N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 febbraio 2018

Ordinanza del 19 febbraio 2018 del Tribunale di Vercelli sul  ricorso
proposto da B. A.. 
 
Capacita' giuridica e  di  agire  -  Amministrazione  di  sostegno  -
  Capacita'  di  donare  -  Donazione,  con  le   forme   abilitative
  richieste, da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno
  - Mancata previsione. 
- Codice civile, art. 774, primo comma. 
(GU n.17 del 26-4-2018 )
 
                        TRIBUNALE DI VERCELLI 
                         Il Giudice Tutelare 
 
    In persona del Magistrato dott. Carlo Bianconi, 
    pronunciando  a  scioglimento  della  riserva  assunta  all'esito
dell'udienza del 23 gennaio 2018; 
    letti gli atti della procedura  di  amministrazione  di  sostegno
nell'interesse di A.  B.,,  nata  a.....  il...,  ivi  residente,  ma
dimorante in... presso la struttura; 
    letta   l'istanza   depositata   in   data   1°   dicembre   2017
dall'amministratore di sostegno, P. B., sorella della beneficiaria, e
volta ad ottenere l'autorizzazione del  Giudice  tutelare  in  ordine
alla richiesta di «porre  in  essere  in  favore  di  C.  F.,  figlia
dell'amministrata,  una  donazione  di  modico  valore,  tramite   la
corresponsione della somma di euro 10.000,00»; 
    Osserva quanto segue. 
    Questo Giudice tutelare, letta l'istanza e  svolta  l'istruttoria
di rito, dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  774,
comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che  siano
consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte
dei beneficiari di amministrazione di sostegno. 
 
                              Il fatto 
 
    Il Tribunale di Casale Monferrato (oggi accorpato all'ufficio  in
intestazione), in data 8 novembre 2006  ed  in  persona  del  Giudice
tutelare, disponeva l'apertura della amministrazione  di  sostegno  a
tempo indeterminato in favore della beneficiaria A. B. 
    Osservava  come  la  medesima,  «in   seguito   a   sanguinamento
intracranico - E.S.A. con  inondamento  ventricolare  del  13  agosto
2006, attualmente alterna momenti di vigilanza a momenti  di  sapore,
esegue ordini,  accenna  a  risposte  verbali  e  presenta  movimenti
spontanei, cosi' da essere impossibilitata  a  provvedere  ai  propri
interessi, necessitando di assistenza». 
    Nominava all'Ufficio la di lei sorella, P. B. 
    Conferiva alla medesima il potere di «compiere tutti gli atti  di
ordinaria e straordinaria amministrazione, previa autorizzazione  del
Giudice Tutelare per  questi  ultimi,  in  nome  e  per  conto  della
beneficiaria; di occuparsi  della  gestione  del  c/c  n.  presso  la
Banca... filiale di... e del n.... presso  la  Banca  intestati  alla
beneficiaria; nonche' compiere tutti gli atti necessari ed  opportuni
per la tutela della salute della beneficiaria». 
    Prevedeva quindi un obbligo di relazione annuale sulle condizioni
di vita personale e sociale, oltre che sull'attivita' svolta. 
    Con istanza del 1° dicembre 2017, sulla quale questo  Giudice  e'
oggi chiamato a provvedere, l'ADS, assistito dall'Avv.  Maria  Grazia
Strami Ferrini del Foro di Vercelli, esponeva che: 
    il saldo attivo del  conto  corrente  della  beneficiaria  acceso
presso la (odierna) B. I.,  fosse  pari  ad  €...  alla  data  del  3
novembre 2017; 
    la beneficiaria fosse altresi'  titolare  di  un  conto  deposito
titoli del valore di €... alla medesima data; 
    la beneficiaria avesse due figli  maggiorenni  ed  economicamente
indipendenti, M. C. e F. C.; 
    l'amministratore di sostegno, su suggerimento della figlia  della
beneficiaria e facendosi interprete della  volonta'  di  quest'ultima
(«che mai negherebbe, potendolo fare, un aiuto  economico  ai  propri
figli») , avesse in animo di corrispondere alla figlia  medesima,  in
procinto di sposarsi «nel corso del 2018», «una somma che le consenta
di  far  fronte  alle  proprie  necessita',  senza  con  cio'   voler
condizionare la liberalita' alla celebrazione del matrimonio»; 
    la  somma  «opportuna  allo  scopo  sopra  prefigurato»  dovrebbe
calcolarsi in €...; 
    la medesima  somma  andrebbe  «messa  a  riserva»  nell'interesse
dell'altro figlio della beneficiaria; 
    tale(i) esborso(i) sarebbe(ro) sostenibile(i) dalla beneficiaria,
in ragione della capienza del suo patrimonio; essi rappresenterebbero
altresi' donazioni di valore modico ex art. 783  del  codice  civile,
con  conseguente  superfluita'  di  forme  sacramentali,   ferma   la
necessita' di traditio; 
    l'amministratore di sostegno argomentava, in  punto  di  diritto,
circa la possibilita', per  un  beneficiario  di  amministrazione  di
sostegno, di effettuare donazioni; 
    questi, infatti, seppur limitato  nell'autonomia  negoziale,  non
diverrebbe    mai     formalmente     incapace,     non     essendoci
nell'amministrazione di sostegno pronuncia costitutiva, al  contrario
di quanto avviene nell'interdizione e nell'inabilitazione; 
    scopo  della  misura  in  parola  e'  quello  di  permettere   al
beneficiario di superare le limitazioni che questo incontri, a  causa
della  patologia,  per  soddisfare  appieno  le   sue   esigenze   ed
aspirazioni, che, altrimenti,  verrebbero  frustrate;  cio'  dovrebbe
avvenire con l'assistenza dell'amministratore,  o  anche  in  via  di
sostituzione, ferma restando  la  necessita'  di  ottenere  specifica
autorizzazione giudiziale per quegli atti, tra  cui  rientrerebbe  la
donazione, previsti dagli articoli 374 e 375 del codice civile. 
    Concludeva quindi con la richiesta di cui all'epigrafe, volta  ad
autorizzare l'Ads, in via di sostituzione e nell'interesse, in nome e
per conto della beneficiaria, a «porre in essere in favore di C.  F.,
figlia dell'amministrata, una donazione di modico valore, tramite  la
corresponsione della somma di euro...». 
    Il Giudice  scrivente  fissava  l'udienza  23  gennaio  2018  per
sentire le parti interessate. 
    In tale sede, l'Ads si riportava alla istanza in atti. 
    La  beneficiaria,  presentatasi  a  bordo  di   una   carrozzina,
dichiarava: 
    di andare d'accordo con la sorella, Ads, e con i figli, oltre che
con il compagno della figlia, futuro genero; 
    di essere molto contenta del progetto matrimoniale della figlia; 
    di non ricordare la data fissata per le nozze; 
    di voler fare  alla  figlia  «un  bel  regalo»,  che  fosse  «una
sorpresa» [tant'e' che il Giudice scrivente invitava la figlia  della
beneficiaria ad uscire momentaneamente dall'aula], e che  consistesse
in un «aiuto economico»; 
    di non avere una idea precisa della cifra da col  rispondere,  ma
che le piacerebbe che con i soldi la  figlia  potesse  «comprare  una
cucina»; 
    di avere riflettuto sul fatto di avere  un  altro  figlio  e  che
«bisogna fare uguale»; 
    concludeva «l'esame» proferendo la frase «so perche'  siamo  qua,
non e' stato un disturbo per me venire, era  per  fare  un  regalo  e
contribuire al matrimonio di mia figlia». 
    Gli altri presenti, ossia i due figli, confermavano la genuinita'
degli intendimenti della beneficiaria, e chiedevano  autorizzarsi  il
negozio; la figlia, in particolare, si diceva «emozionata  dal  gesto
della mamma». 
    Il Giudice scrivente si riservava  per  la  decisione,  invitando
contestualmente l'Ads a depositare la relazione  annuale,  contenente
rendiconto economico, per l'anno 2017. 
    L'Ads provvedeva in data 30 gennaio 2018. 
    Dalla relazione emergeva come alla data del 31 dicembre  2017  la
beneficiaria  fosse  ancora  afflitta  dai   postumi   di   emorragia
subaracnoidea con rottura di aneurisma cerebrale, con  necessita'  di
assistenza continuativa. 
    Dal rendiconto emergeva come alla data del 31 dicembre  2017,  il
compendio patrimoniale della beneficiaria constasse di  €...  (quanto
al saldo attivo del conto corrente), di €... (quanto al  controvalore
degli investimenti mobiliari), di €...  (quanto  alla  liquidita'  di
cassa),  e  come  esso  fosse  da  sempre  privo  di  altri   cespiti
immobiliari e mobiliari. 
Quadro normativo 
    La decisione sull'istanza sconta la  preliminare  difficolta'  di
dirimere la questione  in  ordine  alla  ammissibilita',  nel  nostro
ordinamento,  di  una  donazione  posta   essere   da   un   soggetto
beneficiario di amministrazione di sostegno. 
    La fattispecie non e'  disciplinata  espressamente  da  norme  di
diritto positivo. 
    Essa non e' stata  fatta  oggetto  di  pronunce  della  Corte  di
Cassazione. 
    L'argomento e' stato, ad  oggi,  unicamente  affrontato  in  sede
dottrinale e dal a  giurisprudenza  di  merito  che  si  citera'  nel
prosieguo. 
    L'art. 774, comma 1, del codice civile prevede che  «non  possono
fare donazioni coloro che non hanno la piena  capacita'  di  disporre
dei propri beni». 
    Eccezioni a tale regola sono previste dal secondo  periodo  della
norma, con riferimento ai minori ed agli inabilitati, in relazione al
loro contratto di  matrimonio;  medesime  regole  ed  eccezioni  sono
previste per  i  minori  emancipati  ed  abilitati  all'esercizio  di
impresa  commerciale  dal  secondo  comma  della   norma.   Ulteriore
eccezione e' prevista dal secondo  comma  dell'art.  777  del  codice
civile, a mente del quale sono consentite, con le  forme  abilitative
richieste,  le  liberalita'  in  occasione  di  nozze  a  favore  dei
discendenti dell'interdetto o dell'inabilitato. 
    L'art. 776, dal canto suo, non prevede una eccezione alla  regola
generale,  ma  fissa  piuttosto,  sul  piano  della  disciplina,  una
presunzione juris et de jure circa la annullabilita' delle  donazioni
fatte dall'inabilitando (poi inabilitato), in epoca prossima o  coeva
alla celebrazione del giudizio di inabilitazione. 
    Per i beneficiari di  amministrazione  di  sostegno,  dunque,  la
norma di diritto positivo applicabile e', e resta, l'art. 774,  comma
1, del codice civile. 
    La soluzione della questione, dunque, passa attraverso il  vaglio
interpretativo della questione se i medesimi  abbiano,  o  meno,  una
«piena capacita' di disporre dei propri beni». 
    Parte della dottrina,  e  della  giurisprudenza  di  merito  (cui
aderisce l'Ads oggi istante), ritiene di dare soluzione  positiva  al
quesito. 
    Si ricorda in particolare  una  pronuncia  del  Giudice  tutelare
presso il Tribunale di La Spezia (decreto 1° ottobre  2010,  in  NGCC
2011 parte prima, pagg. 77 e sgg.), secondo il quale, in sintesi: 
      il beneficiario di amministrazione di' sostegno, se  pure  puo'
venire limitato nella  sua  autonomia  negoziale,  non  di  meno  non
diviene  mai  formalmente  incapace  (non   si   pronunzia   sentenza
costitutiva di limitazione totale o parziale della capacita'); 
      devesi  ritenere  che   sicuramente   nell'amministrazione   di
sostegno il beneficiario possa liberamente fare donazione, salvo  che
il giudice ritenga di dover inserire nel  decreto  la  limitazione  a
tale facolta', ex art. 411, comma 4 del codice civile; 
      cio' sulla base dello spirito e della impostazione della  legge
n.  6/2004;  in   tale   ottica,   devono   privilegiarsi   soluzioni
ermeneutiche  che  conservino  facolta'   e   poteri   in   capo   al
beneficiario, laddove non vi siano divieti di legge o limitazioni  ex
decreto del Giudice; 
      non  pare  decisivo  obiettare  che  la   donazione   e'   atto
personalissimo, che non ammette sostituzione, posto che viene ammessa
amministrazione sostitutiva per certi  atti  personalissimi  (ad  es.
rilasciare il consenso informato). 
    Questo Giudice rimettente non condivide pienamente i  presupposti
della decisione appena riportata. 
    Dal punto di vista esegetico, e' infatti discutibile partire  dal
presupposto che la «piena capacita' di disporre dei propri beni»,  di
cui parla la norma oggetto  di  rilievo,  coincida  in  toto  con  la
capacita' di agire, normalmente intesa come la capacita' di  compiere
atti giuridici, tali da incidere sul piano personale e patrimoniale. 
    Essa,  semmai,  ne  rappresenta  una  specificazione   ulteriore,
dettata dall'obiettivo della massima tutela patrimoniale di colui  il
quale, per le piu' varie  ragioni,  non  sia  in  grado  di  rendersi
pienamente conto della portata dell'atto dispositivo. 
    Caso emblematico  e'  quello  rappresentato  dalla  summenzionata
categoria dei minori emancipati abilitati  all'esercizio  di  impresa
commerciale;  tale  categoria  di   soggetti   disparte   i   rilievo
dell'esiguo  novero  di  essi),  dal  punto  di  vista  normativa   e
pienamente capace di agire: cio' e' affermato a  chiare  lettere  dal
combinato disposto degli articoli 394,  comma  1  del  codice  civile
(quanto alla ordinaria amministrazione patrimoniale) e 397, u.c., del
codice   civile   (quanto    alla    straordinaria    amministrazione
patrimoniale, anche esulante dall'esercizio della impresa). 
    Nondimeno, essi non sono ammessi a donare, se non in riguardo del
loro contratto di matrimonio: non avrebbe altrimenti senso la lettera
dell'art. 774, comma 2, del codice civile. 
    I concetti di piena capacita' di  disposizione  dei  beni,  e  di
piena capacita' di agire, dunque, per il Legislatore, sembrano  avere
una  diversa  estensione  applicativa:  in  particolare,  la  integra
capacita' di agire  rappresenterebbe  un  quid  minus  rispetto  alla
pienezza della capacita' dispositiva. 
    In ogni caso, anche a voler ritenere coincidenti  tali  concetti,
neppure convince la interpretazione - invero invalsa in Dottrina e in
parte  della  giurisprudenza  -  secondo  cui  il   beneficiario   di
amministrazione di sostegno «mai diverrebbe formalmente incapace». 
    Ritiene chi scrive che una ablazione, anche parziale,  e  financo
minima, della capacita' di agire del beneficiario costituisca infatti
indefettibile risultato della applicazione della misura di protezione
in parola. 
    Cio', in primis, per ragioni letterali. 
    L'art. 1, legge n. 6/2004, istitutiva della  ammninistrazione  di
sostegno, nel disporre che «La presente  legge  ha  la  finalita'  di
tutelare, con la minore  limitazione  possibile  della  capacita'  di
agire, le persone prive in tutto o  in  parte  di  autonomia  [...]»,
implicitamente afferma come una limitazione della predetta capacita',
per  quanto   minima,   necessariamente   consegua   all'applicazione
dell'istituto. 
    Ma l'assunto e' asseverato con ancora  maggiore  chiarezza  dalla
lettura del combinato disposto degli articoli 405, comma  5,  nr.  3)
4), del codice civile da un lato e dell'art. 409, comma 1, del codice
civile, dall'altro. 
    Le  prime  due  norme  impongono,  quale   contenuto   necessario
(peraltro  implicitamente  alternativo)  del   decreto   di   nomina,
l'indicazione: i) degli atti che l'Ads ha il potere  di  compiere  in
nome e per conto del beneficiario; ii) degli atti che il beneficiario
puo' compiere solo con l'assistenza dell'Ads. 
    Tratteggiano,  in  altre  parole,  le  fattispecie   generalmente
descritte   in   termini   di   amministrazione    sostitutiva    con
rappresentanza esclusiva dell'Ads (prima norma), e di amministrazione
concorrente in assistenza (seconda norma). 
    L'art.  409,  comma  1,  del  codice  civile,  dall'altro   lato,
espressamente prevede che «il beneficiario conserva la  capacita'  di
agire per  tutti  gli  atti  che  non  richiedono  la  rappresentanza
esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno». 
    E' evidente, dal punto di vista letterale, ancor prima che  sotto
un profilo logico, che se la  previsione  di  atti  da  compiersi  in
rappresentanza  o  in  assistenza   integri   parte   del   contenuto
indefettibile del decreto;  e  che  se  solo  in  relazione  ad  ogni
attivita'  diversa  dalle  predette  il  beneficiario   conserva   la
capacita' di agire; allora il  beneficiario  subisce  immancabilmente
una deminutio della sua capacita', per il  solo  fatto  dell'apertura
della misura. 
    A tale conclusione, peraltro,  si  arriva  anche  attraverso  una
interpretazione di ordine sistematico. 
    E'  infatti  irrazionale  ipotizzare  un   controllo   giudiziale
sull'operato di un Ads incaricato di assistere un  soggetto  in  toto
capace di agire (basterebbe, a tal fine, la stipula  di  un  mandato,
con esercizio  in  capo  al  mandante,  dei  poteri  di  controllo  e
supervisione di cui agli articoli 1712 e  1713  del  codice  civile):
ne', proprio per tale  motivo  l'assistenza  di  cui  sopra  potrebbe
giammai essere ricostruita in termini,  del  tutto  indefinibili,  di
consiglio, blandizia, suggerimento, conforto, pena lo svuotamento del
contenuto del munus conferito, e la  sua  insindacabilita'  de  facto
(con concreta inapplicabilita', tra le altre, delle norme di cui agli
articoli 343 del codice civile; 405, comma 5, n. 6 del codice civile,
44 disp. att. del codice civile, etc.). 
    Molto piu' corretto appare invece  tratteggiare  l'assistenza  in
termini di compartecipazione riscontrabile dell'Ads al compimento  di
negozi giuridici apprezzabili nella loro  essenza  ed  esistenza,  ed
altrimenti invalidi (ex art. 412 del codice civile). 
    Si pensi, in via di esempio, alla sottoscrizione  congiuntiva  di
un negozio o di una procura ad  litem,  alla  costituzione  congiunta
innanzi ad un Notaio all'atto di una stipula,  alla  compresenza  dei
medesimi ad un'udienza, e cosi via: non senza osservare, una volta di
piu', come tali ipotesi lumeggino ictu oculi una  parziale  ablazione
della capacita' di agire in capo al soggetto protetto. 
    E vi e' di piu'. 
    Secondo la generalita' degli interpreti, l'art. 411, comma 1, del
codice civile - norma che estende, in quanto compatibili, determinate
disposizioni dettate in materia di tutela all'istituto in discorso  -
costituisce anche essa previsione di applicazione necessaria. 
    Cio' che rileverebbe, in particolare, e'  il  richiamo  dell'art.
375 del  codice  civile,  in  base  al  quale  e'  sempre  necessaria
autorizzazione giudiziale per il compimento di  atti  dispositivi  di
straordinaria  amministrazione  (ad  esempio,  per  l'alienazione  di
beni). 
    Orbene,  se  tale  interpretazione   fosse   corretta,   dovrebbe
ritenersi che il Giudice tutelare giammai potrebbe disporre, in  capo
al  beneficiario,  il  permanere  di  una  capacita'  di  agire   con
riferimento agli atti di amministrazione straordinaria (ed in ispecie
degli atti di alienazione dei beni). 
    La clausola di compatibilita', in tale ottica, riguarderebbe  non
tanto  la  disponibilita',  in  capo  al  Giudice,  del   potere   di
deferimento o  meno  dei  relativi  poteri  (e  dell'emissione  delle
relative autorizzazioni, a seguito delle istanze), quanto semmai,  la
necessita' di coordinamento - per lo piu'  letterale  -  delle  norme
dettate in materia di tutela dei minori con quelle che riguardano  il
beneficiario di amministrazione di sostegno. 
    Infine, non possono essere sopravvalutate le  previsioni  di  cui
all'art. 411, commi 2 e 3, del codice civile. 
    Il comma 2 della norma, nel rinviare al disposto di cui  all'art.
779 del codice civile, non fa che estendere alla donazione effettuata
da  parte  del  gia'  beneficiario  di  amministrazione  di  sostegno
(quindi, ad un soggetto capace) una ipotesi di nullita' prevista  per
chi, gia' minore o interdetto, sia in seguito divenuto maggiorenne  o
abbia ottenuto la revoca della interdizione. 
    Il comma 3 della  norma,  accostando  la  fattispecie  a  quella,
analoga,  delle  disposizioni  testamentarie,  volutamente  evita  di
menzionare la donazione, e parla genericamente di «convenzioni»,  con
cio' avvalorando l'idea che il  Legislatore  abbia  inteso  escludere
l'ipotesi del beneficiario donante. 
    Tutte  le  considerazioni  appena  svolte  inducono  a  ritenere,
sillogisticamente, che: 
      alla apertura  di  una  amministrazione  di  sostegno  consegue
necessariamente la privazione, anche  solo  minima,  ma  inevitabile,
della capacita' di agire del beneficiario; 
      ad essa consegue  altresi'  la  necessita'  di  prevedere  come
necessaria l'autorizzazione giudiziale per il compimento di  atti  di
straordinaria amministrazione, ivi compresi quelli dispositivi; 
      la piena capacita' di  disporre  dei  propri  beni  costituisce
corollario,  e  forse  addirittura  un  quid  pluris,   rispetto   al
mantenimento di una integra capacita' di agire, che deve presupporsi; 
      il beneficiario di amministrazione di  sostegno  non  puo'  per
definizione dirsi titolare di  una  integra  capacita'  di  agire,  e
dunque, della piena capacita' di disporre dei propri beni; 
      egli non puo' quindi effettuare donazioni. 
    Interpretazioni    diverse    delle    norme    appena    citate,
contrasterebbero,  a  parere  di  chi  scrive,  con  il   significato
letterale delle stesse, e costituirebbero una operazione  ermeneutica
in palese violazione  del  disposto  dell'art.  12,  comma  1,  delle
Preleggi. 
    Tutto cio' premesso, questo Giudice,  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 774, comma 1, del codice civile, nella parte
in cui non prevede che siano consentite,  con  le  forme  abilitative
richieste, le donazioni da parte dei beneficiari  di  amministrazione
di sostegno, per i seguenti motivi. 
Premesse sistematiche. 
    Sulla base di quanto appena esposto, si ritiene che per il nostro
Ordinamento giuridico non possa affermarsi  la  possibilita',  per  i
beneficiari di amministrazione  di  sostegno,  di  effettuare  valide
donazioni, neppure per il tramite dell'amministratore di sostegno. 
    Tale  interpretazione  deriva  dall'univoco  tenore  della  norma
oggetto di rilievo costituzionale (naturalmente scrutinata alla  luce
delle altre norme succitate), ed impone a questo Giudice - una  volta
rilevato il contrasto  nei  termini  di  cui  infra  -  di  sollevare
l'incidente di costituzionalita' della stessa (cfr. Sent. Cort. Cost.
nn. 26/2010; 36/2016; 258/2017). 
    Quanto alla  legittimazione  del  Giudice  tutelare  a  sollevare
questioni di legittimita' costituzionale, si richiamano, solo tra  le
ultime ed in un solco costante, le sentenze nn. 44/2005 e 258/2017. 
    Di seguito si andranno ad esporre le considerazioni  del  giudice
scrivente in ordine  parametri  costituzionali  rilevanti,  alla  non
manifesta infondatezza della questione, ed alla sua rilevanza. 
I parametri. 
    Ritenere che i beneficiari di  amministrazione  di  sostegno  non
possano porre in  essere  valide  donazioni,  neppure  con  le  forme
abilitative  previste  dal  panorama  normativo,  confligge  con  gli
articoli 2 e 3, primo e secondo comma, della Costituzione. 
    Non si intende denunciare l'illegittimita'  costituzionale  della
norma per violazione del diritto internazionale (interposto  ex  art.
117, comma 1, Cost.), per ragioni di liquidita' della decisione,  che
si  ritiene  potra'  essere  assorbita   dalle   considerazioni   che
seguiranno. 
    In relazione dunque  ai  parametri,  oggetto  di  indicazione  in
questa sede, come recentemente affermato  dalla  Consulta  (sent.  n.
258/2017, punto 8): 
      l'art. 2  della  Carta  pone  al  vertice  dell'ordinamento  la
dignita' ed il valore della persona; 
      tale precetto non puo' essere disgiunto dell'art. 3,  comma  2,
della Carta, che affida alla Repubblica il compito di  rimuovere  gli
ostacoli di ordine sociale che impediscono il  pieno  sviluppo  della
persona; 
      la norma teste' citata si collega al primo  comma  dell'art.  3
della Carta, che garantisce il principio di eguaglianza a prescindere
dalle condizioni personali; 
      tra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza, si pone
indubbiamente la condizione di disabilita', o di infermita'; 
      la rimozione delle diseguaglianze derivanti  da  disabilita'  o
infermita' e' compito promozionale dei pubblici poteri, costantemente
assolto  dal  Legislatore  nei   piu'   vari   ambiti,   dal   lavoro
all'istruzione. 
 
                    La non manifesta infondatezza 
 
    Seguendo il pienamente  condivisibile  insegnamento  della  Corte
costituzionale, questo Giudice ritiene non  manifestamente  infondata
la questione oggi sollevata. 
    Deve premettersi, come ovvio, che le norme costituzionali  appena
ricordate, ed in particolare l'art. 3 della Carta, non intendono, del
tutto utopicamente, uniformare in maniera acritica il trattamento  di
ogni cittadino (recte individuo) innanzi alla legge. 
    Esse, al contrario, ammettono una disparita' di  trattamento  dei
medesimi, ma solo al ricorrere del  requisito  della  ragionevolezza,
aspetto sul quale da sempre si sublima il potere di  scrutinio  della
Consulta sulle scelte, altrimenti insindacabili, del Legislatore. 
    Attraverso tale giudizio (oggi sempre piu' «intrinseco», e quindi
slegato  dalla  necessita'  di   individuazione   del   cd.   tertium
comparationis),  infatti,  la  Corte  e'  ammessa   a   valutare   la
proporzionalita' delle  scelte  del  Legislatore  in  relazione  agli
obiettivi perseguiti e la correttezza nel bilanciamento di  interessi
costituzionalmente tutelati. 
    Orbene, a parere di questo Giudice,  la  scelta  del  Legislatore
(del 2004) di  non  prevedere,  attraverso  la  armonizzazione  della
disciplina positiva, la  possibilita',  in  capo  ai  beneficiari  di
amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni,  neppure
per il tramite o con l'ausilio del soggetto incaricato  di  garantire
loro protezione e con le ulteriori cautele, si appalesa evidentemente
irragionevole, tanto intrinsecamente, quanto in  riferimento  a  casi
analoghi. 
    Sotto il primo profilo, non possono non richiamarsi, dandoli  per
notori, lo spirito e la impostazione della legge n. 6/2004. 
    Se la legge sull'amministrazione di sostegno ha la  finalita'  di
tutelare  le  persone  prive  in  tutto  o  in  parte  di  autonomia,
approntando interventi di sostegno, e limitando  al  minimo  la  loro
capacita' di agire, non vi e' chi non veda come l'inibizione  sic  et
simpliciter della capacita' di donare ad altro risultato non conduca,
se non a quello di una profonda mortificazione di questi soggetti. 
    Molto  piu'  congruo  sarebbe  stato  circondare  tale  capacita'
(mantenendola viva) di opportuni presidi e cautele,  come  d'altronde
previsto per gli atti di straordinaria  amministrazione  patrimoniale
in generale. 
    La norma oggetto di rilievo in questa sede, inoltre,  svuoterebbe
completamente di contenuto (in questa materia) il disposto  dell'art.
410 del  codice  civile  -  vera  norma  «cardine»  dell'istituto  in
discorso - secondo cui l'amministratore di sostegno, nell'adempimento
dell'incarico, deve tenere conto dei desideri,  delle  aspirazioni  e
dei bisogni del beneficiario. 
    Ne' si dica che di tali bisogni,  desideri  ed  aspirazioni,  per
l'appunto, si debba solo tenere  conto,  e  non  certo  assecondarli,
perche' tale rilievo e' scontato, ed il problema consiste appunto nel
fatto che, in tema di donazioni del beneficiario,  de  jure  condito,
tali  esigenze  neppure  potrebbero,  a  monte,   essere   prese   in
considerazione. 
    Un argomento suggestivo  che  potrebbe  far  propendere  per  una
interpretazione costituzionalmente orientata del divieto coincide con
la considerazione per cui, in ipotesi, il  Legislatore  abbia  inteso
garantire, in questo modo,  la  massima  protezione  degli  interessi
patrimoniali del beneficiario donante. 
    La tesi non  convince,  se  si  pone  mente  al  fatto  che,  per
l'appunto, l'approntamento di un sistema di garanzie,  sublimato  dal
vaglio autorizzativo giudiziale, avrebbe potuto scongiurare qualsiasi
rischio in cio' insito, facendo al  tempo  salvo  il  rispetto  della
dignita' e degli intenti  liberali  della  persona  beneficiaria,  al
riscontro della genuinita' di  essi,  della  loro  giustificazione  e
dell'assenza  di  nocumenti  gravi  ed  irrimediabili  diversi  dalla
deminutio patrimoniale  connessa  all'atto  donativo;  in  argomento,
ritenere che anche  altre  categorie  di  soggetti,  ad  esempio  gli
interdetti, siano privati di una  analoga  capacita',  non  sposta  i
termini della questione (dovendosi semmai dubitare della legittimita'
costituzionale  anche  di  quei  divieti,  piuttosto  che   dovendosi
evincere da essi argomenti che legittimino la  costituzionalita'  del
divieto in parola). 
    A tacer del fatto che, in realta', proprio  per  gli  interdetti,
una limitata capacita' di donare viene  fatta  salva,  dal  succitato
art. 777 del codice civile, norma non estensibile al beneficiario  di
amministrazione di sostegno (se non, in ipotesi, con decreto espresso
del Giudice tutelare, ex art. 411, u.c., del codice civile). 
    Appare dunque del tutto palese  il  rischio  di  vera  e  propria
«emarginazione»   in   cui   incorrerebbero    i    beneficiari    di
amministrazione di sostegno. 
    Essi, infatti, non potrebbero mai cristallizzare  in  un  negozio
donativo il loro  spirito  liberale,  consistente,  per  elaborazione
pretoria e dottrinale consolidata, nella consapevolezza di attribuire
ad altri un  vantaggio  patrimoniale  senza  esservi  in  alcun  modo
costretti, anche al fine di illuminare e accendere l'essere e l'animo
(«il pieno sviluppo della  persona  umana»)  di  chi  un  tale  gesto
intenda compiere; gesto, che, e' banale anche solo ricordarlo, consta
(recte, deve constare) di bellezza, nobilta', spontaneita', altezza. 
    Mai potrebbero proferire, con le parole di un Poeta, la frase «Io
ho quel che ho donato». 
    Tale deplorevole status quo permarrebbe laddove non i emendasse a
norma oggi in discorso. 
    Cio' puo' avvenire, a giudizio  di  questo  rimettente,  de  jure
condendo, con un intervento additivo della Corte costituzionale. 
    Sul punto, in ossequio ai doveri  di  chiarezza,  determinatezza,
non oscurita' e delimitazione del petitum, si ritiene auspicabile che
la Corte  dichiari  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  774,
comma 1, del codice civile, nella parte in cui non prevede che  siano
consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte
del beneficiario di amministrazione di sostegno. 
    Tale intervento non demanderebbe alla Consulta un indebito potere
di «creazione» legislativa (con  usurpazione  delle  prerogative  del
Legislatore), ma si limiterebbe  a  determinare  una  ammissibile,  e
auspicabile, integrazione  della  materia  in  esame,  attraverso  il
richiamo di norme gia' presenti nell'ordinamento (articoli 777,  375,
411 del codice civile), capaci  di  diventare  paradigma  ed  oggetto
della addictio  normativa,  quale  soluzione,  in  fondo  necessaria,
pienamente rinvenibile nell'ambito della cornice di sistema. 
    E' appena il caso di notare, infatti, che la  locuzione  «con  le
forme riabilitative richieste» riecheggia in toto quella del  secondo
comma dell'art. 777 del codice civile; e che la  loro  individuazione
e' assolutamente piana e pacifica, coincidendo con gli strumenti  che
gia' de jure condito caratterizzano  l'istituto  dell'amministrazione
di sostegno, ed in ispecie, la previsione del potere  di  alienazione
nel decreto di nomina,  il  meccanismo  di  confronto  dialogico  tra
beneficiario, Ads, e Giudice tutelare di cui all'art. 410 del  codice
civile,  ed   infine,   naturalmente,   la   condicio   juris   della
autorizzazione giudiziale di cui agli articoli 375, comma  1  e  411,
comma 1, del codice civile. 
    Tale  intervento  additivo  permetterebbe,  in  sintesi   ed   in
conclusione, di emendare il contrasto costituzionale tra  l'art.  774
del codice civile e le norme della Carta, che si sintetizza in questi
brevi, riassuntivi, termini: rispetto agli articoli 2 e 3, commi 1  e
2, Cost., in quanto, imponendo un sordo  divieto,  ed  integrando  un
vero e proprio ostacolo di ordine sociale (e fondato, di fatto, sulle
infermita' o le menomazioni della persona), irragionevolmente deprime
il  pieno  sviluppo  della  personalita'  umana,  inibendo   ad   una
determinata categoria di soggetti di valorizzare - pur con le  dovute
cautele  -  il  proprio  animus  donandi,  cosi'  come  concesso,  al
contrario, alla generalita' degli altri consociati. 
 
                            La rilevanza 
 
    Con  riferimento,  infine,  alla  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita', consideri quanto segue. 
    La beneficiaria, come detto, e' beneficiaria  amministrazione  di
sostegno. 
    Ella e' assistita dalla sorella, Ads, con il  potere  in  via  di
sostituzione, in forza di decreto di nomina, di «compiere  tutti  gli
atti   di   ordinaria   e   straordinaria   amministrazione,   previa
autorizzazione del Giudice Tutelare per questi ultimi, in nome e  per
conto della beneficiaria; di occuparsi della gestione  del  c/c  n...
presso la  Banca...  filiale  di...  e  del...  presso  la  Banca...,
intestati alla beneficiaria». 
    Ella appare dunque priva, quantomeno in parte, della capacita' di
agire, e, dunque, di disporre pienamente dei propri beni, e pertanto,
della capacita' di donare. 
    Non si ravvisano, in relazione alla istanza, altri impedimenti di
merito assorbenti. La richiesta, alla  luce  delle  indagini  svolte,
appare ammantata da intrinseca congruita', genuinita', e passibile di
sicura condivisione (la beneficiaria ha rivendicato a chiare  lettere
il  proprio  intento  liberale,  ha  fornito  un  idoneo  termine  di
valutazione dell'esborso che mira a sostenere,  da  ritenersi  dunque
congruo, e dispone di un patrimonio la cui entita' sicuramente  rende
plausibile compimento di una donazione conie quella proposta,  specie
avuto riguardo alla evidente serenita' e armonia che connota rapporti
personali all'interno della sua famiglia). 
    Non assume poi rilievo nella presente sede, la questione relativa
alla  qualificazione  della  donazione  in  discorso  in  termini  di
modestia, o meno, del relativo valore. 
    La  soluzione  della  questione  rimessa   all'attenzione   della
Consulta, infatti, e' logicamente propedeutica allo scrutinio di  cui
all'art. 783 del codice civile, che disciplina requisiti  formali  di
un atto che deve pur sempre essere disposto da chi ne sia  capace  ex
art. 774 del codice civile. 
    Il giudizio di cui sopra, va osservato, rimarra' appannaggio  (in
prima battuta), di questo Giudice tutelare,  che  sicuramente  potra'
invitare gli istanti (Ads e beneficiaria) a formalizzare la donazione
di cui si discute attraverso la stipula di atto pubblico, laddove non
ritenga integrati gli estremi di cui all'art. 783 del codice  civile:
cio' pero', lo si ribadisce, soltanto a patto che si possa  dirimere,
a monte, la questione circa la validita' della donazione da parte del
beneficiario di amministrazione di sostegno. 
    Cio' chiarito, e' del tutto palese che la decisione sulla odierna
istanza non potrebbe seguire se non  sulla  base  della  applicazione
della norma che qui si taccia di incostituzionalita' (si richiama  ad
ogni  buon  conto  quanto  supra  esposto  circa  la  interpretazione
necessitata di tale norma nel senso che essa inibisca al beneficiario
di disporre dei propri beni per donazione). 
    Ne' la presente questione  puo'  essere  decisa  («aggirandola»),
attraverso l'applicazione del combinato disposto degli  articoli  411
u.c. e 777, comma 2, del codice civile (ipotizzando che nel  caso  in
esame si verta  in  materia  di  donazione  obnuziale  in  favore  di
discendente, accessibile dunque agli interdetti previo rispetto delle
forme abilitative, e quindi anche al beneficiario  di  Ads  ai  sensi
della prima delle due norme appena richiamate). 
    L'Ads  ha  infatti  espressamente  dichiarato   di   non   «voler
condizionare la liberalita' alla celebrazione  del  matrimonio»,  con
cio' manifestando  una  chiara  volonta'  in  ordine  alla  immediata
produzione degli effetti  della  donazione,  indipendentemente  dalla
celebrazione del matrimonio stesso, laddove  l'art.  785  del  codice
civile - il cui campo applicativo  coincide  con  quello  di  cui  al
secondo comma dell'art. 777 del codice civile - prevede,  esattamente
al contrario, che i detti effetti si producano  solo  allorquando  il
matrimonio segua. 
    Inoltre, per  concorde  ammissione  di  tutti  i  presenti,  alla
donazione in favore della figlia nubenda, gli istanti (beneficiaria e
Ads) intenderebbero accompagnare un analogo emolumento in favore  del
figlio, al fine di non creare disparita', con il che in ogni caso  la
questione appare comunque rilevante, atteso  l'evidente  collegamento
funzionale. 
    Autorizzare la donazione oggetto  del  presente  giudizio,  sulla
base delle norme vigenti, non  pare  pertanto  possibile,  in  quanto
condurrebbe al compimento di un atto in  violazione  di  legge,  come
tale invalido  (perlomeno  ex  art.  412,  primo  comma,  del  codice
civile). 
    Precludere  la  conclusione  del   negozio,   sulla   scorta   di
un'applicazione arida, ma  oggettivamente  ineludibile,  della  norma
oggi tacciata  di  illegittimita'  costituzionale,  condurrebbe  alla
severa mortificazione dei  diritti  della  interessata,  nei  termini
sopra ricordati, con  pari  svilimento  dei  precetti  costituzionali
menzionati. 
    Tutto cio' premesso. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Giudice tutelare del Tribunale di Vercelli, 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  774,  comma  1,  del  codice
civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite,  con  le
forme abilitative richieste, le donazioni da parte  del  beneficiario
di amministrazione di sostegno, in riferimento agli articoli  2  e  3
(comma primo e comma secondo), della  Costituzione  della  Repubblica
italiana; 
    Dispone la immediata trasmissione degli atti  del  giudizio  alla
Corte costituzionale, previa notifica: 
      alla parte istante, in persona del Legale nominato; 
      al sig. Pubblico Ministero in sede; 
      al sig. Presidente del Consiglio dei ministri; 
    e previa comunicazione del presente provvedimento: 
      al sig. Presidente del Senato della Repubblica italiana; 
      al sig. Presidente della Camera dei Deputati; 
    Sospende, per l'effetto, il presente procedimento. 
 
      Vercelli, 19 febbraio 2018 
 
                    Il Giudice tutelare: Bianconi