N. 27 SENTENZA 23 gennaio - 14 febbraio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse - Imposta  unica  sui  concorsi  pronostici  e  sulle
  scommesse - Soggettivita' passiva delle  ricevitorie  operanti  per
  conto di bookmakers con sede all'estero e privi di concessione. 
- Decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell'imposta
  unica  sui  concorsi  pronostici  e  sulle   scommesse,   a   norma
  dell'articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288), artt.
  3 e 4, comma 1, lettera b), numero 3); legge 13 dicembre  2010,  n.
  220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
  pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2011)», art. 1,  comma
  66, lettera b). 
(GU n.8 del 21-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli  artt.  3  e  4,
comma 1, lettera b), numero 3), del decreto legislativo  23  dicembre
1998, n. 504 (Riordino dell'imposta unica sui concorsi  pronostici  e
sulle scommesse, a norma dell'articolo 1,  comma  2,  della  legge  3
agosto 1998, n. 288), e dell'art. 1,  comma  66,  lettera  b),  della
legge  13  dicembre  2010,  n.  220,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2011)», promossi dalla Commissione tributaria  provinciale
di Rieti  con  quattro  ordinanze  del  17  dicembre  2015,  iscritte
rispettivamente al n. 60, n. 61, n. 62 e n. 63 del registro ordinanze
2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  13,
prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione di M.C. G. e di  Stanleybet  Malta
ltd, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella udienza pubblica  del  23  gennaio  2018  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Daniela Agnello, Giuseppe Corasaniti,  Roberto
A. Jacchia per M.C. G., e gli avvocati Daniela  Agnello,  Roberto  A.
Jacchia e Fabio Ferraro per Stanleybet Malta ltd, nonche'  l'avvocato
dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  quattro  ordinanze  di  analogo  tenore  letterale,  la
Commissione  tributaria  provinciale  di  Rieti  ha   sollevato,   in
riferimento agli artt.  3  e  53  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 3 e 4, comma 1,  lettera  b),
numero 3), del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino
dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma
dell'articolo 1, comma 2, della legge  3  agosto  1998,  n.  288),  e
dell'art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre  2010,  n.
220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2011)», nella  parte  in
cui, secondo il  diritto  vivente,  prevedono  che  soggetti  passivi
dell'imposta unica sui concorsi pronostici e  sulle  scommesse  siano
anche le ricevitorie  operanti  per  conto  di  bookmakers  privi  di
concessione. 
    2.- Nei  quattro  giudizi  a  quibus  il  giudice  rimettente  e'
investito  della  decisione  in  ordine  ai  ricorsi  rispettivamente
proposti da M.C. G. (r.o. n. 60 e n. 63 del  2016)  e  da  Stanleybet
Malta ltd (r.o. n.  61  e  n.  62  del  2016),  tutti  nei  confronti
dell'Agenzia delle dogane e  dei  monopoli  di  Stato.  Riferisce  il
rimettente che, sulla base  di  un  contratto  di  ricevitoria,  essi
gestiscono  centri  di  raccolta  scommesse  per  conto  di   Stanley
International che, per quanto riguarda l'Italia, ha ceduto il ramo di
azienda relativo ai giochi e alle scommesse a Stanleybet Malta ltd. 
    In particolare, le parti ricorrenti raccolgono le  scommesse  dei
singoli  scommettitori  e  le  trasmettono   al   bookmaker   Stanley
International,  che  provvede  a  pagare  l'eventuale   vincita.   Il
rimettente precisa che l'organizzazione  delle  scommesse  spetta  al
bookmaker, mentre la ricevitoria funge da centro di trasmissione  dei
dati (CTD), necessari alla conclusione del gioco. 
    Il giudice a quo riferisce, inoltre, che - in base all'art. 3 del
d.lgs. n. 504 del 1998, come  interpretato  dall'art.  1,  comma  66,
lettera  b),  della  legge  n.  220  del  2010  -   l'amministrazione
finanziaria pretende il pagamento della imposta sulle scommesse anche
dai ricevitori. 
    2.1.- La prima delle disposizioni censurate, l'art. 3 del  d.lgs.
n. 504 del 1998, stabilisce che soggetti passivi  dell'imposta  unica
sono coloro i quali gestiscono,  anche  in  concessione,  i  concorsi
pronostici e le scommesse. Essa e' stata oggetto  di  interpretazione
autentica da parte dell'art. 1, comma 66, lettera b), della legge  n.
220 del 2010, «nel senso che soggetto passivo d'imposta e'  chiunque,
ancorche' in assenza [...] della concessione rilasciata dal Ministero
dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli
di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico,  per  conto
proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi  pronostici  o
scommesse di qualsiasi genere. Se l'attivita' e' esercitata per conto
terzi, il soggetto per conto del quale l'attivita' e'  esercitata  e'
obbligato solidalmente al pagamento  dell'imposta  e  delle  relative
sanzioni». 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli assume, pertanto, che i CTD
siano gestori di scommesse per conto dei bookmakers, e  li  considera
soggetti  passivi  di  imposta.  Viceversa,   le   parti   ricorrenti
contestano che le disposizioni in esame si riferiscano  alla  propria
attivita'. Pertanto, al fine di  stabilire  se  essi  siano  soggetti
d'imposta,  e'  necessario  fare  applicazione   delle   disposizioni
censurate, la prima, quale formulazione originaria del precetto, e la
seconda quale interpretazione autentica dello stesso. 
    Ad avviso del giudice a quo, la questione non  sarebbe  meramente
interpretativa. Preso atto dell'esistenza di  un'interpretazione  che
porta a ritenere le ricevitorie obbligate al pagamento  dell'imposta,
il rimettente ritiene che  tale  interpretazione  produca  una  norma
incostituzionale,  di  cui  va  fatta  applicazione  ai  fini   della
decisione delle controversie sottoposte al suo esame. 
    Sarebbe esclusa la possibilita' di una interpretazione conforme a
Costituzione poiche',  ad  avviso  del  rimettente,  l'applicabilita'
delle disposizioni censurate alle ricevitorie sarebbe stata affermata
dalla prevalente giurisprudenza di merito, tale da costituire diritto
vivente. Viceversa, il  dovere  del  giudice  rimettente  di  seguire
l'interpretazione ritenuta piu' adeguata ai  principi  costituzionali
sussisterebbe solo in assenza di un contrario diritto vivente. 
    2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza,  e'  denunciata  in
primo luogo la violazione del principio di capacita' contributiva  di
cui all'art. 53, primo comma, Cost. 
    Sulla  premessa  che  l'imposta  sulle  scommesse  e'  un'imposta
indiretta, che colpisce il consumo di  ricchezza  del  giocatore,  il
giudice a quo osserva che essa grava sullo scommettitore, anche se e'
riscossa dal  concessionario  e  da  questi  versata  all'erario.  Il
consumo della scommessa  da  parte  dello  scommettitore  privato  e'
indice indiretto di capacita' contributiva e su di essa si  commisura
l'imposta. Come e' tipico delle imposte indirette,  l'onere  relativo
puo' essere trasferito sul consumatore della  ricchezza  soggetta  ad
imposizione,  ossia  sul  giocatore.  Soltanto  se  l'imposta  potra'
effettivamente gravare sul  consumatore  (o  su  soggetto  capace  di
trasferire  a  quest'ultimo  l'onere  relativo),   potra'   ritenersi
rispettato il criterio della capacita' contributiva. 
    Tuttavia, ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  ricevitoria  non
potrebbe in alcun modo traslare  l'imposta  sullo  scommettitore,  in
quanto non potrebbe rivalersi su di esso, ne' potrebbe effettuare  la
ritenuta sulle puntate ricevute o sulle vincite versate. Cio' sarebbe
precluso dal decreto del Ministro dell'economia e  delle  finanze  1°
marzo 2006, n. 111 (Norme concernenti la disciplina delle scommesse a
quota fissa su eventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli  e  su
eventi non sportivi da adottare ai sensi dell'articolo 1, comma  286,
della legge 30 dicembre 2004, n.  311).  Ne'  sarebbe  possibile  una
traslazione  indiretta,  attraverso  la  modifica  delle   quote   di
scommessa, in quanto queste, come le  percentuali  di  vincita,  sono
stabilite dal bookmaker. D'altra parte, il contratto tra il bookmaker
ed il ricevitore vieta a quest'ultimo ogni forma di  ingerenza  nella
determinazione della scommessa e delle quote. 
    Ad avviso  del  rimettente,  alla  ricevitoria,  quale  obbligato
"principale", sarebbe altresi' preclusa la rivalsa nei confronti  del
bookmaker,  obbligato  "dipendente",  atteso  il  divieto  desumibile
dall'art. 64, terzo comma, del  d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  600
(Disposizioni comuni in materia di  accertamento  delle  imposte  sui
redditi). 
    In questo modo, sarebbe  colpito  un  soggetto  privo  sia  della
capacita'  contributiva  individuata  dal  legislatore  quale   fatto
generatore del tributo, sia della possibilita' di  traslarne  l'onere
su chi possiede tale capacita'. 
    2.3.- E' altresi'  denunciata  la  violazione  del  principio  di
uguaglianza  di   cui   all'art.   3   Cost.,   per   l'irragionevole
equiparazione, ai fini tributari, del gestore per conto  proprio  (il
bookmaker) rispetto al  gestore  per  conto  terzi  (il  titolare  di
ricevitoria). 
    Il giudice a quo  evidenzia  che  l'attivita'  del  bookmaker  e'
diversa da quella svolta per conto di quest'ultimo dalla ricevitoria.
Mentre il bookmaker sceglie gli eventi sui  quali  i  giocatori  sono
invitati a effettuare scommesse, fissa le relative quote  e  le  loro
condizioni contrattuali e stipula in  nome  proprio  i  contratti  di
scommessa,  la  ricevitoria  si  limita  a  fornirgli   il   supporto
logistico, mettendolo in contatto con i  giocatori,  trasmettendo  le
volonta' contrattuali ed i flussi di  provvista,  e,  in  definitiva,
eseguendo le  direttive  e  le  istruzioni  ricevute  dal  bookmaker.
Viceversa, la stessa ricevitoria non  avrebbe  alcun  ruolo  rispetto
alle altre fasi della scommessa. Essa non partecipa  alla  formazione
del programma di gioco,  ne'  alla  quotazione  delle  scommesse;  e'
soggetto terzo rispetto al contratto stipulato tra il bookmaker ed il
giocatore; non  vanta  diritti  sulla  puntata,  ne'  risponde  delle
vincite che essa ha l'obbligo di pagare  in  esecuzione  del  mandato
conferito dal bookmaker, con la provvista da lui fornita. 
    Il bookmaker e' il mandante della ricevitoria, mentre  questa  e'
mera esecutrice degli incarichi. Inoltre, mentre il  primo  e'  parte
del contratto di scommessa,  la  seconda  rimane  estranea  ad  esso,
limitandosi a «ricevere le schede di partecipazione e  riscuotere  le
poste da parte dei concorrenti» per conto del  primo,  come  previsto
dall'art. 55, primo comma, del d.P.R. 18 aprile 1951, n.  581  (Norme
regolamentari  per  l'applicazione   e   l'esecuzione   del   decreto
legislativo 14 aprile 1948, n. 496, sulla disciplina delle  attivita'
di giuoco). 
    Altrettanto diverse sono le utilita' derivanti  dalle  rispettive
attivita'. Infatti, mentre il ricavo del bookmaker e' costituito  dal
valore delle scommesse stipulate, quello della  ricevitoria  e'  dato
dalla provvigione che gli e' riconosciuta dal bookmaker. 
    Diverso e' anche il  rapporto  con  la  provvista  versata  dallo
scommettitore. Infatti, mentre il bookmaker ne e' il proprietario, la
ricevitoria e'  un  mero  mandatario  all'incasso  con  l'obbligo  di
fornire il rendiconto e di trasferire quanto ricevuto, al netto delle
vincite pagate e delle provvigioni maturate. 
    Infine, solo il bookmaker potrebbe incidere sulla ricchezza dello
scommettitore stabilendo quote meno favorevoli. Esso,  inoltre,  puo'
ottenere la provvista necessaria all'assolvimento del  tributo  dalle
puntate  raccolte,  mentre  cio'  non  sarebbe   possibile   per   il
ricevitore, in mancanza di rapporti  giuridici  o  economici  con  lo
scommettitore. 
    Il giudice a quo da' atto dell'orientamento della  giurisprudenza
di merito che ha  ritenuto  che  il  titolare  di  ricevitoria  possa
liberarsi dell'onere dell'imposta mediante appositi  accordi  con  il
bookmaker che lo autorizzino a  prelevare  l'imposta  dalla  puntata.
Tuttavia, ad avviso del rimettente, questa prospettazione non sarebbe
condivisibile. Infatti, la necessita' di un simile accordo,  anziche'
giustificare  la  discriminazione,  la  confermerebbe,   evidenziando
l'inidoneita' della norma a garantire di per  se'  la  ragionevolezza
del trattamento differenziato. 
    Inoltre, alla traslazione dell'onere tributario dalla ricevitoria
al  bookmaker  osterebbe  il  fatto   che   la   responsabilita'   di
quest'ultimo ha natura dipendente ed  e',  quindi,  accompagnata  dal
diritto  di  rivalsa  nei  confronti  dell'obbligato  principale  (il
titolare della ricevitoria), ai sensi dell'art. 64, terzo comma,  del
d.P.R. n. 600 del 1973. 
    Attesa la radicale diversita' del bookmaker  dal  ricevitore,  la
loro  equiparazione  dal  punto  di   vista   della   responsabilita'
tributaria  sarebbe  priva  di  ragionevole  giustificazione   e   si
risolverebbe in una violazione  del  principio  di  uguaglianza.  Non
sarebbe neppure invocabile  un'esigenza  di  parita'  di  trattamento
fiscale delle scommesse organizzate da titolari  di  concessione  con
quelle organizzate da soggetti privi  di  tale  titolo,  poiche'  nel
sistema concessorio  l'unico  soggetto  passivo  e'  il  titolare  di
concessione (art. 16 del d.m. n. 111 del 2006), e non la ricevitoria. 
    2.3.1.- Il  giudice  a  quo  denuncia,  altresi',  la  violazione
dell'art.  3  Cost.  anche  per   difetto   di   proporzionalita'   e
ragionevolezza. 
    Dopo  avere  richiamato  la  giurisprudenza  costituzionale   sul
necessario rapporto tra l'obiettivo perseguito dal  legislatore  e  i
mezzi approntati per il suo raggiungimento, il giudice a quo  osserva
che l'intervento legislativo del 2010  era  volto  ad  equiparare  la
tassazione delle scommesse offerte dai bookmakers nazionali muniti di
concessione a quella dei bookmakers (prevalentemente esteri)  che  ne
erano privi, al fine di recuperare cosi' base imponibile e gettito, a
fronte di fenomeni di elusione ed evasione nel settore. Tuttavia,  in
concreto,  questi  obiettivi  non  sarebbero  stati  raggiunti  dalle
disposizioni censurate. 
    L'intervento legislativo in  esame  non  realizzerebbe,  infatti,
l'equiparazione tra ricevitori  privi  di  concessione  e  ricevitori
titolari di concessione,  ne'  tra  bookmakers  senza  concessione  e
bookmakers con concessione. Ed invero,  il  d.m.  n.  111  del  2006,
all'art.  16,  individua  l'allibratore  concessionario  come   unico
debitore dell'imposta, prevedendo addirittura le  modalita'  pratiche
con cui essa deve venire assolta. 
    D'altra parte, i bookmakers titolari di concessione, a differenza
di quelli privi di concessione che si avvalgono di  ricevitorie,  non
sono assoggettati al medesimo obbligo. A  questi  ultimi,  in  quanto
obbligati dipendenti, l'art. 64, terzo comma, del d.P.R. n.  600  del
1973 attribuisce il diritto di regresso integrale nei confronti della
ricevitoria. 
    Inoltre, non sarebbe realizzata neppure l'equiparazione  ai  fini
fiscali delle scommesse "in concessione"  rispetto  a  quelle  "fuori
concessione". Infatti, il titolare di ricevitoria  cui  e'  addossato
l'onere dell'imposta non ha alcuna possibilita' di trasferirlo  sugli
scommettitori; pertanto, laddove  le  scommesse  "fuori  concessione"
fossero state stipulate in evasione d'imposta prima  della  legge  n.
220 del 2010, tale situazione non sarebbe cambiata. 
    Infine,   l'irragionevolezza   della   disposizione    introdotta
dall'art. 1, comma 66, lettera  b),  della  legge  n.  220  del  2010
sarebbe aggravata dalla sua retroattivita', derivante dalla natura di
norma di interpretazione autentica. 
    2.4.-  Ad  avviso  del  giudice  a   quo,   sarebbe   impossibile
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata.   Infatti,   per
sfuggire alle censure di legittimita' costituzionale, le disposizioni
censurate dovrebbero essere interpretate nel senso che  esse  non  si
applicano   alle   ricevitorie.   Tuttavia,   questa   non    sarebbe
un'interpretazione   costituzionalmente    orientata,    in    quanto
comporterebbe la disapplicazione delle disposizioni medesime. In ogni
caso, tale impostazione sarebbe  contraria  al  diritto  vivente  che
ritiene  i  CTD  soggetti  all'imposta   unica.   La   questione   di
legittimita'   costituzionale   e'   sollevata,   dunque,    rispetto
all'interpretazione che ne da' il diritto vivente. 
    3.- Nei giudizi innanzi alla Corte, e' intervenuto il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o comunque non fondate. 
    3.1.- In via preliminare  e'  eccepita  l'inammissibilita'  della
questione avente ad oggetto l'art. 4, comma 1, lettera b), numero 3),
del d.lgs. n. 504 del 1998. Tale disposizione e'  indicata  nel  solo
dispositivo dell'ordinanza e nella parte motiva non e'  investita  da
alcun dubbio di costituzionalita'. 
    3.1.1.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  eccepisce,  inoltre,
l'insufficiente descrizione della  fattispecie  oggetto  dei  giudizi
principali. Non essendo fornite  indicazioni  riguardo  al  contenuto
dell'atto impositivo impugnato, all'ente impositore e  ai  motivi  di
ricorso sollevati dal contribuente, il requisito della rilevanza  non
sarebbe supportato da una motivazione sufficiente e  non  ne  sarebbe
possibile la verifica. 
    3.2.- Nel merito, l'Avvocatura generale dello  Stato  ritiene  le
questioni manifestamente infondate, o comunque non  fondate,  poiche'
legate ad una lettura parziale ed atomistica della legge, della quale
sarebbe trascurato l'impianto complessivo. 
    L'art.  l,  comma  64,  della  legge  n.  220  del  2010   indica
esplicitamente le finalita' perseguite dalla disposizione  censurata.
Oltre a quella di equiparare la tassazione  delle  scommesse  offerte
dai  bookmakers  nazionali  muniti  di  concessione  a   quella   dei
bookmakers (per lo piu' esteri) che ne sono privi, il legislatore  ha
previsto ulteriori obiettivi, individuati  nel  contrasto  del  gioco
d'azzardo ed illegale, nella tutela dei consumatori,  in  particolare
dei minori, e dell'ordine pubblico, e nel recupero di base imponibile
e di gettito a fronte di fenomeni elusivi e di evasione. 
    La scelta normativa  di  tassare  anche  le  ricevitorie  sarebbe
strettamente funzionale a tutte le descritte finalita'. 
    In concreto, la raccolta  di  scommesse  si  incentrerebbe  sulla
presenza di un'unica "filiera", al termine della quale si  porrebbero
le ricevitorie. L'attribuzione di soggettivita' passiva  al  titolare
della ricevitoria deriverebbe dal rapporto che lo lega ai bookmakers,
sia a quelli legali, sia a quelli che operano illegalmente, i  quali,
di fatto, possono operare solo attraverso il CTD. 
    La scelta legislativa di valorizzare, dal punto di vista fiscale,
l'ultimo (e necessario) anello della catena,  ossia  la  ricevitoria,
costituirebbe, dunque, un'efficace modalita' per portare ad emersione
il gioco illecito,  esercitando  cosi'  un  controllo  a  difesa  dei
consumatori e perseguendo  anche  la  finalita'  di  recuperare  base
imponibile e di assicurare gettito non solo rispetto  alle  attivita'
legali (bookmakers dotati di regolare  concessione),  ma  anche  alle
attivita' illegali (bookmakers privi di regolare concessione). 
    Non sarebbe pertanto condivisibile l'assunto, fatto  proprio  dal
rimettente, secondo  cui  la  tassazione  delle  ricevitorie  sarebbe
ultronea rispetto alle finalita'  indicate  dall'art.  1,  comma  64,
della stessa legge n. 220 del 2010. 
    3.2.1.- Inoltre, l'Avvocatura generale dello  Stato  fa  rilevare
che la ricevitoria non e' estranea  al  processo  di  raccolta  delle
scommesse. Essa svolge attivita'  che  costituiscono  il  presupposto
soggettivo   dell'imposizione.   In   particolare,   essa   mette   a
disposizione locali ed apparecchiature; seleziona gli  scommettitori,
applicando  i  divieti  di  legge  e  accertando  le  condizioni  che
consentono la giocata; stabilisce le modalita' di presidio del  banco
cui affluiscono le scommesse, individuando il personale da impiegare;
trattiene parte delle somme raccolte ed  esercita  un  controllo  del
volume delle scommesse. 
    L'Avvocatura sottolinea, inoltre, che  il  presupposto  oggettivo
per l'applicazione dell'imposta unica e' rappresentato dalla raccolta
delle scommesse.  Cio'  giustificherebbe  pertanto,  in  base  ad  un
ragionevole principio  di  prossimita',  la  tassazione  in  capo  al
soggetto che a cio' provvede. 
    3.2.2.- Quanto alla denunciata  violazione  del  principio  della
capacita' contributiva, l'interveniente evidenzia che il  tributo  in
questione si qualifica come imposta indiretta, che  non  colpisce  il
reddito o il patrimonio dell'operatore (ne' del bookmaker, ne'  della
ricevitoria), bensi' la manifestazione mediata di ricchezza. 
    Allo scopo di garantire l'attuazione del debito e la  sua  pronta
riscossione, la legislazione tributaria e'  solita  imporre  obblighi
fiscali anche a soggetti diversi da quelli cui si riferisce il  fatto
economico posto alla base del prelievo, per attuarlo nel  momento  in
cui la riscossione e' piu' agevole. La posizione di  "anello  finale"
della filiera di raccolta delle scommesse rende la ricevitoria idonea
a  realizzare  queste  finalita',  giustificando  l'attribuzione  del
relativo carico tributario. 
    3.2.3.- L'Avvocatura  generale  dello  Stato  richiama,  inoltre,
l'orientamento della giurisprudenza di merito che  ritiene  legittimi
gli accordi con i bookmakers, volti a consentire alla ricevitoria  di
prelevare l'imposta dalla puntata. D'altra parte, la possibilita' del
bookmaker di  stabilire  le  quote  delle  vincite  consentirebbe  la
traslazione dell'onere  fiscale  sullo  scommettitore.  Anche  queste
considerazioni dimostrerebbero la manifesta infondatezza dei dubbi di
legittimita' costituzionale sollevati, sia in relazione  all'art.  53
Cost., sia in relazione all'art. 3 Cost. 
    3.2.4.- L'Avvocatura rileva, infine, che  la  legge  28  dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'  2016)»,
all'art. l, comma 945, ha  stabilito  che  dal  1°  gennaio  2016  le
scommesse sportive non sono piu' tassate sull'ammontare della singola
giocata, ma sulla differenza  tra  le  somme  giocate  e  le  vincite
pagate. In questo modo l'imposta unica sarebbe  stata  modificata  da
indiretta, sul consumo di ricchezza dello scommettitore,  a  diretta,
sull'esercizio di attivita' economica.  Pertanto,  ora  e'  solo  chi
svolge tale attivita', il bookmaker, a dover pagare il tributo e alle
ricevitorie non sara'  piu'  richiesto  il  pagamento  della  imposta
unica. 
    4.- Nei giudizi iscritti ai nn. 60 e 63  reg.  ord.  2016  si  e'
costituita M.C. G., parte ricorrente nei relativi giudizi  a  quibus,
chiedendo l'accoglimento della questione. 
    Dopo aver illustrato i presupposti di applicabilita' del tributo,
la ricorrente evidenzia che l'imposta unica dovrebbe  essere  oggetto
di rivalsa da parte del soggetto passivo nei confronti del giocatore,
attraverso la determinazione del valore delle  quote  associate  alle
scommesse. 
    Cio' premesso,  la  parte  fornisce  un'ampia  ricostruzione  del
sistema concessorio in materia di scommesse  e  della  giurisprudenza
della Corte di giustizia dell'Unione europea, dalla quale emergerebbe
la portata escludente e  discriminatoria  della  disciplina  italiana
delle gare per il rilascio delle concessioni statali  in  materia  di
giochi pubblici. Cio' avrebbe costretto la parte privata  ad  operare
in modalita' transfrontaliera  e  telematica  dal  proprio  paese  di
residenza, avvalendosi di una  rete  di  ricevitorie.  Queste  ultime
rimarrebbero  completamente  estranee  al   rischio   connesso   alla
scommessa e non avrebbero alcun potere di fissare le quote. Esse  non
avrebbero neppure la possibilita'  di  rivalersi  dell'onere  fiscale
sugli scommettitori, ne' di  ricavare  la  relativa  provvista  dalle
poste di gioco, che rimangono di proprieta' esclusiva del bookmaker. 
    Dopo avere ripercorso i principali arresti  della  giurisprudenza
costituzionale sul principio della capacita' contributiva, la  difesa
di M.C.  G.  deduce  che  esso  sarebbe  violato  dalle  disposizioni
censurate, poiche' sarebbe onerato del  carico  fiscale  un  soggetto
privo della capacita' contributiva individuata quale fatto generatore
del tributo. 
    La parte costituita ritiene, inoltre,  violato  il  principio  di
uguaglianza per essere accomunate, ai  fini  fiscali,  le  situazioni
oggettivamente diverse del bookmaker e della ricevitoria operante per
il bookmaker estero. 
    Inoltre,  si   determinerebbe   un'evidente   sperequazione   fra
ricevitorie operanti per bookmakers "in  concessione"  e  ricevitorie
operanti per bookmakers "fuori concessione". Infatti, mentre le prime
non sono annoverate tra i soggetti passivi dell'imposta,  per  contro
le seconde, pur svolgendo  un'attivita'  identica,  a  partire  dalla
legge n. 220 del 2010, sono divenute  soggetti  passivi  dell'imposta
unica. 
    D'altra parte, anche  dopo  la  disposizione  interpretativa  del
2010, la giurisprudenza avrebbe escluso che l'imposta sulle scommesse
gravi anche sulle ricevitorie operanti per bookmakers in concessione,
affermando, con orientamento costante,  tale  da  costituire  diritto
vivente,  che,  in  presenza  di  concessione,  il  soggetto  passivo
dell'imposta unica deve essere  individuato  sempre  e  soltanto  nel
bookmaker in concessione, e non anche nelle ricevitorie operanti  per
quest'ultimo. 
    Pertanto,  la  violazione  dell'art.  3  Cost.  deriverebbe   sia
dall'equiparazione ai fini fiscali dei CTD operanti per un  bookmaker
estero ai bookmakers concessionari, sia dalla  discriminazione  degli
stessi CTD  rispetto  alle  ricevitorie  operanti  per  i  bookmakers
concessionari. 
    La parte costituita lamenta, inoltre, la violazione del principio
di  ragionevolezza.  Essa  osserva  che,  sebbene   le   disposizioni
censurate trovino la propria ratio nel  sottoporre  a  tassazione  la
ricchezza  manifestata  dai  giocatori  attraverso  il   consumo   di
scommesse, tuttavia esse colpiscono  la  capacita'  contributiva  del
CTD,  anziche'  quella  del   giocatore,   determinando   cosi'   uno
scostamento «tra la regola introdotta e la "causa" normativa  che  la
deve assistere» (e' richiamata la sentenza n. 89 del 1996). 
    Dopo avere illustrato la giurisprudenza costituzionale in tema di
retroattivita' di  leggi  tributarie,  la  parte  privata  ripercorre
l'evoluzione storica della  disciplina  della  soggettivita'  passiva
all'imposta unica. Da cio' emergerebbe come la qualifica  di  gestore
delle scommesse competa a chi effettua l'organizzazione e l'esercizio
delle stesse. Queste attivita' spetterebbero, in via esclusiva,  agli
enti  pubblici  ai  quali  sono  riservate  dalla  legge,  ovvero  ai
bookmakers che abbiano ottenuto la relativa concessione. 
    Tale assetto, risalente al decreto legislativo 14 aprile 1948, n.
496 (Disciplina delle attivita' di giuoco) ed attuato dal  d.P.R.  n.
581 del 1951, risulterebbe poi confermato  dall'art.  3,  comma  229,
della legge 28 dicembre 1995, n.  549  (Misure  di  razionalizzazione
della finanza pubblica), a sua volta attuato dall'art. 1 del  decreto
del Ministro delle finanze 2 giugno 1998, n. 174 (Regolamento recante
norme  per  l'organizzazione  e   l'esercizio   delle   scommesse   a
totalizzatore ed a quota fissa su competizioni  sportive  organizzate
dal CONI, da adottare ai sensi  dell'articolo  3,  comma  230,  della
legge 28 dicembre 1995, n. 549). 
    In linea di continuita' con tale contesto normativo, l'art. 3 del
d.lgs. n. 504 del 1998 ha, dunque, previsto la soggezione all'imposta
unica di «coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi
pronostici e le scommesse». Pertanto, anche per  il  legislatore  del
1998, «gestore» sarebbe chi  opera  «l'organizzazione  e  l'esercizio
delle scommesse»,  sia  che  cio'  avvenga  in  forza  della  riserva
accordata per legge, vale  a  dire  il  Comitato  olimpico  nazionale
italiano (CONI) e l'Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE),
sia che cio' avvenga in base ad un'apposita concessione, vale a  dire
il bookmaker concessionario. Questa  sarebbe  l'impostazione  seguita
anche dai successivi interventi normativi, ed  in  particolare  dalla
circolare del Ministro delle  finanze  27  ottobre  2000,  n.  194/E,
dall'art. 16 del d.m. n. 111 del 2006 e dall'art. 7 dello  schema  di
convenzione di concessione  approvato  con  decreto  direttoriale  27
luglio 2012, prot. n. 2012/34400. 
    Anche la disposizione dell'art. 1, comma 66,  lettera  b),  della
legge n. 220 del 2010 si porrebbe in  linea  di  continuita'  con  la
disciplina della soggettivita' passiva d'imposta prevista dall'art. 3
del d.lgs. n. 504 del 1998, di cui offre l'interpretazione autentica.
L'unico elemento di novita' risiederebbe nella circostanza per cui la
soggettivita' passiva del tributo e' sganciata dalla  titolarita'  di
un valido titolo  concessorio,  rilevando  esclusivamente  l'elemento
della «gestione». In  definitiva,  ad  avviso  della  parte  privata,
almeno sino all'introduzione dell'art. l, comma 66, lettera b), della
legge  n.  220  del  2010,  la  disciplina  dell'imposta  unica   non
contemplava quale  soggetti  passivi  del  tributo  i  prestatori  di
servizi meramente ausiliari  all'attivita'  di  scommesse,  ossia  le
ricevitorie. 
    Ne consegue che la legge n. 220 del  2010  dovrebbe  qualificarsi
come  legge  innovativa  con  efficacia  retroattiva.  Essa   avrebbe
innovato il  quadro  normativo  con  l'introduzione  di  disposizioni
aventi effetti anche su rapporti pregressi rispetto alla  data  della
sua entrata  in  vigore.  Tuttavia  essa  non  risponderebbe  a  quel
criterio di ragionevolezza che si impone  nella  valutazione  di  una
norma retroattiva in materia extrapenale. 
    Nel caso in esame,  l'irragionevolezza  dell'art.  l,  comma  66,
lettera   b),   della   legge   n.   220   del   2010   discenderebbe
dall'inidoneita'  a  perseguire  i  fini  che  esso  si  prefigge   e
dall'incongruita' del bilanciamento con altri valori  costituzionali,
tra i quali il principio di capacita' contributiva, di  cui  all'art.
53 Cost. Tale principio  sarebbe  irrimediabilmente  sacrificato  nel
caso di specie, ove il prelievo, non solo e' operato  a  distanza  di
anni dal momento in cui la capacita' contributiva si e' mostrata,  ma
e' rivolto nei confronti di un soggetto passivo distinto da quello  a
cui essa fa capo. Tale soggetto  passivo  non  aveva  allora,  ne'  a
fortiori avra' ora, alcuna possibilita' di attingere a  quest'ultima,
al fine di soddisfare la pretesa erariale. 
    Sarebbe dunque manifestamente  irragionevole  pretendere  che  il
titolare di ricevitoria, retroattivamente qualificato  come  soggetto
passivo, operi ex post la rivalsa dell'imposta  unica  nei  confronti
dello scommettitore  in  relazione  a  transazioni  che,  al  momento
dell'imposizione, sono ormai concluse da vari anni. In tale  ipotesi,
alla ricevitoria non residuera' altra scelta se  non  quella  di  far
fronte all'onere fiscale impiegando risorse proprie. 
    D'altra parte, ad avviso della parte  privata,  l'assoggettamento
in via retroattiva dei CTD all'imposta unica violerebbe il  legittimo
affidamento che gli stessi hanno riposto sul  contesto  ordinamentale
precedente all'entrata in vigore della legge n.  220  del  2010,  che
riconosceva soltanto al CONI, all'UNIRE e ai bookmakers concessionari
la soggettivita' passiva rispetto all'imposta unica.  A  sostegno  di
tale impostazione, sono richiamati l'art. 16  del  d.m.  n.  111  del
2006, la circolare del Ministero delle Finanze del  25  giugno  1998,
nonche' la sentenza n. 350 del  2007  di  questa  Corte,  laddove  si
afferma che «se la gestione del gioco viene per  legge  attribuita  a
soggetti diversi dal  CONI  e  dall'UNIRE,  sono  i  concessionari  a
doverla pagare». E', infine, richiamata la comunicazione del 7 giugno
2012, n. 2, prot. 763 (Imposta unica sui concorsi pronostici sportivi
e sulle scommesse. Disposizioni interpretative  di  cui  all'art.  1,
comma 66, della legge 13 dicembre 2010, n. 220), con  cui  la  stessa
Agenzia autonoma  dei  monopoli  di  Stato  ha  invitato  gli  uffici
periferici a non applicare sanzioni pecuniarie nei confronti dei  CTD
per le violazioni commesse fino all'entrata in vigore della legge  n.
220 del 2010. 
    5.- Nei giudizi iscritti ai nn. 61 e 62  reg.  ord.  2016  si  e'
costituita la societa' Stanleybet Malta ltd, quale  parte  ricorrente
nei  relativi  giudizi  a  quibus,  chiedendo  l'accoglimento   della
questione. 
    Dopo avere  ripercorso  la  vicenda  che  ha  dato  origine  alla
presente questione, la societa' ricorrente ha illustrato l'evoluzione
della giurisprudenza costituzionale  sul  principio  della  capacita'
contributiva  di  cui  all'art.  53  Cost.,  sottolineando  come   la
struttura dell'imposta unica, avente  natura  di  tributo  indiretto,
colpisca  un  soggetto  diverso  da  quello  che  ha  manifestato  la
capacita' contributiva con l'atto di  consumo  della  scommessa,  nel
presupposto che, attraverso lo strumento della rivalsa, il primo  sia
in grado di traslarne l'onere sul secondo. 
    Viceversa, ad avviso  della  Stanleybet  Malta  ltd,  il  tributo
finirebbe  per  gravare  sul  CTD,  in  mancanza   della   necessaria
corrispondenza  tra  la  manifestazione  di   ricchezza   assunta   a
presupposto del tributo (il consumo delle  scommesse)  e  l'incisione
del patrimonio del debitore d'imposta. Di contro, il tributo dovrebbe
gravare sul bookmaker, unico  soggetto  che  ha  la  possibilita'  di
fissare  il  valore  delle  quote  e,  quindi,  di  traslare  l'onere
tributario sullo scommettitore. 
    Ad avviso della societa' ricorrente, la violazione  dell'art.  53
Cost.  sussisterebbe  anche  se  si  considera  il  bookmaker   quale
coobbligato solidale,  in  posizione  di  garanzia  dell'assolvimento
dell'obbligo tributario, ai sensi  dell'art.  64,  terzo  comma,  del
d.P.R. n. 600 del 1973. Infatti, esso dovrebbe  poi  rivalersene  nei
confronti del CTD,  il  quale  tuttavia  non  possiede  la  capacita'
contributiva e non potrebbe traslare l'onere sullo scommettitore. 
    Con riferimento  alla  denunciata  violazione  del  principio  di
uguaglianza, la  difesa  della  parte  privata  fa  rilevare  che  la
differente natura  dell'attivita'  del  bookmaker  e  di  quella  del
titolare di ricevitoria deriverebbe dalla circostanza che la prima si
qualificherebbe  come  servizio  pubblico  (venendo  percio'   stesso
subordinata al possesso di una concessione), mentre  il  secondo  non
potrebbe qualificarsi come incaricato di un pubblico  servizio  (art.
55, terzo comma, del d.P.R.  n.  581  del  1951).  Pertanto,  la  sua
attivita' sarebbe soggetta al possesso della sola licenza di polizia,
di cui  all'art.  88  del  regio  decreto  18  giugno  1931,  n.  773
(Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). 
    La Stanleybet Malta ltd, inoltre, sottolinea le differenze tra  i
due  soggetti,  sotto  il  profilo  delle  utilita'  ritratte   dalle
rispettive attivita', del rapporto con  la  provvista  versata  dallo
scommettitore e  della  capacita'  contributiva  destinata  a  venire
incisa. Cio' porterebbe ad escludere che la loro equiparazione  sotto
il  profilo  della  soggettivita'  passiva  tributaria  trovi  alcuna
ragionevole giustificazione. 
    D'altra  parte,  l'intervento  legislativo   del   2010   avrebbe
introdotto una  nuova  ingiustificata  sperequazione  fra  bookmakers
"fuori  concessione",  come   quelli   esteri,   e   bookmakers   "in
concessione", ossia i concessionari nazionali. 
    Infatti, la  condizione  dei  ricevitori  operanti  per  i  primi
sarebbe identica a quella di chi operi per conto dei  bookmakers  "in
concessione",  sicche'  l'attribuzione  della  soggettivita'  passiva
tributaria agli uni, ma non agli altri,  non  troverebbe  ragionevole
giustificazione,  risolvendosi  nella  violazione  del  principio  di
uguaglianza. 
    Dopo  avere  richiamato  la  giurisprudenza  costituzionale   sui
principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita',  la  difesa  della
Stanleybet  Malta  ltd  evidenzia,  inoltre,  che  la  finalita'   di
equiparare la  tassazione  delle  scommesse  offerte  dai  bookmakers
nazionali, muniti di concessione, a quella  dei  bookmakers,  per  lo
piu' comunitari, che ne sono  privi,  seppur  in  astratto  idonea  a
giustificare l'estensione dell'ambito applicativo  del  tributo,  non
sarebbe  affatto  realizzata  dall'assetto  dell'imposta   risultante
dall'intervento  normativo  del  2010.   Infatti,   i   titolari   di
concessione sono soggetti all'imposta unica. Il d.m. n. 111 del 2006,
all'art. 16 indica l'allibratore titolare di concessione  come  unico
debitore dell'imposta, prevedendo anche le  modalita'  con  cui  essa
deve venire assolta. Viceversa, i bookmakers privi di concessione che
si  avvalgono  di  ricevitorie  non  sono  assoggettati  al  medesimo
obbligo. Ad essi, infatti, quali obbligati "dipendenti",  l'art.  64,
terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973  attribuisce  il  diritto  di
regresso nei confronti della ricevitoria. 
    L'irragionevolezza della  disposizione  dell'art.  l,  comma  66,
lettera b), della legge n. 220 del 2010 e' ravvisata, oltre  che  sul
piano intrinseco, anche nella prospettiva della  sua  retroattivita'.
Osserva la Stanleybet Malta ltd che,  se  le  norme  denunciate  sono
inidonee a perseguire i fini che si prefiggono, la  compressione  dei
diritti  di   pari   rango   costituzionale   prodotta   dalla   loro
retroattivita' sarebbe doppiamente inaccettabile. 
    La parte costituita evidenzia, infine, un  ulteriore  profilo  di
irragionevolezza. L'art. 4, primo comma, lettera b), numero  3),  del
d.lgs. n. 504 del 1998 commisura  l'aliquota  dell'imposta  unica  al
movimento  netto  dei  dodici  mesi  precedenti,  ossia   al   valore
complessivo delle scommesse a quota fissa giocate in Italia nell'anno
considerato. Le aliquote del tributo  sono  degressive  e  decrescono
inversamente al crescere di cinque fasce di movimento netto. 
    Tale  meccanismo  non  e'  stato  modificato  dalla  disposizione
interpretativa del 2010, che estende la soggettivita' passiva ai CTD.
Per la norma novellata, sono  quindi  divenute  imponibili  anche  le
scommesse offerte  con  modalita'  transfrontaliera,  in  assenza  di
concessione. Anche queste scommesse - riconosciute  dall'ordinamento,
pur trovandosi "fuori sistema" - devono  concorrere  al  computo  del
movimento netto, che e' il  parametro  in  funzione  del  quale  sono
fissate le aliquote. Tuttavia, il movimento  delle  scommesse  "fuori
sistema" non viene rilevato (ne' poteva esserlo)  per  i  periodi  di
imposta antecedenti l'entrata in vigore della legge n. 220 del  2010.
Cionondimeno,   l'imposta   viene   applicata    dall'amministrazione
finanziaria con effetto retroattivo.  Conseguentemente,  le  aliquote
indicate dall'art. 4, comma 1, lettera b), numero 3), del  d.lgs.  n.
504 del 1998  non  rappresentano,  ne'  potevano  rappresentare,  nei
periodi di imposta prima del 2011, il movimento netto reale. 
    Pertanto, i volumi  di  gioco  imponibile  "fuori  sistema"  sono
esclusi  dalla  formazione  del  movimento  netto  che  determina  le
aliquote. Da cio' deriverebbe che l'imposta unica gia' accertata o in
corso di accertamento per il periodo precedente  al  2011,  e'  stata
applicata a tutti i soggetti passivi - ivi compresi  i  concessionari
nazionali operanti nel sistema - con aliquote superiori a quelle  che
avrebbero dovuto applicarsi secondo  la  legge  e  secondo  coerenza,
poiche' per quei periodi i volumi di gioco "fuori sistema"  non  sono
stati aggiunti al movimento netto  ufficiale.  L'impianto  degressivo
dell'imposta unica risulterebbe  cosi'  depotenziato  e  contraddetto
dallo stesso legislatore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  quattro  ordinanze  di  analogo  tenore  letterale,  la
Commissione  tributaria  provinciale  di  Rieti  ha   sollevato,   in
riferimento agli artt.  3  e  53  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 3 e 4, comma 1,  lettera  b),
numero 3), del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino
dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma
dell'articolo 1, comma 2, della legge  3  agosto  1998,  n.  288),  e
dell'art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre  2010,  n.
220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2011)», nella  parte  in
cui, secondo il  diritto  vivente,  prevedono  che  soggetti  passivi
dell'imposta unica sui concorsi pronostici e  sulle  scommesse  siano
anche le ricevitorie operanti come centri di trasmissione dati  (CTD)
per conto di  bookmakers  privi  di  concessione,  ma  che  nondimeno
possano lecitamente raccogliere scommesse sul territorio nazionale. 
    2.- Considerata l'identita' delle questioni sollevate, i  giudizi
devono essere riuniti per una decisione congiunta. 
    3.-  Devono  essere  preliminarmente  esaminati  i  profili   che
attengono all'ammissibilita' delle questioni sollevate. 
    3.1.- In primo luogo,  deve  essere  rilevata  l'inammissibilita'
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  1,
lettera b), numero 3), del d.lgs. n. 504 del 1998. 
    Tale  disposizione,  che  disciplina  il   computo   del   carico
tributario con  la  previsione  di  aliquote  differenziate,  risulta
colpita dalle censure di illegittimita' nel  solo  dispositivo  delle
ordinanze di rimessione. Viceversa, nella motivazione delle ordinanze
e' stata omessa qualsiasi  considerazione  del  contenuto  precettivo
della disposizione in esame. Nessun  accenno  si  rinviene  circa  la
rilevanza della disciplina dell'art. 4 in esame rispetto ai giudizi a
quibus, ne' circa le ipotetiche ragioni di contrasto con i  parametri
costituzionali invocati. Da cio'  consegue  l'inammissibilita'  della
questione. 
    3.1.1.- Argomenti a sostegno della illegittimita' del sistema  di
determinazione delle aliquote, di  cui  all'art.  4,  sono  contenuti
nelle memorie depositate dalle parti private nei giudizi incidentali. 
    A  questo  riguardo,   va   tuttavia   richiamata   la   costante
giurisprudenza  costituzionale  sul  principio   dell'autosufficienza
dell'ordinanza di rinvio, che esclude la possibilita' di ampliare  il
thema decidendum  proposto  dal  rimettente,  fino  a  ricomprendervi
questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto
di   fare   proprie.   L'oggetto   del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale in via incidentale e' limitato alle disposizioni e  ai
parametri  indicati  nelle  ordinanze  di  rimessione;  non  possono,
pertanto, essere presi in considerazione, oltre i  limiti  in  queste
fissati, ulteriori questioni o profili di  costituzionalita'  dedotti
dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia
volti ad ampliare o modificare  successivamente  il  contenuto  delle
stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 251, n. 250, n. 35 e n. 29
del 2017; n. 214 e n. 96 del 2016). 
    3.2.- Non e'  fondata  l'eccezione  -  sollevata  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato  -  di  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  per  insufficiente  descrizione   della
fattispecie oggetto dei giudizi principali. 
    Invero,  nel  censurare  la  soggezione  delle  parti  ricorrenti
all'imposta unica, il rimettente fornisce gli  elementi  necessari  e
sufficienti alla ricostruzione della fattispecie  sottoposta  al  suo
esame, specificando in particolare l'attivita'  svolta  dalle  stesse
parti  ed  integrante  il  presupposto   impositivo.   Riferisce   in
particolare il giudice a quo che esse, sulla base di un contratto  di
ricevitoria con il bookmaker estero, gestiscono un centro di raccolta
delle  scommesse.  Le  stesse  ricevitorie  provvedono,   quindi,   a
trasmettere le scommesse raccolte a Stanleybet e a pagare l'eventuale
vincita. 
    E' altresi' univocamente  indicato  il  titolo  dell'obbligazione
tributaria dedotta in giudizio ed il contenuto della pretesa  fiscale
vantata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli (dovendo attribuirsi
ad un mero errore materiale il riferimento, contenuto in un passaggio
della motivazione, all'Agenzia delle entrate). In  particolare,  tale
pretesa attiene all'imposta unica sulle scommesse per  le  annualita'
2008 (nei giudizi iscritti al r.o. n. 60 e n. 61  del  2016)  e  2009
(nei giudizi iscritti al r.o. n. 62 e 63 del 2016). 
    Le ordinanze di rimessione consentono, dunque, di  enucleare  gli
elementi  necessari  ai  fini  della  preliminare  valutazione  della
rilevanza. 
    3.3.- L'Avvocatura generale dello Stato fa rilevare che la  legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», all'art. l, comma 945, ha stabilito che dal 1°  gennaio  2016
le scommesse sportive non  sono  piu'  tassate  sull'ammontare  della
singola giocata, ma sulla  differenza  tra  le  somme  giocate  e  le
vincite pagate. 
    L'ambito  applicativo  dell'intervento  normativo  in  esame   e'
riferito ai rapporti e ai periodi di imposta successivi al 1° gennaio
2016, mentre i  giudizi  a  quibus  attengono  alla  pretesa  fiscale
relativa alle annualita' 2008 e 2009. In virtu' del principio  tempus
regit actum, la legittimita'  degli  atti  impugnati  nei  giudizi  a
quibus deve essere esaminata con riguardo alla situazione di fatto  e
di diritto esistente al momento della  loro  adozione.  Pertanto,  la
modifica apportata dall'art. l, comma 945, della  legge  n.  208  del
2015 non influisce sulla  rilevanza  delle  questioni  sollevate  dal
rimettente. 
    4.- Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  3  del
d.lgs. n. 504 del 1998, e dell'art. 1, comma 66,  lettera  b),  della
legge n. 220 del 2010 sono fondate, limitatamente alla parte  in  cui
essi si applicano alle annualita' d'imposta precedenti al 2011. 
    4.1.- Il presupposto oggettivo  per  l'applicazione  dell'imposta
unica sulle scommesse e' definito dall'art. 1 del d.lgs. n.  504  del
1998, secondo il quale essa «e' dovuta per i concorsi pronostici e le
scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque  evento,  anche  se
svolto  all'estero».  Tale  previsione  generale   ed   astratta   e'
delimitata dal successivo richiamo al  «rispetto  delle  disposizioni
contenute nell'articolo 24, comma 27, della legge 27  dicembre  1997,
n. 449, e nell'articolo 88 del testo unico delle  leggi  di  pubblica
sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.  773».  Tale
richiamo  contiene  in  se'  il  riferimento  alla  riserva   statale
dell'organizzazione e dell'esercizio di  giuochi  di  abilita'  e  di
concorsi pronostici e al relativo sistema concessorio, istituito  dal
decreto  legislativo  14  aprile  1948,  n.  496  (Disciplina   delle
attivita' di giuoco). 
    Il successivo art. 3, oggetto della presente questione, sin dalla
sua originaria  formulazione,  individua  i  soggetti  passivi  della
stessa imposta in «coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i
concorsi pronostici e le scommesse». 
    La definizione di «gestore» era gia' contenuta nell'art.  23  del
d.P.R. 18 aprile 1951, n. 581 (Norme regolamentari per l'applicazione
e l'esecuzione del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496,  sulla
disciplina  delle  attivita'  di  giuoco),  che  lo  individua  nella
«persona fisica o giuridica che provvede con  propria  organizzazione
allo  svolgimento  delle  operazioni  del  giuoco  o  del  concorso».
L'attivita'   caratteristica   del    «gestore»    consiste    quindi
nell'approntare  gli  strumenti  organizzativi,  anche   tecnologici,
indispensabili per garantire la regolare e  proficua  raccolta  delle
scommesse.  In  linea  di  continuita'  con  tale  impostazione,   il
censurato art. 3 del d.lgs. n.  504  del  1998  ancora  all'esercizio
dell'attivita'  di  gestione  l'ambito  soggettivo  di   applicazione
dell'imposta. 
    Peraltro,  il  tenore  letterale  di  tale  disposizione,  ed  in
particolare l'inclusione dei soggetti che esercitino  tale  attivita'
«anche in concessione», autorizzava a ritenere che,  gia'  nella  sua
originaria versione, precedente alla disposizione interpretativa  del
2010, l'art. 3 in esame  rivolgesse  la  pretesa  impositiva  statale
anche nei confronti degli stessi soggetti operanti al  di  fuori  del
sistema concessorio. 
    Secondo  tale  interpretazione,  fatta  propria   dall'Avvocatura
generale dello Stato, l'applicazione dell'imposta unica  non  sarebbe
stata limitata ai soli soggetti regolarmente  abilitati,  e  cio'  in
coerenza con il principio,  affermato  in  riferimento  alle  imposte
dirette, secondo cui sono soggette a tassazione  anche  le  attivita'
illegali (art. 14, comma 4, della legge 24  dicembre  1993,  n.  537,
recante «Interventi correttivi di finanza pubblica»). 
    Tuttavia, il tenore letterale della disposizione consentiva anche
una diversa interpretazione, nel senso che,  attraverso  il  richiamo
contenuto nell'art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998  al  rispetto  della
concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa  contemplasse
i soli soggetti  operanti  nel  sistema  concessorio  (ad  esclusione
percio' dei  bookmakers  con  sede  all'estero,  sforniti  di  titolo
concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi  si
avvalgono nel territorio italiano). 
    Per il periodo antecedente alla disposizione  interpretativa  del
2010, la  sussistenza  di  tale  incertezza  e'  stata  espressamente
riconosciuta dalla stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato, che
- nella successiva comunicazione del 7 giugno 2012, n. 2,  prot.  763
(Imposta unica sui concorsi pronostici sportivi  e  sulle  scommesse.
Disposizioni interpretative di cui all'art. 1,  comma  66,  legge  13
dicembre 2010, n.  220)  -  ha  ritenuto  applicabile  alle  sanzioni
relative alle annualita' fiscali  sino  al  2011  l'esimente  di  cui
all'art. 6, secondo comma, del decreto legislativo 18 dicembre  1997,
n. 472 (Disposizioni generali in materia di  sanzioni  amministrative
per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma
133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). 
    4.1.1.( Con la disposizione interpretativa dell'art. 1, comma 66,
lettera b), della legge n. 220 del 2010,  il  legislatore  ha  dunque
esplicitato  una  possibile  variante  di  senso  della  disposizione
interpretata, ribadendo, da un lato, che l'imposta  e'  dovuta  anche
nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio  e
stabilendo, altresi', che il generale concetto di "gestione"  include
anche l'attivita' svolta "per conto di terzi", compresi i  bookmakers
con sede all'estero e privi di concessione. 
    Gli obiettivi perseguiti dal  legislatore  con  tale  intervento,
espressamente indicati  dal  precedente  comma  64,  sono  «[...]  di
rendere piu' efficaci ed efficienti l'azione  per  il  contrasto  del
gioco gestito e praticato in forme, modalita' e  termini  diversi  da
quelli propri del gioco lecito e sicuro, in  funzione  del  monopolio
statale in materia di giochi [...], nonche' l'azione  per  la  tutela
dei consumatori, in particolare minori di eta', dell'ordine pubblico,
della lotta  contro  il  gioco  minorile  e  le  infiltrazioni  della
criminalita' organizzata nel settore dei giochi, garantendo  altresi'
maggiore effettivita' al principio di lealta' fiscale nel settore del
gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di
elusione ed evasione fiscali nel medesimo settore». 
    Allo scopo di realizzare tali finalita', il legislatore ha  cosi'
esplicitato  l'obbligo  delle  ricevitorie  operanti  per  conto   di
bookmakers privi di concessione al versamento  del  tributo  e  delle
relative sanzioni. 
    4.2.- Cio' premesso,  l'equiparazione,  ai  fini  tributari,  del
"gestore per conto terzi" (il titolare di  ricevitoria)  al  "gestore
per conto proprio" (il bookmaker) non risulta irragionevole. 
    Infatti, le differenze tra il contributo rispettivamente prestato
dalla ricevitoria e  dal  bookmaker  alla  complessiva  attivita'  di
raccolta  delle  scommesse  non   escludono   affatto   -   ed   anzi
presuppongono - che entrambi i  soggetti  partecipino,  sia  pure  su
piani  diversi  e  secondo  differenti  modalita'   operative,   allo
svolgimento di quell'attivita' di «organizzazione ed esercizio» delle
scommesse sottoposta ad imposizione. 
    Sebbene non partecipi  direttamente  al  rischio  connaturato  al
contratto di scommessa, il  titolare  della  ricevitoria  svolge  una
attivita'  di  «gestione»  attraverso   la   propria   organizzazione
imprenditoriale. Esso assicura la disponibilita' di locali  idonei  e
la  ricezione  della  proposta;  si  occupa  della  trasmissione   al
bookmaker  dell'accettazione  della  scommessa,  dell'incasso  e  del
trasferimento  delle  somme  giocate,  nonche'  del  pagamento  delle
vincite secondo le procedure ed istruzioni fornite dal bookmaker. 
    Tali elementi configurano  quell'attivita'  di  «gestione»  delle
scommesse che costituisce il presupposto dell'imposizione. Nell'ampia
nozione di «gestione» - individuata dal legislatore sin dal d.P.R. n.
581 del 1951 - non risulta  necessariamente  ricompresa  l'assunzione
del rischio  proprio  del  contratto  di  scommessa,  che  grava  sul
bookmaker per  conto  del  quale  opera  il  ricevitore.  L'attivita'
gestoria che costituisce il presupposto dell'imposizione e' riferita,
infatti, alla raccolta delle scommesse, il cui volume determina anche
la provvigione della ricevitoria  e  quindi  il  suo  stesso  rischio
imprenditoriale. 
    4.3.- In  riferimento  al  denunciato  difetto  di  congruita'  e
proporzione  dell'intervento  legislativo  rispetto  alle   finalita'
perseguite,    non    e'    ravvisabile    alcuna    irragionevolezza
nell'assoggettamento ad imposta del ricevitore operante per bookmaker
sfornito di concessione, con conseguente parificazione  dello  stesso
ricevitore al bookmaker concessionario. 
    Come e'  gia'  stato  rilevato  dalla  giurisprudenza  tributaria
consolidatasi  sul  punto,  tale  scelta  legislativa   risponde   ad
un'esigenza di effettivita' del  principio  di  lealta'  fiscale  nel
settore del gioco, allo scopo di  evitare  l'irragionevole  esenzione
per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i  quali
finirebbero per essere favoriti  per  il  solo  fatto  di  non  avere
ottenuto la necessaria concessione, ovvero di operare  per  conto  di
chi ne sia privo. 
    Inoltre, la censura riguardante la parificazione tra  ricevitorie
e  bookmakers  concessionari  non  tiene   conto   della   previsione
dell'obbligazione tributaria gravante  in  solido  sul  soggetto  per
conto del  quale  l'attivita'  e'  esercitata.  La  previsione  della
solidarieta' passiva per  l'assolvimento  dell'imposta  in  esame  e'
contenuta nello stesso art. 1, comma 66, lettera b), della  legge  n.
220 del 2010. 
    D'altra parte, rimane estranea  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale la possibilita' del  bookmaker  di  agire  in  via  di
rivalsa  nei  confronti  del  coobbligato  in  solido.  Nei  rapporti
interni, i coobbligati in solido  rimangono  liberi  di  regolare  il
riparto dell'onere tributario che il legislatore, con  la  previsione
del vincolo della solidarieta' passiva, pone a carico di entrambi. 
    4.4.- Quanto  alla  denunciata  violazione  del  principio  della
capacita' contributiva,  la  scelta  di  assoggettare  all'imposta  i
titolari delle ricevitorie operanti per conto di  soggetti  privi  di
concessione tiene conto della circostanza  che  il  rapporto  tra  il
titolare della ricevitoria che  agisce  per  conto  di  terzi  ed  il
bookmaker e' disciplinato da un contratto dal quale sono regolate  le
stesse commissioni  dovute  al  titolare  della  ricevitoria  per  il
servizio  prestato.  Attraverso  la   regolazione   negoziale   delle
commissioni, il titolare della  ricevitoria  ha  la  possibilita'  di
trasferire il carico tributario sul bookmaker  per  conto  del  quale
opera. D'altra parte, le commissioni a lui  dovute  rappresentano  un
elemento  di  costo  che  necessariamente  entra  far   parte   delle
valutazioni economiche dello stesso bookmaker,  il  quale  ne  terra'
conto nella determinazione delle quote e, quindi, dell'importo che lo
scommettitore deve corrispondere per la scommessa. 
    Con riferimento ai rapporti successivi al 2011, ossia  alla  data
di entrata in vigore della disposizione interpretativa  dell'art.  1,
comma  66,  lettera  b),  non  sussiste,  pertanto,   la   denunciata
impossibilita' di traslazione  dell'imposta  da  parte  del  titolare
della ricevitoria. Ne consegue  la  non  fondatezza  della  questione
relativa alla denunciata violazione dell'art. 53 Cost. 
    4.5.-  Tali  argomenti  non  sono  replicabili  con   riferimento
all'applicazione della disciplina in esame  alle  annualita'  fiscali
antecedenti all'entrata in vigore della disciplina interpretativa del
2010. 
    In mancanza di una regolazione degli  effetti  transitori  ed  in
considerazione della portata interpretativa dell'art.  1,  comma  66,
lettera b), della  legge  n.  220  del  2010,  tale  disposizione  e'
destinata ad applicarsi  anche  ai  rapporti  negoziali  perfezionati
prima della sua  entrata  in  vigore.  Tuttavia,  rispetto  a  questa
categoria  di  rapporti  non   puo'   aver   luogo   la   traslazione
dell'imposta,  giacche'  l'entita'  delle  commissioni  pattuite  fra
ricevitore e bookmaker si era  gia'  cristallizzata  sulla  base  del
quadro regolatorio, anche sotto  il  profilo  tributario,  precedente
alla legge n. 220 del 2010. 
    La stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato ha dimostrato di
rendersene conto con la ricordata comunicazione 7 giugno 2012, n.  2,
prot.  n.   763,   che,   con   espresso   riferimento   all'apparato
sanzionatorio  relativo  all'imposta  in   esame,   ha   riconosciuto
l'applicabilita' dell'esimente di cui all'art. 6, secondo comma,  del
d.lgs. n. 472 del 1997. 
    In ragione dell'impossibilita' per  le  ricevitorie  di  traslare
l'imposta per gli esercizi anteriori al 2011, l'applicazione di  essa
nei loro confronti viola l'art. 53 Cost. 
    Deve essere pertanto dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 3 del d.lgs. n. 504 del  1998  e  dell'art.  1,  comma  66,
lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella parte in cui prevedono
che - anche nelle annualita' d'imposta precedenti al 2011 -  soggetti
passivi dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle  scommesse
siano le ricevitorie  operanti  per  conto  di  bookmakers  privi  di
concessione. 
    4.6.- Restano assorbiti gli ulteriori profili  di  illegittimita'
costituzionale denunciati dal giudice rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3  del
decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504  (Riordino  dell'imposta
unica  sui  concorsi  pronostici   e   sulle   scommesse,   a   norma
dell'articolo 1, comma 2, della  legge  3  agosto  1998,  n.  288)  e
dell'art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre  2010,  n.
220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2011)», nella  parte  in
cui prevedono che - nelle annualita' d'imposta precedenti al  2011  -
siano assoggettate all'imposta unica sui concorsi pronostici e  sulle
scommesse le ricevitorie operanti per  conto  di  soggetti  privi  di
concessione. 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma  1,  lettera  b),  numero  3),  del
d.lgs. n. 504 del 1998, sollevata, in riferimento agli artt. 3  e  53
Cost., dalla Commissione  tributaria  provinciale  di  Rieti  con  le
ordinanze indicate in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e dell'art.  1,
comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella parte in cui
prevedono che - nelle annualita' d'imposta successive al 2011 - siano
assoggettate  all'imposta  unica  sui  concorsi  pronostici  e  sulle
scommesse le ricevitorie operanti per  conto  di  soggetti  privi  di
concessione, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla
Commissione tributaria provinciale di Rieti con le ordinanze indicate
in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA