. 76/2016 e' conferita «fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge»; che il Tribunale dovrebbe quindi procedere all'annullamento di tutte le correzioni, annotazioni e variazioni eseguite in data 2 marzo 2017 nei registri dello stato civile relativi alla posizione anagrafica di G. Z. G., con conseguente ripristino delle risultanze anagrafiche in capo al predetto in data precedente al 2 marzo 2017; preso atto del fatto che il ricorso e' stato ritualmente notificato ai Comuni di Lugo e di Ravenna (rispettivamente luogo della celebrazione dell'unione civile e di nascita di G. Z. G., i quali, nel merito si sono limitati ad affermare di aver provveduto alle annotazioni imposte dalle disposizioni contestate, con la precisazione che la procedura di cui all'art. 98 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 non lascia margini di discrezionalita' all'ufficiale di stato civile, rimettendosi comunque alle determinazioni del Tribunale e contestando preliminarmente il Comune di Ravenna la propria legittimazione passiva; lette le conclusioni del pubblico ministero; Premesso Che l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune di Ravenna non e' meritevole di accoglimento, alla luce del condivisibile orientamento ormai consolidato secondo il quale «Quando il sindaco, nell'adempimento delle sue funzioni, agisce quale ufficiale di Governo, l'ordinamento disciplina un fenomeno di imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto dell'organo del comune, nel senso che il sindaco non diventa organo di un'Amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale, senza che il suo status sia modificalo, con la conseguenza che nel giudizio concernente la legittimita' del provvedimento da lui adottato egli e' legittimato a resistere all'azione annullatoria e, conseguentemente, a proporre appello nel caso di soccombenza in primo grado (Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2008, n. 4434; v. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 28 giugno 2010, n. 4135)»; Che oltretutto da ultimo, e con specifico riguardo alle funzioni conferite al comune quale Ufficiale dello stato civile, il Consiglio di Stato (Sez. III, l° dicembre 2016, n. 5048) ha precisato che «Oltre ad esservi una obiettiva diversita' tra i poteri spettanti agli organi dello Stato in materia di stato civile e quelli tipicamente spettanti all'Autorita' che effettivamente sia gerarchicamente superiore ... gli organi comunali - che istruiscono le pratiche e prendono le relative determinazioni - rispondono in proprio anche per gli atti emessi nell'esercizio di poteri statali. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato non solo che le notifiche dei ricorsi avverso gli atti emessi dal comune (non importa se quale Autorita' comunale o in quanto investita di poteri statali) debbano aver luogo presso la sede del comune stesso, e non presso l'Autorita' statale di riferimento nella sede della Avvocatura dello Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 28 aprile 2014, n. 2221; Sez. V 7 settembre 2007, n. 4718; Sez. IV, 13 agosto 2007, n. 4448; Sez. IV, 28 marzo 1994, n. 291; Sez. V, 27 ottobre 1986, n. 568), ma anche che puo' essere ravvisata in tali casi la responsabilita' degli stessi organi comunali (Cons. Stato, Sez. III, 6 agosto 2014, n. 4184). Anche quando agisca come ufficiale di Governo, infatti, "l'imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto del sindaco ha natura meramente formale, restando il sindaco incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale, senza alcuna modifica del suo status" (Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2015, n. 2272; Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2221; Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1209; Sez. V, 17 settembre 2008, n. 4434; Sez. IV, 7 settembre 2007, n. 4718; Sez. IV, 13 agosto 2007, n. 4448)». Osserva Non e' in discussione, nel presente procedimento, il diritto in se' di acquistare, con l'unione civile, un cognome comune e in particolare il diritto di G. Z. di acquistare, in seguito all'unione civile costituita il 24 giugno 2016, il cognome comune G., che ha infatti acquistato posponendolo al proprio, con dichiarazione resa il giorno stesso della celebrazione dell'unione (e trasmessa e annotata anche dall'ufficiale dello stato civile di Ravenna, suo Comune di nascita) acquisendo un'identita' legittimamente riconosciuta in forza del dettato dell'art. 1, comma 10 della legge 76/2016, e riportata nei nuovi documenti d'identita' e personali (carta d'identita', passaporto, codice fiscale). Quel che rileva in questa sede e' invece il diritto del ricorrente a mantenere l'identita' ormai acquisita (e oltretutto oggetto di significativa divulgazione e notorieta') e la legittimita' del provvedimento dell'Ufficiale dello stato civile del Comune di Ravenna in data 2 marzo 2017 e del conseguente provvedimento di variazione emesso dall'ufficiale d'anagrafe del Comune di Lugo, con il quale egli si duole di esser stato privato della sua nuova identita' personale, in forza dell'applicazione del combinato disposto dell'art. 3, comma I, lettera e), n 2 del decreto legislativo n. 5/2017 secondo il quale «per le parti dell'unione civile le schede devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile» e dell'art. 8 del decreto legislativo n. 5/2017, che aveva appunto disposto che «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (e cioe' entro il 13 marzo 2017), l'ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione di cui all'art. 98, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n 396, annulla l'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell'art. 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144». E' di tutta evidenza, ad avviso del Tribunale, che l'art. 8 del decreto legislativo n. 5/2017, nella parte in cui priva la persona di un cognome gia' acquisito e utilizzato, ordinando retroattivamente rispetto a una situazione anagrafica legalmente acquisita (perche' riferita al cognome comune assunto dalle parti di una unione civile costituita antecedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/2017 piu' volte richiamato) configura una violazione dei diritti al nome, all'identita' e dignita' personale, alla vita privata e familiare. Vero e', in linea di principio, che la disciplina generale del diritto al nome e' affidata a norme di rango ordinario (gli articoli 6 e ss. del codice civile), che sanciscono il diritto al nome in se' considerato, con la previsione che in esso si ricomprendono il prenome e il cognome e il generale divieto di mutamento dello stesso, tanto che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome se non nei casi e con le formalita' dalla legge indicate (art. 89, decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 54/2012). Non puo' peraltro dubitarsi del suo rilievo costituzionale, e che da un lato il nome (appunto composto da nome e cognome) configuri elemento costitutivo fondamentale dell'identita' personale dell'individuo anche quale raccordo nell'espletamento delle sue relazioni con le formazioni sociali in cui si esplica la sua personalita', cosi' come tutelato dall'art. 2 della Costituzione; dall'altro che si tratti di elemento distintivo della personalita' al punto da meritare un'espressa tutela da parte dell'art. 22 della Costituzione che, sia pure per il solo caso in cui cio' avvenga per motivi politici, prevede che «nessuno puo' essere privato del nome» come del resto gia' affermato dalla Corte costituzionale (sent. 13/1994). La norma delegata in esame appare inoltre a maggior ragione in contrasto con le disposizioni costituzionali e irragionevole anche in relazione al principio di uguaglianza sostanziale (ex art, 3 Cost.) se si considera che nessuna giustificazione e' data del potere attribuito allo Stato d'intervenire d'imperio e con una procedura senza contraddittorio prevista per la correzione di errori materiali (appunto il procedimento di cui all'art. 98 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2009) al fine di mutare l'identita' personale di un soggetto riconosciutagli ex lege, non consentita se non nel caso di errori appunto materiali. Al contrario e' principio legislativo generale che anche in caso di mutamento di status l'interessato debba interloquire e possa opporsi al mutamento del proprio cognome (v. art. 262, codice civile), e di cio' la Corte costituzionale ha gia' in passato dato conto, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art 165, regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238, per violazione dell'art. 2 Cost., nella parte in cui non prevede che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dalla volonta' del soggetto cui si riferisce, comporti il cambiamento del cognome, il soggetto stesso possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli (Corte costituzionale, 3 febbraio 1994, n. 13). Sotto diverso profilo, ma sempre alla luce di quanto sopra e della tutela del diritto all'identita' personale, l'art. 8 del decreto legislativo n. 5/2017 appare in contrasto con la norma costituzionale di cui all'art. 76 Cost. per eccesso di delega: invero la delega contenuta al comma 28 della legge n. 76/2016 e' stata conferita al Governo «fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge», mentre nessun potere di revoca o annullamento retroattivo circa le iscrizioni e annotazioni effettuate in applicazione della legge, con relative ricadute sulla persona e sulla sua identificazione sono stati attribuiti, cosicche' ben puo' condividersi la doglianza del ricorrente secondo la quale in alcun modo puo' dirsi che la norma delegata sia coerente con la legge delega. Il presente procedimento non puo' quindi essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della norma della cui applicazione si tratta (art. 8 del decreto legislativo n. 5/2017), e cio' neppure avendo riguardo ai principi enunciati e ai diritti tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e segnatamente gli articoli 1 e 7 della carte dei diritti UE (che enunciano il diritto alla dignita' umana e il rispetto della vita privata e della vita familiare) e dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (che prevede il diritto della persona al rispetto della vita privata e familiare), nell'ambito del quale la Corte europea dei diritti dell'uomo ha individuato la tutela dello specifico diritto al nome, quale espressione dell'incomprimibile diritto all'identita' e dignita' personale. Quanto alle norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (nel loro significato elaborato dalla Corte europea), infatti, occorre seguire il percorso indicato dalla Corte costituzionale (sentenze gemelle 348 e 349/2007 e poi n. 80/2011): poiche' l'univoco tenore letterale dell'art. 8 del decreto legislativo n. 5/20l7, che impone la cancellazione delle annotazioni relative al nome precedentemente effettuate non appare percorribile la soluzione di un'interpretazione adeguatrice che consenta di attribuire alla norma un significato conforme all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e va quindi rimesso alla Corte anche lo scrutinio della legittimita' costituzione della disposizione richiamata in riferimento all'art. 117, 1° comma, con riguardo al parametro interposto dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani. Soltanto a sostegno di quanto sopra detto si richiamano le previsioni di cui agli articoli 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, posto che per espressa previsione dell'art. 51 della stesa Carta e dell'art. 6 del Trattato di Lisbona, nonostante il «valore giuridico» attribuito ai diritti e alle liberta' sanciti dalla Carta, le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. In proposito la Corte costituzionale, ha chiarito che il sindacato diffuso sulla contrarieta' della norma interna rispetto a tali disposizioni debba essere operato solo in presenza di puntuali antinomie: « ... perche' la Carta dei diritti UE sia invocabile ... occorre che la fattispecie oggetto di legislazione interna ... sia disciplinata dal diritto europeo - in quanto inerente ad atti dell'Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell'Unione ... e non gia' da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto» (Corte cast. n. 63/2016; Corte costituzionale n. 80/2011). Nel caso in esame non si tratta di applicare specifiche norme del diritto dell'Unione, non comportando l'applicazione della disposizione contestata limitazioni ai diritti e liberta' garantiti dal Trattato e dell'Unione in genere, quale il diritto ad ogni cittadino dell'Unione di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri, ovvero la liberta' di stabilimento (come invece si e' verificato ad esempio allorquando si e' trattato di esaminare la compatibilita' al diritto dell'unione della trascrizione nei registri dello stato civile di un cognome diverso o ridotto rispetto a quello con cui il soggetto era identificato in altro Paese, v. Corte d'appellodi Brescia, sez. I, 2 aprile 2012; Tribunale di Bologna 19 luglio 2005; Corte di Giustizia UE Sez. Grande sent. 14 ottobre 2008 caso C 353; Sentenza Corte di Giustizia UE C-148/02 del 2 ottobre 2003). Anche a tale riguardo va rimessa comunque alla Corte la valutazione della compatibilita' della norma con i principi costituzionali, affinche' valuti se, pur in difetto di immediata applicabilita' dei principi di cui agli articoli 1 e 7 della Carta dei diritti dell'Unione, la norma si ponga altresi' in contrasto - ai sensi degli articoli 11 e 117 primo comma - con i principi e gli obblighi comunitari richiamati da tali articoli della Costituzione in virtu' del parametro costituito dai suddetti articoli 1 e 7 della Carta dei diritti dell'Unione (quest'ultimo oltretutto pressoche' coincidente con l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
P. Q. M. Visti gli articoli 1, legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23, comma I, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo n. 5/2017 in combinato disposto con l'art. 3, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 5/2017 per violazione dell'art. 76 Cost., nella parte in cui, eccedendo la delega legislativa, ha legiferato in contrasto con quanto stabilito dall'art. 1, comma 28, legge 20 maggio 2016, n. 76, nonche' per violazione degli articoli 2, 3, 22, 11 e 117, comma I Cost., anche rispetto all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (nonche' agli articoli 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), nella parte in cui, eliminando la incidenza anagrafica del «cognome comune» di cui all'art. 1, comma 10, legge 20 maggio 2016, n 76, dispongono la cancellazione d'ufficio e senza contraddittorio delle annotazioni e degli aggiornamenti eseguiti in forza dell'art. 1, comma 10, legge 20 maggio 2016, n 76 (e dell'art. 4, comma II del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n 144), ledendo il diritto alla conservazione del nome e della identita' personale cosi' conseguita dalla parte unita civilmente che abbia reso le dichiarazioni di cui all'art. 1, comma 10, legge 20 maggio 2016, n. 76; Rimette gli atti alla Corte costituzionale affinche' valuti la legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera c), n. 2 del decreto legislativo n. 5/2017 in combinato disposto con l'art. 8 del decreto legislativo n. 5/2017 per contrasto con gli articoli 2 e 22 della Costituzione, nonche' 117, comma I Cost. (in relazione agli articoli 6 della Convenzione EDU, 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), e altresi' per violazione dell'art. 76 Cost. per le ragioni sopra espresse; Ordina che l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, a cura della cancelleria, alle parti, al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata anche ai Presidenti delle due camere del Parlamento; Sospende il presente giudizio fino all'esito della pronuncia della Corte costituzionale. Ravenna, 22 novembre 2017 Il Presidente: Lucarelli Il Giudice estensore: Allegra